LaRegione 10.12.2021 – di Alfonso Reggiani

Il procuratore generale Andrea Pagani intima alle parti il decreto di abbandono e ricostruisce i fatti sulla base di una trentina di interrogatori

Dalle macerie dell’ex Macello non sono emersi fatti di rilevanza penale. Questa, in estrema sintesi, è la conclusione alla quale è giunto, dopo l’ultimo interrogatorio alla municipale di Lugano Karin Valenzano Rossi, il procuratore generale Andrea Pagani che, ieri, ha intimato alle parti un decreto di abbandono in relazione alle ipotesi di reato di abuso di autorità, di violazione intenzionale, subordinatamente colposa, delle regole dell’arte edilizia, di infrazione alla Legge federale sulla protezione dell’ambiente e di danneggiamento. Oggi, a Palazzo di giustizia, abbiamo incontrato il magistrato inquirente che ha difeso l’esito delle indagini effettuate sulla scorta di una minuziosa ricostruzione dei fatti basata su una trentina di interrogatori, su analisi chimiche dei detriti, su una perizia tecnica circa la pericolosità concreta delle sostanze nocive riscontrate, su fotografie e filmati dell’accaduto e su un attento esame di ogni atto acquisito all’incarto. Ebbene, alla fine non sono risultati adempiuti gli elementi costitutivi dei reati ipotizzati.

Abbandono già scritto? ‘Tesi offensiva’
Cominciamo dalle critiche di chi sostiene la tesi secondo cui il decreto d’abbandono era già scritto. Cosa risponde? «Chi parla dell’inchiesta in questi termini sostiene qualcosa di molto offensivo – ribatte Pagani –. L’inchiesta è stata eseguita rigorosamente senza lasciare nulla di non accertato. Questo non significa che quella sera (il 29 maggio scorso) non siano stati fatti degli errori. Errori che tuttavia non hanno rilevanza penale». Ha subito pressioni? «No. Non ho ricevuto nessuna telefonata né uno scritto che mi abbia fatto sentire sotto pressione. La prova sta nel fatto che nelle 27 pagine dell’inchiesta non ho fatto sconti a nessuna delle persone interrogate. Nei verbali di interrogatorio durati giornate intere ho posto domande scomode a tutti i protagonisti della vicenda. In 19 anni di lavoro come procuratore pubblico, non ho mai avuto un impegno così importante per una singola inchiesta. Ritengo di aver effettuato un lavoro serio che mi ha condotto alla decisione di abbandonare il procedimento ma non ho la presunzione di essere infallibile». Perché non ha interrogato l’ex vicesindaco e titolare del Dicastero polizia di Lugano fino a metà aprile Michele Bertini? «Le decisioni su sgombero e abbattimento sono state prese quando lui non era più in carica». Perché non è stato sentito nemmeno il direttore del Dipartimento istituzioni Norman Gobbi? «Il consigliere di Stato non faceva parte dello Stato Maggiore e non è emerso il suo coinvolgimento», risponde Pagani.

Dallo sfratto allo sgombero
Nelle 27 pagine del decreto d’abbandono, prosegue il magistrato, «ho ricostruito ciò che è successo dall’11 marzo alle prime ore di domenica 30 maggio». In effetti, era proprio nella seduta dell’11 marzo che il Municipio di Lugano ha deciso di sgomberare l’ex Macello. E «quella stessa sera è stato costituito lo Stato maggiore», ricorda Pagani che sottolinea pure «come il giorno successivo, il 12 marzo, è emersa per la prima volta fra le ipotesi di lavoro, la possibilità di demolire l’edificio. Tuttavia, la settimana successiva, sulla scorta del parere del servizio giuridico cittadino, la risoluzione municipale relativa allo sgombero è stata revocata. Da quel momento lo Stato Maggiore ha smesso di lavorare». In altre parole, l’esecutivo ha optato per seguire la procedura di sfratto, con una prima disdetta della convenzione siglata nel dicembre 2002 fra Associazione Alba, Municipio di Lugano e Consiglio di Stato, poi la diffida e infine l’esecuzione. Tutte decisioni che non sono state impugnate. E arriviamo al 20 maggio. Intanto, il centro sociale annuncia la manifestazione del 29 maggio. Non hanno preso decisioni penalmente rilevanti i municipali favorevoli allo sgombero, deciso a maggioranza nella seduta del 27 maggio? «No, a loro non può essere rimproverato, in questo contesto d’azione, alcun comportamento penalmente rilevante – sostiene Pagani –. Di riflesso, non può aver commesso il reato di abuso d’autorità nemmeno il vicecomandante della Polizia cantonale che ha ordinato ai suoi uomini di eseguire lo sgombero deciso dall’esecutivo, a condizione che la manifestazione degenerasse».

