Quanto ai partiti tradizionali, ag giunge Veri, «alcuni argomenti ses santottini sono entrati in essi più o meno celermente. Non solo nel PST, ma anche tra i liberali e i con servatori. Temi trasversali alle clas si sociali come l’ecologia o il tem po libero ad esempio. Curiosa mente », nota però lo storico, «chi sembra avere recepito meno degli altri la rivoluzione del ‘68 è stato il Partito del lavoro perché legato ad un’ortodossia marxista di stampo filosovietico dissociata dalla real tà sociale degli anni ‘ 60 anche do po i fatti di Cecoslovacchia».
Il presente
Ma cosa è rimasto del ‘68 nella so cietà ticinese di oggi? Per il giorna lista RTSI Fabio Dozio che aveva partecipato all’occupazione del l’aula 20, «rimane ancora difficile definire l’impatto politico del ‘68 negli anni seguenti. A mio parere è un peccato che sia andato perso lo spirito libertario e antitotalita rio che ha segnato le prime lotte. Nella fase seguente ha avuto la me glio l ’ubriacatura ideologica e au toritaria delle organizzazioni di estrema sinistra, dove in alcuni ca si ( in Italia soprattutto)si sono bru ciate tante intelligenze di una ge nerazione ».
Invece, per Giorgio Bellini, uno dei principali «agitatori» sessan tottini del nostro Cantone «il Ses santotto per certi versi è stato un prodotto del capitale», ci dice, «ed è stato una grande liberazione per tutti, anche per chi era contro».
«Penso che la parte migliore del ‘68 è quella che non si vede e non ha eredi veri e propri se non in un certo tipo di etica professionale», sostiene invece l’economista Chri stian Marazzi, che visse anch’es so il ‘ 68 in prima linea, «Pensiamo agli avvocati. C’è un filone che è passato anche nella medicina. E naturalmente fra quanti operano sul territorio in termini di sensibi lità ambientale. Lì mi pare che il ‘68 sia ancora vivo. Invece mi pare molto discutibile quello che è suc cesso al «personale» del ‘68. Ovve ro alle figure storiche. Ai leader del ‘68. Guardiamo all’ Italia. Penso ai tanti ex sessantottini che oggi so no ai posti di potere o addirittura sono politici di destra… Come Giu liano Ferrara o Roberto Maroni. Ma anche in Svizzera con Leuen berger, o in Germania.Mi risulta assai difficile restituire lo spirito di quei tempi attraverso a queste fi gure ».
Gli eredi
C’è poi la questione dei «veri» ere di del Sessantotto, ammesso che ce ne siano. Si è scritto che a livel lo mondiale sono i «no global» e localmente i manifestanti delle Of ficine di Bellinzona… «La galassia no-global?», replica Marazzi, «Nel la discontinuità si possono rintrac ciare anche delle continuità. Ma tra i no-global c’è davvero un po’ tutto:dai vecchi trozkisti ai catto lici di sinistra. È una specie di espo sizione universale della storia del dopo-guerra. Per quanto riguar da le officine di Bellinzona, certa mente abbiamo visto delle prati che di rivendicazione e una sim bol ogia che richiama molto l’espe rienza di lotta operaia di allora.
So no punti di contatto che possiamo vedere, con tutti i limiti di questi esercizi».
Per Peter Schrembs, oggi tra i re sponsabili del circolo anarchico Carlo Vanza (vedi intervista sotto), «ci sono molte persone per le qua li il ‘ 68 è ancora vivo nelle scelte po litiche, nei giudizio politici, nel ri fiuto di molte cose. Per esempio il riferimento alla guerra del Viet nam torna nel giudizio sulla situa- zione in Iraq. È un ritorno della nonviolenza:il desiderio di risol vere le cose pacificamente. Oppu re un certo rifiuto della politica isti tuzionale. La partecipazione so ciale è considerata molto al di là del voto e della scelta di un proprio rappresentante istituzionale. In fondo non lo si vuole neanche sce gliere. In questo senso, secondo me, chi meglio incarna l’eredità del ‘68 in Ticino è il Centro Sociale il Mulino di Lugano perché vive un’esperienza di autogestione do ve n on c’è alcuna delega di rappre sentanza. Ma mi viene in mente anche un’esperienza come il tea tro Paravento di Locarno. A Bellin zona c’era Comunità famigliare che in un qualche modo riprende va dei discorsi di liberazione. E si potrebbe ricordare anche i neoru rali in Onsernone o la comunità di Chiesso a Chironico. Ma pure il no stro circolo anarchico Carlo Van za ha le sue radici lì. Anche per una continuità di persone».
I membri del Centro Sociale di Luganoil Mulino, dalcantoloro, si reputano tra gli eredi ticinesi del ‘68 solo fino ad un certo punto. Alessandro, delegato dall’assem blea del centro a comunicarci il parere dei molinari (e già questa procedura è indice di un certo ti po di eredità), ci dice infatti che «punti di contatto con le idee di quell’epoca ce ne sono senz’altro. Ad esempio nei meccanismi de c isionali o negli esperimenti di au togestione. Ma è anche vero che sono passati quarant’anni e da al l ora sono successe molte altre co se. Ad esempio c’è stato il movi mento punk che si è posto come momento di rottura nei confron ti del Sessantotto. Soprattutto c’è stata la nascita dei centri sociali. Nel nostro caso specifico, poi, sia mo senza dubbio stati influenza ti dall’esperienza zapatista nella regione messicana del Chiapas. Insomma, abbiamo sì raccolto al­cuni elementi del ‘68, a cui se ne sono però aggiunti molti altri sug g eriti da movimenti sorti nei quat tro decenni successivi. Le mobi litazioni contro una certa globa lizzazione che esclude la maggior parte del pianeta dai meccanismi decisionali su questioni fonda mentali (penso alle contestazio ni a margine dei vertici del G8, del l’ OMC o di quello di Davos)rap­presentano l’ambito nel quale il Molino cerca di incarnare oggi lo spirito dei movimenti di cui ab biamo parlato ».

