Quest’anno si parte da Besso
“Una sorta di precariato dell’esistenza che non è più riconducibile unicamente all’aspetto del lavoro ma che si diffonde come una costante che ci accompagna dalla mattina alla sera, giorno dopo giorno. Vendutoci come una necessità che serve a rinforzare l’economia, come il male minore per il mantenimento di “quest’unico sistema possibile” e non più considerato come una condizione che mina l’integrità psicologica, la condizione sociale e la solidarietà di noi tutti esseri umani.” Questo scrivevamo l’anno scorso in occasione del primo maggio. Abbiamo iniziato questo percorso per liberarci dal precariato esistenziale che ci attanaglia. La strada è in salita, ma non per questo deve spaventarci. Da Besso è tutta in discesa…

Besso precaria
Secondo alcuni il toponimo “Besso” potrebbe derivare dall’aggettivo basso ciò che sta a indicare una zona che, sebbene si trovi in alto in riferimento al borgo, si trova in basso rispetto alle località collinari. Besso è un quartiere in cui si cristallizzano tutte le contraddizioni del nostro sistema, è un quartiere “basso” ultimamente portato alla ribalta per problemi legati allo spaccio, alla microcriminalità e al disagio in generale.
I reali problemi sociali di questa città, così come quelli del cantone e di tutto lo stato vengono affrontati da una classe politica autoreferenziale, intenta solo a preoccuparsi del proprio tornaconto. I politici sono i nostri dipendenti, ricorda Beppe Grillo. Li paghiamo per fare i nostri interessi. Questa la teoria. Nella pratica, il divario tra classe politica e società civile è sempre più ampio. Il 60% degli aventi diritto di voto hanno scelto di riproporre uno schema fallimentare già conosciuto. 2100 abitanti di Besso non hanno potuto esprimersi perchè stranieri. Eppure pagano, sia con le tasse che con il lavoro. Ma qualche segnale si intravvede. Un cambiamento può solo arrivare da una lotta fatta su un terreno diverso da quello istituzionale. Un terreno che non favorisca chi è già al potere, che non faccia giocare partite truccate. Una serie di lotte a difesa del territorio inteso come bene comune dove generare processi collettivi “altri” di socializzazione, di liberazione e di autonomia. la lotta La lotta contro l’inceneritore, le 15 mila firme raccolte contro la sua realizzazione, le numerose manifestazioni di protesta contro lo smantellamento della posta, per delle spiagge pubbliche e libere, l’unione di tutta una serie di gruppi nel Collettivo Precari Esistenziali, le numerose microesperienze di rapporti sociali diversi nate in questi anni, sono l’inizio di un percorso di lotta, ma sono ancora insufficienti.

Traffico e traffici
Lo spaccio di droga, così come lo spaccio di mobili da montare, di abiti a basso prezzo, di panini con la polpetta e di elettronica di consumo, necessita di vie di transito funzionali ed efficienti su cui basare il proprio commercio. La via Besso, trafficatissima arteria di transito cittadina, offre un’ottima piattaforma logistica su cui basare lo smercio di droga, seguendo anche in questo caso le spietate leggi del libero mercato. Dispone di una comoda stazione ferroviaria a poche decine di metri, e non dista molto dal raccordo autostradale dell’A2 che collega il nord con il sud dell’Europa. Si tratta di una posizione strategica, di comodo accesso sia per i clienti che per i fornitori. Lo spaccio si è insediato nella via Besso seguendo le stesse logiche con cui Ikea, MacDonald’s e H&M hanno trovato spazio nel pian Scairolo. Lo spaccio ha sposato e portato al massimo livello le tesi neoliberiste, offrendo droga standarizzata (cocaina) a bassi prezzi, praticamente ventiquattr’ore su ventiquattro, sfruttando lavoratori e lavoratrici sottopagati. Gli spacciatori non possono ambire ad un posto di lavoro in un fast-food trovato tramite agenzia interinale e si arrangiano come possono. Il mercato della droga, libero dai vincoli statali ha potuto realizzare il sogno di un’economia che si controlla da sé, un mercato in cui le leggi della domanda e dell’offerta sono libere di realizzarsi senza vincoli di sorta. In un’apoteosi del libero mercato che solo i sogni dei masoniani più sfegatati possono aver partorito.
La cocaina è poi una droga funzionale al sistema, che permette di lavorare di più in cantiere, a sorridere amichevolmente mentre si intrecciano relazioni d’affari, a fare i doppi turni in catena di montaggio, a rispondere con cortesia alle chiamate del call-center, a studiare abbastanza per ottenere i crediti formativi all’università, a ballare tutta la notte, a partecipare alle sedute del Consiglio comunale di Lugano, a sostenere il logorio della vita moderna. A sopravvivere insomma. Don Gallo ricorda che “I tossici faticano come formiche e consumano come cicale, è così. Dobbiamo dirlo e saperlo: il tossicodipendente è un grande consumatore. Un consumista par excellence. È il figlio che ha fatto proprio fino in fondo il codice non dicibile quotidianamente celebrato e praticato da suo padre e da sua madre”. Le pubblicità esposte lungo la via Besso, ci invitano a surrogare chimicamente e dal punto di vista farmacologico ogni attività della nostra vita. Dall’alimentazione, alla penetrazione, passando per la relazione ogni attività può essere migliorata o resa più funzionale dalla chimica.

