Di fronte al marziale plotone c’è un gruppetto di giovanotti intirizziti che guarda il
via vai delle automobili autorizzate ad avvicinarsi alla zona off-limits. Un ragazzo
si rivolge ironico ai poliziotti «Bravi, avete fatto proprio un bel lavoro».

Poliziotti che alle cinque del mattino li hanno strappati dal sonno senza tanti
complimenti. Li hanno riuniti, divisi in due gruppi spediti in altrettanti centri della
Protezione civile (a Cadro e Pregassona). Colà hanno proceduto ai normali
controlli di polizia. Nessun arresto. Solo accertamenti.
Del resto le operazioni di sfollamento si sono svolte in piena calma, senza alcun
tentativo di resistenza. Intanto le porte sono state sprangate e le finestre murate.
«Preavvisi diretti non ne abbiamo ricevuti», ci spiega Nico, una ragazza che si
trovava al Maglio quando è avvenuto lo sgombero. Nessuna violenza fisica è stata
usata nei confronti degli evacuati. «Più che altro sono volati dei commenti un po’
fastidiosi», aggiunge Nico.
Dopo esser stati rilasciati, «ci hanno sottoposto una diffida a recarsi ancora al
Maglio, pena la multa o l’arresto». Tuttavia «nessuno di noi ha firmato quel
foglio», precisa Nico.
Il centro ospitava pure 72 ecuadoriani. Famigliole con figli. Un ragazzo ci
racconta che sono state trattate senza molta pietà: «I bambini erano spaventati e
piangevano, volevamo almeno salutarli ma i poliziotti premevano per fare in
fretta… chissà mai se li rivedremo».

E il dopo sgombero? Monia ci dice che il gruppo degli autonomi più attivi in
questi giorni è costantemente pedinato. «Le auto di molti di noi sono seguite o
da poliziotti in borghese o apertamente con le loro moto». Qualche ragazzo si è
spinto su percorsi un po’ tortuosi per avere la prova del pedinamento e, in effetti,
l’inseguitore gli stava alle calcagna come un’ombra. «Una guerra a bassa
intensità», la definisce Monia. Del resto «anche alla manifestazione di sabato
scorso i poliziotti erano tantissimi». Un fatto che gli autogestiti hanno
rimproverato anche nel corso della conferenza stampa convocata questa
settimana: «è un’aperta violazione delle libertà individuali, senza contare che
siamo tutti incensurati…». La polizia si segnava in numeri di targa di chi ha
partecipato alle manifestazioni di sostegno agli autogestiti. Un altro ragazzo
richiama il passato spettro delle schedature: è là che vogliamo tornare?
Alla conferenza stampa i ragazzi del Molino hanno puntato il dito contro la
lentezza ticinese «queste situazioni in altre città le hanno già risolte una ventina
di anni fa». Inoltre, potremmo aggiungere, il Maglio era ben lungi dal presentare le
problematiche di disagio sociale che troviamo in tanti centri autogestiti di grandi
città europee. Centri che davvero raccolgono sfollati, disoccupati troppo arrabbiati
per mettersi a trattare pacatamente con qualsivoglia autorità. Questa del Maglio
era un’occupazione sui generis visto che lo stabile è stato assegnato dal
Cantone. «Noi abbiamo accettato un importante compromesso: la sede è
comunque fuori dalla cintura urbana».
Anzi, secondo quanto dichiarano i “molinari” addirittura è capitato che polizia o
servizi sociali dessero loro il mandato di prendersi cura di persone senza
documenti di cui l’autorità non intendeva farsi carico. In poche parole, casi
scomodi.
Infine un bilancio: «Non sarebbe stato più semplice mandare qualcuno ad
insonorizzare il centro e a sistemare gli impianti di sicurezza piuttosto che
procedere ad un’operazione di sgombero e presidio sicuramente costosa?».
Anche perché alla fin fine i problemi principali legati al Maglio erano i rumori
molesti e la sicurezza. I ragazzi ricordano di aver partecipato alle varie
commissioni tecniche che dovevano risolvere tali questioni. «Non se ne è fatto
nulla: alla fine siamo stati ancora noi ad investire soldi e fatiche per provvedere ad
un isolamento acustico del capannone in cui organizziamo i concerti».

