dal quotidiano GARA del 20.02.04

Martxelo OTAMENDI - Direttore dei quotidiani "Euskaldunon Egunkaria" e "Berria"
"BISOGNEREBBE PRENDERE MISURE CONCRETE CHE IMPEDISCANO UN NUOVO SOPRUSO"

Esattamente un anno fa, agenti della Guardia Civil irruppero nel Parque Cultural Martín Ugalde di Andoain ed il lucchetto con il quale sigillarono la porta di accesso a "Euskaldunon Egunkaria" è ancora lì. Otamendi conclude che "hanno voluto dirci che possono fare di tutto contro la nostra emancipazione culturale". E reclama misure.

Oggi a mezzogiorno, come hanno fatto ogni mese da un anno, i lavoratori di '' Euskaldunon Egunkaria '' torneranno a concentrarsi sul Boulevard di San Sebastian. Di pomeriggio, ad Andoain, una manifestazione amplierà la denuncia di quel 20 febbraio 2003, nel quale l'unico quotidiano in euskara (lingua basca, N.d.T.) fu chiuso da un giudice e da una polizia spagnoli. Martxelo Otamendi ha spiegato a GARA cosa provò allora e che ricordo ha lasciato quell'operazione.

­Un anno dalla chiusura. Che chiavi nuove ha? Perché e per quale motivo ha fatto ciò che ha fatto Madrid?

C'è un tentativo chiave per debilitare la produzione culturale in euskara. E, per ciò, l'operazione si incentrò su uno degli elementi più amati: "Egunkaria" era una delle belle bambine, frutto dell'appoggio di migliaia e migliaia di baschi che comprarono il giornale per anni, inserirono pubblicità ed organizzarono la campagna dal principio. "Egunkaria" fu un elemento unificante.
Oltre a debilitarlo, vollero dare un avvertimento a quell'insieme della popolazione che considera che il futuro di un paese dipende dalla sua volontà e rivendica il diritto ad avere infrastrutture culturali ed imprenditoriali che lavorino nel campo della produzione linguistica. Il messaggio che vollero trasmettere fu il seguente: "Se voi continuate ad ostinarvi nel volere decidere il vostro futuro e rivendicare questo diritto, questo è quello che vi aspetta". Arrestarono i dirigenti dell'impresa ed a gente importante, persone di riferimento come Joan Mari Torrealdai, Txema Auzmendi o Iñaki Uria. Vollero dare un colpo esemplare: "Noi siamo capaci di arrestare questo signore, di accusarlo di essere membro di ETA, di tenerlo cinque giorni in isolamento assoluto e di maltrattarlo. Cioè, immaginate cosa faremo con coloro che non sono tanto importanti".
Pertanto, l'obiettivo era minare lo spirito di '' Egunkaria '' e dirci che sono capaci di fare qualunque cosa per farci smettere di rivendicare il diritto a decidere il nostro futuro, ad un'emancipazione culturale. Ci utilizzarono come capro espiatorio, con l'aggravante dell'applicazione della "legge antiterrorista", della chiusura del giornale, dei maltrattamenti, delle torture e degli autentici soprusi giornalistici nei confronti dei media. Questa è la valutazione che facevo prima e che faccio ora.

­Il trattamento applicato ai detenuti segnò un salto qualitativo: nessuno si aspettava che un direttore di un giornale potesse passare per quella situazione...

Naturalmente, non ho scoperto la pratica della tortura quando mi torturarono. Più di una volta ho scritto contro questa pratica. Ma quando mi portavano a Madrid, col viso coperto, ero convinto che non mi avrebbero toccato. C’era il precedente del trattamento subito dagli arrestati nel caso di "Egin" che, almeno, non comprese torture.
Il nostro caso è stato utile per mettere in cima all'agenda la pratica della tortura e per svegliare molte coscienze che fino ad allora erano anestetizzate. Noi avevamo l'obbligo di denunciare. Se sono capaci di torturare il direttore di un giornale, che cosa non faranno con un ragazzo di 18 anni che non avrà la copertura mediatica e l’appoggio sociale, politico, sindacale ed istituzionale che possiamo avere noi? Una volta torturati, avevamo due opzioni; rimanere in casa a leccarci le ferite o affrontare la situazione affinché fossimo gli ultimi torturati. Per me è chiaro che il mio obbligo morale verso i miei cittadini era muovere il secondo passo.