Case e urbanistica
La via Besso vede transitare centinaia di migliaia di macchine ogni settimana verso il centro città. Attorno a questa dorsale, che è anche la via più trafficata ed inquinata di Lugano, ci vive chi non ha potuto trasferirsi altrove. Più ci si allontana dalla strada più il tenore di vita aumenta, i palazzoni lasciano posto a villette, le linee architettoniche si fanno più piacevoli allo sguardo e i salari medi degli abitanti (così come il costo degli affitti) aumentano. Come tutti i quartieri periferici delle città europee Besso risente di scarsa qualità urbanistica (frutto di scriteriate scelte pianificatorie) e di uno scarso patrimonio relazionale. A Besso mancano piazze, luoghi di ritrovo, parchi, centri sociali e in generale tutti quei luoghi in cui si possono intrecciare relazioni. Sono le relazioni che scardinano l’indifferenza che rendono una zona più sicura, non i sofisticati impianti di videosorveglianza che non fanno altro che rafforzare il sentimento di insicurezza indotto.

Povero lavoro
Ci avevano detto che stavamo per entrare nell’era della fine del lavoro; che le nuove tecnologie ci avrebbero permesso di lavorare tutti e meno tempo. Non è vero. Si lavora sempre di più, senza orari ne certezze e per meno soldi. Hanno diviso le persone strutturando un sistema di classificazione che corrisponde a una lista di diritti negati. Lavoro a contratto indeterminato, determinato, su chiamata, intermittente, precario. Oltre il 15% dei salariati in Ticino non arriva a fine mese con il proprio salario. Li chiamano i lavoratori poveri. Tutte e tutti in una guerra competitiva tra loro. Lo hanno fatto scientificamente. Dividi e impera è il motto da sempre. La guerra tra poveri è utile a chi trae il profitto. Tutta questa parcellizzazione del lavoro ha conseguenze dirette sulle sicurezze; possibilità di scegliere la propria vita, di avere dei figli, di sognare un futuro, la garanzia di una pensione serena. Non solo ci hanno rubato il futuro, ci stanno rubando anche il presente.

Diritti a strati
All’interno del quartiere di Besso convivono migliaia di persone, apparentemente tutte uguali ma profondamente diverse. Le differenza non si limitano ai diritti in base ai contratti di lavoro. Ai migranti è stato imposto un ulteriore prezzo da pagare. Permesso B, C, F, N, L; un alfabeto di ingiustizie e di dimiscrinazione che porta le persone che condividono lo stesso territorio ad avere diritti, possibilità e doveri stratificati. La conseguenza è l’impossibilità di unirsi per lottare. Sottomessi, si può solo salire la scala dei permessi fino ad essere, nelle migliori delle ipotesi, assimilati con forza al modello svizzero. Se va male, per l’uscita le frontiere son sempre aperte. In questo panorama, non ci si può stupire se uno straniero arrivato quasi in cima alla scala dei permessi guardi con disprezzo chi è ai gradini più bassi. Il razzismo non è naturale, è stato pianificato, voluto e costruito per mantenere un controllo sociale. A chi non è stato permesso di salire neanche il primo gradino, i NEM, è stato riservato un posto di lavoro, quello sporco dello spacciatore. I rischi son tutti per loro. I guadagni invece, vanno sempre ai soliti noti. Su 5 mila abitanti del quartiere di Besso, 2100 sono stranieri. Besso è lo specchio di questo mondo dai diritti negati.

Voci dal Besso
Per meglio comprendere la situazione del quartiere di Besso abbiamo dato voce ad alcuni abitanti e/o commercianti del quartiere. Abbiamo intervistato F.M, abitante di Besso; Murat, 26 anni, originario del Kurdistan turco, vive a Lugano da 5 anni; R. Cianella, segretario della Federazione Servizi Autoambulanze; Celal Sari, di origine turca, gerente del ristorante Zelal; N. Mahedran, originario dello Sri Lanka.

Droghe e consumi
F.M: Riguardo allo spaccio penso che una maggiore sensibilizzazione ai consumatori invece che delle azioni repressive potrebbe essere una delle tante soluzioni al problema. C’è una mafia, un commercio, questi spacciatori, per la maggior parte stranieri, sono dei poveracci, ultimo anello della catena che rischia il tutto per tutto. Bisogna innanzitutto capire come mai c’è questa esigenza di “tirar su polvere dal naso”.

