Sovranità è non Ubbidire

x Euskal Herriko Komunistak - [23.09.03 - 22:22] Articolo públicado in Gara e che può trovarsi anche sulla
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Sovranità è "non ubbidire"
Jokin Elarre, Juanjo Sainz e Pako Belarra (*)

Stiamo assistendo allo spogliarello di un nuovo ordine mondiale che pretende culminare globalmente la fase definitiva del processo di accumulazione di capitale del secolo anteriore; la fase ultima dell'imperialismo che quelli del pensiero unico vorrebbero essere "il fine della storia."
Nessuno potrà negare a questo punto che violenza e politica, con tutte le precisazioni formali, sono elementi consustanziali di una dialettica tra dominante e dominati che trascende la storia dell'umanità.
Quando in questo nuovo ordine si impone la formulazione della "falsa contraddizione" tra l'asse del bene e l'asse del male e si sataniza come "terrorismo" quello che si affronta, o si potrebbe affrontare, quello che non si allinea o non comunica incondizionatamente coi parametri dei "democratici dell'asse del bene", il pensiero unico impone la sua realtà virtuale, attraverso quell'aspetto del potere chiamata mediatica, e si consolida legalmente e giuridicamente, attraverso le differenti sequenze di potere unico. L'aveva detto già Goebbels: "Una bugia ripetute mille volte si fa verità."
Oggi, più che mai, continua ad essere tristemente reale quel Leviathán di Hobbes, spiegato a partire dal pessimismo antropologico del homo homini lupus, lo Stato assoluta fonte di ogni diritto, di ogni morale e religione, riducendo in ultima istanza a sottomissione dominazione la relazione tra Stato e cittadino.
In questo contesto mondiale, di progressiva concentrazione di potere dei pochi e di emarginazione dei molti, di dominazione su uomini e donne, su paesi e culture, che prima supponevano cornici storiche di convivenza, ci troviamo. E nell'Europa dei mercanti e degli stati polizieschi continua cercando il suo spazio Euskal Herria, quel vecchio paese cresciuto dall'alba della storia nella resistenza di fronte a nazioni vicine e dominanti, lottando per un spazio di libertà, come quella patria che Marx voleva per i lavoratori nel Manifesto di 1848.
Il vecchio contenzioso che i baschi hanno, quello che hanno come "problema del nostro Stato" vicini di uno ed un altro lato, non è la falsa contraddizione democratico-violento, sottile riduzionismo che lo Stato spagnolo, attraverso i suoi apparati culturali, politici, economici e repressivi ha elevato a primo piano, per rompere un fronte non assimilabile che controbatte allo Stato, come potè verificarsi in Lizarra-Garazi.
Assumere la falsa contraddizione o non indovinare con l'autentico centro del contenzioso, quello che contrappone i baschi con stati che non permettono di realizzare liberamente senza soluzioni predestinate ed esclusorie la libera volontà di tutti i baschi senza marginature territoriali, sarebbe almeno una sciocchezza politica, equiparabile a quella dell'ubriaco che salì sull’ "albero" che non c’era e gli prese il "toro" che sì c’era.
Un'altra volta, una strada senza uscita per "obbedienze dovute" o "ragione di Stato" può ricreare la tragedia. "La non rottura" della transizione ha avuto un alto prezzo. La Costituzione asse centrale della legalità, col suo articolo 168, menzionando i diritti storici, che alcuni vorrebbero come appoggio legale, nega chiaramente nei suoi articoli fondamentali 1, 2 e 8, con la "indissolubile unità della Nazione...", un altra possibile alternativa. Che prezzo dovrà pagare questo paese con la "non rottura" di Ibarretxe?
Non verrebbe male ricordare che nessuna costituzione spagnola durante il secolo XIX, lo dimostrano i successivi confronti armati e consultazioni elettorali, fu accettata in Euskal Herria; dalle proposte di 1806 in Baiona e 1812 a Cadice, quando si formula quel nazionalismo spagnolo. E più tardi, dietro le carlistadas, potè sentire questo paese il vero viso di un stato, come anteriormente successe da 1630 all'altro lato del Pirenei. Col tradimento di Bergara, con la Legge di 1839 ed i posteriori decreti di 1841, con la "Legge paccionada" che fece più del Vecchio Regno una provincia, con la Legge abolitoria di 1876 di Cánovas, rimase definitivamente cancellato ogni ricordo di sovranità.
Quello stesso anno, la monarchia ci "concedeva" la mancia dei Concerti Economici.
