Da::
          "michele" 
          A::<tacticalmedia@squat.net>
          Data:Mon, 27 Oct 2003 15:49:28 +0100
          Oggetto:[tml]Intervista a Beatokia-
        Behatokia: intervista all'Osservatorio Basco dei diritti umani
          Tratto da Il Rivoluzionario n5
        << Dopo l'11 settembre centinaia di organizzazioni stanno capendo 
          ciò che noi sosteniamo da sempre: che gli stati con la scusa 
          della lotta al terrorismo giustificano la violazione dei diritti umani 
          per i propri interessi nazionali>>
        A ridosso dei Pirenei, diviso tra la Francia e la Spagna e privato 
          di quell'indipendenza che gli spetta di diritto, il popolo Basco sta 
          oggi vivendo una delle pagine piu' nere della sua storia. Una storia 
          fatta di orgoglio, di rabbia e tenacia, di ferrea volontà e costanza. 
          Ma anche una storia sporca di sangue, caratterizzata da torture e soprusi, 
          da abusi e diritti negati, da vittime mietute dalla falce della repressione 
          che, purtroppo, e in ogni parte del mondo, costruisce il suo cammino 
          con le vite
          spezzate di chi ha la forza e il coraggio di dire ancora NO . Questi 
          sono i Paesi Baschi. Certo, non sono solo questo. Ci vorrebbero pagine 
          e pagine per raccontare e provare a descrivere quello che Euskal Herria 
          realmente e'. Ma, ultimamente, sono queste le uniche considerazioni 
          che si possono fare su una terra e un popolo squarciati dalle continue 
          aggressioni di quel potere che non ci pensa mai due volte a scegliere 
          le maniere più drastiche e brutali per far tacere il dissenso. 
          Persecuzione,
          aggressioni, torture, negazione di qualsiasi libertà: ecco come 
          Spagna e Francia rispondono alla lotta basca per la conquista dell'autonomia. 
          Per questo, proprio per contrastare questo tipo di repressione sistematica 
          e permanente, è nato Behatokia - l'Osservatorio Basco dei Diritti 
          Umani.
          Behatokia converge all'interno della sua organizzazione quattro diverse 
          componenti che da anni operano in Euskal Herria: il TAT (Gruppo Contro 
          la Tortura), ETXERAT (Associazione dei Familiari delle Persone Represse 
          Politicamente), ESKUBIDEAK (Associazione dei Procuratori Legali Baschi) 
          e GURASOAK (Associazione dei Genitori delle Giovani Vittime della Repressione). 
          L'obiettivo principale dell'associazione è quello di denunciare 
          ogni tipo di abuso commesso contro le cittadine e i cittadini baschi 
          facendo fronte alle istituzioni francesi e spagnole. Da qui, l'importanza 
          della diffusione di un'informazione che realmente rispecchi la realtà 
          dei Pesi Baschi e della loro battaglia per l'indipendenza. E quindi, 
          ancora una volta, va sottolineato come l'informazione giochi un ruolo 
          chiave e rappresenti uno strumento indispensabile nella lunga strada 
          verso la libertà.
          Abbiamo intervistato il collettivo di Behatokia - il cui sito internet, 
          disponibile in diverse lingue, è presente all'indirizzo www.behatokia.info 
          - nella speranza e con lo scopo di fornire maggiori dettagli sul loro 
          operato e, al tempo stesso, di cercare di fare luce su alcuni aspetti 
          che, nel nostro paese, rimangono veri e propri tabù per ancora 
          troppe persone.
        M. L'illegalizzazione di Batasuna la chiusura delle associazioni giovanili, 
          l'attacco a Gara e quindi a tutta l'informazione indipendente: cosa 
          significa, oggi, libertà nei Paesi Baschi? E' ancora possibile 
          raggiungerla o assomiglia sempre più a un'utopia?
          B. Dal nostro punto di vista, la libertà consiste nella capacità 
          di un popolo di rivedere costantemente il proprio presente per porre 
          le fondamenta necessarie alla costruzione del futuro. Infatti, con l'attacco 
          a tutti questi gruppi politici, sociali, ai mezzi di comunicazione ... 
          si vuole ridurre in cenere
          la base che il popolo basco sta costruendo. Tuttavia la repressione 
          è contraddittoria. Da un lato infatti colpisce persone e strumenti 
          utili per il futuro, ma dall'altro apre gli occhi all'opinione pubblica, 
          trasmettendo l'idea di quanto sia altamente antidemocratico e contrario 
          a qualsiasi diritto umano quello che, lo Stato Spagnolo e quello francese, 
          stanno facendo contro il popolo basco. Quasi nessuno in Euskal Herria 
          è disposto a giustificare la chiusura di un quotidiano o 'illegalizzazione 
          dei partiti (per non parlare poi della tortura e del tipo di trattamento 
          che ricevono i
          prigionieri baschi...). E' per questo motivo che al giorno d'oggi le 
          dinamiche messe in atto da questi stati non vengono legittimate dalla 
          percezione popolare, che di conseguenza cerca altre soluzioni. Noi crediamo 
          che attualmente il dibattito politico sia incentrato sulla libertà 
          contrapposta alla repressione.
