la bella è la bestia - il collettivo femminile del capolinea
DONNE IN LOTTA: INDIA
Collettivo LaBellaÈlaBestia – capolinea autopro
Questo opuscolo è il primo risultato (speriamo ce ne siano altri) di un lavoro collettivo di ricerca e sintesi su alcuni temi e fatti della recente storia indiana dal punto di vista della condizione femminile: a volte durissima e a volte sorprendente, di sicuro in rapido mutamento.
In queste poche pagine daremo spazio a una realtà che in questa parte del mondo è quasi sconosciuta, e dove il movimento delle donne è attivissimo. Buona lettura!
CONTENUTI:
1. L’INDIA DELLE DONNE
2. VANDANA SHIVA
3. VERSO UNA SOCIETÁ SENZA FEMMINE?
4. LA RAGAZZA SOPRAVVISSUTA
5. LE VIOLENZE SESSUALI
6. L’ESERCITO INDIANO STUPRA LE SUE VITTIME (Kashmir e Manipur)
7. IL MOVIMENTO FEMMINILE IN INDIA: UNA SILENZIOSA RIVOLUZIONE
CONTATTI:
collettivo LaBellaÈlaBestia
csa CAPOLINEA
via volta 9 – faenza (ra)
capolinea@autistici.org
L'India delle donne (tratto da un artico di Sophie de Hérédia)
L’India è sicuramente un subcontinente immenso e ricco di antiche tradizioni, ma anche di atroci ingiustizie, specie nei riguardi delle donne.
Bisogna fortunatamente prendere atto, però, dell'esistenza in ogni villaggio, città, stato, di centinaia di associazioni femminili – mantenute in vita dal contributo quotidiano di tutte le donne -che lottano con tutti i mezzi per la difesa (e in molti casi la scoperta) dei diritti di metà della popolazione. Le donne che militano in tali associazioni, perché di vera militanza si tratta, non appartengono a nessun partito politico e cercano di risolvere problemi cruciali per la popolazione femminile indiana ( e non solo) rappresentando solo se stesse e le loro associazioni.
LA DOTE
"Se siete assillate da problemi di dote, telefonate a questo numero ".
Tempo fa questo messaggio era stato stampato su tutti i cartoni del latte…
La tradizione indiana, infatti, vuole che si dotino le proprie figlie per compensare il fatto che, alla morte del padre, non hanno diritto ad alcuna eredità.
Oggi, del resto, i suoceri sono diventati molto più esigenti che in passato e, non contenti di estorcere il massimo in occasione del matrimonio, reclamano continue aggiunte alla dote: la nascita del primo nipote e le varie ricorrenze diventano un pretesto per esigere nuovi regali. Nelle famiglie più povere i genitori, spesso indebitati già dall'organizzazione del matrimonio, arrivano ben presto a non poter fare più fronte alle pressanti richieste… e a questo la vita delle giovani donne diventa solo un peso di cui sbarazzarsi; quando un padre smette di pagare il suo “debito” per la figlia, infatti, i suoceri la uccidono per permettere così figlio di risposarsi con una donna più ricca.
Ogni giorno 17 ragazze vengono uccise perché i loro genitori non riescono più ad accontentare le richieste dei consuoceri.
Si pensa anzi che il numero di ragazze assassinate sia anche più elevato, ma è quasi impossibile stabilirlo con precisione dato che la maggior parte dei delitti viene denunciata come "morte dovuta a incidenti domestici" (una tecnica ben collaudata consiste nel cospargere di benzina la giovane donna mentre è ai fornelli).
ASSOCIAZIONE KARNIKA
PER COMBATTERE LA TRADIZIONE DELLA DOTE
Fortunatamente è solo una tra molte che combattono la tradizione della dote.
Innanzitutto ha chiesto che venissero cambiati i termini della legge del 1961 che, pur vietandola, la definisce ancora "ciò che viene dato e richiesto in occasione del matrimonio", senza tenere conto dei "regali" successivamente pretesi. C'è riuscita solo in parte.
Spiega Subhandra Butalia, presidentessa di Karnika: "Ci è stato concesso che la legge precisi che è vietato tutto ciò che attiene il matrimonio, prima e dopo, ma il legislatore si è affrettato ad aggiungere: 'Permane l'accettazione dei regali tradizionali, oro, argento, ecc...'. Subhandra si rende conto quindi che solo le donne stesse potranno far sparire questa usanza. Come? Cominciando col comunicare con il fidanzato che non hanno dote. Ma questo comporta acquisire una nuova coscienza del proprio valore".
E' questo l'obiettivo da perseguire e a questo scopo l'associazione organizza incontri nei villaggi, dove un avvocato chiarisce esattamente quali sono i loro diritti. Compito arduo, in quanto questo problema (come tanti altri in India) affonda le radici in una particolare mentalità vecchia di secoli. "Insomma è difficile far accettare alle ragazze l'idea di rinunciare alla dote: allo stato attuale la considerano pur sempre qualcosa che le valorizza. E inoltre quando il padre regala un televisore, anche loro ne approfittano".
E le suocere? Non sono in condizione di spezzare questa catena? "No", risponde Subhandra, "è il maschio che comanda in tutte le famiglie indiane. E obbliga la moglie a eseguire la sua sentenza, per disumana che sia".Ma quando una ragazza si sente minacciata, non può rifugiarsi dai genitori? "Se vogliono ospitarla", sospira Subhandra, "perché è considerato uno scandalo che una figlia ritorni a casa". Restano allora solo le associazioni come la Karnika. "Noi possiamo aiutarle per qualche giorno, indirizzarle verso una famiglia. Ma tutto questo costa molto e noi viviamo solo di contributi volontari".
“LA MAGGIOR PARTE DELLE LEGGI PERSONALI NON FAVORISCE
LA DONNA”
Indira SingIi, una delle più celebri avvocate indiane, fa parte dell'Associazione delle donne avvocato, sostiene: “E' un'evoluzione lenta, però irreversibile”.
Nonostante l’ostilità dei giudici, infatti, il numero delle denunce e quello delle cause vinte è sempre in aumento.
I punti su cui ancora combattere dal punto di vista giuridico sono numerosi, primo tra tutti il divorzio.
