FORTEZZA EUROPA
"Non passa lo straniero!": la "fortezza Italia" dalla Legge Turco-Napolitano al progetto Bossi-Fini in materia d'immigrazione

Massimiliano D'Alessio
Gaetano Raffa
Claudio Frugoni
Nicola Coccia

Marco - Prenderemo in considerazione il problema dei migranti dal punto di vista sia dei provvedimenti del governo di centrosinistra (Legge "Turco-Napolitano") sia dei nuovi provvedimenti che vanno sotto il nome di Legge "Bossi-Fini": con tutto quello che ne consegue sia sulla vita delle persone sia - come gli avvocati ci spiegheranno - sul piano tecnico.

Nicola Coccia - Questa sera cercheremo di inquadrare il provvedimento di riforma in materia di immigrazione - il disegno Bossi-Fini, che in questo momento è all'esame della Commissione affari costituzionali del senato e che dovrebbe essere di imminente approvazione - nell'ambito della politica in materia di immigrazione in Italia e soprattutto nel contesto europeo. E' molto vicino il momento in cui dovrebbero entrare in vigore una serie di direttive comunitarie; vedremo se e come muteranno il quadro tratteggiato dalla "Turco-Napolitano" prima e dalla "Bossi-Fini" poi.

Partiamo dal considerare i possibili canali di immigrazione, che principalmente sono:
- l'accesso per motivi economici;
- l'ingresso in Europa e in Italia con forme di "protezione", quindi attraverso il riconoscimento del diritto di asilo o anche altri istituti. Ad esempio il cd. Duldung in Germania, forma di protezione consistente nel semplice divieto di espulsione, senza un vero e proprio permesso: una tolleranza, diciamo, all'interno del territorio; un divieto di espulsione, però con limitatissime possibilità di lavoro e in pratica anche di sopravvivenza. Questo fa parte di un coacervo di regole europee molto differenziate. Per quanto riguarda l'Italia, pur essendo previsto nella Costituzione il diritto di asilo, oggi, a parecchi anni di distanza dalla entrata in vigore della Carta costituzionale, una legge attuativa di questo diritto in effetti non c'è;
- altro canale di possibile ingresso in Europa e in Italia è quello dei ricongiungimenti familiari.

Quindi, di fatto, i canali principali sono tre: accesso per motivi di lavoro, forme di protezione come l'asilo e ricongiungimenti. Bisogna premettere tra l'altro che oggi in Europa c'è molto squilibrio tra le politiche di immigrazione.
L'impressione complessiva è che si voglia oggi rafforzare il "bastione meridionale" (chiamiamolo così, perchè nel titolo abbiamo parlato di "fortezza Europa"): quello costituito da Italia, Grecia e Spagna, i tre paesi in Europa che hanno fissato tetti massimi di immigrazione. Negli altri paesi europei, tranne forse l'Austria, non mi risulta che ci sia questa politica di contingentamento.

Ora, il disegno "Bossi-Fini" inasprisce sensibilmente la disciplina, limitando ulteriormente le possibilità di ingresso regolare in Italia. Non che in precedenza attraverso la "Turco-Napolitano" tale possibilità fosse molto estesa. Fatto sta che c'è una sostanziale chiusura dei canali d'ingresso regolari. Una chiusura che si estrinseca attraverso una serie di provvedimenti.
Io mi occuperò in questo intervento sinteticamente, soprattutto, della possibilità di ingresso per motivi di lavoro.

Il primo dato che balza all'occhio scorrendo questo disegno è l'introduzione, non solo lessicale, del cosiddetto "contratto di soggiorno", che per l'appunto dal punto di vista lessicale dichiara lo strettissimo legame tra permesso di soggiorno e lavoro. Non ci sono più il permesso di soggiorno da una parte e il contratto di lavoro dall'altra, ma viene di fatto unificato in un unico provvedimento l'atto autorizzativo sia del soggiorno in Italia sia del lavoro, con la sottolineatura non solo lessicale di come l'ingresso dello straniero sia essenzialmente legato, vincolato al suo posto di lavoro.

Viene abolita per di più una norma della legge Turco-Napolitano che, per quanto con numeri esigui, consentiva l'ingresso in Italia per la ricerca di lavoro. Non avendo già un posto di lavoro all'arrivo in Italia, tramite la garanzia di un cosiddetto sponsor (che poteva essere un privato o un'associazione), si poteva rimanere in Italia per un certo periodo proprio per cercare lavoro, trovato il quale si poteva permanere stabilmente.
Questa possibilità di ingresso viene abolita e il contratto di soggiorno consentirebbe l'ingresso in Italia soltanto previa chiamata nominativa dall'estero. Cioè il datore di lavoro deve chiamare nominativamente il lavoratore dall'estero e farlo entrare avendo ricevuto l'autorizzazione a farlo lavorare alle condizioni previste da questo contratto di soggiorno. Il datore di lavoro dovrebbe garantire con questa chiamata nominativa non soltanto la sistemazione alloggiativa del lavoratore, ma anche (di fatto garantire allo Stato) il pagamento delle spese di rientro al paese di provenienza in caso di cessazione del permesso di soggiorno.