Sabato scorso la manifestazione per protestare contro lo sgombero del giorno
prima è stata organizzata con una sorta di passaparola. Eppure il sostegno c’è
stato, eccome. Al corteo hanno partecipato autonomi, qualche politico,
sindacalisti, genitori e famiglie con tanto di carrozzine. Il corteo – non autorizzato
– è partito da Cornaredo ed è arrivato sino a Piazza Riforma (zona tabù di tutte le
manifestazioni). Davanti alla sede del Municipio di Lugano, “città imbalsamata”,
gli autonomi hanno urlato la loro indignazione contro l’autorità politica. Se la sono
presa con il Consiglio di Stato per come ha gestito la faccenda. Se la sono presa
con Patrizia Pesenti in particolare perché il giorno prima dello sgombero ancora
prospettava la possibilità di un dialogo. Al solo nominarla si sono alzati fischi e
grida. Non erano complimenti…
Del resto lo stesso Partito socialista in un comunicato si dice «sorpreso e
indignato per la decisione del Consiglio di Stato di sgomberare il Maglio di
Canobbio e per le modalità manifestamente sproporzionate dell’intervento».

Nonostante tutto gli autonomi affermano che “il Molino vive” ancora. Nel corso di
un’Assemblea al Tassino sono stati decisi i programmi per le prossime attività.
«Il movimento si è semplicemente spostato in piazza», hanno riferito gli autonomi
in conferenza stampa. Attività che erano state organizzate ancor prima che
sopragiungesse il divieto governativo.
E sabato, con appuntamento alle 13 sul piazzale della ex Termica, si replica la
manifestazione di sostegno ai “molinari”. Chi volesse aggiornarsi su quanto
stanno organizzando gli autogestiti consulti il sito www.indymedia.it

Un bell’autogol, e il Governo perde

di Gianfranco Helbling

Alla fine è arrivato anche lo sberleffo del sindaco di Lugano Giorgio Giudici: «la
soluzione migliore per il Centro autogestito è al Maglio di Canobbio». Peggio di
così per il Consiglio di Stato non poteva andare, che con lo sgombero s’è fatto un
clamoroso autogol, dimostrando sulla questione tutta la sua debolezza. Preso
dall’improvvisazione, dopo aver posto un ultimatum che s’è trasformato in una
trappola, il Governo ticinese ha infatti ceduto alla minaccia di dimissioni del
Municipio di Canobbio e ha evacuato manu militari il Centro sociale. Un invito a
nozze per tutti quei Comuni a cui viene negato ciò che ritengono sia loro
legittimamente dovuto: basta dimissionare, che il Governo cede. Un Governo che
aveva già ceduto alla cocciuta sordità della città di Lugano, che sulla questione
dell’autogestione ragiona come gli altri centri urbani svizzeri argomentavano oltre
vent’anni. Ora, come dice il sindaco di Canobbio Roberto Lurati, «l’autorità ha
fatto l’autorità». Dimostrandosi però autoritaria, non autorevole: perché per
l’ennesima volta il Governo ha fatto l’errore di considerare la richiesta di un centro
socioculturale autogestito come una questione di ordine pubblico, non di politica
sociale e culturale. Il risultato, nell’immediato, è che il movimento ha ripreso
slancio e vigore, coagulando attorno a sé solidarietà e simpatie che sembravano
per sempre disperse: mille persone in piazza il giorno dopo lo sgombero, fra cui
molti liceali al primo impatto con la politica, sono un risultato notevole che
nessuno, nei palazzi di Bellinzona e di Lugano, si aspettava e si augurava. E
domani si replica. Per il futuro il problema si ripropone più urgente di prima. La
soluzione più immediata l’ha suggerita Giudici: al Maglio. Resta da capire se il
Consiglio di Stato, piegandosi di nuovo al suo volere, sarà disposto a perdere
ancora una volta la faccia. Già lui, sotto i baffi, se la ride.