Murat: Bisogna dire che le persone che fanno queste cose sono l’ultimo anello della catena , chi fa i traffici sono i Paesi. Ogni tanto per far vedere che si fa qualcosa per combattere il problema la polizia va a prendere gli spacciatori, mettendo in risalto quando si tratta di stranieri, se sono svizzeri non lo dicono neanche sui giornali. Secondo me Besso non è poi così pericoloso. Ci sono quelli che vendono la droga, ma non disturbano nessuno: se non vuoi comprare ti lasciano stare. Vendono perchè qualcuno compra! E chi compra sono gli svizzeri.

R. Cianella: Personalmente credo sia un problema eccessivamente strumentalizzato al quale nessuno vuole porre rimedio agendo sulle vere cause. Penso sia un po’ troppo semplicistico ridurre il nocciolo della questione all’ubicazione di alcuni centri di accoglienza, peraltro occupati per la stragrande maggioranza da persone squisite. Quello dello spaccio non è assolutamente il problema più grosso del quartiere.

Sari: Anche per quanto riguarda la mia attività professionale, sento molto il problema dello spaccio. Probabilmente il tutto si è spostato qui anche proveniente da altre zone della città. Ma il problema è davvero serio. Ho l’impressione che la “voce” che gira sulla presenza di questi spacciatori mi tenga lontano un po’ di clientela. A parte questo, dopo le 21.00 io non me la sento di lasciare fuori mia figlia (9 anni) da sola; nel sottopassaggio della stazione si può quasi dire che dopo le 20.30 diventa abbastanza problematico transitare… ve l’assicuro, noi siamo proprio qui sopra!

N. Mahendran: Qualche volta quando rientro tardi dal lavoro (dopo mezzanotte) incontro questi gruppi di africani che spesso s’incontrano per strada a spacciare. Quando in strada non c’è quasi più nessuno può farti un po’ paura, ma in realtà non ho mai avuto problemi. Se è vero che molti di questi spacciatori sono di origine africana, c’è da dire che bisogna fare attenzione a non generalizzare. Mi ricordo che nei primi anni del mio soggiorno in Svizzera, girava la voce che erano “quelli dello Sri Lanka” a controllare il traffico di droga.

Traffico e vivibilità
F.M: Besso è un quartiere di transito, un quartiere di terza classe. Non c’è niente che ti stimola a restare qui. Per i ragazzi non c’è un centro sociale o di ritrovo.
L’oratorio è chiuso da oramai 30 anni. Non c’è una piazza. I giovani non hanno uno spazio loro. Non c’è un gruppo di quartiere unito. L’inquinamento fonico e dell’aria è terribile.

R. Cianella: Il principale difetto è indubbiamente quello legato al traffico ed all’inquinamento sia atmosferico sia fonico.

Sari: I miei figli a Besso sono cresciuti serenamente e con una certa felicità, anche se il quartiere non presenta le offerte migliori per i bambini. Pensiamo poi al grande problema del traffico, all’inquinamento, che soffoca la gente. Anche questo semaforo non mi sembra aiuti a risolvere il problema, neanche ai pedoni. I bambini vivono come animali, come cani; nel senso che non hanno uno spazio di aggregazione, un luogo “sano” per giocare. In casa non possono giocare perchè reclama il vicino, vai al parchetto e nemmeno lì possono sfogarsi perchè c’è sempre qualcuno che deve riposare. Al Tassino e nei parchetti trovi preservativi e siringhe. Poi ci si lamenta e ci si interroga perchè queste generazioni diventano sempre più teledipendenti.
Per fortuna che c’è una scuola molto buona che offre loro l’opportunità di conoscersi e di scambiare le conoscenze sulle loro diverse origini etniche.

Mehendram: Devo dire che c’è un grosso problema del traffico. È sempre stato un gran casino. L’aria è irrespirabile, mia moglie ha sempre problemi respiratori. E quanto è sporca quest’aria lo si può benissimo vedere quando si pulisce il balcone: dopo pochi giorni è nuovamente sporchissimo e pieno di polveri.

Integrazione e razzismo
NM: Mi sento perfettamente integrata e conosco i miei vicini. Non sento il disagio sulla mia pelle nonostante sono consapevole che c’è emarginazione legata soprattutto al “business” degli spacciatori/uomini ombra. Non ho né paura né pregiudizi nei confronti di queste persone. A Besso gli immigrati sono una realtà ben visibile. Uno dei tanti fattori che fa si che queste persone vengano a stare qua, sta anche ai prezzi bassi d’affitto, al fatto che sia un quartiere di transito e alla vicinanza della stazione ferroviaria.