In caso di divorzio la moglie perde tutto. "Non esiste la separazione dei beni, nè l'assegno degli alimenti. E la custodia dei figli viene sempre concessa al padre. A meno che la madre non decida di combattere una lunga battaglia. E anche in caso di vittoria otterrebbe l'affidamento dei figli solo fino ai 12 anni di età". La custodia di un figlio, inoltre, non comporta la patria potestà, che spetta al padre. Per ottenerla, la madre non si deve limitare a dimostrare l'incapacità del padre, ma deve mostrare di essere lei stessa competente. "Anche in questo caso, però, è doveroso registrare un passo avanti", osserva Indira, "ancora nulla di sensazionale, ma tanti piccoli successi. Come per esempio il fatto che stiamo vincendo sempre più cause".
Secondo problema spinosissimo ma tremendamente urgente: la violenza tra le mura domestiche.
Non vi sono leggi che la condannino e, per sporgere denuncia, è indispensabile aver subito un vero e proprio danno fisico, come minimo un braccio fratturato.
La maggior parte delle associazioni femministe si pone, innanzitutto, un semplice obiettivo: far capire alle donne che hanno dei diritti e che nessuno li può calpestare!!
Secondo il Centro per il sostegno legale alle donne di Delhi, ogni sei ore una donna indiana viene bruciata viva, picchiata a morte o spinta al suicidio. E’ vero che non esiste ancora una legge che sanzioni specificamente la violenza domestica, ma un emendamento del 1986 al Codice penale indiano stabilisce che, fino a prova contraria, il marito e i suoi famigliari sono in linea di massima responsabili per la morte di una donna sposata da meno di sette anni, a meno che, ovviamente, la morte non sia avvenuta per cause naturali. La mentalità corrente, però, è lo scoglio contro cui vanno a cozzare tutti i tentativi di riforma. Un recente studio dell’Istituto internazionale per gli studi sulla popolazione ha difatti rilevato che il 56 per cento delle mogli indiane considera, in certi casi, perfettamente lecite le percosse ricevute dal marito.
E, infine, l'ultimo bastione: l'eredità.
Con un semplice testamento una moglie può essere completamente diseredata dal coniuge. Se, in linea di principio, esiste la possibilità che essa possa beneficiare dell'eredità dei genitori insieme ai suoi fratelli, in pratica viene regolarmente defraudata. Per recuperare la sua parte è costretta a rivolgersi alla giustizia. Per quanto lunghe, costose e particolarmente criticate, le denunce aumentano sempre più.
LA LOTTA PARTE DALLE CAMPAGNE…
JAGORY: 70 associazioni di donne nelle campagne
Il 75% della popolazione indiana vive nelle campagne. Ed il 61% delle donne è analfabeta (contro il 36% degli uomini).
Da dieci anni sotto la sigla di Jagory vengono raggruppate 70 associazioni di donne nelle campagne. Scopo: formare le ragazze sul posto affinché esse formino a loro volta nuove militanti.
Abha Bhaya ne è la fondatrice: sono stati selezionati 2000 villaggi sparsi in tutta l'India.
“Le militanti vengono perlopiù scelte nelle caste basse, tra le donne più oppresse: nessuna meglio di loro conosce ciò di cui parliamo.
Le difficoltà e le sofferenze di una donna, in India, variano molto a seconda che si sia sposate piuttosto che nubili, o che si appartenga a una casta bassa piuttosto che alta".
Nel ceto medio, infatti, in cui si possono fare arrivare alle donne libri e volantini, le battaglie portate avanti da Jagory vengono accettate senza grandi difficoltà; per le analfabete, invece, occorre inventare altri metodi… Le ragazze di Jagory, allora, arrivano nei villaggi con film, poster, musica: "Le facciamo ballare, recitare, affinché prendano consapevolezza del proprio corpo. E poi parlano, confrontano le loro esperienze. Quando cominciano a realizzare che migliaia di altre donne vivono la stessa condizione vuoi dire che abbiamo fatto il primo passo", continua Abha.
Come tutti i movimenti femministi, Jagory vuoi rimanere fuori dal contesto dei partiti politici, per essere un gruppo che esercita pressioni in modo totalmente indipendente e critico.
Anche se si parla sempre più di un partito di donne, in realtà nulla si è realizzato concretamente.
Ciò non toglie che le militanti prendano d'assalto le strutture sociali, specie nelle elezioni dei panchayat. molte militanti sono già state elette presidentesse… e questo, per loro, rappresenta un buon punto di partenza per poter iniziare a cambiare veramente le cose…
LA CONTRACCEZIONE
"La miglior contraccezione è lo sviluppo" (slogan delle femministe indiane)
In India, infatti, il tasso di natalità continua a diminuire. Dal 51,3 per mille nel 1911, si è arrivati ai 32,5% per mille nel 1991, che corrisponde a un incremento demografico annuo pari al 2%, uno dei più bassi del terzo mondo.
Nei villaggi invece il problema demografico non è minimamente sentito. Qui i bambini, specie se maschi, rappresentano un'assicurazione sulla vecchiaia. Mentre le figlie, una volta "dotate", si sposano e vanno a vivere nella famiglia del marito, i figli restano a occuparsi dei genitori; solo un figlio maschio può occuparsi dei riti funebri. Solo recentemente si vede qualche donna assistere ai funerali (cosa d'altronde vietata). "E di questo bisogna tener conto, prima di affrontare l'argomento controllo delle nascite e aborto dei feti femminili", avverte Neena Puri, responsabile della Pianificazione familiare. Lo stato di emergenza ha lasciato agli indiani un ricordo disastroso: sei milioni e mezzo di sterilizzazioni forzate inflitte agli uomini, che da allora non vogliono più sentir parlare di contraccezione.
Come risultato, la pressione mondiale per ridurre il tasso di natalità ricade brutalmente sulle donne. Cosa che le femministe rifiutano, ricordando a noi occidentali che ciò che per noi è un sacrosanto diritto per loro è un obbligo odioso.
Fra governo e associazioni femministe nasce così un dialogo tra sordi. "Loro si preoccupano innanzitutto della sovrappopolazione, noi dei diritti della donna", insorge Neena Puri. "Ci dicono che certe misure sono necessarie, ma non tengono conto delle realtà femminili".
Sembra insomma che il conflitto nasce soprattutto sui metodi contraccettivi. "Sì alla pillola e alla spirale, no alle iniezioni di ormoni di cui si ignorano ancora le conseguenze sull'organismo", riassume Ritu Menon. "E no anche alle sterilizzazioni imposte". Mentre un programma governativo impone ai medici di proporre sistematicamente la sterilizzazione a ogni donna che dà alla luce il secondo figlio. E, secondo alcune militanti di associazioni femminili, si approfitterebbe dell'anestesia generale cui vengono sottoposte le donne che abortiscono, per sterilizzarle. O ancora si ricorrerebbe al patteggiamento: "Vi facciamo abortire se vi fate sterilizzare".