Le illegalità dello Stato

di Gianfranco Helbling

Premessa: il Consiglio di Stato ha motivato lo sgombero del Maglio con
l’argomento della legalità: troppe volte, dice, sono state infrante le leggi dagli
inquilini dell’ex grotto, non si poteva tollerare oltre questo stato di perenne
violazione del nostro sistema normativo. Bene. Un’argomentazione legalista vuole
però che chi vi si appella sia del tutto inappuntabile sul fronte del rispetto delle
leggi vigenti: altrimenti non è assolutamente credibile. In realtà le autorità
comunali e cantonali, proprio sulla questione del Centro socioculturale
autogestito, hanno a più riprese violato il diritto. Ecco una scelta, non esaustiva e
in ordine cronologico, dei casi in cui ciò è accaduto e accade, a partire dai
singoli disposti di legge:

Art. 14 Costituzione cantonale: Il Cantone promuove l’informazione e il suo
pluralismo e l’espressione artistica. – Violato da sempre: il Centro socioculturale
non è mai stato sostenuto in nessun modo dalle autorità, ma solo tollerato e, più
spesso, represso.
Art. 178 Codice di procedura penale: Quando il Procuratore pubblico conosce per
denuncia, querela o altro modo esserci sospetto che sia stato commesso reato,
deve procedere subito alle occorrenti indagini di fatto per decidere se sia il caso
di promuovere l’accusa. – Sono passati più di cinque anni dall’incendio doloso
agli ex Molini Bernasconi di Viganello e l’inchiesta penale, in violazione del
principio di celerità, non è ancora sfociata né in una promozione dell’accusa, né
in un decreto di non luogo a procedere.
Art. 15 cpv. 2 Costituzione cantonale: Il Cantone promuove la collaborazione e la
solidarietà fra i Comuni. Art. 70 Costituzione cantonale: Il Consiglio di Stato vigila
sulle autorità dei Comuni e ne coordina l’attività. – Violati dal Consiglio di Stato
che ha sempre tollerato il disinteresse del Comune di Lugano per la questione
dell’autogestione, ciò che ha impedito di trovare una soluzione coordinata a livello
regionale e ha provocato l’esasperazione di Canobbio.
Art. 1 Legge edilizia cantonale: Edifici o impianti possono essere costruiti o
trasformati solo con la licenza edilizia. La licenza è in particolare necessaria per
la trasformazione rilevante (ivi compreso il cambiamento di destinazione) di
edifici. – Violato dal Consiglio di Stato quando non ha chiesto la licenza edilizia
né per la trasformazione di un grottino in un Centro socioculturale, né per
l’esecuzione da parte dei suoi inquilini di lavori edili di una certa importanza.
Art. 13 Costituzione federale: Ognuno ha diritto al rispetto della sua vita privata.
Art. 8 Costituzione cantonale: Ognuno ha il diritto di esprimere la propria
personalità. È in particolare garantita la tutela della sfera privata. Art. 179quater
Codice penale: Chiunque, con un apparecchio da presa, osserva o fissa su un
supporto d’immagini un fatto, non osservabile senz’altro da ognuno, rientrante
nella sfera privata d’una persona, senza l’assenso di quest’ultima, è punito con la
detenzione o con la multa. Art. 169 cpv. 1 Codice di procedura penale: Il
Procuratore può avvalersi di apparecchi tecnici di sorveglianza, se determinate
circostanze facciano presumere che si stia preparando un crimine o un delitto, la
cui gravità giustifica l’intervento. – Violati con la posa da parte della polizia di
sofisticati mezzi di videosorveglianza su suolo privato e il loro impiego 24 ore su
24 per controllare tutti i frequentatori del Centro sociale nell’imminenza del Forum
economico mondiale di Davos del 2001, e questo in assenza di concreti indizi di
reato.
Art. 62 Legge sull’assistenza sociale: In particolari casi d’ urgenza e di manifesto
bisogno le prestazioni assistenziali possono essere accordate d’ufficio. – Violato
da tutti gli operatori sociali che, pur conoscendo da tempo la situazione dei
cittadini ecuadoriani ospitati al Maglio ed avendo la competenza per farlo, non
sono mai intervenuti per far fronte a quella che oggi viene definita una situazione
di manifesto bisogno.
