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INCHIESTA SUL MONDO DEL LAVORO NELLA ZONA APUO-VERSILIESE
PRIMA FABBRICA METALMECCANICA - MASSA

L1. è un operaio ventenne diplomato e celibe. 
“In questa ditta c'è una situazione di calma apparente; non c'è ancora mobilità, ma la situazione è precaria e lo stato delle ditte limitrofe quali Nasa, Bsi, Climax… (in crisi ndr) crea un certo malumore. La produzione va avanti senza grossi problemi; vista dall'esterno potrebbe sembrare una realtà produttiva sana, ma alcune lacune a livello organizzativo e d'approvvigionamento alimentano la paura che al termine delle sovvenzioni statali, il padrone possa annunciare la crisi e ridurre il personale o addirittura chiudere e tornare a produrre nella sede centrale”.
Qui “Cisl e la Uil sono in sostanza inesistenti”, “l'unico sindacato che fa qualcosa è la Cgil, anzi la Fiom che cerca di realizzare un buon contratto e, cosa più importante, cerca di affermare i diritti dei lavoratori. Certo non è facile ottenere qualcosa lottando da soli, ma è quello che abbiamo sempre fatto, anche quando eravamo uniti; quindi ci riusciremo anche questa volta” mentre aspettiamo che anche loro capiscano qual è la strada giusta da seguire, in altre parole dare maggior potere decisionale ai lavoratori”.
“L'informazione è importante all'interno dello stabilimento e sarebbe meglio aumentare il numero delle assemblee, parlando magari anche di realtà diverse dalle nostre. Sarebbe un gran cosa creare un'assemblea tra i lavoratori delle ditte dell'intero parco produttivo, anche per non rinchiudersi in un guscio a proteggere i propri interessi”.
“Sono convinto che la lotta sia necessaria e che il referendum (contro le misure del governo sull'art.18, ndr) sia importante, ma per aumentare l'efficacia della lotta bisogna intensificarla. L'obbiettivo è resistere un minuto di più del governo e dei padroni. Il vero problema è che un numero elevato di scioperi potrebbe diminuire l'adesione di coloro che vorrebbero partecipare, ma non possono permettersi di perdere troppi soldi. Anziché fare manifestazioni separate per provincia è preferibile indire manifestazioni generali nelle grandi città in modo da avere un maggior impatto sull'opinione pubblica. La manifestazione del 23 marzo ne è stato un esempio.

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L2. è un operaio qualificato trentenne diplomato e celibe. Risponde in modo non discorsivo, ma come ad un questionario vero e proprio.
“Gli operai sono abbastanza sensibili al problema dell'articolo 18” e la “mobilitazione in gran parte degli operai”. La sensazione è di “sconforto” e la mobilitazione per l'autunno viene solo “da parte della CGIL”.
Verso CISL e UIL c'è indifferenza” e “la CGIL cerca di muoversi lungo una linea di segreteria”. La CGIL fa tutto quello che è necessario per creare le condizioni per la vittoria ? “No”. I rapporti con CISL e UIL sono “in questo momento, di contrasto”.
“La maggior parte” dei lavoratori “è all'oscuro” delle altre misure del governo. “L'informazione è mediocre”.
Il legame tra lavoratori non passa solo dal sindacato e un collegamento i lavoratori di diverse realtà produttive e del territorio “sarebbe un buon confronto ed un buon scambio d'idee”
“La maggior parte” dei lavoratori pensa che il referendum della CGIL sia sufficiente e sono convinti di poterlo vincere.
Della linea politica che abbiamo suggerito dice “Una lotta di lunga durata porta sempre i suoi frutti, quindi va bene”.
“Nella mia fabbrica non ci sono figure lavorative” come lavoro interinale, co.co.co…, ma c'è flessibilità che indebolisce i lavoratori perché “li rende succubi del datore di lavoro”. Penso che si possa tornare indietro ma “solo con una forma di lotta dura, facendo valere i diritti dei lavoratori”.
La lotta non può rimanere solo a livello sindacale, ma non deve essere confusa con altre lotte.
In questi anni i salari non sono stati tutelati e “sicuramente non sono stati fatti accordi per il bene dei lavoratori”.

