A un funzionario comunale informazioni sul macello
R.C. su il Caffé del 6 giugno 2021

Pomeriggio di mercoledì 2 giugno. Il Municipio di Lugano è sotto pressione. Le polemiche montano dopo la demolizione totale del Molino avvenuta nelle prime ore di domenica 30 maggio. Il Municipio (non c’è il sindaco, assente per ragioni personali) incontra due rappresentanti della polizia cantonale. Fra questi c’è il vicecomandante, Lorenzo Hutter. L’obiettivo non è solo la manifestazione prevista per ieri, sabato 5 giugno, ma soprattutto quello di capire che cosa è accaduto e non è accaduto lo scorso sabato. Perché da una manifestazione pacifica si è arrivati allo sgombero (sebbene ci fossero stati da marzo tre intimazioni ai Molinari), ma soprattutto alla demolizione.
Gli interrogativi sul tavolo sono molti, ma la gran parte riguarda le ore intercorse tra le 22 e l’1.30, quando la demolizione è iniziata. E perché, questa è una domanda chiave a cui la polizia ha detto di non poter rispondere, dall’annuncio di una demolizione parziale del tetto di una parte dello stabile, si è arrivati a radere al suolo quasi tutto. Perché? Come detto, la polizia ha giustificato il proprio silenzio con esigenze di inchiesta.

Indagini. Inchieste. Discrezione. Ma alcune cose sono certe e il Caffè ne ha appurata una molto importante. Alcune settimane prima la manifestazione del 29 maggio (due, tre settimane prima) la polizia (Comunale e Cantonale) aveva preso contatto con qualche funzionario del Municipio per conoscere più nel dettaglio le condizioni dello stabile e, in modo particolare, quali parti erano protette, legate da un vincolo storico-culturale.
È quindi evidente che la polizia aveva messo in conto la possibilità, l’eventualità che, prima o poi, o quel giorno in modo particolare, lo stabile potesse essere abbattuto, parzialmente o totalmente. Di queste telefonate o email della polizia il Municipio era al corrente e se sì ha fatto ulteriori passi per saperne di più? Parrebbe di no, stando alle prime dichiarazioni di domenica del sindaco e della municipale Valenzano Rossi.
In ogni caso alle 22 o poco dopo la responsabile del Dicastero sicurezza e spazi urbani è stata contattata dalla polizia che le chiedeva l’autorizzazione a una parziale demolizione, solo una parte del tetto. Lei ha chiesto un parere ai colleghi Borradori, Foletti e Lombardi. Non ha chiamato Badaracco e Zanini. Avevano già espresso il proprio no per lo sgombero, figuriamoci per la demolizione. E Quadri? Parrebbe che, per la fretta, Valenzano non l’ha chiamato prevedendo il suo sì.
Torniamo allo scorso mercoledì. Il Municipio ha cercato con la polizia di ricostruire i fatti accaduti dal tardo pomeriggio alle prime ore di domenica. Di capire perché – dopo aver ottenuto l’ok alla parziale demolizione del tetto (per tutelare l’incolumità degli stessi Molinari che avrebbero potuto riprendere l’edificio, protestando) – di capire perché, dicevamo, in quattro e quattr’otto si è passati alla totale demolizione con tanto di ruspe evidentemente allertate ore e ore prima. Gli operai, si è detto in totale 23, e le ruspe sono quelli di tre imprese. Implenia, Edilstrada e Spalu. Almeno una di queste, stando al sindacato Unia, sarebbe stata allertata dal vicecomandante della comunale, Franco Macchi, alle 17.50 di sabato con un’email.

Questa è la ricostruzione dei fatti. Da almeno due-tre settimane quindi, la polizia si era interessata allo stabile. Dai funzionari comunali ha voluto sapere quali fossero le parti da salvaguardare. Da qui la certezza che l’eventualità di una demolizione era concretamente presa in considerazione. Ma perché alle 22 di sabato si è parlato solo con il Municipio di abbattimento del tetto? E perché lo scorso mercoledì, il 2 giugno, la polizia non ha voluto chiarire questo aspetto con il Municipio?

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