Art. 80 Legge organica comunale: Il municipio amministra il comune. La carica è
obbligatoria. Art. 85 Legge organica comunale: Sindaco, municipali e supplenti
possono dimissionare dalla carica per giustificati motivi, in particolare: l’aver
coperto la carica l’intero quadriennio immediatamente precedente; l’età di 65
anni; un’infermità che la rende eccessivamente gravosa o altro motivo grave. –
Violati dalla maggioranza del Municipio di Canobbio che ha minacciato di
dimissionare in mancanza di un motivo grave ai sensi della legge. Violati dal
Consiglio di Stato, che è entrato nel merito delle richieste del Municipio di
Canobbio formulate sotto la minaccia di provvedimenti ricattatori ed illegali: ciò
crea un precedente per tutti gli altri Comuni che dal Cantone non ottengono
quanto ritengono sia loro dovuto.
Principio dell’affidamento: i cittadini possono confidare sul fatto che l’autorità non
revochi di punto in bianco una sua prassi sulla quale i cittadini stessi contano per
svolgere le loro attività, ma che conceda semmai un congruo termine per il
ripristino dell’ordine e della legalità – Violato dal Consiglio di Stato che ha
imposto un termine di pochissimi giorni per disdire tutte le attività programmate al
Maglio, che rappresentavano l’unica fonte di entrate del Centro sociale e per le
quali erano già stati sottoscritti tutti i contratti: a titolo di confronto lo stesso
Consiglio di Stato ha concesso al Silos Ferrari, illegalmente attivo nella zona
delle Bolle di Magadino, un termine fino al 2006 per cessare l’attività.
Art. 506 Codice di procedura civile: Nei casi di cessata locazione o affitto, per
qualsiasi motivo, o di comodato, non avvenendo la riconsegna della cosa locata
affittata o data in comodato, il locatore può domandare direttamente lo sfratto al
pretore con istanza motivata. – Violato dal Consiglio di Stato che ha proceduto
allo sgombero del Maglio senza prima intimare lo sfratto agli inquilini e senza poi
chiedere, nel caso di non adempimento, il decreto di sfratto al pretore
competente: e solo il pretore avrebbe potuto autorizzare l’esecuzione effettiva
dello sfratto, se del caso con il ricorso alla forza pubblica.
Clausola generale di polizia: lo Stato può agire anche senza sufficiente base
legale per tutelare beni di polizia quali la sicurezza e l’ordine pubblico, a
condizione che siano date l’urgenza dell’intervento, l’importanza dei beni da
proteggere e la proporzionalità. – Violato perché, se si vuole ammettere che la
sicurezza e l’ordine pubblici erano in pericolo per il temuto arrivo di presunti
“rinforzi” dai centri sociali italiani, bastava l’evacuazione dal Maglio delle persone
con diffida per un certo periodo di tempo: la muratura e lo sfratto degli effetti
privati non erano necessari.
Principio di proporzionalità: principio secondo cui gli atti dello Stato devono
essere adeguati agli scopi perseguiti. I mezzi impiegati dallo Stato devono
essere necessari per raggiungere lo scopo e le limitazioni imposte al cittadino
devono stare in un rapporto ragionevole con lo scopo stesso. – Violato con la
decisione di sgombero, per nulla necessario per ridare la quiete agli abitanti di
Canobbio: l’insonorizzazione dei capannoni sarebbe stata sufficiente e non
sarebbe costata di più dell’intervento di sgombero con muratura e (forse)
demolizione del Maglio. Violato con i pedinamenti cui sono sottoposti i molinari
in questi giorni: la scarsa gravità del reato ipotizzato (violazione della proprietà
con un’eventuale nuova occupazione) non giustifica questa pesante ingerenza
nella loro sfera privata.

Conclusione: l’argomento dell’illegalità non regge alla prova dei fatti perché chi vi
si appella ha a sua volta violato la legge a più riprese. E il Consiglio di Stato, in
cui siedono esclusivamente avvocati, lo sa benissimo. Questo argomento è
dunque un pretesto per giustificare un’operazione esclusivamente politica. La sua
inconsistenza dimostra d’altro canto la debolezza e l’improvvisazione con cui il
Consiglio di Stato ha gestito e sta gestendo il caso.