PARLA PETER SCHREMBS
«Non è giusto ridurre tutto a un fatto di certa sinistra»

Nelle precedenti puntate dedi cate al Sessantotto di casa nostra abbiamo puntato i riflettori soprat tutto sulla «rivoluzione» politica di quegli anni rappresentata dai mo vimenti extraparlamentari, dagli scioperi, dalle iniziative di autoge s tione o di occupazione studente sca. Ma il Sessantotto non è stato solo un fatto politico, «e soprattut to non è stato solo un fatto di certa sinistra». Lo sostiene Peter Schrembs (nella foto) del circolo anarchico Carlo Vanza di Locarno, che nel ‘68 aveva solo 14 anni, ma che ha vissuto con grande intesità il periodo immediatamente suc cessivo. «Nelle commemorazioni di questi giorni», afferma infatti Schrembs, «mi colpisce che si sot tolinei sempre la forte crescita del marxismo-leninismo come effet to diretto del ‘ 68. Io non ho vissuto questo. Penso che ci sia stata mol tissima gente della mia età e più an ziani di me che il ‘68 l’hanno rece pito più guardando all’ Americao all’ Olanda o al Benelux (per il situa zionismo) che guardando ad Est».
E in Ticino?
«Sembra che abbia preso piede so lo MGP ( il Movimento giovanile Studentesco, n.d.r.). Certo, furono gli anni del loro giornalino Lotta di classe ma furono anche gli anni del la controcultura.
Oserei dire che in realtà, in Ticino, è stata certamen te vivace la presenza comunista marxista, ma c’era anche tutta una presenza e una tensione meno ru morosa e politicamente profilata che aveva recepito molto profon dam ente i valori fondamentali del l’antiautoritarismo, della rivolu zione del costume, della libertà.
Al punto che questi valori sono ri masti più radicati e più vivi in que ste persone che poi hanno fatto scelte di abbandono della società dei consumi».
Hanno incarnato meglio loro il «Gran ri fiuto » di cui parlava Marcuse, che non la corrente politica marxista?
«Penso di sì. Partiti, partitini e gruppuscoli, con la caduta del muro, sono andati a catafascio. Loro invece sono rimasti».
Insomma, secondo lei la sinistra si è im possessata del Sessantotto e i puri e duri del pensiero di quegli anni non so no finiti poi necessariamente nei circui ti della politica…
«Sì e no. Perché tutto il grande universo che va dai marxisti agli hippies fa parte di una generica sinistra. Direi piuttosto che a im padronirsi di una visione distor ta del Sessantotto è stata l’attuale destra che teme ancora adesso il ‘68 come possibile motore di svi luppo del marxismo. Ma è una vi sione parziale dei fatti. Pensiamo all’ America: Woodstock non era mica un’assemblea del partito le ninista. Per molti, me compreso, il Sessantotto era piuttosto la con testazione del consumismo e del la guerra che non l’idea di costrui re un partito specifico della clas se operaia».
Che Sessantotto ha vissuto in Ticino?
«È stato un gran lavoro di speri mentazione, di ricerca, di docu mentazione. E di fatica. Non è sta ta una liberazione consumistica: pago il biglietto e vedo il film o mi godo il concerto…».
Fatica,d’accordo, ma non manca chi so stiene che il Sessantotto abbia distrut to il concetto di meritocrazia e prodot to una generazione di fannulloni e di ni chilisti…
«Lo dicono quelli di destra. Ma non è vero. Il Sessantotto è stato un periodo di duro e fecondo la voro su se stessi, sulla propria col locazione nella società, sui pro pri rapporti col prossimo, con le istituzioni, con l’autorità, col com mercio. Questo significava prima di tutto leggere, documentarsi.
E la lettura di Marcuse, ad esem pio, non era delle più digeribili. C’era sì un clima di festa e di go dimento, ma anche autentico im pegno. C’era l’idea di una eleva zione del livello collettivo».
Cioè?
«Se si contestava, ad esempio, la valutazione a scuola con le note era perché sentivamo che si cre sceva insieme con un duro lavo ro che non aveva più bisogno di essere sindacato. Perché si lavo rava davvero. Non si faceva nul la uno contro l’altro. Questa era ed è piuttosto la strategia del li berismo successivo».
E l’individuo?
«Noi sentivamo che c’era la valo rizzazione delle risorse individua li, ma che era collettiva. Non c’era l’uomo contro l’uomo».