­Come valuta la denuncia presentata dal ministro degli Interni spagnolo, Angel Acebes, contro di voi, per avere denunciato torture?

L'avvocato mi disse che era la prima occasione in cui denunciavano chi aveva, a sua volta, denunciato torture e che un ministro spagnolo convocava una conferenza stampa per parlare espressamente di una denuncia di torture. Più di una volta avevano dovuto rispondere a domande dei giornalisti su questo tema, ma in conferenze stampa convocate per trattare altre questioni. Hanno tentato, pertanto, di lanciare un monito affinché la prossima persona torturata ci pensi due volte prima di denunciare pubblicamente. Almeno, rimane la soddisfazione che siamo stati capaci di creare, con l'aiuto della gente e di alcuni mezzi di comunicazione, una tale pressione sociale e mediatica che il Governo spagnolo ha dovuto tenere una conferenza stampa sulla tortura. E questo, a sua volta, ti trasforma in un elemento molto pericoloso per l’Esecutivo, perché sa che se esce male da questa operazione la sua credibilità va a farsi benedire.
Per questo, userà tutti i mezzi affinché sia condannato per "collaborazione con banda armata", perché vuole fare credere che io stia seguendo il famoso "manuale di ETA", secondo il quale bisogna denunciare torture, che ci siano state o no. Ma non mi fermerò fino che non vedrò seduti al banco degli imputati gli autori delle torture che ho subito ed i responsabili politici. Ora o tra 30 anni, come in Argentina ed in Cile.

­La mobilitazione sociale è stata molto intensa e, a suo tempo, quell'unità creò aspettative interessanti persino a livello politico. Un anno dopo, per contro, ognuno continua a stare dalla sua parte, come si vede davanti alle elezioni di marzo. Un'altra opportunità persa?

Non è bene nemmeno che si creassero tante aspettative. Era ciò che era. La chiusura di "Egunkaria", l'unità di azione da parte di sindacati, partiti politici, istituzioni, gruppi euskaltzales (per la lingua basca, Nd.T.) e di cittadini comuni, o la risposta unitaria del 22 febbraio a San Sebastian, davano quello che davano. In questo paese abbiamo bisogno di mettere il conflitto sulla via della soluzione. E così, molte volte abbiamo l'impressione che qualunque evento sia quello scatenante di tutto il processo.
Quella capacità di unità di azione da parte di forze progressiste ed indipendentiste basche e della cittadinanza fu davvero un passo importante. Ma pensare che da lì, automaticamente, sarebbe nato un processo di collaborazione permanente tra le forze politiche basche, è chiedere pere all'olmo. È vero che per arrivare da qualche parte sono necessari molti piccoli passi e quello poteva essere uno, ma diede quello che dava e la politica tornò sulle sue rotte abituali. La gente sentì una speranza collettiva. Quando questo paese incanalerà il conflitto verso la soluzione, molta gente parlerà della risposta comune di questo paese alla chiusura di "Egunkaria".

­La manifestazione di San Sebastian fu un’ondata di solidarietà, ma fino a che punto quella solidarietà si traduce in sostegno pratico?

Si traduce nel fatto che la gente ci ha dato la forza sufficiente per portare avanti un nuovo progetto in euskara. La Guardia Civil ci lasciò senza nemmeno i pennarelli. Ci hanno dato quasi 5 milioni di euro ed abbiamo 28.000 azionisti. Stiamo vendendo 21.000 copie e stiamo facendo un giornale migliore di quello che facevamo prima, con qualche prodotto innovativo, in qualche caso. Abbiamo Persino più azionisti che acquirenti.

­Come si spiega tutto questo?
Nell’avere un programma umano. Il programma migliore non è né Photoshop, né Freehand né Microsoft Word. Il miglior programma informatico è la nostra gente, all’interno del giornale ­tutto il gruppo di lavoratori­ e la gente comune. Lo sapevamo già prima, ma la chiusura del giornale lo ha dimostrato. Questo tipo di risoluzioni non te lo dà nessun programma.
Se la tua gente non è animata collettivamente, è impossibile. Quella gente non andò a casa il giorno dopo, ma a fare un giornale. Questo si ottiene solo avendo un gruppo di lavoratori convinti di quello che stanno facendo e cercando di averli coinvolti nel progetto. È vero che c'era stanchezza accumulata, perché la chiusura significa un grave colpo spirituale e psicologico, ma andarono avanti. E poi c’è la gente della strada, che, senza che le sia stato chiesto niente, indice uno sciopero di due ore a marzo, una manifestazione enorme a La Casilla, organizzano una Fiera della Salsiccia, un concerto di musica classica, tornei di carte.... Il programma umano è fondamentale, senza quello non c'è niente.

