SAREMO LE RADICI CHE SPACCANO IL CEMENTO

Sabato scorso abbiamo occupato per un’intera giornata lo spazio pubblico di un parco cittadino, normalmente securizzato e normato da pratiche repressive che ne impongono una fruizione limitante ed elitaria. L’iniziativa è stata partecipata e determinata nella sua pratica di autogestione, con un’assemblea pubblica, bancarelle, concerti e degustazioni fino a notte inoltrata.

Una giornata che ci permette di ribadire, una volta di più, che il SOA Il Molino non ha ancora finito di sperimentare e tentare di riaffermare la propria presenza libera e autodeterminata in questa città e in questo territorio. Se oggi, a distanza di un anno e mezzo dalla distruzione e dallo sgombero dell’ex macello, non esiste ancora una sede stabile per il Molino, non è certo per la “nostra” mancanza di “dialogo” o, peggio, per estinzione di determinate pratiche sociali di lotta politica, ma perché i nostri percorsi di riappropriazione e le nostre pratiche di autogestione le intendiamo ancora, prima e nonostante tutto, come pratiche autonome, collettive e dal basso.

Chiarire cosa sia e cosa non sia autogestione ci sembra infatti buona cosa, proprio per non creare confusioni inutili e per non dare adito allo squallido chiacchiericcio sulle “autogestioni buone”. Un giochetto rotto, voluto da quella parte ben definita di municipio che cerca di vendere fantomatici accordi e risoluzioni sulle macerie abbandonate lì come una profonda e soffocante ferita nel tessuto cittadino.

Non ci interessa però entrare troppo nel merito di pratiche autogestite, cogestite o quant’altro, che chiunque può declinare e intraprendere per proprio conto e come meglio crede. Tanto meno abbiamo mai inteso il nostro modo di autogestirci come il migliore o unico possibile. Oggi, ancora più di prima, riteniamo infatti che non una, ma dieci, mille pratiche di autogestione possano e debbano nascere in una città e in un mondo sempre più alle prese con i danni provocati dalla gestione neoliberista del pensiero unico occidentale, patriarcale e capitalista.

Tanto meno ci importa essere definite persone brutte e cattive, se questo significa non essere disposte e disponibili a dialogare con dei personaggi politici che han fatto della bugia sfacciata e consapevole il proprio credo politico. Ci permettiamo però di segnalare l’opportunità politica-strategica sulle scelte di mediazione, di accordo o di semplice fruizione con le stesse istituzioni responsabili di sgomberi, infamia, violenza e razzismo. Le stesse autorità che ancora non hanno risposto e che ancora non hanno pagato per i fatti avvenuti il 29 maggio del 2021.

In modo simile riteniamo che, chi pensa di poter barattare oltre vent’anni di CSOA il Molino con qualche seratina al Foce (a prezzi imbarazzanti e con tanto di sicurezza privata), copiando ed estraendo la vitalità di iniziative di un Centro Sociale, stia facendo i conti con l’oste sbagliato. Così come chi mostra eccessiva ingenuità rispetto all’evidente volontà del municipio di Lugano di speculare e di cavalcare le varie scelte intraprese e di creare una divisione tra buoni e cattivi, tra chi dialoga e chi no, tra chi condivide un tavolo e chi lo rifiuta, tra chi ci mette la faccia e chi preferisce coprirla con un passamontagna. Non ci interessa entrare nel merito delle scelte altrui e, sebbene ci pare di essere spesso tirati in ballo a sproposito, pensiamo che assumere gesti e posizioni di chiara lontananza con un certo modo di fare politica, in grado di affermare il bisogno sistematico di spazi liberati, sarebbe certamente più rinfrescante, utile e solidale rispetto alle interminabili discussioni su cosa sia improvvisamente più “conveniente” fare come “cultura dal basso”.

Perché è evidente che, al di là del mettersi in gioco con i diversi modi e al di là della repressione crescente, a mancare drasticamente in questo cantone impaurito e depresso siano proprio gli spazi, i territori e le pratiche dal basso: libere, autogestite e autodeterminate, al di fuori dal controllo e dalla subordinazione al concetto di autorità.

Il nostro è solo un punto di vista, ma cosciente, ben presente e allenato anche alle situazioni più piccanti, quelle che fanno montare la rabbia, le lacrime agli occhi ma anche la serotonina. Proprio come il peperoncino rebelde che non ti aspetti.

I nostri tentativi e i nostri sbagli saranno ancora ostinatamente rivolti alla ricerca di spazi e prospettive in cui crescere e lottare assieme. Proprio perché – oltre ai tentativi e alle visioni discordanti – ci sembra opportuno ricordare che la decisione di abbattere, distruggere e sgomberare il CSOA il Molino è stata una scelta programmata e scientificamente pianificata. Coloro che hanno messo in piedi l’operazione militare del 29 maggio 2021 – esemplare, punitiva e vendicativa – sono gli/le stess* che dirigono in buona parte questo Cantone e che ora parlano senza ritegno e senza nessuna dignità di dialogo e di apertura, di spazi e di cultura dal basso, “di alberi e di radici…”

Ma di questi tempi, gli unici alberi a distinguersi sull’orizzonte municipale assomigliano tristemente ai monconi sulle trincee della Marna o di Verdun.

Saremo le radici – di rovo e di gramigna – le spore e i fitoplancton, i semi che mai si stancheranno di germogliare in questa giungla di cemento e bitcoin.

Il tempo giusto per fare bene tutte le cose…
Non un passo indietro.

Assemblea SOA Il Molino

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