Murat: Vivo il quartiere in parte con la gente della mia comunità, ma non con svizzeri o persone di altre nazionalità. Non ho rapporti con i miei vicini, gli svizzeri sono un po’ freddi. Non mi sento integrato, credo che dovrei parlare meglio l’italiano, il fatto di non riuscire ad esprimermi bene mi intimidisce.
Ogni tanto vado al bar Besso, che è un ritrovo turco. Manca un centro culturale aperto a tutti. A Besso non mi sono mai sentito discriminato, ma alcuni amici curdi mi hanno raccontato che circa un anno fa, quando risiedevano presso il centro della Croce Rossa di Cadro, stavano rientrando la sera e sono stati picchiati senza motivo, ad un diciasettenne hanno rotto un braccio. Siccome in Turchia ero giornalista sono andato al Centro della Croce Rossa per capire cos’era successo e scrivere ai giornali. Ho scoperto da una persona che ci lavora, che succede spesso che la polizia picchia gli stranieri, che lei stessa era stufa e che si è rivolta a sua figlia che è avvocato per denunciare la situazione. Le autorità hanno proposto un patteggiamento offrendo 10’000 franchi per mettere a tacere la questione. Il tutto è durato 8 mesi, ma hanno tenuto nascosta la cosa. Io non sapevo come muovermi perché non conoscevo nessuno a cui chiedere aiuto, e nemmeno i nostri compaesani credevano che la polizia li avesse picchiati senza motivo, non credono che qui esista la tortura perché la Svizzera si definisce un paese libero e democratico. Alcuni amici mi hanno raccontato che i poliziotti a Besso picchiano gli africani.

R. Cianella: Tra i pregi di Besso mi piace considerare la multiculturalità e la buona integrazione. Trovo che la multiculturalità sia l’unica globalizzazione interessante che permette di risolvere molti problemi legati all’incomprensione ed alla diffidenza reciproca. Non è infrequente notare come diversi commerci ed esercizi pubblici, gestiti da persone di altre etnie, siano frequentati anche e soprattutto da “europei-confederati-ticinesi”.

Sari: in generale mi trovo bene. Generalmente non ho mai avuto alcun problema coi vicini siano essi di qualsiasi nazionalità. Anzi, amo le differenze. Alla fine si corre il rischio di fare del razzismo gratuito. Mi dispiace che poi fanno pagare tutta questa situazione ai richiedenti l’asilo che in fondo non c’entrano per niente. Anch’io sono stato richiedente l’asilo e mi piange il cuore a sapere che altri disperati non possano avere riconosciuti dei diritti per colpa di pochi. Personalmente, se devo parlare di razzismo le posso dire che proprio qualche giorno fa, in tarda serata, mia moglie che in quel momento era sola al bar, è stata pesantemente offesa e aggredita verbalmente da un gruppo di cinque signore ticinesi che, anche se ubriache, l’hanno insultata a causa della sua origine turca. Questo ci ha molto ferito.

Mehendran: Con le persone proprio non ho mai avuto problemi; qui a Besso credo che il 70 – 80% della popolazione sia straniera. C’è di tutto e quindi non ho incontrato nessun problema. E poi anche noi siamo stranieri e non cerchiamo di creare problemi. Finora non ho mai conosciuto episodi di razzismo. Il fatto che ci sono così tanti stranieri favorisce l’integrazione. Ma devo dire però che ho notato negli anziani una certa diffidenza.

Cosa cambieresti?
F.M: Più socialità e integrazione, una piazza in cui ritrovarsi e un’urbanizzazione più a misura d’uomo e non di macchina!

R. Cianella: Più fiducia nelle proprie possibilità per scrollarsi di dosso quel senso di inferiorità rispetto ad altri quartieri ritenuti, a torto, più interessanti.
Sari: il problema relativo alla creazione di uno spazio ricreativo e d’aggregazione per i bambini ma anche per gli adulti. Sì, anche per gli adulti perchè sa che c’è gente che pur abitando nello stesso palazzo ha paura di salutarsi? E di questo non si può certo dar colpa agli africani…

Michail Bakunin l’anarchico di Besso
Michail Bakunin giunse a Lugano nell’ottobre del 1874, all’età di 61 anni, dove trascorrerà gli ultimi anni della sua vita. Quello che arriva a Lugano non è più “l’anarchico capace di smuovere le masse, ma piuttosto un anziano disilluso, alla ricerca di un luogo in cui vivere serenamente gli anni che gli restano”. Nel 1875 acquista Villa Besso “una grande casa con giardino alla periferia di Lugano, in direzione del Monte San Salvatore” poi distrutta
dai tanti palazzinari di Lugano.

Spazio Ado e il quartiere di Besso
La Fondazione Amilcare ha aperto Spazio Ado cinque anni fa.
Spazio Ado è un centro diurno che accoglie adolescenti minorenni che stanno attraversando un periodo di disagio sociale. Questo può essere legato alla sfera famigliare, a quella scolastica o a quella lavorativa. L’idea è quella di accompagnare i giovani a scoprire le proprie risorse e rafforzarle al fine di affrontare situazioni difficili. Spazio Ado, in quanto luogo d’ascolto diventa, per i giovani che lo frequentano, il mezzo per poter migliorare la propria autostima. Il centro, oltre ad aprire nuove prospettive in vista di un reinserimento, ha pure una funzione preventiva.