        M. Come organizzazione che lotta per la salvaguardia dei diritti umani, 
          il vostro obiettivo è la cessazione degli abusi e della repressione 
          permanente, attraverso la divulgazione di materiale informativo da voi 
          raccolto e prodotto. Per la vostra esperienza, quanto contano l'informazione 
          e la
          comunicazione? Puntando alla fine delle torture nei Paesi Baschi, quanto 
          è realmente utile uno strumento di lotta come l'informazione? 
          In questo senso, qual è il ruolo giocato da uno strumento come 
          Internet? 
          B. Ovviamente consideriamo l'informazione un meccanismo chiave per superare 
          la situazione di repressione e violazione dei diritti umani che si vive 
          oggi nei Paesi Baschi. Per decenni, la Spagna e la Francia hanno provato 
          a presentare la situazione in Euskal Herria di fronte all'opinione pubblica
          mondiale come un problema di mero ordine pubblico, che attraverso l'applicazione 
          di misure antiterroriste può essere facilmente risolto. A nostro 
          giudizio, questo tipo di discorso ha creato principalmente due effetti 
          negativi. Primo, ha giustificato l'applicazione di misure antiterroriste 
          nascondendo il diretto e profondo impatto sui diritti umani (tortura, 
          aggressione ai prigionieri baschi, illegalizzazione delle attività 
          sociali e degli spazi politici...) che queste stesse operazioni hanno 
          prodotto. In secondo luogo, si pensa che la soluzione del problema politico 
          basco possa essere affrontata esclusivamente in termini di repressione 
          e polizia. Noi auspichiamo nella diffusione dell'informazione per trasmettere 
          gli effetti di queste misure e sottolineare che lo stato Spagnolo e 
          quello Francese sono disposti a utilizzare qualsiasi mezzo per ottenere 
          i loro
          interessi politici. In questo senso, crediamo che internet sia uno strumento 
          molto utile. Infatti, così, nessuno può dire "non 
          lo sapevo", perché in realtà significa "non 
          m'interessa". E noi crediamo che nessuno può rimanere impassibile 
          di fronte a una situazione di violazione dei diritti umani come
          quella dei Paesi Baschi, probabilmente la più grave in Europa 
          al momento.
        M. La guerra al terrorismo: prima l'Afghanistan e poi l'Iraq, la divisione 
          fra "buoni" e "cattivi", le liste internazionali 
          dei gruppi terroristi: come questi fatti influiscono sulla vostra situazione?
          B. Il mondo viene visto sotto un'altra prospettiva dopo l'11 settembre 
          di due anni fa. Noi veniamo a da una situazione di sofferenza precedente 
          a questo avvenimento, per cui per noi l'esposizione alla repressione 
          non ha sostanzialmente subito variazioni. Tuttavia, centinaia di organizzazioni 
          e migliaia di persone hanno visto finalmente con chiarezza quello che 
          noi denunciamo. Negli ambiti internazionali (alcuni di loro abbastanza 
          reazionari fino a poco tempo fa ) si è sviluppato un discorso 
          che noi portiamo avanti da diversi decenni: gli stati hanno sfruttato 
          la retorica antiterrorista per giustificare la violazione dei diritti 
          umani in base ai propri interessi (politici, economici, geostrategici...). 
          L'Afghanistan e l'Iraq sono gli esempi più recenti e tragici, 
          ma anche quelli che mostrano con più evidenza come realmente 
          funzionano le cose. Le liste antiterroriste sono semplicemente il complemento 
          "ufficiale", visibile, di questa strategia. Nel nostro caso 
          questa nuova dinamica e l'opposizione che si è venuta a creare 
          in tutto il mondo sono state utili per chiarire le cose e fare luce 
          sull'illegittimità degli stati nella loro attività repressiva, 
          che noi denunciavamo già anteriormente e che adesso è 
          sotto gli occhi di molte più persone. In questo senso crediamo 
          che gli ultimi avvenimenti hanno aiutato - in forma tragica e traumatica 
          - a capire, in altri livelli e nelle
          diverse sfaccettature, quello che stiamo subendo in Euskal Herria nelle 
          ultime decadi.