Ecuadoriani, gli autogestiti lasciati soli

di Sabina Zanini

“Solidarietà con la comunità ecuadoriana”. Era uno degli striscioni appesi dagli
autogestiti sulle pareti del Municipio di Lugano durante la manifestazione di sabto
scorso. Una solidarietà che non è fatta solo di slogan scritti o urlati.
Non erano pochi infatti gli ecuadoriani ospitati presso il Maglio e che, al pari degli
altri occupanti, sono stati allontanati nella notte dello sgombero. Erano
spaventati, alcuni hanno tentato di darsi alla macchia. Si trattava soprattutto di
famiglie. Gli autonomi davano loro un tetto e da mangiare. Per il resto, li abbiamo
visti tutti, cantare davanti i supermercati o vendere i prodotti del loro artigianato in
mercati più o meno improvvisati. Lo ammette lo stesso consigliere di Stato Luigi
Pedrazzini: «si tratta di famiglie, di povera gente. Non si tratta di stranieri che
alimentano delinquenza e in genere non sono neppure particolarmente invisi alla
popolazione».
Una realtà di cui eravamo a conoscenza da tempo. Una settimana fa, lo
scandalo: gli ecuadoriani ospiti dei Molini vivono in condizioni miserevoli, stanno
accampati in tende. Così su tanti giornali.
«Peccato che eravamo gli unici ad occupparcene», afferma Ludovica, «addirittura
stavamo riattando una casetta dove avremmo potuto ospitare una trentina di
persone». L’inverno è alle porte e in coscienza è difficile far finta di nulla sapendo
che «ci sono famigliole con bambini di tre mesi che dormono in automobile».
Ma non sono state denunciate queste situazioni? «Abbiamo cercato invano un
aiuto esterno e le autorità erano al corrente da anni di questi casi», risponde
Ludovica. E aggiunge: «spesso sono state le autorità stesse ad indirizzare a noi
persone bisognose perché loro non sapevano che farsene». Gli interventi di
polizia poi erano poco più che “cosmetici”. «Gli ecuadoriani li potevano vedere
tutti i giorni in strada a suonare: ogni tanto ne fermavano qualcuno, secondo
criteri puramente arbitrari». Quindi cosa succede? «Vengono accompagnati alla
frontiera ma poi tornano sempre», spiega Ludovica, «la trafila è sempre la stessa:
li fermano, gli prendono le impronte digitali, gli danno un foglio di via e dopo
qualche tempo tornano e siamo daccapo».
Per parte loro gli ecuadoriani sono ben consci di cosa li attende quando arrivano:
«repressione, condizioni di vita precarie,…». Ai Molini i ragazzi cercano di
spiegare a queste famiglie che non hanno spazio sufficiente per ospitare tutti
dignitosamente. «Cosa possiamo fare se sono loro a decidere di accamparsi nei
pressi del Maglio perché si sentono più sicuri?» Di sicuro non sono stati
incoraggiati a venire quelli per i quali non era possibile trovare una sistemazione
confortevole.
Chiediamo a Ludovica se non hanno mai chiesto aiuto a qualche altro istituto
assistenziale. «Ci siamo rivolti persino al vescovo che ci ha indirizzati agli ordini
religiosi che svolgono compiti assistenziali ma neppure questi ultimi vogliono
farsene carico: nessuno dispone delle strutture adeguate».
E chi si cura dei bambini? «Noi abbiamo organizzato un asilo autogestito dove
insegnamo loro a combattere contro il lavoro minorile».
L’odissea sconsolante di queste persone inizia nel loro paese di provenienza. Ai
Molini qualcuno si è chiesto quale sia la molla che spinge delle famiglie a
scappare per trasferirsi in un posto dove gli agi sono assai pochi. Ludovica ci
racconta che alcuni compagni si sono recati in Ecuador per toccare con mano la
situazione locale e per conoscere la comunità indigena. «Ci piacerebbe
organizzare una cooperativa di lavoro laggiù se riusciamo a stanziare i fondi
necessari…». Questo il sogno dei protagonisti dello “scandalo”.

