Riceviamo e diffondiamo:

Abbiamo appreso la decisione da parte del Tribunale penale federale, in data 30 giugno, di respingere l’ultimo ricorso di Nekane Txapartegi contro la sua estradizione nello stato spagnolo. Non rimane che tentare l’ultimo ricorso al Tribunale federale.

Nekane Txapartegi, attivista basca, viene arrestata nel 1999. Nei primi cinque giorni della sua incarcerazione, trascorsi in completo isolamento, è ripetutamente torturata e inoltre, subisce uno stupro da parte di uno dei suoi aguzzini. In seguito alle brutali torture, le viene estorta una confessione in cui ammetterebbe la sua collaborazione con l’organizzazione ETA. Questa confessione fonderebbe per le autorità le accuse con cui è poi condannata nel 2007 a 11 anni di carcere, poi ridotti a 6 anni e 9 mesi. Nekane decide quindi di fuggire della Spagna e trascorre gli anni della sua vita, fino al momento dell’arresto e dell’incarcerazione avvenuti nel 2016, in clandestinità in Svizzera. Dall’arresto a Zurigo, si trova tuttora in carcere. Il 23 marzo 2017, l’Ufficio federale di giustizia rende nota la decisione di estradarla in Spagna, decisione contro cui viene inoltrato un ricorso, a sua volta respinto.

Il TPF, per motivare la sua decisione di questo 30 giugno, definisce l’ETA un’organizzazione criminale e in quanto tale gli atti di sostegno o di partecipazione non possono essere considerati reati politici e afferma che “la persona estradata non può contare sul divieto assoluto della tortura, siccome l’estradizione avviene verso un paese di tradizione democratica, come la Spagna”. Una democrazia ereditata dall’epoca franchista, in cui si contano centinaia di prigionieri baschi e migliaia di persone che devono fronteggiare l’oppressione dello stato spagnolo.

Ancora una volta, si tratta di un caso che dimostra come la Svizzera si rende complice di torture e repressione in nome di fini economici e politici, calpestando i diritti fondamentali delle persone.

Esprimiamo la nostra solidarietà a Nekane!

Libertà per Nekane, libertà per tutt*!


Justiz auf Irrwegen – Giustizia fuori strada

Aggiornamento su Nekane TxapartegiDi Nils Melzer, giurista e relatore dell’ONU sulla tortura dal 2016.

Tradotto da: “Tages-Anzeiger”
Traduzione di: RRN

“Nelle settimane passate il Tribunale Penale Federale ha confermato l’estradizione di Nekane. Il giudice ha ritenuto di non dovere neanche comprovare la vasta documentazione relativa alle accuse di tortura pronunciate dalla prigioniera basca, questo in quanto la Spagna viene considerata dalla Svizzera un “paese con tradizioni democratiche”. Inoltre Txapartegi non ha contestato l’ultima istanza della giustizia spagnola – che riteneva le sue accuse non credibili – davanti alla corte dei diritti dell’uomo. Il giudice dell’estradizione non si può – secondo la giustizia svizzera – mettere al posto della corte per i dirittti dell’uomo. L’argomentazione del giudice del tribunale penale federale è fuori strada per tre motivi.

Prima di tutto la procedura di estradizione non concerne l’osservanza della convenzione antitortura spagnola, ma la conformità con quella svizzera. Secondo la cosìddetta clausola di esclusione (Articolo 15) della convenzione, la Svizzera ha un obbligo mandatario, ovvero garantire che nelle sue procedure di estradizione non decida di estradare persone su base di dichiarazioni avvenute sotto tortura.
Già nel 1975 l’assemblea generale dell’ONU ha messo in chiaro che ogni Stato deve avviare d’ufficio delle inchieste appena questo entra in possesso di indicazioni che riguardano una violazione del divieto di tortura, a prescindere se si tratta anche di una sola denuncia.

Secondo, in caso di carenza di indicazioni sui fatti, spetta alla vittima della tortura rendere la sua accusa plausibile. Appena questo viene fatto, come per esempio tramite attestati medici, la Svizzera ha l’obbligo mandatario, secondo i propri doveri verso le leggi internazionali, di chiarire la questione usando i mezzi necessari. Un’estradizione basata sull’attuale stato delle cose è dunque da evitare fino a che le accuse di tortura non vengano confutate con certezza. Nell’accusa di tortura è intrinseca la difficoltà di poterla dimostrare. L’attuale decisione comporterebbe l’annientamento della clausaula di esclusione e con ciò l’indebolimento del divieto di trortura stesso.

Una questione di Orde public

Terzo, il criterio di “Stato con tradizione democratica” può semmai contribuire a valutare futuri rischi di torture, è inadatto però per fare valere procedure di estradizione dove le confessioni potrebbero essere realmente basate su tortura.

L’attuale argomentazione del TPF rischia di entrare in un circolo vizioso dove uno “Stato con tradizione democratica” sarebbe infallibile per definizione, per cui un’eventuale accusa di tortura non sarebbe neanche da indagare a prescindere. Le frequenti condanne a Stati democratici a causa di torture e maltrattamenti ci hanno fatto ricredere in meglio, e questo già decine di anni prima di Guantanamo e Abu Ghraib.

Il divieto assoluto della tortura è – accanto ai divieti della schiavitù e del genocidio – uno delle poche norme del diritto internazionale (jus conjus) riconosciute in tutto il mondo. Ciò significa che prove e decisioni di una corte in contraddizione con il divieto di tortura hanno un valore nullo. Le violazioni del divieto di tortura figurano per giunta tra i più gravi reati, accanto a crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Qui non si parla dunque di una semplice questione di forma legata ad una procedura, bensì della protezione di una delle norme più basilari dell’Orde public internazionale.

Si spera che il tribunale federale riconosca questi punti e usi questa possibilità per prendere una posizione di fondo, degna della tradizione democratica del nostro stesso paese.”

Ps: Non tutti i termini giuridici sono stati tradotti con il linguaggio tecnico dell’ambiente.


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15.04.2017 - Presidio di Solidarietà per Nekane TxapartegiScarica il Opuscolo Informativo su Nekane Txapartegi
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