Non è un mistero che le donne vengano pagate per farsi sterilizzare e vane associazioni assicurano che ci sono incentivi per i funzionari. Persino i maestri elementari per ogni dieci donne che convincono alla sterilizzazione ricevono un premio (!!).
Oggi la struttura che si occupa della pianificazione familiare è composta 1.700 dipendenti e quasi 4.000 volontari che girano l'India a bordo di furgoncini provvisti di video, con un autista protezionista, un medico, un nutrizionista ed eventualmente un'infermiera per spiegare che cos'è una spirale, un preservativo, una pillola, come funzionano, come utilizzarli, dove procurarseli. Le donne che vogliono farsi sterilizzare vengono indirizzate in una clinica, ma senza esercitare pressioni.
Gli sforzi di questa struttura e i miliardi di dollari divorati dai programmi di contraccezione sembrano comunque aver dato dei frutti: oggi il 45% delle coppie sposate utilizza un contraccettivo.
L'altro aspetto del problema è dato dall'aborto dei feti femminili. Non si vedono più cartelloni pubblicitari che strillano: "Meglio 500 rupie oggi (il prezzo di un'ecografia che permette di conoscere il sesso del feto) che 5000 domani (l'ammontare di una dote) ", ormai vietati, ma si trovano centri che praticano l'ecografia in quasi tutte le piccole città. E famiglie intere si autotassano, quando non s'indebitano, per mandarvi una madre che ha già messo al mondo delle femmine. "E' chiaro che noi siamo fermamente contrarie", insiste Neena Puri, "ma anche in questo caso, il problema è più difficile. Che cosa rispondere alla madre di sette figlie incinta dell'ottava?".
L’ASILO MOBILE PER I BAMBINI e IL MOVIMENTO ANTI-ARRACK
Delhi. Dal suolo emerge un palazzo in costruzione. In cantiere si lavora. Le donne, che in India costituiscono il 40% degli operai, reggono sul capo cataste di mattoni. E, cosa strana per questo Paese, nessun bambino che gioca nei paraggi. Sono tutti all'ASILO MOBILE, associazione creata nel 1969 da Mira Maderian, attualmente diretta da Brinda Singh.
Lo scopo di questa associazione è triplice: impedire gli incidenti, rassicurare le madri e aiutare i bambini.
I bambini più grandi imparano a leggere, scrivere, contare. Ma all'inizio, ricorda, "siamo state accolte malissimo. Ci voleva innanzitutto il consenso del capo cantiere, il quale temeva che avremmo spinto le donne a ribellarsi contro i salari e le condizioni di lavoro”.
Ora questo servizio è considerato da sempre più persone un diritto e spiega Brinda, "noi non facciamo la carità. Diamo solo una risposta concreta alle esigenze degli uomini e delle donne che lavorano".
Certo, l'alfabetizzazione costituisce una delle chiavi di accesso allo sviluppo, e dunque al cambiamento della condizione femminile. Eppure le donne analfabete hanno dimostrato, a se stesse ma anche a tutto il Paese, di poter lottare, se si organizzano. "Basta spiegare loro quali sono i diritti e come esigerne l'applicazione", spiega Ritu Menon, ex militante femminista e direttrice di Khali, la più famosa casa editrice femminista di Delhi.
Un esempio significativo a questo proposito è il Movimento anti-Arrack del 1991. L'Arrack non è altro che un whisky adulterato, preparato in campagna, che, se da una parte ha fatto la fortuna dei produttori e rivenditori, dall’altra rappresenta la disperazione delle donne che vedevano i mariti rincasare ubriachi, senza un soldo, pronti a picchiarle e violentarle.
Questa attività illecita è andata avanti fino al giorno in cui le donne dei vari villaggi hanno deciso di ribellarsi e di organizzarsi attivamente per bloccare la produzione e la vendita dell'Arrack: a turno effettuavano delle spedizioni punitive: gruppi formati da trenta, quaranta donne si presentavano ai rivenditori e minacciavano: "O chiudi o ti picchiamo"…
… E lo facevano davvero, oltre a saccheggiarli la bottega!!!!
Le altre, rimaste nei campi, si dividevano la paga, badavano ai figli, cucinavano. Erano circa 20.000, la rivolta è andata avanti per più di dieci mesi. Poi la loro protesta si è rivolta contro i funzionari locali che distribuivano le licenze, il governo, fino ad arrivare al primo ministro dello Stato. Usando, come arma di ricatto, la scheda elettorale. Risultato: il governo ha vietato produzione e vendita dell'Arrack.
La cose più importante, comunque, è che queste donne si siano rese conto del loro potere!!!!!.
UNA BATTAGLIA FONDAMENTALE CONTRO L’AIDS
Lungo i viali di Delhi pochi manifesti mostrano una coppia abbracciata e sulle loro teste lo slogan: "Use condom for safe sex". Pare che in India, infatti, vi siano 30 milioni di sieropositivi ma, nonostante questa cifra esorbitante, il governo non considera l'Aids un grave pericolo.
"L'uso del preservativo è estremamente difficile da imporre", spiega Prabeen Singà, un tempo militante in varie associazioni femministe e attualmente consulente per una commissione interministeriale nonché dì diverse Ong, “ 'solo' il 4-5 per cento degli uomini lo usa”.
Eppure sono gli uomini, in India, i principali veicoli del virus in quanto le donne non lasciano mai il loro villaggio, mentre gli uomini vanno a lavorare in città dove hanno rapporti con altre donne.
Come se non bastasse una moglie non può pretendere il preservativo, perché è come ammettere il tradimento del marito. La maggior parte delle donne sieropositive, quindi, viene infettata dal proprio coniuge.
Prabeen, inoltre, rifiuta l'idea che debbano essere solo le donne a sobbarcarsi la responsabilità della lotta all'Aids: "Bisogna assolutamente mobilitare i media, le associazioni, gli uomini per far sì che lo Stato reagisca"… Intanto lei attraversa tutta l'India e, di conferenza in seminario, porta avanti la sua battaglia.
LE ECOLOGISTE:
“la terra è la loro quotidianità e la difendono con le unghie"
L'ecologia è una tradizione indiana. E una realtà femminista.