Pedrazzini: “Il problema dell’autogestione esiste”

di Sabina Zanini

Il Municipio di Canobbio proprio non vuole ospitare il centro autogestito sul
proprio territorio. D’altra parte la sistemazione era provvisoria. Ogni promessa è
un debito. Parola del Governo. Il centro è stato sgomberato. Il problema rimane: i
giovani autonomi continuano a rivendicare uno spazio. In principio era Lugano a
doversene incaricare. Dopo lo sgombero, vedendo tornare la palla nel proprio
campo, il sindaco di Lugano, Giorgio Giudici, avanza di nuovo l’ipotesi di
scegliere il Maglio di Canobbio come sede per gli autogestiti. Comunque sia il
centro sociale rimane un problema che l’autorità politica non ha ancora risolto.
Ne abbiamo parlato con il consigliere di Stato Luigi Pedrazzini, direttore del
Dipartimento delle istituzioni.

Non c’è stata una contraddizione nella decisione del Governo di sgomberare il
Maglio? In fondo lo stabile è stato assegnato dalle autorità cantonali agli
autonomi e si sapeva che vi avrebbero organizzato attività rumorose…
È vero che era stato messo a disposizione dall’autorità cantonale ma si era detto
che non poteva trattarsi di una soluzione definitiva. Gli stessi autogestiti sono
sempre stati coscienti della situazione di provvisorietà. I problemi di legalità, di
ordine pubblico e di rapporti con la popolazione residente sono sempre stati
segnalati. Credo che si possa dire che il Consiglio di Stato ha fatto tutto il
possibile per tenere la porta aperta.
Quando in agosto abbiamo intimato di sospendere le attività pubbliche non
l’avevamo fatto per arrivare ad una chiusura bensì per regolamentare la presenza.
Volevamo che interrompessero per un momento le loro attività per evitare di tirare
la corda con la popolazione. Secondo me c’era uno spazio per trovare una
soluzione senza minare la sostanza delle attività del Maglio. Avremmo inoltre
dovuto apportare delle modifiche alla struttura dello stabile. E gli autogestiti si
dovevano impegnare a rispettare alcune norme legali: un permesso ufficiale per la
mescita di bevande, verificare gli impianti di sicurezza, le misure in caso di
incendio, ecc. Cose che non erano in ordine e che mettevano in pericolo
l’incolumità delle persone che frequentavano il centro.
Questa porta non l’ha chiusa il Governo ma il Maglio infischiandosene dei nostri
divieti.

Gli autonomi avevano chiesto che alla conferenza stampa indetta dal Governo
dopo l’evacuazione del centro sociale potesse presenziare anche un loro
rappresentante. Perché avete rifiutato la richiesta?
Era una conferenza stampa organizzata dall’autorità cantonale per spiegare la
propria posizione. Gli autogestiti non hanno nessuna difficoltà a trovare spazio
sui media per sostenere il proprio punto di vista. Se fossero stati presenti pure
loro tutto si sarebbe risolto in un continuo scambio di opinioni e non era quello lo
scopo.

La popolazione di Canobbio reclamava soprattutto per i rumori molesti. Il Cantone
ha fatto delle verifiche per procedere all’insonorizzazione dei locali ma poi non è
se ne è fatto nulla…
Gli avvenimenti sono precipitati. L’autorità cantonale aveva proceduto ad un
accertamento tramite i suoi servizi nel corso della tarda primavera. Poi sono stati
previsti degli appuntamenti per il tramite del Cancelliere per stabilire come
intervenire. Ma la premessa per intervenire era che si sospendessero le attività di
richiamo pubblico per consentire di fare il punto della situazione e calmare gli
animi esasperati della popolazione di Canobbio.