Niente cambia per quanto riguarda la durata del soggiorno, perchè già la legge Turco-Napolitano prevedeva 2 anni, e tale durata non cambia. Viene però ridotta la possibilità di ottenere il rinnovo: la legge "Turco-Napolitano", dopo i primi 2 anni, consentiva un rinnovo di 4; in questo caso invece il limite viene bloccato ai 2 anni, quindi in sede di rinnovo c'è un dimezzamento della possibilità di permanenza.
Allo stesso tempo, sempre per sottolineare il legame molto stretto che si vuole stabilire tra ingresso e lavoro, nel caso di perdita del posto di lavoro c'è un dimezzamento dei tempi di possibile permanenza in Italia. Fino ad oggi era prevista la possibilità di rimanere per 1 anno iscritti alle liste di collocamento; con il disegno e con le normative previste nel decreto "Bossi- Fini" la possibilità di rimanere iscritti al collocamento in caso di perdita del posto di lavoro viene dimezzata e portata a 6 mesi.
Contemporaneamente, si anticipa il momento in cui lo straniero, all'atto della richiesta di rinnovo, deve portare i documenti in questura: 90 giorni prima della scadenza del permesso.
Incrociando queste disposizioni, le possibilità di permanenza in caso di perdita del lavoro diventano molto esigue (se resto senza lavoro posso fermarmi per 6 mesi, ma devo dimostrare di avere un'occupazione 3 mesi prima della scadenzaƒ), il che rende di fatto estremamente ricattabile il lavoratore straniero, che, in caso di perdita del posto di lavoro, rischia di essere licenziato non dall'azienda ma dall'Italia.
Qui tutto si vuole fare salvo enfatizzare la legge Turco-Napolitano, che era già una legge di chiusura che per molti aspetti segnava la creazione di una barriera verso il Sud del Mediterraneo. Ora, ripeto, viene ulteriormente smantellata in quei piccoli punti di apertura che consentivano una politica diversa da quella incentrata sulla chiamata nominativa dall'estero e sul legame (catena e palla al piede per lo straniero) al posto di lavoro. Questo, tra l'altro, potrebbe comportare un grosso problema di clandestinità cosiddetta "di ritorno". C'è gente cioè che è regolare in Italia da parecchi anni e che rischia, attraverso le regole del decreto "Bossi-Fini", di ridiventare precaria e dover uscire dall'Italia - ripeto - anche dopo lunghi periodi di regolarità. Questo è un altro aspetto che bisogna sottolineare.
Tornando al meccanismo dell'ingresso per lavoro, punto centrale della vecchia e della nuova normativa è proprio la limitazione delle entrate regolari alla richiesta nominativa dall'estero da parte del datore di lavoro. Ci sono considerazioni da fare in merito, prima ancora che politiche, di buon senso. Molta parte dei lavoratori stranieri che sono in Italia lavora nell'assistenza agli anziani, ci sono le colf, ci sono moltissimi lavoratori in aziende artigiane: pensare che per queste tipologie di lavori qualcuno vada a fare una richiesta nominativa in un paese straniero per una persona che non ha mai visto è un po' difficile da immaginare. Per non dir altro ... Queste regole comunque vigevano in Italia anche anteriormente alla "Turco-Napolitano" e non hanno funzionato, producendo moltissima clandestinità.