In cinque anni abbiamo accolto una cinquantina di giovani provenienti da tutto il cantone . Le attività proposte ai ragazzi sono: di tipo sportivo, culturale, creativo e ricreativo. Quando i ragazzi ci chiedono di realizzare progetti particolari come viaggi o vacanze, chiediamo loro di attivarsi per svolgere dei lavori che ci permettano di guadagnare la somma necessaria.
Durante questi anni abbiamo proposto ai ragazzi di vivere delle esperienze significative. La prima di queste è stata un viaggio in Galizia a pulire le spiagge dal petrolio versato in mare dalla Prestige. Da due anni andiamo in Marocco, dove lavoriamo come volontari partecipando alla costruzione di un agriturismo per disabili.

Con il passare del tempo Spazio Ado è stato anche messo a disposizione della popolazione del quartiere di Besso. Lo spazio molto grande permette da sempre di accogliere diverse attività che prima difficilmente trovavano un’ubicazione; il nostro intento è quindi quello di fornire un servizio attrattivo per i residenti nel quartiere.
Abbiamo dunque avuto modo di conoscere diverse persone con le quali discutiamo regolarmente della vita di quartiere. Questo ci ha stimolato a proporre delle attività per la popolazione, da gennaio infatti si svolgono regolarmente corsi legati alle arti marziali, atelier di giochi e di musica.
I giovani del quartiere passano, alcuni in modo informale per fare quattro chiacchiere, altri per svolgere delle attività specifiche.
Diverse associazioni hanno investito questo spazio come luogo d’incontro per sviluppare le proprie attività.
Ci sembra di poter affermare che, piano piano, Spazio Ado sta diventando un piccolo centro d’aggregazione intergenerazionale.

Crediamo che la gente che vive a Besso abbia bisogno di un vero centro d’aggregazione dove poter condividere le proprie preoccupazioni.
Spazio Ado non deve avere questo ruolo a pieno titolo perché il nostro compito principale è quello di accogliere gli adolescenti di cui parlavamo prima.
Siamo convinti che, vista la nostra piccola esperienza in questo campo, un luogo d’incontro aiuterebbe molto ad abbassare tensioni , le paure legate allo spaccio di droga e alla diversità culturale che ultimamente dipingono Besso come un quartiere difficilmente vivibile. Questo luogo permetterebbe alla gente di conoscersi , attenuando i luoghi comuni che ormai si sono radicati nel quartiere . Se una persona è di colore e gira a Besso è, per la maggior parte della gente, uno spacciatore. Se un giovane è seduto sugli scalini della chiesa è un drogato. Ci dimentichiamo che i consumatori di droga sono per la maggior parte bianchi e che la scalinata della chiesa è un luogo d’incontro vicino ad una fermata dei bus. Un centro di quartiere potrebbe dare alle persone che ci fanno paura un ruolo diverso e più positivo di quello attuale.
I problemi legati allo spaccio non si può negare che esistano ma crediamo sia più interessante affrontarli con altri sistemi e non la repressione.

Per Spazio Ado – Santo Sgrò

Il contributo del SISA
Cosa c’entra un sindacato studentesco con i temi che affrontiamo in questo 1° maggio? Molto! La stratificazione dei diritti tocca anche una scuola che sta sempre più diventando un servizio mercificabile in cui si assiste a fenomeni di esclusione dovute all’origine sociale (e a volte etnica) degli allievi. A ciò si aggiunge il fatto che gli spazi aggregativi giovanili, già pochi nella società odierna sempre attenta alla cultura consumistica e redditizia, stanno diminuendo, e ciò pure nei luoghi preposti all’educazione delle future generazioni: dalla mancanza di aule autogestite di studio fino a carenza di aule per le normali lezioni. Si pensa di risolvere questi problemi con delle baracche, ma mai affrontando investimenti sostenibili e duraturi, speculando esplicitamente su una prossima diminuzione di chi accederà a studi superiori, magari anche con l’aiuto di riforme scolastiche calate dall’alto per tenere a bada allievi visti come futura docile forza lavoro.