Rispetto a situazioni simili di locali rumorosi segnalati dalla popolazione non c’è
stato un intervento sproporzionato nel caso del Maglio?
Tenuto conto di tutti i precedenti, direi proprio di no. D’altro canto non c’è stata
alcuna disponibilità ad accettare determinati controlli o che certe attività fossero
subordinate ad autorizzazione. Capita che ci siano delle fonti di disturbo simili
però, in genere, ci sono dei limiti di orario.
Ma nel caso del Maglio c’erano altri problemi in più. Penso soprattutto alla
sicurezza. Il Consiglio di Stato non era più disposto ad assumersi dei rischi di
utilizzazione di una struttura che non era idonea per feste con un grande
richiamo di pubblico. Se fosse successo qualcosa la responsabilità sarebbe
stata del proprietario dell’immobile. Del Cantone, dunque.

In conferenza stampa avete dichiarato che riavvierete le trattative con il Comune
di Lugano per trovare una sistemazione per gli autonomi.
Il Coniglio di Stato unitamente alla decisione di sgomberare prevede anche una
dichiarazione di disponibilità da parte dello stesso a ricucire, nel limite del
possibile, un dialogo. Riconosciamo che il problema dell’autogetione esiste. Non
possiamo cancellarlo. Tuttavia non possiamo neppure trascurare i Comuni e i
Municipi. Il Cantone non può imporre una sede a discapito dell’autorità comunale.

D’altra parte nel caso specifico lo sgombero è stato eseguito su pressione del
Municipio di Canobbio. Questo non crea un precedente? Ovunque si decida di
spostare il centro autogestito rischiamo che si riproduca la stessa situazione…
Evidentemente. Tuttavia su determinati problemi non si può prescindere dalla
volontà della popolazione interessata. Non posso imporre una fonte continua di
disturbo. Devo trovare delle soluzioni nella località. Soluzioni che abbiamo
cercato in buona fede.

Nella ricerca di soluzioni possibili vi siete appoggiati alle esperienze fatte in altri
centri urbani molti anni fa?
Credo che il discorso oggi debba essere avviato soprattutto con la città di
Lugano. Il fenomeno dell’autogetione mi sembra piuttosto collegato alle aree
urbane che a quelle rurali. I Comuni limitrofi come Canobbio sono ormai diventati
dei quartieri “dormitorio” della città. È ancora più difficile rendere conciliabile
l’attività autogestita con la natura di questi Comuni. La palla torna nel campo
della città. Il Cantone vedrà cosa può fare per mediare. Ma se gli autonomi
s’immaginano di organizzare nel centro di Lugano delle attività di richiamo
pubblico fino alle cinque del mattino non sarà possibile. Bisogna essere realisti.

Tanto minacciò Canobbio che vinse

La scorsa estate la minaccia del municipio di Canobbio: ci dimettiamo in corpore
se non si trova una soluzione per il rumoroso centro autogestito. Scocca la
fatidica ora e il Municipio non dà seguito al proprio proposito. Qualche settimana
dopo il centro della discordia viene sgomberato. Un “problema” che non è
comunque risolto con uno sgombero. «Stranamente a Lugano per tutte le attività
omologate non c’è problema a trovare gli spazi mentre le attività alternative
vengono ostacolate», ci dice Luca Gatti, l’unico municipale di Canobbio che si
era distanziato dalle minacce di dimissioni. In tutte le città è previsto uno spazio
autogestito: «Evidentemente bisogna trovare delle regole ma non è impossibile».
«Ho l’impressione che per il sindaco di Lugano il problema non esista, al
massimo ci mandava qualcuno per discuterne ma alla prova dei fatti non si è mai
risolto nulla, neppure quando c’era un spiraglio possibilista». Parlando al
municipale, eletto sulla lista “Insieme a sinistra”, chiediamo se uno spazio per
una mediazione sarebbe stato possibile anche col comune di Canobbio. «Sì,
sarebbe stato possibile ma è chiaro che se sia da una parte che dall’altra ognuno
si arrocca sulle proprie posizioni addio compromesso», commenta Gatti. C’è un
altro problema, «il Cantone aveva comunque promesso al comune di Canobbio
che la sede era temporanea». Sono stati tanti i reclami da parte della
popolazione «un certo numero di abitanti era disturbato dalle attività di forte
richiamo, questo è evidente». In qualche misura deve aver giocato anche
l’“apprezzamento”, ci dice Gatti. Nel senso che si è più tolleranti con chi
apprezziamo. bina

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