Testimonianza
tratta da una lettera di Claudio Lavazza, arrestato nel ’96 e da allora
rinchiuso in un modulo FIES
(…)
“La proposta seria di lotta l’abbiamo pure lanciata ai quattro venti ed è
pubblicata nella rivista Senza Censura n°5 (giugno 2001, pag.47) che,
riassumendo, diceva: << se ci costringete a vivere nella merda, che nella
merda ci vivano anche quelli che ci sorvegliano>>.
Si trattava di otturare i cessi per far sì che la tubatura scoppiasse in tutto il modulo FIES, ed è quello che successe nel carcere di Picassent, a Valencia. Dopo una settimana impiegata ad otturare I W.C. con stracci, borse di plastica, ecc. …le tubature saltarono inondando di merda anche i locali normalmente frequentati (per il loro lavoro) dai secondini, obbligandoli a chiudere immediatamente l’intero modulo per il grave pericolo di infezioni, e anche perché non avevano il coraggio di lavorare con mezzo metro di merda nel pavimento.
A
me, noi non ce ne frega niente di rimanere mesi con la merda nelle celle…però
ai secondini sì che gli dà fastidio…eccome!
Quante volte abbiamo chiesto la chiusura dei Bracci FIES con i nostri scioperi della fame? Però è bastato riempirli di merda per chiuderli momentaneamente…Vi immaginate se tutti i Bracci FIES fossero riempiti di escrementi? Al potere gli interessa solo l’economia, e l’esistenza sicura dei suoi servi, a questi non basta un buon salario, chiedono anche buone condizioni nel posto di lavoro…e con la merda non si scherza. Nessuno ci vuole avere a che fare.
Questa
grande proposta l’abbiamo fatta circolare un po’ dappertutto, assieme ad
altre di sabotaggi continui e ripetuti alle strutture di vigilanza e controllo,
camere, metal detector ecc., però non c’è stata risposta, se non in poche
situazioni. Il trucco, se così lo possiamo chiamare, è di rompere e sabotare
senza essere visti, senza che i cani possano accusarti di aver fatto…
Anche
perché, per un vetro rotto ti possono aumentare la condanna di due anni.
(…)
C’è chi si lamenta che le cose non sono più come erano anni fa quando
c’erano i compagni/e.
Tenete
presente che quando circa 400 prigionieri hanno iniziato lo sciopero della fame
solo il 10% sarebbe stato d’accordo ad una lotta di bassa intensità
(sabotaggi); quella ad alta intensità (senza armi) non possiamo dichiararla,
anche perché queste strutture sono concepite in modo che la custodia ti possa
bloccare da solo con 15 o 20 secondini armati di tutto punto (anti-sommossa).
Però
una cosa è chiara e deve esserlo per tutti quelli che soffrono le torture e le
ingiustizie, e cioè che niente deve essere dimenticato e alla prima occasione,
quando tu lo decidi e non loro, abbiamo il dovere di vendicarci del torturatore.
Ad es., a Jaen, nel carcere dove stavo prima, se un compagno veniva torturato o
insultato, quel giorno stesso e quella notte si picchiavano le porte (non
dormiva nessuno perché il rumore si poteva sentire fino a parecchi Km di
distanza), e poi insulti al direttore dalle finestre, senza poi dimenticare la
guerra di bassa intensità. Ci costava, però quasi sempre ottenevamo quanto
richiesto, vale a dire l’allontanamento dei secondini torturatori, e ciò era
sempre festeggiato da noi come una vittoria.
Di
idee ce ne sono un mucchio, tanto scritte quanto dette, noi le abbiamo anche
messe in pratica e hanno funzionato. Se non si fa è perché non si vuole o
perché c’è molto da perdere. Chiaramente se ci fosse un buon appoggio dal
movimento esterno forse sarebbe diverso.
(…) A Cordoba si sente come maltrattano un prigioniero, però nessuno protestava, cosa del tutto impensabile in un Modulo dove ci sono solo i più ribelli con o senza preparazione politica. Questa mancanza di solidarietà è dovuta alle differenze che creano i benefici penitenziari. Come nella società libera chi ha di più è meno interessato alla situazione di chi ha nulla.
Un prigioniero FIES ha niente, per lui il carcere è un inferno; uno in 2° grado ha quasi tutto, questo fa la differenza e, credetemi, la distanza tra una realtà e l’altra la si può calcolare in anni luce. (…)”.
Maggio 2002