DPEF: sanità e pensioni nel mirino del governo

Ogni anno, entro il 30 giugno, il governo è tenuto a presentare il Documento di Programmazione Economica e Finanziaria (DPEF). Il DPEF è fondamentale per capire quali saranno la portata e le misure contenute nella prossima Legge Finanziaria. Gli obiettivi di breve termine per il 2003 vengono inseriti in una prospettiva di medio-lungo periodo (2003-2006), ma gli elementi vincolanti sono chiaramente quelli indicati per il 2003.
La Finanziaria per il 2003, secondo il DPEF, dovrebbe concretizzarsi in una manovra da oltre 12 miliardi di euro, ma la Corte dei Conti ha già detto che per soddisfare le intenzioni di spesa del governo, la quota dovrà essere portata ad almeno 19 miliardi.
Gli obiettivi posti dal DPEF per la prossima finanziaria dimostrano, una volta di più, la natura anti-popolare del governo Berlusconi, seppure nell’ambito di una evidente linea di continuità con le politiche sociali ed economiche di tutti i precedenti governi. Il DPEF, secondo “il sole 24 ore” del 12/07/2002 "non è puramente un esercizio formale di previsione. Con il DPEF si indicano scenari programmatici che indicano obiettivi. Per questa ragione le ipotesi di sviluppo del DPEF devono essere collegate alla definizione di scelte della politica economica…”.

Un primo elemento di valutazione è quello che tutti gli obiettivi di crescita programmati lo scorso anno per il 2002 sono saltati. Se il Programma di Stabilità Italiano (approvato in febbraio dalla Commissione Europea) indicava una crescita pari al 2,2% per il 2002 (fissando nell'1,2% un valore pessimistico) nel DPEF di quest’anno si parla di una crescita media dell'1,2% per il 2002, con un quasi 0% tondo per il primo semestre.
L'ipotesi di crescita si rimanda dunque al 2003.
Stesso discorso per il deficit pubblico che supera di un punto l'obiettivo programmato (-1,5% rispetto al -0.5% “immaginato”); lo stesso dicasi per il debito pubblico che non si scosterà dal 110% del PIL.
Tutto questo ha una spiegazione che possiamo parzialmente ricavare tra le righe del DPEF stesso quando a più riprese si cita a giustificazione "la sfavorevole congiuntura internazionale".
Traduzione: esiste una crisi economica mondiale sempre più profonda che non risparmia quasi nessuno, né gli Stati Uniti, né la Germania, né l'Italia. In quest'ottica va letto il piano di privatizzazioni che il DPEF preannuncia: cessione delle quote ancora in mano al Tesoro di Seat, Fincantieri e Telecom con una frenata sulla svendita dell'ENEL a quando
"i mercati lo consentiranno".

"Oggi agganciare obiettivi di crescita del 3 %, come quello indicato per il 2006, è possibile solo se sostenuto con l'attuazione di riforme strutturali. Le riforme devono osservare una ben precisa sequenza: prima i tagli di spesa, poi la riduzione delle imposte... L'elemento chiave del DPEF sono le riforme ad iniziare da quella fiscale che deve esser finanziata da tagli alla spesa corrente primaria. E allora innanzitutto va avviata una riforma della spesa sanitaria e poi della spesa pensionistica..." (Il Sole 24 Ore 12.07.2002)
Più chiari di così gli obbiettivi della Confindustria non potrebbero essere. I padroni vogliono le tasse ridotte e le risorse per finanziarie questa riduzione si devono trovare tagliano la spesa pubblica e, in primo luogo, quella sociale. E guarda caso sono anche le indicazioni dettate agli inizi del mese di giugno dal Governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, (che ha assolto il DPEF) assieme al Fondo Monetario Internazionale (che ha bocciato i giochi di prestigio di Tremonti).
Il che significa, in definitiva, portare avanti il lavoro iniziato dai governi di centro-sinistra (ricordiamoci che Ciampi e Dini, rispettivamente ex-Governatore e ex-Direttore Generale della banca d’Italia, sono stati ministri e primi ministri di governi di centro-sinistra) il che significa: smantellamento del Sistema Sanitario Nazionale e definitivo affossamento delle pensioni pubbliche.
Il DPEF non entra più di tanto nel merito delle articolazioni delle proposte, non dice esplicitamente come il governo intende muoversi: lo lascia capire (a chi vuol capire). Pensiamo al piano del Ministro della Salute, Girolamo Sirchia, di scaricare dal Servizio Sanitario Nazionale gli “improduttivi” (per il capitale) e cioè anziani, malati cronici, lungodegenti e disabili (che in Italia sono 2 milioni e 615.000) attraverso la creazione delle “nuove mutue” per “risparmiare” 15 miliardi di euro (il costo annuo dell'assistenza a queste categorie) e iniziamo a capire cosa intendano i padroni quando parlano di “riforme strutturali”.
Proprio le nuove mutue (private), che inizialmente saranno su base volontaria, verranno pagate con contributi in busta paga a fronte di deduzioni fiscali e verranno gestite da regioni, categorie professionali e sindacati (!!). Tra l’altro, il ruolo delle regioni (peraltro da sempre protagoniste nella gestione della sanità) dimostra come la riforma federalista varata dall'Ulivo tenda sempre di più a valorizzare il livello periferico rispetto a quello centrale, con buona pace di chi continua a sostenere furbescamente il contrario (come il PRC che fa accordi di ogni tipo con il centro-sinistra dovunque a livello locale - adottando il lavoro interinale e promuovendo privatizzazioni - e poi pretende di presentarsi come “alternativa critica” a livello nazionale).
Il passaggio alle mutue private spianerà definitivamente la strada all'ingresso delle assicurazioni private nella sanità e il SSN verrà progressivamente eliminato come negli USA. Chiaramente questa proposta ha un profondo connotato di classe: gli “anziani” Gianni Agnelli o Silvio Berlusconi che non dipenderanno mai né dal SSN né dalla nuova mutua (visto che se hanno bisogno di cure vanno nelle cliniche superspecialistiche americane o magari si comprano l'ospedale) possono essere soddisfatti della riforma (anche perché nelle assicurazioni private, come nei fondi pensione, ci mangiano sopra quantità enormi di denaro); ma che dire dell'operaio in pensione o del malato di amianto o di silicosi, o di chi ha in famiglia un parente invalido ? E del precario ? E dell’interinale ? E del piccolo artigiano ?
Non sarà certo la stessa cosa.