        M. Siete vicini alla lotta del popolo palestinese?
          B. Naturalmente. Superando le differenze - e assimilandole da un altro 
          punto di vista - noi stessi ci riflettiamo nella sofferenza del popolo 
          palestinese. Consideriamo che la soluzione al loro problema sia la stessa 
          che deve essere applicata per quello Basco - ossia diritto all'autodeterminazione 
          e rispetto delle decisioni liberamente intraprese dal popolo palestinese. 
          Abbiamo però anche visto un'importante evoluzione nella visione 
          internazionale di questo conflitto: i palestinesi sono stati capaci 
          di trasmettere al mondo la loro tragedia, mettendolo di fronte alla 
          brutalità e all'illegittimità delle pretese israeliane 
          (sempre appoggiate dagli USA). Hanno saputo rischiare di essere ritenuti 
          i peggiori terroristi del mondo (immagine insistentemente presentata 
          dai mass-media mondiali) al
          fine di trasmettere la loro sofferenza e la gravità di questa 
          situazione. Nonostante le distanze, vediamo nella loro tenacia un cammino 
          da seguire.
        M. E con gli altri gruppi indipendentisti europei (come i sardi, i 
          corsi, ecc...) siete in contatto? Ci sono delle comunanze nelle vostre 
          lotte?
          B. Noi siamo semplicemente un'organizzazione che denuncia le violazioni 
          dei diritti umani, per cui la nostra intenzione sarebbe quella di non 
          avere posizioni politiche definite. Anche se, d'altro canto, proviamo 
          una libera e insistente enfasi per il rispetto del diritto all'autodeterminazione 
          e per il rispetto delle decisioni dei popoli. Riteniamo che attualmente 
          si stia verificando un interessante dibattito su come si voglia costruire 
          l'Unione Europea e che ruolo giocheranno i popoli in questo struttura. 
          In questo senso, pensiamo che i popoli debbano assolutamente essere 
          inclusi direttamente in questo dibattito. D'altro canto, conosciamo 
          le misure antiterroriste e di ordine pubblico usate contro altri popoli 
          europei ma anche in altri ambiti socio-politici - movimenti antimperialisti,
          antiglobalizzazione, in difesa della terra,... - che ci interessano 
          molto, visto che sono "laboratori" repressivi i cui "esperimenti" 
          vengono utilizzati successivamente anche in altri luoghi. Inoltre, crediamo 
          che la situazione repressiva in Euskal Herria sia diventata conosciuta 
          in questi contesti in modo da prevenire l'applicazione di misure da 
          parte dei governi che lo ritengono "opportuno".
        M. Cosa ne pensate di questo movimento anti-globalizzazione? Esistono 
          connessioni con la vostra lotta?
          B. L'Osservatorio Basco per I Diritti Umani partecipa attivamente come 
          membro della società civile a questo movimento. Eravamo presenti 
          ai Forum mondiali, europei e nazionali (Forum Sociale di Euskal Herria) 
          per cercare alternative e portare la nostra esperienza nel campo antirepressivo 
          e dei
          diritti umani. Abbiamo partecipato all'organizzazione di seminari per 
          far conoscere la situazione dei Paesi Baschi e per diffondere il messaggio 
          comune che abbiamo precedentemente accennato: "gli Stati usano 
          la retorica antiterrorista per i propri interessi, per giustificare 
          l'aggressione ai diritti umani". Un campo d'azione che il movimento 
          antiglobalizzazione deve continuare a trattare è quello antirepressivo, 
          visto e considerato, ad esempio, l'atteggiamento del governo italiano 
          durante i fatti di Genova che sono terminati con la tragica morte di 
          Carlo Giuliani. Nella misura in cui
          questo movimento è strutturato e come è stato efficace 
          durante le occasioni che gli si sono presentate per scendere in campo, 
          deve continuare ad opporsi alla repressione di stato.
        M. A proposito di repressione. Nel vostro caso si arriva a parlare 
          di tortura. Cosa succede realmente nelle carceri spagnole? Che tipo 
          di trattamento ricevono i prigionieri baschi?