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L3. è un operaio qualificato quarantenne diplomato e sposato con una figlia. Risponde in modo non discorsivo, ma come ad un questionario vero e proprio.
La mobilitazione sull'articolo 18 è secondo lui “faziosa” e la sensazione è “di rabbia doppia, sia nei confronti del governo e industriali, sia nei confronti del sindacato”. Ci si prepara comunque ad un autunno “di lotta, da parte CGIL”. 
“Non sono iscritto ad alcun sindacato” anzi “sono un ex iscritto alla CGIL”. 
I rapporti con CISL e UIL sono di “indifferenza” da parte mia, mentre tra CGIL e CISL-UIL “ognuno fa gli affari propri”.
Sulle altre misure del governo i lavoratori non sanno “niente” perché “non c'è informazione”.
Il legame tra lavoratori non passa solo attraverso il sindacato, ma un collegamento di base sarebbe solo “una perdita di tempo”.
“Ho partecipato a tutti i referendum riguardanti le piattaforme dei contratti di categoria” e pur “notando sul posto di lavoro la contrarietà di parecchi compagni di lavoro e soprattutto la mia, i contratti sono sempre stati firmati. Ho dubbi sulla validità di parecchi referendum” soprattutto in termini di “democrazia”. 
“Ho sempre lavorato in piccole fabbriche dove la flessibilità è normalità. In merito ai lavoratori interinali, cui va la mia più grande solidarietà, sono l'esempio di ciò che vuole questo sindacato, in testa la CGIL, molto conservatrice sul articolo 18 ma liberista fra i lavoratori atipici”.
“Credo nel sindacato come ad un soggetto libero da imposizioni militanti” che lotta contro “i soprusi, le umiliazioni, le angherie che ha il mondo del lavoro”. 

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L4. operaio qualificato cinquantenne, diplomato, vedovo un figlio.
“Nel nostro stabilimento c'è un grande silenzio, tutto tace, regna il ‘menefreghismo’”. 
“I rapporti sono tesi” (con CISL e UIL, ndr) “non c'è dialogo, anche perché non c'è gente all'altezza di instaurare un dialogo. Penso che la Cgil, sia in ambito aziendale che in generale, faccia ben poco per raggiungere la vittoria; sembra quasi che i problemi non esistano, si limita soltanto allo scontro, ma riesce a costruire ben poco”.
“La maggior parte degli operai non sa nulla” delle altre misure del governo “vivono nell'ignoranza più assoluta”.
Il legame tra i luoghi di lavoro passa solo attraverso il sindacato. “Non esiste alcun legame tra le varie realtà lavorative, perché attualmente non è possibile, non siamo più negli anni '70; lo scenario è cambiato radicalmente”.
“Per adesso non vedo grandi forme di lotta. Usciamo dal contratto dei metalmeccanici che ci ha visto perdenti su tutti i fronti. Il referendum proposto si è volatilizzato, le forme di lotta promosse e attuate sono passate come 'come acqua nel mare'”.
Rispetto alla flessibilità “toglietevelo dalla testa; indietro non ci faranno tornare”.
“Nel 1991 sono uscito dalla Dalmine; col turno 8-17 percepivo 1 milione e 700 mila lire. Oggi dopo tredici anni, stesso turno, prendo ancora un milione e 700 mila lire. Infilaci dentro tutti i diritti persi e tira le somme”. 

