In
vista, o agli albori, dell’applicazione dell’articolo 41bis in via
definitiva, e della sua messa in pratica non solo ai cosiddetti “mafiosi” e
a chi “traffica in esseri umani” ma anche ai rivoluzionari prigionieri,
riteniamo indispensabile stimolare un dibattito sia tra le diverse realtà del
movimento rivoluzionario, sia tra i detenuti e i loro familiari.
Ci
rendiamo conto dell’enorme ritardo con cui ci approcciamo a questo dibattito,
considerato che l’articolo 41bis è in vigore dal 1991, ma questo ci è di
maggiore stimolo per mettere a punto una discussione che sappia socializzare le
diverse esperienze di lotta, confrontando le proposte che ne emergeranno per
poter meglio affrontare le lotte che questa ennesima manovra repressiva potrà
far scaturire all’interno e all’esterno del carcere.
Tale
dibattito è indispensabile per non ritrovarsi ancora una volta impreparati di
fronte al nascere di una protesta, o rivolta, all’interno delle prigioni e per
poter meglio valutare le possibilità esistenti per uno sviluppo ulteriore delle
proteste, magari con metodi differenti da quelli fino ad ora usati. Inoltre per
riflettere e trovare soluzioni sulle modalità delle possibili lotte fuori dalle
galere in sintonia con quanto da dentro si porta avanti.
Le
prigioni sono lo specchio del sociale, l’appendice di un ordine imposto da
quanti pretendono di dividere per sempre l’umanità in ricchi e poveri, dove i
poveri dovrebbero accontentarsi di elemosinare briciole al banchetto dello
Stato-Capitale.
Parlare
di galera significa parlare di punizione, parlare di punizione significa parlare
di trasgressione delle regole, e di conseguenza, delle regole stesse. Chi impone
queste ultime conoscerà sempre chi, per desiderio o necessità, cercherà di
infrangerle; finché ci saranno ricchezza e povertà, ci sarà il furto; finché
ci sarà il danaro, non ce ne sarà mai abbastanza per tutti; finché esisterà
il potere, nasceranno i suoi fuorilegge.
E’
proprio nel tentativo di eliminare ogni fermento sociale che possa fomentare
rivolte contro l’ordine costituito, che i paesi europei - adeguandosi al
modello statunitense - si applicano nel dimostrare di saper tenere in pugno la
situazione sociale interna e nell’appianare i contrasti perfezionando il
controllo sociale e reprimendo il dissenso (dalle manifestazioni di piazza alle
lotte dei lavoratori, dall’occupazione di case ai sabotaggi diffusi contro
tutte le nocività).
Ciò
avviene anche attraverso un rapido processo d’integrazione, legislativo,
giudiziario, militare (coordinamento delle polizie locali e dei servizi segreti,
mandato d’arresto europeo e internazionale, “liste nere” delle
organizzazioni rivoluzionarie, di liberazione nazionale o islamiche,
applicazione del reato di “terrorismo internazionale” a chiunque ne appoggi
o ne condivida la prassi o l’ideologia).
Si
rende necessario per il potere, Stato per Stato, di rifunzionalizzare gli
apparati repressivi adeguando il controllo sociale allo scontro di classe in
corso e alle contraddizioni che questa fase apre.
Assistiamo
quotidianamente al suo funzionamento con l’aumento del fenomeno d’irruzione
nelle case dei compagni, delle perquisizioni nei centri sociali, nella continua
applicazione dei reati associativi, nel monitoraggio costante e nel
rastrellamento d’interi quartieri popolari per l’“emergenza criminalità”,
all’aumento dei posti di blocco, ai fermi arbitrari, alla detenzione nei lager
- detti centri di accoglienza temporanea - con conseguente espulsione degli
immigrati senza permesso di soggiorno. Lo spettro della carcerazione serve per
prolungare il controllo sociale così come ogni forma di repressione serve per
prolungare il consenso forzato. Allo stesso modo le carceri “speciali” e la
legislazione che le legittima (in passato l’articolo 90 e oggi il 41bis) sono
studiate per favorire il massimo controllo e la massima efficienza repressiva e
rispondono, per essere legittimate dall’opinione pubblica, ad esigenze
considerate “emergenziali” diventando, di fatto, strumenti integranti e di
perfezionamento del sistema di coercizione generale.
La
lotta contro il carcere comprende molte differenze ed ha bisogno di confronto,
esclude però coloro che hanno a che fare con il potere e con ogni sua
istituzione, con tutti i suoi fiancheggiatori sociali. Chi dice carcere,
infatti, dice giudice, poliziotto, secondino, assistente sociale, giornalista,
politico (di governo o all’opposizione), costruttore, impresario, appaltatore,
psicologo, prete.....responsabili diretti di tutte le angherie, soprusi,
torture, privazioni e sofferenze, di chi si trova ostaggio dello Stato.
Essendo
il carcere uno degli strumenti che lo Stato si è dato per esercitare il proprio
potere non dobbiamo farci trovare né impreparati, né passivi, né divisi sul
terreno dello scontro contro ogni forma di dominio economico e politico del
capitale.
Costruiamo
una rete di controinformazione e mobilitazione che, a partire dallo “specifico
carcerario del 41bis” sostenga la difesa dell’integrità psicofisica dei
rivoluzionari prigionieri, la loro identità politica la loro storia, una
mobilitazione che sappia indirizzarsi contro l'istituzione-carcere e i suoi
sostenitori, per la libertà di tutti.
Ricostruiamo
un terreno di solidarietà di classe anticapitalista e antimperialista, con
l’intento di individuare i modi più opportuni per riuscire a sostenere
concretamente le lotte individuali e collettive dei prigionieri, cioè agire
direttamente contro il potere e i suoi aguzzini.