L’immagine di “un paese forte” non ci appartiene! É la retorica consunta delle vecchie e nuove destre, quelle che acquistano cacciabombardieri e si difendono coi muri alle frontiere.

Di quella Svizzera “maschia” che accoglie iniziative xenofobe, respingendo ed espellendo persone alla ricerca di una parvenza di vita.

Semmai davvero bisogna essere forti, è nel ribadire che “nessun essere umano è illegale”, che nessuno puo’ essere sotterrato in un bunker militare a 2000 metri, che nessuno puo’ essere respinto alle frontiere, rinchiuso in un lager, insultato o malmenato in qualche bosco del ticino. Che Arlind, Yasin e qualsiasi altra persona, possono rimanere sul territorio che abitano, non perché più o meno meritevoli, integrati o assimilati, ma perché solo includendo le diversità si raggiunge l’uguaglianza e la legalità non ha niente a che fare con la giustizia.

La giustizia per cui lottiamo è quella che riguarda lavoratori e lavoratrici, disocuppate e inoccupati, precarie, migranti, frontaliere, mendicanti, viaggiatori e vagabonde. Combattere lo sfruttamento e la devastazione non passa unicamente da salari più giusti e dignitosi ma dal netto rifiuto di politiche discriminatorie ed escludenti. Opporsi a coloro che impongono la guerra tra poveri, passa anche dalla costruzione di visioni “altre” in grado di scardinare rassegnazione, paura e omologazione.

Oggi più che mai, consapevoli che “la crisi” è parte strutturale e funzionale del capitalismo, non possiamo rimanere appesi alle categorie del “paese forte” e del “salario giusto” senza una ripresa conflittuale contro ogni ingiustizia sociale, economica, ambientale, di genere o di provenienza. L’alternativa al modello unico di produzione, consumo e morte avviene nei momenti di rottura e nei gesti di solidarietà complice, a fianco di tutte e tutti coloro che si battono per altri mondi possibili, senza concedere spazi alle distinzioni tra legale e illegale, colpevoli e innocenti.

È questo sentimento che ci ha portati a contestare il procuratore Caselli per la criminalizzazione del movimento NOTAV. Un gesto complice, per cui 9 persone sono attualmente indagate (una perdendo il posto di lavoro) con varie accuse, tra cui quella di sommossa, dal duo Gobbi/Noseda. Per quanto esagerato e grottesco, lo zelo del procuratore nostrano non è per nulla paragonabile con quanto avviene sempre piu sistematicamente in Italia, dove 4 compagni sono attualmente tenuti in regime carcerario isolato e punitivo, con l’accusa di terrorismo per l’incendio di un compressore del cantiere per l’alta velocità in Val Susa. Saremo quindi a Torino, sabato 10 maggio alla manifestazione popolare COLPEVOLI DI RESISTERE indetta dal movimento NOTAV per Chiara, Claudio, Mattia, Niccolò.

Sabotare l’attuale sistema – ognuno a suo modo e con i propri mezzi – diffondendo un’altra visione culturale, politica e sociale e partecipando alla costruzione di un’alternativa di vita reale, come succede in Val Susa o nelle comunità zapatiste in Chiapas, è secondo noi il cammino che ci resta da percorrere.

Non c’è solidarietà senza rivolta!

Chiara, Mattia, Claudio, Niccolò liberi.

Liber* tutt*.

C.S.O.A. Il Molino

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