Vandana Shiva è una scienziata famosa in tutto il mondo per aver portato una nuova visione dei rapporti tra ecologia e femminismo, che sfida tanto le multinazionali del biotech quanto il patriarcato tradizionale: entrambi sono causa della oppressione della donna e della natura in quanto portatrici di vita. Il riscatto delle donne è perciò necessario per l’affermazione di una sensibilità ecologista a livello globale. Alcune sue affermazioni:
“ Dal momento che la donna e la natura sono state entrambe colonizzate, la vera ecologia può essere solo femminista"
“ Il 60% degli agricoltori è costituito da donne. Questi problemi le toccano da vicino. Non solo perché sono loro che vanno a cercare l'acqua,la legna, ma anche perché scelgono le sementi, conservano le granaglie, selezionano le specie"
“ Le donne che partecipano ai movimenti ecologisti in paesi come l’India non stanno parlando semplicemente come vittime.
Le loro sono voci di liberazione e trasformazione… I movimenti femministi ed ecologisti sono primariamente la controtendenza a un malsviluppo patriarcale"
VANDANA SHIVA: fisica quantistica ed economista, dirige il Centro per la Scienza, Tecnologia e Politica delle Risorse Naturali di Dehra Dun in India. È considerata la teorica più nota di una nuova scienza: l'ecologia sociale.
Vandana Shiva è nata nel 1952 a Dehra Dun, nell'India del nord, da una famiglia progressista. Ha studiato nelle università inglesi e americane laureandosi in fisica. Tornata a casa dopo aver terminato gli studi, rimase traumatizzata rivedendo l'Himalaya: aveva lasciato una montagna verde e ricca d'acqua con gente felice, poi era arrivato il cosiddetto "aiuto" della Banca Mondiale con il progetto della costruzione di una grande diga e quella parte dell'Himalaya era diventato un groviglio di strade e di slum, di miseria, di polvere e smog, con gente impoverita non solo materialmente. Decise così di abbandonare la fisica nucleare e di dedicarsi all'ecologia.
Nel 1982 ha fondato nella sua città natale il Centro per la Scienza, Tecnologia e Politica delle Risorse Naturali, un istituto indipendente di ricerca che affronta i più significativi problemi dell'ecologia sociale dei nostri tempi, in stretta collaborazione con le comunità locali e i movimenti sociali. Vandana Shiva fa parte dell'esteso movimento di donne che in Asia, Africa e America Latina critica le politiche di aiuto allo sviluppo attuate dagli organismi internazionali e indica nuove vie alla crescita economica rispettose della cultura delle comunità locali, che rivendicano il valore di modelli di vita diversi dall'economia di mercato. L'incontro con le donne del movimento "Cipko", che abbracciano i tronchi che i tagliatori stanno per abbattere nelle foreste dell'Himalaya, ha permesso a Vandana Shiva di ampliare la comprensione di nessi tra ecologia e femminismo.
Nel suo libro Staying Alive: Women, Ecology and Survival, pubblicato in Italia nel 1990 col titolo Sopravvivere allo sviluppo, la scienziata denuncia le conseguenze disastrose che il cosiddetto "sviluppo" ha portato nel Terzo Mondo. Il danno maggiore prodotto dalla civiltà industriale, secondo Vandana, è stata l'equazione donna-natura e la definizione di entrambe come passive, inerti, materia prima da manipolare. A suo avviso invece "le donne sono le depositarie di un sapere originario, derivato da secoli di familiarità con la terra, un sapere che la scienza moderna baconiana e maschilista ha condannato a morte". Per il patriarcato occidentale la cultura è altro dalla natura, dalla donna e così gli uomini hanno creato uno sviluppo "privo del principio femminile, conservativo, ecologico" e fondato "sullo sfruttamento delle donne e della natura". Nel 1995 ha scritto insieme all'economista tedesca Maria Meis il libro Ecofeminism, dimostrando ancora una volta che donne di culture diverse possono capirsi e lavorare insieme.
(tratto da: http://erewhon.ticonuno.it/riv/societa/shiva/vandana.htm)
Da www.vshiva.net
Navdanya, letteralmente “Nove Semi”, è il movimento di conservazione dei semi e della biodiversità fondato da Vandana Shiva all’interno del Centro per la Scienza, Tecnologia e Politica delle Risorse Naturali, per sostenere l’attivismo ecologista e l’agricoltura sostenibile delle piccole comunità.
I “Nove Semi” rappresentano la risorsa collettiva per la sicurezza alimentare dell’India: lo scopo principale del programma di conservazione delle biodiversità è il supporto ai contadini locali, il recupero e la conservazione delle colture tradizionali minacciate dall’estinzione, rendendole direttamente disponibili ai coltivatori che vogliono sottrarsi alla biopirateria, cioè alle sementi brevettate, agli ogm e ai pesticidi. Navdanya gestisce una propria banca delle sementi e diverse fattorie biologiche a Uttranchal, nell’India del nord.
DWD: Diverse Women for Diversity -Donne diverse per la diversità- è un progetto di Navdanya che vuole essere una campagna delle donne a favore della biodiversità, della diversità culturale e della sicurezza alimentare, dove le diverse voci esprimono le loro idee dal basso, nei movimenti locali, fino alle negoziazioni internazionali, entro una piattaforma comune.
Col passare degli anni DWD ha sviluppato una resistenza nonviolenta e un’opposizione alla globalizzazione, soprattutto contro l’ingegneria genetica e il brevetto sulle forme di vita, e il movimento ha abbracciato donne provenienti da tutto il mondo.
Altri suoi libri tradotti in italiano:
1993
Monoculture della mente. Biodiversità, biotecnologia e agricoltura scientifica.
1999
Biopirateria. Il saccheggio della natura e dei saperi locali.
2001
Vacche sacre e Mucche pazze. Il furto delle riserve alimentari globali.
VERSO UNA SOCIETA’ SENZA FEMMINE?
Alcuni dati demografici
L’India è uno dei pochi paesi al mondo in cui la popolazione femminile è inferiore a quella maschile: non è un caso, ma il prodotto di una concezione retrograda che si serve anche delle moderne tecniche di determinazione del sesso dei feti per portare avanti una discriminazione sessuale che è di fatto discriminazione verso la vita delle donne.
Ogni anno nascono in India tredici milioni di bambine e tre milioni vengono soppresse prima di nascere; un milione e mezzo non conclude il primo anno di vita, 850mila muoiono durante la prima infanzia, perché il cibo migliore e le medicine sono riservati ai figli maschi, che ricevono anche l’allattamento al seno per un periodo più lungo e più spesso vengono vaccinati.