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L5, trentatré anni, operaio qualificato diplomato, sposato con una figlia.
“Premetto che lavoro in uno stabilimento all'interno dell'area ex Dalmine, stabilimento che ha usufruito per il suo insediamento dei contributi statali, sia per l'acquisto dei capannoni, sia per il reinserimento dei lavoratori ex Dalmine, sia nella gestione economica dei primi tre anni d'attività. Una massa di danaro pubblico in un certo senso anche difficilmente quantificabile od immaginabile dal semplice operaio, ma che mette le varie tipologie di occupati in posizioni diverse rispetto ai problemi; per fortuna il diritto al reintegro nella stragrande maggioranza è sentito fortemente da tutti che siano ex Dalmine, giovani al primo impiego oppure operai che vengono da varie esperienze lavorative finite”. 
“Sarebbe bello poter affermare che tutti partecipino in maniera attiva alla vita sindacale” magari “con visioni differenti dettate dalle loro culture e senza posizioni di comodo; forse un compattamento così ampio si poteva trovare solo toccando palesemente l'impianto dell'articolo 18”.
Poi però “la norma è un'altra”. E la norma è “il rilassamento, la delusione, la sfiducia, che il sindacato ha seminato in questi ultimi anni in gran parte dei lavoratori con le politiche 'concertative' hanno fatto sì che gli operai si sentissero prima che classe, unità distinte, caratterizzate da professionalità, rapporti interpersonali” che avrebbero dovuto renderli “artefici, nel bene e nel male, dei loro destini”.
“Soltanto una sconfitta così tremenda come il definitivo smantellamento dello Statuto dei Lavoratori ha provocato un sussulto che li ha fatti scendere in trincea, questa volta sì ha difendere una 'immaginaria linea del Piave', e, quel 'resistere, resistere, resistere' può cambiare, forse, in un 'attaccare, attaccare, attaccare' o forse meglio sarebbe dire 'allargare' se vogliamo parlare di diritti sindacali”.
“La domanda che sorge spontanea a questo punto (oltre la solita 'se governava il centro sinistra e fosse venuta una richiesta di modifica dell'articolo 18, come si sarebbe comportata la Cgil', domanda ormai senza senso perché il 'centro-sinistra' non governa e quindi non si può porre senza essere tacciato di provocatore) è questa: la Cgil avrà la forza ed il coraggio di proseguire la lotta dei lavoratori fino alla completa ed auspicabile vittoria del mantenimento e dell'allargamento dell'articolo 18 e dello statuto dei lavoratori a tutti ? Sicuramente no, come ha evidenziato l'ultimo sciopero generale in qualche modo a mio avviso boicottato dalla stessa organizzazione sindacale”. “Ma a volte la volontà del popolo, di una classe lavoratrice, elude il controllo e la guida dei 'manovratori' e possono dare stimoli inimmaginabili alla lotta. Noi dovremmo a mio avviso lavorare per quelli”.
“In fabbrica FIM e UILM non hanno gran seguito e quei pochi iscritti si attestano su visioni più vicine a quelle della FIOM le uniche che all'interno della triplice in qualche maniera siano ancora condivisibili. I lavoratori hanno bisogno in questo momento di un organizzazione tenace e intransigente nei confronti del padrone. Un'organizzazione che faccia rispettare almeno quelle clausole che caratterizzano i nuovi tipi di contrattazione; per esempio, che cominci a rivedere il lavoro dalla parte dei bisogni dei lavoratori e non con la logica dell'impresa, un sindacato che denunci tutti gli abusi sia legislativi sia contrattuali, che non mettano il profitto e l'esistenza dell'impresa sopra tutto. Esistenza dell'impresa e tutela e conservazione dei posti di lavoro non vanno di pari passo, il destino di un'esperienza lavorativa è sempre meno legato al comportamento degli occupati. Il lavoratore può essere cambiato, sostituito, ricattato, licenziato, “mobilizzato”, cassaintegrato, può assumere vari atteggiamenti e comportamenti in merito all'azienda tranne che essere in posizione di forza. Quando una ditta chiude, chiude per 'demeriti' propri o per ricerca di un maggiore profitto, sempre comunque non facendosi carico delle realtà dei lavoratori che scarica”.

“L'informazione è un altro grande problema dei lavoratori ed in generale nel mondo del lavoro, per chi c'è da qualche tempo e per chi ci si affaccia per la prima volta. La non conoscenza dei propri diritti, l'ignoranza generale sui contratti, fa dei lavoratori soggetti ricattabili, alla mercé di imprenditori e di accordi politici tra governanti ed economia. L'apparato sindacale che dovrebbe sorreggere l'operaio nelle sue scelte” quando viene “interpellato su problemi specifici rimane sempre sul vago, sia per le limitate capacità di chi fa sindacato, sia per una scelta di subalternità nei confronti delle scelte politiche dei vari governi in carica, da parte delle organizzazioni”.