Il contributo del Movimento dei Senza Voce
il movimento dei senza voce in questi ultimi anni sempre più spesso è stato
confrontato alla problematica di persone senza fissa dimora che vivono in
ticino in condizioni disagiate. fra queste anche i cosiddetti “nem” che sembra
un po’ nemici dello stato, con questa sigla già si etichetta una persona che
non è più un uomo o una donna con una propria identità ma bensì un “non
entrata in materia”, una non persona.
e questo la dice lunga sulle condizioni di vita di queste persone, che in
teoria ma solo in teoria dovrebbero ricevere ancora un aiuto di prima urgenza.
diciamo solo in teoria perchè poter accedere a questi aiuti è difficile (
infatti per ora solo 3 persone hanno fatto capo alla struttura recente articolo
della regione ticino) e in ogni modo l’autorità sa dove sei e cosa stai
facendo. condizione molto difficile per una persona che non ha più nessun tipo
di diritto e che vive in una condizione di semi -illegalità.
vorremmo soffermarci su questi 2 punti, uno la difficoltà per queste persone
ad accedere ai servizi. le condizioni per entrare nella protezione civile di
camorino ( unica struttura abilitata) , sono le seguenti: essere in possesso
della dichiarazione di non entrata in materia, essersi rivolti alle autorità
per denunciare la propria indigenza e presentarsi a camorino accanto al posto
di polizia e poi lasciare ogni giorno la protezione civile in quanto l’aiuto è
solamente notturno. non sono previsti pasti o altro ma un piccolo contributo
giornaliero di 10 franchi, che comunque non permette di vivere degnamente. tutto questo per al massimo una settimana e poi il cosiddetto “nem” dovrebbe trovarsi un’altra soluzione oppure ricominciare la trafila per dichiarare di vivere nel bisogno.
spesso queste persone non possono rientrare nel loro paese, perchè rischiano
la morte, perchè il loro paese non accetta il rimpatrio, perchè sprovvisti di
documenti ecc. ma nemmeno possono restare in svizzera.
dovrebbero, crediamo noi, volare al di sopra dello spazio aereo ma forse anche in quel modo sarebbero solo d’impiccio. passiamo al secondo punto, cosa fa a questo punto una non persona, qualcuno che non ha più nessun diritto, che sa che non può rientrare al proprio paese e sa che in svizzera è “bruciato” e che vive oramai da clandestino?
il passo per diventare spacciatore è molto breve e spesso queste persone non
hanno altri mezzi di sussistenza che garantiscono loro una vita degna.
lo spacciatore o la prostituta stanno nello scalino più basso della nostra
società eppure rispondono ad un bisogno della società stessa. un bisogno
negato o bistrattato eppure il consumo di droga e sesso a pagamento è in
aumento in ogni modo. ci sconvolgiamo tanto e li vorremo far sparire tutti eppure rispondono ad una richiesta che viene proprio dalla popolazione svizzera perchè è chiaro che queste persone sono “spacciatori” ma non consumatori. altra riflessione che la popolazione dovrebbe porsi.
gli “spacciatori” vivono una non- vita, cercano di entrare nella società
vestendosi adeguatamente ed avendo il cellulare ma in realtà non hanno diritti
e resteranno sempre su quel gradino più in basso perchè una non entrata in
materia è irrevocabile. il movimento dei senza voce resta disgustato dalla politica svizzera che ben poco fa per l’integrazione delle persone in cerca di asilo e inoltre ben poco fa’ per le stesse persone quando le trasforma in delle non persone. la repressione non ha nessun successo e le persone illegali aumentano ogni giorno e quindi anche le attività illegali.

Cos’è che una persona ha bisogno all’interno di un quartiere?

Ha Bisogno di rimanere segregata in sé stessa tra quattro mura, con i suoi stereotipi, con il suo lavoro salariato come unico senso della vita?
Una persona, per soppravvivere, ha bisogno di dipendere neccessariamente dai prodotti di un supermercato? Ha bisogno di un proprio mezzo motorizzato per spostarsi liberamente? Di un televisore per informarsi o distrarsi? Di decine di telecamere per sentirsi protetto? Di un corpo di polizia per affrontare problemi e risolvere diverbi e conflitti? Di un caproespiatorio su cui riversare la colpa per un disagio/problema insito nella società? Ha bisogno di una tessera che dopo venti acquisti le regala un prodotto di discutibile utilità?

