| dal quotidiano GARA del 20.02.04 Martxelo OTAMENDI - Direttore dei 
        quotidiani "Euskaldunon Egunkaria" e "Berria"  Un anno dalla chiusura. Che chiavi nuove ha? Perché e per quale motivo ha fatto ciò che ha fatto Madrid? C'è un tentativo chiave 
        per debilitare la produzione culturale in euskara. E, per ciò, 
        l'operazione si incentrò su uno degli elementi più amati: 
        "Egunkaria" era una delle belle bambine, frutto dell'appoggio 
        di migliaia e migliaia di baschi che comprarono il giornale per anni, 
        inserirono pubblicità ed organizzarono la campagna dal principio. 
        "Egunkaria" fu un elemento unificante.  Naturalmente, non ho scoperto la 
        pratica della tortura quando mi torturarono. Più di una volta ho 
        scritto contro questa pratica. Ma quando mi portavano a Madrid, col viso 
        coperto, ero convinto che non mi avrebbero toccato. C’era il precedente 
        del trattamento subito dagli arrestati nel caso di "Egin" che, 
        almeno, non comprese torture.  L'avvocato mi disse che era la 
        prima occasione in cui denunciavano chi aveva, a sua volta, denunciato 
        torture e che un ministro spagnolo convocava una conferenza stampa per 
        parlare espressamente di una denuncia di torture. Più di una volta 
        avevano dovuto rispondere a domande dei giornalisti su questo tema, ma 
        in conferenze stampa convocate per trattare altre questioni. Hanno tentato, 
        pertanto, di lanciare un monito affinché la prossima persona torturata 
        ci pensi due volte prima di denunciare pubblicamente. Almeno, rimane la 
        soddisfazione che siamo stati capaci di creare, con l'aiuto della gente 
        e di alcuni mezzi di comunicazione, una tale pressione sociale e mediatica 
        che il Governo spagnolo ha dovuto tenere una conferenza stampa sulla tortura. 
        E questo, a sua volta, ti trasforma in un elemento molto pericoloso per 
        l’Esecutivo, perché sa che se esce male da questa operazione 
        la sua credibilità va a farsi benedire.  Non è bene nemmeno che si 
        creassero tante aspettative. Era ciò che era. La chiusura di "Egunkaria", 
        l'unità di azione da parte di sindacati, partiti politici, istituzioni, 
        gruppi euskaltzales (per la lingua basca, Nd.T.) e di cittadini comuni, 
        o la risposta unitaria del 22 febbraio a San Sebastian, davano quello 
        che davano. In questo paese abbiamo bisogno di mettere il conflitto sulla 
        via della soluzione. E così, molte volte abbiamo l'impressione 
        che qualunque evento sia quello scatenante di tutto il processo.  Si traduce nel fatto che la gente 
        ci ha dato la forza sufficiente per portare avanti un nuovo progetto in 
        euskara. La Guardia Civil ci lasciò senza nemmeno i pennarelli. 
        Ci hanno dato quasi 5 milioni di euro ed abbiamo 28.000 azionisti. Stiamo 
        vendendo 21.000 copie e stiamo facendo un giornale migliore di quello 
        che facevamo prima, con qualche prodotto innovativo, in qualche caso. 
        Abbiamo Persino più azionisti che acquirenti.  Quello che dissi è che dobbiamo 
        avere la stessa considerazione che ha un bancomat. Con tutto il rispetto 
        per i bancomat e le entità finanziarie, mi sembra più importante, 
        per il consolidamento di questo paese, un giornale come "Egunkaria". 
        Della chiusura mi rimane la sensazione di assoluta impunità, perché 
        un giudice spagnolo può decidere la chiusura di un mezzo di comunicazione 
        e la Guardia Civil può arrestarci e fare con noi quello che le 
        pare. Ci applicano la "legge antiterrorista", ci tengono in 
        isolamento assoluto, ci torturano ed imprigionano. Se è vero che, 
        da parte della società basca, c'è la sensazione che la chiusura 
        di "Egunkaria" sia stata ingiusta, illegale ed un sopruso contro 
        la cultura basca e contro il diritto dei baschi ad avere infrastrutture 
        culturali proprie, bisognerà prendere misure effettive che impediscano 
        un nuovo sopruso. È un sopruso anche bruciare un bancomat e in 
        quel caso cercano già individuare chi è stato, credono di 
        avere trovato prove definitive, fermano i supposti autori del gesto, li 
        portano davanti al giudice e questo decide il loro ingresso in prigione 
        o messa in libertà. Sto aspettando che i giudici baschi mi chiamino 
        e mi notifichino che hanno aperto un'indagine sulle torture. Baltasar 
        Garzón sta indagando sulle torture, sui maltrattamenti e sulle 
        sparizioni di spagnoli in Argentina, durante la dittatura. Stanno facendolo 
        anche giudici francesi, italiani, canadesi... perché Garzón 
        può indagare sulla pratica della tortura contro cittadini spagnoli 
        ed i giudici baschi non vogliono indagare sulla pratica della tortura 
        contro cittadini baschi? Risponderebbero che “non è di nostra 
        competenza”. Ma non era neanche competenza di Garzón, fino 
        a che non ci si mise.... Se è vero che ci si crede e che bisogna 
        sradicare la tortura, bisognerà prendere delle misure. Che nessuno 
        organizzi tra 30 anni una Commissione della Verità, in Euskal Herria, 
        per indagare sulle torture che sto denunciando ora! Sto denunciandole 
        ora e voglio che si indaghi ora, perché in questo paese abbiamo 
        già i mezzi necessari. Che non si ripeta il processo del Cile e 
        dell’Argentina.  Con preoccupazione. Benché 
        stia crescendo, il numero di euskaldunes con capacità linguistica 
        sufficiente per potere accedere a questi mezzi non si sviluppa in proporzione 
        col consumo di questi prodotti giornali, riviste, dischi.... -. mi 
        considero un ottimista preoccupato. Esiste una sempre maggiore concentrazione 
        nell'ambito dei mezzi di comunicazione, pertanto, se le grandi imprese 
        si fondono, noi abbiamo l’imperativo vitale di fare altrettanto. 
        Credo che dovremmo avere la capacità di lavorare congiuntamente, 
        ma la verità è che ci è ancora difficile lavorare 
        insieme.  Sì. Sono una persona abbastanza 
        equilibrata, e credo di avere retto abbastanza bene, benché questo 
        non rappresenti nessun merito, non vorrei che si interpretasse così. 
        Ognuno elabora come può o come sa. Ciò che mi rimane è 
        l’indignazione umana. Non ho cambiato l'idea che avevo sulla Guardia 
        Civil prima o dopo la tortura. Mi ha motivato di più ad andare 
        contro la tortura. La nostra speranza era che, la prossima volta che saranno 
        davanti ad un detenuto, ci pensino due volte.  |