“La subalternità dei lavoratori rispetto alle organizzazioni sindacali è un punto cruciale per questa lotta. Da fattore positivo dal punto di vista dell'unità sugli intenti e sugli obbiettivi da raggiungere si trasforma in fattore negativo di compromessi celati, di interessi diversi da quelli tutelati e da tutelare. Esempio tipico è quello che le scelte di politica sindacale all'interno di una fabbrica o in un complesso produttivo non coincidono con le scelte e le volontà di coloro che vi lavorano; oppure, la sempre più difficile possibilità di eleggere le RSU pur avendo le organizzazioni sindacali riconosciute quote garantite all'interno delle stesse”.

“Io penso che il referendum proposto da Rifondazione e dalla FIOM abbia un valore, diversamente da quello CGIL, di riconoscere a tutti i lavoratori pari dignità e di ricercare una unità ormai persa proprio per il riconoscimento, anche da parte dei sindacati, di diverse posizioni nei confronti della legge tra le varie posizioni lavorative”. Non vorrei essere disfattista, ma “lo slogan CGIL 'l'articolo 18 non si tocca' è in gran parte menzognero” perché “l'articolo 18 è gia stato toccato ed in maniera forte con la legittimazione di tutte le contrattazioni atipiche, dai contratti a tempo determinato ai contratti di formazione lavoro, (che da quando sono stati introdotti non hanno mai formato nessuno, ma hanno consentito di assumere lavoratori a tutti gli effetti ricattabili per un breve tempo e senza pagare i contributi per una serie d'anni, con il benestare di tutti), i contratti interinali , i co.co. co e si potrebbe continuare”.
“Provo spesso a stimolare i miei compagni di lavoro proponendogli forme di lotta diverse da quelle classiche dello sciopero, che ultimamente in periodo anche di rallentamento fa a volte più comodo all'imprenditore che alla lotta, anche quelle suggerite nel numero di Controvento 4 e sono molto più accettate dello sciopero, per una questione prettamente economica ed anche perché convinti che sarebbero molto più influenti e redditizie per la lotta. Forse non si applicano perché, più del risultato finale, a volte, si auspica un risultato d'immagine”.

“Forse neanche i più ottimisti da una parte e i più pessimisti dall'altra pensavano che la caduta di un muro, in cosi breve tempo portasse le condizioni dei lavoratori e più in generale le condizioni di tutti i popoli oppressi di questo mondo ad un livello tanto basso, ma tant'è. Sono passati 13 anni e sembra quasi che un idea di un mondo diverso che, tra l'altro, quelli di là dal muro forse non rappresentavano neanche tanto bene, non possa più esistere e che non sia mai esistita. Le contraddizioni del sistema capitalistico ci travolgono, quella tra capitale e lavoro è diventata di secondo piano rispetto a quella tra capitale e ambiente poiché riguarda la sopravvivenza dell'uomo sulla terra. Quella che ci ostiniamo a chiamare globalizzazione non sembra altro che la riproposizione delle antiche politiche coloniali, magari attuate non più da forti stati nazionali quanto da grandi gruppi transnazionali che si servono nella maniera a loro più consona d'apparati se non di stati interi per la realizzazione dei loro obbiettivi”.
“L'imposizione di volontà ha bisogno di uno strumento sempre più forte efficace ed organizzato, un esercito, quindi di uno stato di appoggio; la politica di questo stato non è la grande dominatrice della scena, quanto invece il capitale, la finanza. Perdendo la politica il centro delle decisioni anche l'uomo perde centralità, il lavoro in funzione dei bisogni dell'uomo perde centralità, tutto diventa funzionale all'impresa, alla capacità di fare utili, dividendi. Pensare di uscire da questa logica su un livello puramente sindacale non mi sembra reale, mi sembra invece necessario collegare le varie esperienze di lotta nazionali ed internazionali, poiché figlie degli stessi 'disagi', bisognevoli di soluzioni convergenti, con un movimento di ribellione globale che riporti l'uomo al centro della discussione”.