Discorso analogo per le pensioni.
Nel DPEF viene innescata una vera e propria “bomba ad orologeria” quando si scrive “Previdenza: avremo uno shock demografico senza precedenti”.
Il che, tradotto, significa che si deve mettere mano (e velocemente) alla ennesima controriforma pensionistica e dare pieno sviluppo alla legge Dini e alle misure varate dai governi di centro-sinistra.
Il DPEF non entra nello specifico, ma rimanda ai capisaldi della delega varata alcuni mesi or sono dal governo.
Delega che vede ancora oggi CGIL-CISL-UIL sedute assieme nella “trattativa” con il governo.
Gli elementi chiave della delega sono fondamentalmente 3:

1) incentivi a continuare a lavorare per chi ha maturato i requisiti per la pensione, con tanti saluti ai disoccupati giovani e vecchi;

2) destinazione automatica ed obbligatoria di tutto il TFR (ovvero delle liquidazioni, che ammontano a qualcosa come 14 miliardi di euro) ai fondi pensione integrativi gestiti da padronato e CGIL-CISL-UIL;

3) decontribuzione per i neo-assunti in percentuale variabile dal 3 al 5 %.

La delega sarà i grimaldello per scardinare definitivamente il sistema pensionistico pubblico, si metterà l'INPS nella condizione di non poter più pagare.
Ma se avessimo ancora dei dubbi e volessimo conoscere l'esatta interpretazione della delega basterebbe rifarsi alla intervista del direttore generale di Confindustria Stefano Parisi sul “il sole 24 ore” del 29/12/2001 "L'invarianza della pensione totale la si garantisce riducendo il peso della previdenza pubblica e facendo crescere quello dei fondi integrativi". Una “sincerità” encomiabile: i lavoratori non avranno, in realtà, il diritto di andare in pensione ma quello di suicidarsi alla “roulette russa” dei mercati finanziari su cui si investono i fondi (la Enron insegna cosa vuol dire: 20.000 lavoratori senza lavoro, senza risparmi e senza pensione).
Un ultima valutazione sul DPEF riguarda il tasso di inflazione programmato che recita: 1,4% per il 2003, 1,3% per il 2004, 1,2% per il 2005 e 2006.
Il tasso di inflazione programmato è il riferimento nel determinare le variazioni dei salari nei rinnovi dei contratti nazionali di lavoro. In questi anni il tasso di inflazione programmata è stato mediamente inferiore a quello reale, con una perdita secca di potere d’acquisto dei salari. (a tutto vantaggio dei profitti dei padroni). Se a questo aggiungiamo l'aumento del costo della vita determinato dalla moneta unica, organico tassello della costruzione del polo imperialistico europeo di Maastricht, abbiamo un quadro completo di quello che si sta abbattendo sui lavoratori, sui disoccupati, sugli anziani e sui malati.
Tutt'altro che fumoso il DPEF lo è nel dettare le linee guida di intervento nel pubblico impiego: i nuovi assunti dovranno fare i conti con una flessibilità sempre più marcata.
Si prevede il “rafforzamento” del part-time, del telelavoro e del lavoro in affitto; perdurerà il blocco del turn-over. Il tutto all’insegna del massimo sfruttamento.
Un’ultima considerazione sulla riforma fiscale. Era stata presentata come una svolta storica, con una riduzione generalizzata delle tasse per tutti.
Per ora la riforma delle aliquote IRPEF, eliminando sostanzialmente la progressività, aumenta (molto) le tasse ai poveri e le diminuisce (moltissimo) ai ricchi; per le tanto sbandierate detrazioni sui redditi più bassi cominciano già a mancare i soldi.
Vuoi vedere che questi soldi li cercheranno di nuovo dai lavoratori ?