La "libera adesione" dei baschi agli stati francese e spagnolo ha supposto troppo sangue da Noain fino ad oggi, passando per matxinadas, carlistadas, sollevamenti in Zuberoa... e con le più recenti persecuzioni (fucilazioni) prigioni, torture, chiusure di giornali, ilegalizzazione di partiti...), dal 36 fino al 77, e fino ad oggi. Si conferma quella, per niente recente, affermazione di Caro Baroja: "L'autentico protagonista della storia basca è la violenza."
Non possiamo ammettere la falsa formulazione e conseguente condanna riduzionista dei "metodi violenti" senza prima formulare che ogni violenza nasce dalla dominazione e senza esprimere che l'origine e riproduzione di questa violenza è la radice della formazione sociale in cui viviamo. Diceva Gramsci: "Solo il gruppo sociale che si pone come obiettivo di ottenere la sparizione dello Stato e di sé stesso può creare un mondo etico." È quello il caso di chi condanna"eticamente" il movimento popolare di Euskal Herria?
Tra dominanti e dominati non ammetteremo un'altra etica che quella di "quelli di sotto", con tutti i metodi che facciano largo alla libertà. Non può essere etico collocarci in una realtà senza proporrci cambiarla insieme a chi voglia farlo verso la libertà.
Non è semplicemente la violenza, bensì "la causa di ogni violenza", quella che dobbiamo superare. E non con decreti o condanne formali, né con ambigue sottomissioni, e nemmeno con formulazioni metafisiche; tutto ciò convertito in valore di scambio per voti. Ed andiamo alla radice.
Dobbiamo assumere dialetticamente le differenze, partendo da un dialogo senza esclusioni per fare una prima strada, affinché tutti i baschi decidiamo liberamente. Seguiamo i nostri ritmi in ogni momento per accumulare la necessaria massa critica. Ed a partire, ugualmente, della differente realtà istituzionale, culturale e sociale di un paese ed un territorio, nel quale un sviluppo storico disuguale ha cristallizzato in tre cornici politiche differenziate. Si tenta di sommare forze differenti ed a differenti ritmi per costruire tra tutti Euskal Herria.
In Lizarra-Garazi visualizziamo quello verso la libera decisione di tutti i baschi di fronte all'aggressione dello Stato. La concentrazione di massa critica superando quadrettature parziali apriva nuove prospettive. Autodeterminazione è oggi il primo passo, condizione necessaria di sprint. Che nessuno possa decidere oggi per il paese di Euskal Herria integrato in sette herrialdes. Non ci sarà negoziazione senza autodeterminazione.
L'autodeterminazione chiariamo suppone decidere ed avanzare unilateralmente, dall'indipendenza soggettiva, aprendo spazio con l'insubordinazione progressiva fino all'indipendenza reale. Insubordinazione cittadina ed istituzionale con ritmi marcati per i protagonisti del cambiamento (Udalbiltza) coalizione di partiti, sindacati e movimenti sociali. La violenza di un paese che ubbidisce solo a sé stesso è inarrestabile. Non ci sarà autodeterminazione senza massa critica in movimento.
La proposta che Ibarretxe ci vuole vendere, non come proposta di pace che così sia, è marcata per le proprie limitazioni che si impone: una cornice per tre herrialdes ed un altro statuto (?) come punto finale; un status di libera adesione, si permette la libera separazione?) con l'esclusivo impiego della legalità vigente.
Legalità vigente sono: 170.000 baschi morti politicamente, idee ed opzioni politiche fuori dalla legge, detenzioni, prigioni... violenza e morti; tutto ciò valore di scambio per uno stato fascista.
Le cornici e metodi legali di doppio filo sono necessari, come lo sono altri metodi legittimi di lotta che ci facciano strada. La semplice sottomissione alla legalità esistente la "obbedienza dovuta" delegittima ogni proposta di cambiamento, oltre ad annullare la credibilità della proposta. Quanti soffrirono il franchismo e le sue istituzioni sanno qualcosa di "onesti funzionari" che agivano per "obbedienza dovuta."
La storia di Euskal Herria, come quella di tutti i paesi, è stata una storia di dominante e dominati, di jauntxos e matxinos, di sfruttatori e sfruttati. E di tutto un paese sottomesso da stati diedi proprietà privata. Alla fine ed a capo, l'indipendenza di Euskal Herria sarà la patria di quelli di sotto, quello spazio di libertà che apporti una scintilla alla liberazione mondiale. -


(*) Sottoscrivono anche l'articolo Jon Kerejeta, Juan C. Ramos, Manu Aranburu ed Isiane, comunisti nel MLNV.

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