Demolizione decisa dal Municipio
Ma quella sera chi ha dato l’ordine di demolire lo stabile adibito a dormitorio dell’ex Macello? «La decisione di demolizione parziale è stata presa dalla maggioranza del Municipio e non dallo Stato Maggiore che ha solo prospettato l’intervento ai politici», risponde Pagani. Per quali ragioni? «L’abbattimento parziale è stato suggerito dalla Polizia quale unica soluzione percorribile all’interno di una situazione di crisi e d’urgenza, nell’ambito della quale si è realmente temuto che gli autogestiti, lasciato l’immobile transitoriamente occupato della Fondazione Vanoni (che nel frattempo aveva sporto querela per violazione di domicilio e danneggiamento) tentassero di riprendere possesso degli spazi sgomberati, accedendovi potenzialmente dal tetto in cattivo stato dopo aver ingaggiato uno scontro violento con le forze dell’ordine». È stata quindi l’occupazione dello stabile ex Vanoni, sebbene temporanea, ad aver fatto scattare la decisione? «Nessuno ha compreso che fosse solo temporanea l’occupazione – risponde il procuratore generale –. Di fatto, dopo l’occupazione viene deciso lo sgombero e la demolizione parziale dell’edificio dell’ex macello». L’inchiesta, precisa Pagani, ha stabilito che il Capo impiego dello Stato Maggiore (ricostituito nel frattempo per pianificare e gestire lo sgombero) e un ufficiale della Polizia comunale di Lugano hanno chiesto alle 21.20 del 29 maggio alla titolare del dicastero Sicurezza della Città l’autorizzazione all’abbattimento del tetto ed eventualmente di una parete di uno stabile. A sua volta Karin Valenzano Rossi ha ottenuto telefonicamente nei minuti a seguire il consenso al proposto abbattimento parziale da altri tre colleghi d’esecutivo. Giudica proporzionale tale decisione? «Sì, perché la decisione di demolizione parziale di un edificio riguardava un bene giuridico di valore inferiore rispetto al bene giuridico minacciato dal pericolo, ossia l’incolumità fisica dei protagonisti».

Il malinteso e l’edificio finisce in macerie
Come è potuto succedere che lo Stato Maggiore abbia suggerito la parziale demolizione dello stabile, il Municipio l’abbia autorizzata, ma che, in realtà, tutto l’edificio sia stato raso al suolo? «Questo aspetto è in effetti andato ‘storto’: c’è stato un malinteso fra chi si trovava al fronte – risponde Pagani –. In pratica, chi era al fronte, ha ricevuto via WhatsApp la planimetria del sedime, con lo stabile in questione evidenziato in giallo e ha capito che andava demolita la parte dell’ex Macello indicata nella planimetria, quando invece era interessata dalla misura soltanto una parte dello stabile in questione. Ciò che impedisce di concludere che chi ha fatto eseguire gli ordini all’impresa intervenuta abbia riempito gli elementi soggettivi costitutivi del reato di abuso di autorità, che impone la presenza di una condotta intenzionale dell’autore». Cosa ci può dire in merito alla modalità di decisione presa telefonicamente, a maggioranza, dal Municipio di Lugano? «Non tocca a me stabilire se tale modalità sia conforme alle normative – osserva il procuratore generale –. È una questione di natura amministrativa». Per lo sgombero sono stati coinvolti tutte e sette i membri dell’esecutivo cittadino, per la demolizione, lo ricordiamo, non sono stati interpellati né Cristina Zanini Barzaghi né Roberto Badaracco né Lorenzo Quadri.

Le parti hanno ora 10 giorni per decidere se interporre reclamo contro il decreto di abbandono alla Corte dei reclami penali del Tribunale d’appello. L’avvocato Costantino Castelli che rappresenta l’associazione Alba esaminerà l’incarto, poi valuterà se presentare ricorso.

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