­Lei parlava, in senso simbolico, della possibilità di mettere ertzainas (agenti della Polizia Autonoma Basca, N.d.T.) a difendere il Parque Martín Ugalde. Le istituzioni basche fanno abbastanza per difendere i progetti baschi?

Quello che dissi è che dobbiamo avere la stessa considerazione che ha un bancomat. Con tutto il rispetto per i bancomat e le entità finanziarie, mi sembra più importante, per il consolidamento di questo paese, un giornale come "Egunkaria". Della chiusura mi rimane la sensazione di assoluta impunità, perché un giudice spagnolo può decidere la chiusura di un mezzo di comunicazione e la Guardia Civil può arrestarci e fare con noi quello che le pare. Ci applicano la "legge antiterrorista", ci tengono in isolamento assoluto, ci torturano ed imprigionano. Se è vero che, da parte della società basca, c'è la sensazione che la chiusura di "Egunkaria" sia stata ingiusta, illegale ed un sopruso contro la cultura basca e contro il diritto dei baschi ad avere infrastrutture culturali proprie, bisognerà prendere misure effettive che impediscano un nuovo sopruso. È un sopruso anche bruciare un bancomat e in quel caso cercano già individuare chi è stato, credono di avere trovato prove definitive, fermano i supposti autori del gesto, li portano davanti al giudice e questo decide il loro ingresso in prigione o messa in libertà. Sto aspettando che i giudici baschi mi chiamino e mi notifichino che hanno aperto un'indagine sulle torture. Baltasar Garzón sta indagando sulle torture, sui maltrattamenti e sulle sparizioni di spagnoli in Argentina, durante la dittatura. Stanno facendolo anche giudici francesi, italiani, canadesi... perché Garzón può indagare sulla pratica della tortura contro cittadini spagnoli ed i giudici baschi non vogliono indagare sulla pratica della tortura contro cittadini baschi? Risponderebbero che “non è di nostra competenza”. Ma non era neanche competenza di Garzón, fino a che non ci si mise.... Se è vero che ci si crede e che bisogna sradicare la tortura, bisognerà prendere delle misure. Che nessuno organizzi tra 30 anni una Commissione della Verità, in Euskal Herria, per indagare sulle torture che sto denunciando ora! Sto denunciandole ora e voglio che si indaghi ora, perché in questo paese abbiamo già i mezzi necessari. Che non si ripeta il processo del Cile e dell’Argentina.

­Come vedi il futuro della stampa euskaldun (in lingua basca, N.d.T.) in Euskal Herria?

Con preoccupazione. Benché stia crescendo, il numero di euskaldunes con capacità linguistica sufficiente per potere accedere a questi mezzi non si sviluppa in proporzione col consumo di questi prodotti ­giornali, riviste, dischi.... -. mi considero un ottimista preoccupato. Esiste una sempre maggiore concentrazione nell'ambito dei mezzi di comunicazione, pertanto, se le grandi imprese si fondono, noi abbiamo l’imperativo vitale di fare altrettanto. Credo che dovremmo avere la capacità di lavorare congiuntamente, ma la verità è che ci è ancora difficile lavorare insieme.

­Nel suo caso, le ferite della tortura sono guarite?

Sì. Sono una persona abbastanza equilibrata, e credo di avere retto abbastanza bene, benché questo non rappresenti nessun merito, non vorrei che si interpretasse così. Ognuno elabora come può o come sa. Ciò che mi rimane è l’indignazione umana. Non ho cambiato l'idea che avevo sulla Guardia Civil prima o dopo la tortura. Mi ha motivato di più ad andare contro la tortura. La nostra speranza era che, la prossima volta che saranno davanti ad un detenuto, ci pensino due volte.


 

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