La salute delle donne tende a essere vista soltanto come salute riproduttiva: anche se la mortalità in gravidanza è la seconda più alta del mondo (125mila donne all’anno), è la tubercolosi la prima causa di morte tra le donne, seguita da ustioni e suicidio. Quattro donne su cinque soffrono di anemia.
Le bambine hanno un minore accesso all’istruzione, trascorrono in media 1,2 anni a scuola (contro i 3,5 dei maschi); l’analfabetismo femminile raggiunge punte del 70% nelle zone rurali. Le donne indiane che non sanno leggere né scrivere sono 245 milioni (il 46%).
Il 60% delle donne si sposa entro i diciotto anni.
Un terzo delle prostitute indiane ha meno di 14 anni, e una gran parte fa questo lavoro perché venduta dalla famiglia di origine.
LA RAGAZZA SOPRAVVISSUTA
Il primo matrimonio dopo 110 anni
Nel villaggio di Devra, situato nello stato desertico del Rajastan, si è sposata una ragazza dopo ben 110 anni che ciò non accadeva.
IL motivo è semplice: si tratta della prima ragazza rimasta in vita negli ultimi 110 anni.
Per tutte le altre ragazze del villaggio erano stati presi provvedimenti per fare in modo che non arrivassero all’età del matrimonio: venivano annegate nel latte appena nate, soffocate con un cuscino o più semplicemente alimentate con l’oppio.
Contro queste usanze nessuno finora aveva protestato, neanche le madri, alle quali era stato inculcato fin da bambine che il loro destino sarebbe stato servire il marito e dargli figli maschi.
Il caso di questa ragazza è emerso perché si tratta di un vero colpo di fortuna: quando sua madre era incinta, tornò dai suoi genitori nel villaggio vicino. Quando nacque, la bambina rimase dai nonni e fu lasciata in vita.
All’età di 10 anni la bambina tornò a Devra, il suo arrivo coincise con la conclusione di un importante affare a favore della sua famiglia che, molto superstiziosa, ritenne il suo ritorno di buon auspicio.
Morale: lei è riuscita a rimanere in vita.
Ma viene spontanea la domanda: qualora le nascesse una figlia, sarà altrettanto fortunata?
Nella società indiana non hanno buone possibilità neanche le femmine delle città ritenute progredite.
È vero che i test sulla determinazione del sesso del nascituro e l’aborto per questo motivo sono proibiti, ma il divieto esiste solo sulla carta. Le cliniche private fanno affari d’oro e se il feto è di sesso femminile viene, nella maggior parte dei casi, abortito.
Ultimamente circolano annunci che promettono una probabilità del 70% di avere figli maschi mediante la separazione dei cromosomi x e y nello sperma.
Nessuno si preoccupa delle conseguenze di una selezione del genere e nessuno si preoccupa del fatto che, da anni, la percentuale femminile in India è in continua quanto drastica diminuzione.
Il censimento del 1961 mostrava ancora 972 donne per ogni 1000 uomini, nel 1991 erano scese a 927, negli stati arretrati come Bihar, Uttar Pradesh e Rajastan risultavano essere perfino solo 600 per ogni mille uomini.
A Delhi, la Commissione Della Donna riporta che alle femmine viene negata un’alimentazione sufficiente o le cure mediche adeguate.
Un quarto delle 13 milioni di femmine che nascono ogni anno non raggiunge il 15esimo anno di vita.
Il censimento più recente ha dimostrato che nella capitale indiana il numero delle donne è inferiore di 900.000 unità rispetto a quello degli uomini. Nella fascia di età da 0 a 5 anni si contano 71.000 femmine in meno rispetto ai maschi e la tendenza attuale è verso un ulteriore peggioramento della situazione.
Nella scala di valori indiana le donne continuano a non contare nulla.
Come dice un proverbio: crescere una femmina equivale ad annaffiare il giardino del vicino.
Le violenze sessuali
“Una vecchia legge punisce tutto quanto comprometta l’onore di una donna.” Ma viene applicata in rarissime occasioni. L’associazione Karnika si batte anche contro le violenze sessuali e tenta di imporre una legge. “Di regola, una donna vittima di violenza o molestie sessuali dovrebbe sporgere denuncia al commissariato. Ma si verificano così tanti atti di violenza da parte delle forze dell’ordine che le donne preferiscono non presentarsi…”.
Non si contano più quelle che sono state stuprate venendo a sporgere denuncia. Le donne che scelgono di ottenere giustizia in un’aula di tribunale sanno che dovranno affrontare processi lunghi, costosi e dolorosi. Perché, come del resto accade nel resto del mondo, quando si tratta di stupro spesso il processo si ritorce contro la vittima stessa che deve dimostrare di non aver provocato né di essere stata consenziente. Il Governo indiano ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne il 9 luglio 1993 ed esiste ufficialmente una commissione nazionale per le donne, ma questo pubblico impegno è contraddetto da un sistema giudiziario penale repressivo e sessista.
Le donne attiviste hanno avuto un ruolo importante nel promuovere i diritti umani in India, spesso diventando l’obiettivo di attacchi da parte dello Stato. Durante le manifestazioni le donne sono spesso isolate in modo da poter essere molestate e maltrattate dagli agenti di polizia, e persistono forme di tortura sessuale: oltre allo stupro molte testimoniano di essere state colpite sui genitali in modo da non riportare lividi visibili.
L’esercito indiano stupra le sue vittime:
Testimonianze di giovani ed anziane donne del Kashmir
(articolo tradotto di Majid A. Sirai, 2 giugno 2002, Indymedia India)
In una notte spaventosa il villaggio di Kuan Pushpura fu attaccato da un’unità dell’esercito indiano accampato a circa 10 miglia dal villaggio. Tutti gli uomini del villaggio furono radunati e rinchiusi in una casa disabitata. I soldati avevano bottiglie di alcolici e bevevano, bestemmiavano, urlavano. Erano già stati nel villaggio alla ricerca di ribelli.
I militari spensero le luci e usarono torce per entrare in tutte le case. Quando la carneficina finì, circa 60 donne furono trovate stese nelle loro case in stato d’incoscienza o piangenti d’angoscia e dolore. Erano state violentate. Le vittime erano donne anziane e giovani figlie che ora dovranno convivere con questi problemi per il resto delle loro vite. Presentiamo qui le testimonianze di alcune delle donne che hanno osato uscire allo scoperto.