Se è vero che il controllo sociale è sempre esistito, grazie a diversi fattori, si è osservato un radicale cambiamento di come la società viene controllata. Per intenderci, se 50 anni fa il “servizio” di controllo sociale era garantito dai pettegolezzi che, al lavotoio come al bar, permettevano ad ogni individuo nella comunità di conoscere i fatti altrui, almeno quelli che venivano a galla, oggi con la scomparsa della vita comunitaria, questo servizio viene ottemperato da varie tecnologie che trasmettono le informazioni direttamente a chi detiene potere politico o economico.
Già, perchè se è vero che esiste un controllo del sociale a fine politico, esiste pure un controllo del sociale a fine economico.
Carte di credito, carte di addebito e di fedeltà, registrano i nostri acquisti trasmettendoli poi alle aziende che svilupperanno nuovi prodotti che sapranno venderci come prossimi bisogni, aumentando così la nostra dipendenza dal mercato. Tabulati telefonici ed informatici ed innocui sondaggi di mercato permettono alle aziende di conoscere i nostri hobbies ed i nostri interessi per offrirci promozioni ed offerte imperdibili, per consumare ovviamente. Un incessante pedinamento dei nostri piaceri viene trasformato, da chi ne riceve le informazioni, in un furbo rendiconto economico.
A questo si aggiungono telecamere, polizia e servizi di sicurezza, che ci rendono tutti possibili colpevoli, dove starà a noi dimostrare la nostra innocenza, o meglio, il nostro agire secondo le regole imposte. Meccanismo che porta solo a sviluppare diffidenza e sospetto verso il prossimo che ci vive affianco o che incrociamo per strada.
E che dire poi di quella morale propagandata dai mass-media che, con il loro diffondere paura, t’intimidano da che parte stare? Dove la tua opinione è vincolata dalla minaccia di essere additato come sostenitore del terrorismo/spaccio/delinquenti/.. se solo non appoggi la soluzione già decisa… sempre più spesso repressiva!
Un lavoro sottile questo, a cui ti iniziano già a scuola, mettendoti in testa ciò che è BENE e ciò che è MALE, imprimendoti quindi una mentalità limitata e superficiale da cui non è così ovvio liberarsi.
Se poi capita di reagire per tentare di liberarsi, ecco che subentra l’ennesimo livello di controllo, più personale, prettamente “politico”. Un’occhiata ai paesi limitrofi ben ci illustra a che punto il controllo viene attuato. Dispositivi GPS, intercettazioni ambientali e telefoniche, telecamere con le “orecchie”, telecamere con lettura biometrica, catalogazione del DNA, pedinamenti e quant’altro non appena dai segni di ribellione o semplicemente entri in relazione (due chiacchere, una telefonata,..) con persone che hanno dato segni di ribellione; e subito ti trovi coinvolto in reti di associazioni considerate terroristiche…niente di meglio per criminalizzare l’attivismo ed ottenere la scusa per sperimentare nuovi metodi di controllo orwelliani. Se poi si ha voglia di approfondire quello che le nanotecnologie promettono nel controllo…beh, che dire? Siamo sotto assedio.
Tecnologie e sistemi che vengono introdotti piano piano, una alla volta, per farci famigliarizzare, per farcele accettare, sta a noi discuterne e sviluppare pratiche per difenderci e non lasciare al “controllo totale” di avere la meglio, sottomettendoci e condizionando ulteriormente il nostro vivere.

ACCECHIAMOLI! Anarchici Contro il Controllo

Lettera aperta del CSOA il Molino agli abitanti di Besso
Alle mamme, ai papà, alle bambine e ai bambini, alle nonne, ai nonni, agli studenti, agli impiegati, operai, gerenti, precari, assistiti, emarginati, immigrati e a tutte le persone che abitano nel quartiere di besso, che ci vivono, che ci lavorano o anche solo che ci passano, a tutt* voi vorremmo lanciare un appello. Oggi, per contrastare l’aria populista, discriminatoria, razzista e semplicistica che si respira ultimamente, vorremmo poter in qualche modo scavare più a fondo, insieme a voi, alla base dei problemi legati al contesto della droga e dello spaccio che sempre più si riscontrano nel quartiere.
La nostra intenzione non è quella di preconfezionare una soluzione semplicistica ma, pur consapevoli della complessità della questione, vorremmo riflettere assieme a voi.
Convint* che una vera soluzione del problema possa nascere basandosi sui valori di uguaglianza, apertura e comprensione e non sulla discriminazione o sulla divisione.
Oggi, più che mai, in una società che ci vede sempre più bombardati da pregiudizi e da soluzioni standart, crediamo che il dialogo stia alla base della pacifica convivenza. Non i mezzi coercitivi come il municipio e buona parte della popolazione rivendicano proponendo la repressione quale soluzione ai problemi legati alla droga, alla violenza e allo spaccio.
Rivendichiamo il diritto a riprendersi i propri spazi, i propri luoghi, a gestirli a testa alta e senza paura, mettendo in primo piano la prevenzione e la conoscenza per fare in modo che l’ignoranza e gli stereotipi non prevalgano. Rivendichiamo il diritto ad un quartiere a misura di uomo, dove siano gli abitanti, i cittadini e non l’economia a disegnare gli spazi, un luogo nel
quale vivere e non sopravvivere! Il capire che dietro a ogni “presunto disturbatore della quiete pubblica” ci sta un essere umano, individualità cui non conosciamo nè il passato nè il vissuto, e che solo grazie alla nostra/vostra apertura di spirito possiamo cominciare davvero e con serenità un’esperienza di integrazione, solidarietà e convivenza.
Nella speranza di poter lanciare, grazie anche a questo nostro scritto e a questa nostra giornata di lotta, un discorso che rimanga aperto a lungo e che ci/vi faccia riflettere sulle nostre origini, sulla nostra storia e sulla possibilità di autoresponsabilizzazione di ognuno di noi vi salutiamo a braccia aperte.