LA LOVE GENERATION
«La rivoluzione sessuale?
Sulle rive del fiume Ticino»

Che ne è stato della «rivoluzio ne sessuale » in Ticino? La società degli anni Sessanta era organizza ta pe r la repressione dell’istinto ses suale. Lo era, perlomeno, secondo il filosofo Herbert Marcuse, pen satore- simbolo del ‘68. Lo studio so Nicola Abbagnano sintetizzò efficacemente le tesi del saggio di Marcuse «Eros e civiltà» (1955):«Se Freud aveva detto che nell’urto tra Eros e Realtà, la Realtà deve vince re per rendere possibile la s ublima zione dell’ Eros nelle sue forme su periori della vita spirituale e socia le, Marcuse ritiene che in quell’ur to l’ Eros deve avere la meglio cre ando una Realtà nuova, cioè una civiltà nella quale limiti e repres sioni non esisterebbero più ». Le «comuni» nelle quali si vive vano nuovi stili di vita relaziona le (l’amore libero, le coppie aper te, ecc.), più che nel nostro canto ne esistevano in Svizzera interna. Ma non è tanto nella fase «speri mentale » di quegli anni che va cercato l’impatto della rivoluzio ne dei costumi predicata da Mar cuse, bensì nel fatto che i costumi nella società di oggi non sono più gli stessi del ‘68.
«La parte politica del Sessantotto, cheeraprivadiunveroprogetto, ha avuto esiti negativi, antidemo cratici », osserva infatti l’ex consi gliere di Stato socialista Pietro Martinelli. «Lapartemiglioreri guarda i rapporti sociali:la mag giore libertà per l’individuo ( uomo e donna)e la valorizzazione delle sue potenzialità. Quando ero gio vane », ricorda, «i bambini, i vecchi, gli invalidi non avevano diritti ga rantiti, la scuola era elitaria e l’uni co diritto delle donne di cui si par lava era il diritto di voto. L’aborto era un crimine, il concubinato un delitto, il divorzio (dove era per messo) per la donna era spesso una tragedia umiliante. Contro questa cappa non più giustificabile la mia generazione ha sentito la necessi tà di ribellarsi». Una certa libera zione, quindi c’è stata, eccome. «Che poi ci siano stati anche degli esiti negativi», ammette Martinel li, «come il permissivismo, è vero. Qualcuno oggi parla di “relativi smo”. Sarà. Ma il Sessantotto ci ha insegnato anche che i valori, quan do vengono considerati definitivi e assoluti, sono pericolosi perché diventano strumenti di potere e di repressione. Sono i princîpi che contano, ma vanno intesi come uno strumento per cercare nuove verità adatte ai tempi nuovi».
La giornalista Luciana Caglio, che proprio nel ‘68 curò una trasmis sione televisiva sulle donne, espri me qualche dubbio, dal canto suo, sulla portata «femministica» di quegli anni:«No, il ‘68 non ha in ventato il femminismo. Quello esi steva già agli inizi del Novecento. Posso però dire di aver visto il gior nalismo femminilizzarsi dopo il ‘68. Ma è stata solo una conquista a metà per le donne, sempre paga te men o degli uomini e sempre re legate in posti che non erano quel li dirigenziali ». Circostanziati suo nano invece i ricordi del direttore della RTSI Dino Balestra:«Lari voluzione sessuale da noi? Si espli cava sulle rive del fiume Ticino, un vero e proprio terreno d’iniziazio ne, non certo nei motel. Problemi di logistica spicciola».
Per Balestra la rivoluzione sessua le «al di là delle scoperte anatomi che ( i seni nudi delle ragazze)non era solo genitale. Si traduceva so prattutto in una maggiore dispo nibilità relazionale. Un campo nel quale veniva applicata la legge del­l’immaginazione al potere. La par te positiva fu la possibilità di di sporre di sè. La parte negativa ven ne dopo:perché tutto finì in edo nism o individualistico da una par te o in mercificazione dei corpi dal l’altra ». Non senza effetti collate rali spiacevoli per gli uomini: «Un effetto della liberazione del piace re », sostiene Balestra, «è stato lo sgretolamento del maschio. Oggi più della forza della donna emer ge la debolezza del maschio, le sue ansie di prestazione, il trauma di non potere più disporre di una donna-mamma. Accanto al prin cipio di autorità, insomma, il ‘68 ha messo in crisi il principio del piacere. Questi due aspetti erano come imbrigliati nella società pre sessantottina. Il Sessantotto li ha liberati, ma non siamo ancora ca paci di gestirli ».
6. fine (le precedenti puntate sono apparse il 2, l’8, il 14, il 21 e il 30 maggio)

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