“Io sono Ziatun, figlia di Abdul Rahim Dar. Era passata la mezzanotte. Mio padre non era in casa. Ho sentito più di 5 soldati entrare nella mia casa e aprire tutte le porte a calci. Son venuti verso di me e si sono avventati sul mio corpo strappandomi tutti i vestiti di dosso. Tirarono fuori delle torce e da quel momento in poi fu un incubo senza fine. Non sono sposata e il mio futuro ora mi appare veramente nero. Non mi riprenderò mai dal trauma. L’esercito indiano cercava militanti. Sapevano che ero innocente.”
“Il mio nome è Nisara. Mio padre Gulam Mohomad è stato portato via da violenti uomini dell’esercito. Siamo due sorelle a vivere al momento in casa. Urlavamo aiuto e allo stesso tempo lottavamo contro il brutale attacco dei soldati che puzzavano di alcool. La stanza era buia e gli uomini dell’esercito accesero delle torce. Entrambe fummo violentate nella stanza e non abbiamo idea di quanti di questi animali siano entrati e usciti dalla casa. Siamo entrambe non sposate.”
“Il mio nome è Atiqa Begam. Ho quattro bambini. Era una notte fredda e scura e noi eravamo tutti a.letto a dormire. Siamo stati svegliati da un gruppo di soldati indiani che entrarono distruggendo la porta. I miei figli che urlavano furono gettati fuori dalla finestra. Saccheggiarono la casa e vennero verso di me con atteggiamenti molto violenti. Io ero semicosciente. Mi molestarono a turno. Non so dire quante persone c’erano nella casa.”
“Sono un’anziana signora. Mi chiamo Lassi Begam. Ho tre figli già grandi. Il più grande è un poliziotto. Mia figlia Saja è sordomuta. Nella notte dell’attacco l’esercito indiano sfondò la mia porta. Mostrai a loro la divisa da poliziotto di mio figlio. A loro non importò e aggredirono me e mia figlia nella maniera più disumana. Non ho mai visto niente del genere in sessant’anni di vita. Continuavo ad urlare: Dov’è il nostro GOVERNO?”
“Sono Raja Begam. Mio marito andò ad aprire la porta. Non ritornò e pochi minuti dopo un gruppo di militari entrò nella camera da letto spaccando la porta, brandendo armi e bottiglie. Eravamo terrorizzati ed urlavamo. I miei figli furono zittiti con le mani sulla bocca e i vestiti mi furono strappati via. Fui gettata per terra e battei la testa sul pavimento. Fui violentata da tutti gli uomini presenti nella stanza. Sentivo, mentre perdevo i sensi, le risate e le grida rumorose degli uomini. Non mi sono mai più ripresa.”
“Il mio nome è Munira. Mio padre è Juma Shiekh. Ho due figlie. Quella notte fu come un incubo terribile.” - Scoppia in lacrime –
“Sono Halima Begam. Mio marito Gulam Rasul era via. Ho sentito degli scompigli nel villaggio in tarda notte. Sentii uno spaventoso rumore vicino a casa mia e tutte le porte vennero distrutte. Loro mi parlavano ad alta voce. Non ho studiato, non riesco a decifrare cosa dicevano o volevano. La cosa seguente la so: si fondarono su di me come avvoltoi e mi molestarono. Credevo di morire. Io e mio marito siamo sconvolti.”
“Sono Rahimi Begam. Ero sola in casa. Ero pietrificata quando irruppero nella mia piccola casa. Li supplicai di non picchiarmi, sono solo una povera donna. Sono innocente. Loro bevvero dalle loro bottiglie e mi picchiarono…ero terra e poco dopo realizzai che stavano abusando di me. Volevo morire. Li pregai nella mia lingua, piangevo. Tutto ciò non aveva effetto. Ho contato un centinaio di persone nella mia casa, su di me, mi soffocavano e mi molestavano. Fui abbandonata in coma.”
“Il mio nome è Jana Begam la vedova di Lassa Dar. Ho due figli. Stavo dormendo nella mia stanza con mia nuora. Siamo state svegliate da forti rumori che provenivano dall’esterno. Improvvisamente la porta fu spalancata a calci. Eravamo di fronte ad un mucchio di soldati indiani, violenti ed ubriachi. Brandivano bottiglie e ci minacciavano con le loro pistole. Non sapevamo cosa dire. Ci hanno prese, buttate sul pavimento ed assalite entrambe. Questa è stata l’esperienza più degradante della mia vita. Volevo morire. Perché, mi chiesi, queste persone vengono ad attaccarci? Sapevo che cercavano militanti. Noi siamo persone innocenti, povere e viviamo una vita ritirata in questa remota parte del mondo. Sono ancora sotto shock e non mi rimetterò mai.”
“Sono Shahmal. Sono madre di 4 bambini e quella notte ero sola in casa. Stavamo dormendo tutti quando l’attacco dei militari ci ha svegliato. Urlavamo tutti spaventati. Mi strapparono i vestiti e in presenza dei miei figli mi buttarono a terra e mi molestarono.”
“Sono Jamila. Io e mio marito e i nostri 3 bambini stavamo dormendo. Doveva essere mezzanotte quando portarono via mio marito e mi violentarono di fronte ai miei figli.”
“Io sono Zaina Begam moglie di Jabbar Dar. Mio marito fu preso picchiato e portato via. Loro tornarono, saccheggiarono la casa, fecero un gran baccano e bevvero dalle loro bottiglie. Mi colpirono duramente. Ero incosciente. C’era molta confusione nel villaggio. Pensavamo che fosse la fine per tutti noi. La polizia arrivò il giorno dopo e prese alcune testimonianze. Non è stato fatto niente.”
“Il mio nome è Zarina Begam. Mio marito era via e i miei 5 figli dormivano. Erano circa le 3 del mattino quando 2 soldati indiani irruppero nella mia camera da letto. Fui imbavagliata , picchiata e violentata. Le mie urla svegliarono i bambini che vennero in mio soccorso. Furono rinchiusi a calci in un’altra stanza. Il mio corpo era coperto di ferite.”
“Sono Sara Begam moglie del deposto Abdul Ahad. Era mezzanotte. Aprii alla porta. Mi affrontarono 3 uomini che urlavano “Mani in alto” in Hindi. Protestai che ero sola e non c’erano militanti a casa mia. Mi presero per i capelli e mi strapparono i vestiti. Cosa avevo fatto? “Abbiamo ricevuto ordini dai nostri superiori di fare ciò.” Erano violenti, ubriachi ed erano animali. La notte fu una dura prova.”
“Sono Bakhti Begam. Mio marito faceva il sarto al villaggio. Quella notte è morto. Buttarono giù la porta a calci. Trascinarono mio marito fuori e mi violentarono. Eravamo terrorizzati e tentammo di divincolarci, ma ci picchiarono e ci gettarono sul pavimento. Il resto non si può raccontare.”