          B. Innanzitutto facciamo una distinzione tra ciò che succede 
          al momento dell'arresto e invece il trattamento delle prigioniere e 
          dei prigionieri politici baschi. L'arresto, secondo la legge speciale 
          antiterrorista, fornisce la polizia della facoltà straordinaria 
          di mettere in isolamento una persona ritenuta "terrorista" 
          per un periodo che può durare fino a cinque giorni. In questi 
          giorni, la persona detenuta non può mettersi in contatto con 
          la propria famiglia, ne con un avvocato o un medico di fiducia. E' ovvio 
          che si tratta di un periodo oscuro, di una coltre opaca che va a coprire 
          quello che accade a questa persona. E' da sottolineare che le dichiarazioni 
          qui ottenute sotto tortura verranno successivamente utilizzate contro 
          la persona stessa e contro terzi. Le autorità spagnole sostengono 
          che le accuse di tortura sono false, una dritta che l'organizzazione 
          armata fornisce ai suoi militanti. Tuttavia, è elevato il numero 
          di persone cui i giudici non hanno potuto imputare nessun legame con 
          ETA e che hanno ugualmente denunciato torture brutali e maltrattamenti. 
          Possiamo concludere che questo tipo di trattamento è sistematico 
          per qualsiasi basco arrestato in base a sospetti di carattere politico. 
          In ogni modo, le fotografie scattate che evidenziano le percosse sono 
          la prova migliore che avvalla l'esistenza di maltrattamenti come arma 
          repressiva dello stato. Le organizzazioni internazionali di prestigio 
          riconosciuto hanno denunciato queste pratiche. Comunque, le autorità 
          spagnole sono lontane dal ridurre il periodo di isolamento, e anzi ne 
          hanno aggiunto uno ulteriore di altri dieci giorni all'interno del carcere, 
          che viene interrotto solo per l'udienza davanti al giudice speciale 
          antiterrorista dell'Audencia Nacional, il quale si occupa di questi 
          casi. D'altro canto, e in riferimento al trattamento delle prigioniere 
          e dei prigionieri politici baschi nelle carceri spagnole e francesi, 
          la nostra denuncia riguarda l'applicazione di una politica di distruzione 
          della persona, specificatamente discriminatoria in quanto utilizzata 
          esclusivamente con detenuti baschi. Principalmente l'effetto più 
          evidente di questa politica consiste nella dispersione di cui sono oggetto 
          i prigionieri baschi, deportati in tutto il territorio spagnolo e francese, 
          come metodo di punizione per loro (difficoltà a comunicare fra 
          loro) e per i loro familiari che sono costretti a percorrere centinaia 
          di chilometri per realizzare una visita di appena quaranta minuti. L'applicazione 
          dei regimi speciali di isolamento, le percosse e le aggressioni ai prigionieri 
          baschi, la proibizione di realizzare studi universitari, la difficoltà 
          nelle comunicazioni ... Le condizioni di vita sono peggiorate negli 
          ultimi anni in maniera allarmante. E come se non bastasse, negli ultimi 
          tempi il Governo del PP ha inasprito la legislazione, portando a 40 
          anni il tempo massimo che un prigioniero basco può passare in 
          carcere, eliminando in toto la possibilità della libertà 
          vigilata. Oggi il numero dei prigionieri che hanno già passato 
          25 anni in carcere sta crescendo. Quelli che sono entrati a partire 
          dal 30 maggio di quest'anno compiranno integralmente la pena, ossia 
          vi rimarranno per quarant'anni. Tutto ciò corrisponde alla frase 
          di Aznar "si decomporranno in carcere".
        M. Cosa può fare la società civile per supportare e unirsi 
          alla vostra lotta per il rispetto dei diritti umani? Quanto è 
          importante l'appoggio della Comunità Internazionale?
          B. Naturalmente, la comunità internazionale è parte attiva 
          nella risoluzione del problema. Attualmente, con il mondo che sembra 
          più piccolo a causa degli effetti della globalizzazione, dobbiamo 
          imparare a globalizzare la solidarietà e la lotta per la giustizia 
          e la democrazia. Le organizzazioni internazionali di valore riconosciuto 
          - sicuramente in molti casi conservatrici e in difesa dell'attuale sistema 
          delle cose - hanno dimostrato il loro disaccordo verso le autorità 
          spagnole e il trattamento della "questione basca". Hanno elaborato 
          report e inviato le loro critiche e i loro suggerimenti alle autorità 
          spagnole. Questo ci fa capire che non siamo soli nelle nostre denunce. 
          E inoltre, i movimenti vivi e dinamici si fanno portavoce di questa 
          situazione e percepiscono il pericolo che si nasconde dietro l'applicazione 
          di queste misure. Questo conferma che la società
          civile internazionale è sensibile al noto poema-denuncia di Bertold 
          Brecht.
        Marvin - marvin@anarcotico.net
          www.anarcotico.net/IlRivoluzionario/
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