CS()A Il Molino

Il primo di maggio messicano
Il primo di maggio messicano sará quasi interamente dedicato alle lotte per la libertá dei compagni/e di Atenco e Oaxaca. Nelle terre del mais appare vieppiú evidente la nuova offensiva neoliberista: é da qui dove sono emigrati il maggior numero di persone negli ultimi anni, dove dall’inizio dell’anno sono morte piú di 800 persone per fatti legati alla repressione o al narcotraffico, dove espandere nuovi mercati del consumo globale, dove é in costruzione un vergognoso muro antimmigrazione che non riuscirá e non vorrá fermare i quotidiani carichi di droga che riforniscono il nord ricco.
Un mese fa dal Chiapas ripartiva l’Altra Campagna, rilanciando una nuova mobilitazione su scala globale: la difesa del territorio e la sua preservazione contro gli attacchi del capitale. Territorio inteso non solo nel senso geografico o fisico dove si difende la terra, l’acqua e le risorse naturali, ma, innanzitutto, come uno spazio dove diamo forma ai nostri valori, dove l’essere umano sviluppa e approfondisce la sua relazione con la natura e con i suoi simili. Spazi dove camminare domandando per costruire autonomia. L’eco di questa maniera di intendere il territorio si diffonde in molte delle storie condivise in tutto il pianeta: la costruzione dell’autonomia zapatista e la difesa della terra a San Salvador Atenco; la lotta contro la costruzione e l’espansione di basi militari statunitensi in Europa; la lotta contro i treni ad alta velocitá, la lotta contro la devastazione provocata dalle compagnie petrolifere in Ecuador; le occupazioni delle terre in Brasile; il movimento piquetero e autonomo in Argentina; la lotta per l’apertura e la permanenza dei centri sociali autonomi in Europa, minacciati in ugual modo da governi di destra e di sinistra.
Guardare al Messico oggi é guardare a un laboratorio da cui attingere costantemente!

Il muezzin e le preghiere alla vita
Molti anni fa viveva in un villaggio un muezzin che chiamava la gente alla preghiera cinque volte al giorno. Quest’uomo era un ottimo sarto e viveva da solo, ma desiderava moltissimo farsi una famiglia.
Ogni giorno il brav’uomo, rivolgendo lo sguardo al cielo, chiedeva la grazia di poter avere una buona moglie e dei figli.
Un giorno stava in cima al minareto, la torre della moschea, quando venne afferrato fortemente dagli artigli di un’aquila che lo trasportò sopra monti e valli e lo lasciò in una città sconosciuta. Il sarto si accorse ben presto che la gente di quella città era incredibilmente serena e pacifica, elegante e sorridente. Ma lo stupore più grande l’ebbe quando vide che nei negozi non si pagava con il denaro, ma semplicemente si ringraziava con queste parole: Preghiere alla vita!
Camminando l’uomo giunse davanti alla bottega di un sarto e vi entrò salutando in questo modo: Buongiorno collega, mi piacerebbe fermarmi a lavorare con te! Con vero piacere! – rispose il sarto della città sorridendo.
Cominciò così, con molto impegno e piacere, il suo lavoro e venne ricompensato con molte “Preghiere alla vita”.
Bisogna sapere che in quella strana città vi era un’altra particolarità: il primo giovedì di ogni mese, chi voleva prendere moglie, poteva passeggiare sulla riva del mare. Le donne che desideravano sposarsi portavano con sé un vaso d’acqua che offrivano al pretendente che maggiormente le colpiva: questo gesto era considerato una promessa di matrimonio.
Il sarto seguì l’usanza e incontrò sulla spiaggia una brava ragazza: i due si sposarono molto presto e iniziò una vita comune serena e gioiosa. Tutti i giorni il sarto andava al mercato e comprava il necessario pagando con le parole: “Preghiere alla vita”. Un giorno il sarto vide su una bancarella un enorme e freschissimo pesce e lo acquistò per far felice la moglie.
Ma la giovane sposa pianse disperatamente quando vide quel pesce troppo grande: Siamo solo in due e tutta questa bianca e morbida carne potrebbe sfamare molte altre persone. A causa di questa tua avidità non potrai più vivere in questa città! Il sarto capì il suo errore e uscì in silenzio dalla casa. Lassù nel cielo l’aquila, che lo stava aspettando, scese a prenderlo e lo ricondusse al vecchio villaggio.
Il sarto riprese la vita di prima pensando sempre con molta nostalgia alla città e alla sua giovane sposa che aveva dovuto lasciare.

(Iraq)

* Favola tratta dalla raccolta di favole a cura di Cristina Della Santa, C’era non c’era, Soccorso Operaio Svizzero, Lugano, 2004

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