“Il mio nome è Zooni Begam. Mio marito Gulam Mohoamd Dar fu portato via da un gruppo dell’esercito indiano nel mezzo della notte. Erano già venuti prima ma non avevano trovato armi né tantomeno militanti. Questa volta vennero di notte, di sorpresa e con uno sguardo molto arrabbiato. Mi presero i vestiti, li fecero a pezzi e l’intera banda si accomodò su di me. Soffocavo. Non riuscivo a respirare. In seguito fu come se un terremoto ci distruggesse. Non sono riuscita a superare questa prova e mai ce la farò.”
Gli uomini del villaggio furono circondati, picchiati e rinchiusi mentre le loro case venivano saccheggiate e le loro donne stuprate. “Perché ci trattate così?” chiedevano. “Abbiamo ricevuto ordini di violentare le vostre mogli e distruggere il villaggio.” I militari lasciarono l’intero villaggio disseminato di bottiglie vuote. Si comportarono come animali. C’erano degli ufficiali con loro, perché avevano le mostrine sulle uniformi.
“Sono il fratello del capo del villaggio. Il mio nome è Abdul Ahad Shiekh. L’unità dell’esercito era accampata a circa 10 miglia da Kunan Pushpora. Questa era la sesta volta che il villaggio veniva attaccato. In passato ci hanno allineati sulla strada, perquisiti indistintamente uomini donne bambini poi perquisito le nostre case, le stalle e i magazzini alla ricerca di armi e di militanti. Non hanno mai trovato nulla. Ora hanno distrutto l’intero villaggio.”
“Sono nella forza di polizia di stato. Ero in servizio quando il mio ufficiale mi informò che dovevo rientrare a casa perché la mia famiglia aveva dei problemi. Arrivai e scopri che mia sorella era stata violentata dall’esercito. Le persone ancora vengono a porgere denuncia ad un mese dall’evento. La mattina dopo la carneficina c’erano circa 60 donne che giacevano senza aiuto, urlando, sotto shock e angosciate. Le vittime sia giovani che vecchie soffriranno di devastanti conseguenze.”
“L’ESERCITO INDIANO CI STUPRA”
La rivolta delle donne del Manipur
Nel luglio 2004 alcune centinaia di donne hanno assaltato il quartier generale delle forze armate di Imphal, capitale della regione di Manipur, nel nord-est indiano, per manifestare contro lo stupro, tortura e omicidio di Thanjam Manorama, compiuti da soldati del corpo paramilitare Assam Rifles il 10 luglio 2004.
Dopo aver indetto uno sciopero generale della produzione, hanno sfilato nude davanti agli uffici degli Assam Rifles sventolando grandi striscioni che dicevano: “L’ESERCITO INDIANO CI STUPRA”, “L’ESERCITO INDIANO PRENDE I NOSTRI CORPI”, “STUPRATECI COME AVETE FATTO CON MANORAMA”.
Gruppi di donne attiviste hanno indetto uno sciopero generale di 48 ore, al quale le autorità hanno risposto con il coprifuoco a tempo indeterminato: le donne lo hanno ignorato continuando a manifestare, e sono state attaccate con gas lacrimogeni, getti di idrante e pallottole di gomma.
Le proteste si sono susseguite per diversi giorni, coinvolgendo l’intera cittadinanza: ci sono stati anche blocchi stradali e proteste studentesche.
Manorama, accusata di legami con i separatisti ribelli, era stata prelevata da casa sua ai primi di luglio, e ritrovata senza vita qualche ora dopo a breve distanza dal villaggio. L’autopsia ha rivelato che le erano stati sparati più colpi da distanza ravvicinata, diversi dei quali ai genitali: un orrore che ormai è la prassi per impedire qualsiasi indagine di stupro. In virtù di diverse leggi speciali per la sicurezza le forze dell’ordine godono di impunità per gli abusi commessi, e dagli anni ottanta si sono verificati migliaia di casi di detenzione arbitraria, tortura, stupro e saccheggio da parte di personale militare.
Secondo varie organizzazioni per i diritti umani la legge per i poteri speciali delle forze armate (AFSPA), ereditata dall’impero coloniale britannico ed estesa gradualmente alle sette province del nord-est, viola la costituzione indiana e diversi trattati internazionali, e non è stata utile a spegnere i movimenti separatisti che anzi, dalla sua entrata in vigore non hanno fatto che aumentare. In Manipur, per esempio, sono nati 19 gruppi separatisti, e perfino il governo centrale conferma con ulteriori dati gli abusi delle forze armate, che in questa insurrezione hanno causato la morte di 10mila persone.
Un’altra legge speciale “contro il terrorismo”, la POTA, entrata in vigore nell’ottobre 2001, conferisce alla polizia ampi poteri in materia di arresto e prevede un periodo di detenzione senza accusa e processo fino a sei mesi per i sospettati di attività politiche sovversive; inoltre ha esteso la pena di morte per i fatti di sangue legati al terrorismo e in alcuni casi è stata applicata anche in assenza di prove.
L’India mantiene la pena di morte e sia il parlamento che il governo federale hanno espresso parere favorevole alla sua estensione per i crimini di stupro. La maggior parte delle associazioni femministe, pur desiderando un inasprimento delle pene per questi reati, si sono dichiarate contrarie a questo tipo di condanna.
notizia apparsa su:
www.onworld.net, articolo di Syed Zarir Houssain
www.countercorrents.org, articolo di Satya Sagar
www.donneinviaggio.it, articolo di Stefania Francini
AGISCI !!!
Scrivi al capo ministro di Manipur:
"Urge che il rapporto della commissione ufficiale sull'esecuzione extragiudiziale e il rapimento di Thangjiam Manorama Devi da parte dell 'Assam Rifles sia seguito dal Ministro degli affari interni a Dheli come ordinato dall 'High Court di Guwahti nel giugno 2005."
*Spedire una copia della lettera al ministro degli affari interni.
Scrivere anche al ministro degli affari interni a Dheli:
"Riconoscere l'obbligo del governo indiano sull'applicazione della legge internazionale sui diritti umani che protegge la popolazione dagli atti criminali violenti includendo i gruppi armati e sottolineare che l 'Atto del 1958 sui poteri speciali facilitano gli abusi sulla popolazione nelle zone occupate dall'esercito."
"Riconoscere e condannare gli abusi sui diritti umani da parte dei gruppi armati"
"Richiedere al governo indiano l'abrogazione dell'Atto come materia d'urgenza per prevenire la violazione dei diritti umani dalle forze di sicurezza e dai gruppi armati"
*Spedire una copia della lettera al capo minstro a Manipur.
INDIRIZZI
Okram Ibobi Singh
Chief Minister of Manipur
Chief Minister's Secretariat Imphal
Manipur
India
FAX:0091 385 2221398
Shivraj Patil
Minister for Home Affairs
Office of the Minister for Home Affairs
Ministry of Home Affairs
North Block
Central Secretariat
New Delhi 110 001
India
FAX:0091 11 23094221
Se ricevi risposta alla tua lettera sei pregata/o di farcelo sapere:
India Country Action Programme- Amnesty International UK, Human Rights Action Centre, 17-25 New Inn Yard, London EC2A 3EA
Da www.amnesty.org.uk
IL MOVIMENTO FEMMINILE IN INDIA: UNA SILENZIOSA RIVOLUZIONE
Le prime associazioni femminili in India nascono all'inizio del ventesimo secolo, quando le donne della classe media cominciano a prendere coscienza di sé col duplice scopo di appoggiare il movimento per l'indipendenza e di migliorare il proprio status sociale, nella convinzione che solo nell'India libera esse avrebbero potuto lottare per una vera emancipazione.
Fino al 1947 il movimento femminile si sviluppa contemporaneamente a quello per l'indipendenza dal dominio britannico.
È alla luce dell' apertura in favore delle donne, iniziata già nel diciannovesimo secolo dal movimento di riforma (leggi contro l'immolazione delle vedove, i matrimoni prematuri, l'infanticidio delle bambine), che le donne indiane impugnarono la propria causa e lottarono per la conquista di importanti diritti come l'accesso all'educazione, il diritto di voto (ottenuto nel 1931) e la partecipazione attiva alla vita pubblica e politica.
La costituzione del 1947, frutto della lotta per l'indipendenza a cui parteciparono in misura uguale donne e uomini, si proponeva di garantire uguaglianza e parità sociale e tra il 1950 e il 1956 atti legislativi speciali riformarono le leggi matrimoniali, stabilirono il divorzio, l'adozione e il diritto di eredità per le vedove.
Furono create strutture governative e dipartimenti speciali incaricati di stilare programmi in favore delle donne e le organizzazioni femminili furono invitate a partecipare ai lavori per i piani quinquennali e si impegnarono nella costruzione della nuova nazione; tuttavia gli sforzi erano indirizzati più che altro all'ottenimento dei diritti basilari senza toccare il nodo fondamentale della trasformazione del ruolo tradizionale della donna all'interno della famiglia e della società, indispensabile invece per la conquista della consapevolezza e dei pieni diritti delle donne.
Infatti, fino ad allora, il movimento era stato in gran parte guidato dagli uomini e le donne accettavano e consideravano normali i ruoli tradizionali.
Solo negli anni Sessanta iniziò ad emergere una prospettiva dinamica e nuova della lotta che si basava su un miglioramento effettivo, sociale ed economico, a livello pan-indiano.
Le donne indiane formarono gruppi anche all'esterno dei partiti e appoggiarono campagne e movimenti contro l'aumento dei prezzi, per il diritto di proprietà della terra ai contadini e per le questioni ambientali tanto che l'allora primo ministro Indira Gandhi dichiarò lo stato di emergenza e sospese momentaneamente le azioni degli attivisti e delle attiviste.
Il Rapporto sulla condizione femminile del 1975 affermò che lo status della donna in India era addirittura peggiorato, le donne erano ancora oppresse dal sistema patriarcale, le leggi sociali erano sconosciute per molte di esse e l'indipendenza economica era ancora un miraggio, ma questa situazione diede un ulteriore forte impulso alla lotta e riportò le tematiche femminili all'interno dell'agenda politica.
Il movimento femminile contemporaneo si sviluppa nei primi anni Ottanta ed è caratterizzato dalla formazione di gruppi autonomi capeggiati da donne con alle spalle una maturata esperienza politica e non più strutturati in maniera formale e pan-indiana, dalla nascita della stampa femminista e dalla presenza di donne provenienti da ogni tipo di casta, classe, area urbana o rurale.
Le donne indirizzarono le proteste contro gli abusi, le violenze domestiche, le morti per dote ,avviando un periodo di apprendimento e di crescita della consapevolezza del fatto che il problema non risiedeva tanto nella riforma delle leggi (vari cambiamenti ed emendamenti del periodo alle leggi già esistenti sulla dote e sulle violenze),quanto nel risveglio e nel cambiamento culturale dell'India tutta e nella prevenzione degli abusi e difesa delle vittime da parte delle associazioni femminili e del governo mediante strutture di supporto e centri di consulenza legale, manifestazioni di massa sulle strade contro le morti per dote, le immolazioni, l'infanticidio delle bambine.
Recentemente l'impatto esplosivo del movimento femminile degli anni Ottanta si è un po’ affievolito ma questo non significa che il movimento stia morendo o sia stato un insuccesso perché è invece sempre più ricco ,presente in ogni parte della nazione e quindi frammentato, pieno di nuove voci tra cui quelle delle donne intoccabili, musulmane, cristiane e tribali, caratteristica che è proprio il suo punto di forza.
Inoltre alcuni gruppi si battono contro le discriminazioni sessuali come l'aborto selettivo dei feti collaborando con il governo per la stesura di leggi appropriate, altri aiutano economicamente le donne attraverso strumenti anti-povertà come il microcredito per uno sviluppo socio economico effettivo e allargato e questi ultimi decenni di lotte hanno portato all'introduzione della riserva del 33 per cento di seggi alle donne alle elezioni locali, poteri che esse hanno dimostrato di saper usare per il bene della società in generale e per la loro causa in particolare.
L'India è un paese dalle mille risorse ma pieno di contraddizioni, infatti le donne indiane sono tra le più oppresse al mondo, vittime delle più atroci violenze e discriminazioni sessuali, ma dall'altro sono tra le più "liberate", autonome e evolute, impegnate in ogni tipo di professione fino alla gestione dei campi e della terra.
Questo a ricordare che la strada da percorrere per la vera emancipazione è ancora lunga (come del resto in ogni parte del mondo), ma non si possono ignorare le vittorie del passato poiché dalla nascita del movimento femminile fino ad oggi un risveglio è iniziato e la silenziosa rivoluzione continua a esistere!
Da Speciale Donne Asiatiche "Una silenziosa rivoluzione" di Laura Ancarani