Oggi, per di più, la chiamata nominativa dall'estero non basta, se non viene prima dimostrato (poi vedremo come sarà possibile) che quel posto di lavoro non è appetibile per lavoratori italiani (e comunitari, perchè all'interno della Comunità non vi può essere discriminazione tra italiani e cittadini di altri paesi della Comunità europea).
Nel momento stesso in cui si dice allo straniero: "Non puoi venire in Italia senza avere prima il permesso di lavoro, ma per avere il permesso di lavoro devi avere il contratto di lavoro", si stabilisce che si debba prima verificare che nel mercato italiano quel posto non sia appetibile per altri.
Nel cosiddetto decreto flussi (che dovrebbe stabilire per ogni tipo di permesso di soggiorno quanti stranieri possono entrare) si fissa inoltre una quota di riserva per oriundi italiani, con una norma di stampo tipicamente razziale. Francamente non si capisce - neanche all'interno di una logica esasperata di mercato, se non su una base di "omogeneità di cultura", chiamiamola così - come mai dovrebbe esserci questo ulteriore diritto di preferenza per lavoratori di origine italiana che sono all'estero.
Il fatto è che abolizione del permesso per ricerca di lavoro, diminuzione della durata del rinnovo, riduzione del soggiorno in caso di disoccupazione, prelazione agli italiani, preferenza nei flussi a cittadini di paesi extraeuropei "compatibili", esprimono complessivamente una politica rozza e di chiusura.
Si noti che così come si vogliono inaridire i canali di ingresso, si rende più difficile la permanenza stabile allo straniero. Della riduzione di durata del rinnovo abbiamo già detto. Le norme finora prevedevano che, dopo un soggiorno regolare di 5 anni, si avesse la possibilità di ottenere la carta di soggiorno (una sorta di permesso di soggiorno a tempo indeterminato). Ora questi 5 anni verrebbero elevati a 6; non si capisce sulla base di quale ragionamento e scopo se non quello, ripeto, di ostacolare la permanenza. Insomma, un sistema rigido che non consente l'ingresso ed ostacola la permanenza regolare, con la conseguenza di aumentare la cifra della clandestinità.
L'Italia è diventato un paese di immigrazione - si può dire - non da tantissimi anni. La prima normativa (non organica) è del 1986. Emerge con una certa chiarezza che man mano che aumenta la rigidità nelle possibilità di ingresso e permanenza non diminuiscono i flussi, ma aumenta la clandestinità. I flussi rimangono invariati e aumenta il numero dei clandestini.
E' un modello che, secondo me, è concepito in maniera assolutamente non casuale. Se si persegue scientemente l'inaridimento dei canali di ingresso regolare e non si può non sapere che ciò comporta la permanenza di un alto numero di clandestini. Evidentemente si vuole la clandestinità, perchè essa dà completa mano libera sul mercato del lavoro e consente di avere quel che si può definire un esercito di riservisti a bassissimo costo, che sono di fatto invisibili e impossibilitati a rivendicare diritti sul posto di lavoro o altrove. Rappresentano una massa estremamente manovrabile, che può essere utile anche per abbassare la possibilità di rivendicazione da parte dei lavoratori regolari o di quelli italiani. Una massa cui si chiede di essere assolutamente flessibile, proprio mentre nella normativa, dal punto di vista formale (requisiti di ingresso e permanenza), le si chiede di essere assolutamente stabile.
Nel momento stesso in cui il governo smantella con il cd. Libro bianco la maggior parte degli istituti del diritto del lavoro invocando la flessibilità, questi lavoratori dovrebbero invece essere stabili, perchè se perdono il posto di lavoro tornano a casa.
Per di più si trata di persone su cui l'autorità amministrativa esercita un'assoluta discrezionalità. Pensate che, per esempio, alcune questure avevano interpretato il presupposto dei 5 anni di "permanenza regolare" in Italia necessari per ottenere la carta di soggiorno, come 5 anni "di lavoro ininterrotto". Facevamo prima un accenno al Libro bianco, ma anche senza riforma del mercato del lavoro è difficilissimo trovare un lavoratore italiano che oggi, tra lavoro interinale, lavoro a termine e tutte le altre forme più balzane (adesso c'è anche il lavoro intermittente nel Libro bianco di Maroni) possa lavorare ininterrottamente nello stesso posto.
Se questo è - sommariamente - il quadro, vorrei sottolineare che a mio parere il problema non è costituito solo da Bossi e Fini. Occorre infatti cercare di capire (e questo è un po' il punto centrale del mio intervento) cosa sta attrezzando l'Europa, perchè la politica italiana sull'immigrazione che, di primo acchito, appare così barbara, è perfettamente inserita nell'alveo di quella europea.
Ho cercato di leggere attentamente la proposta di direttiva che il Consiglio della Comunità Europea dovrebbe approvare a breve, e che dovrebbe diventare precettiva per tutti gli Stati che fanno parte della Comunità entro il 1Á gennaio 2004, quindi non in un arco di tempo lunghissimo. Per la verità ho scoperto che la gran parte delle proposte di Bossi e Fini sono mutuate dall'impianto normativo che fa parte di questa proposta di direttiva (nÁ 386 del 2001, presentata a luglio di quest'anno).
Per esempio il principio per il quale "un posto di lavoro può essere occupato da un lavoratore extracomunitario soltanto dopo un'attenta valutazione del mercato del lavoro interno" (cito testualmente) è contenuto nell'articolo 6 di questa proposta di direttiva, che chiede agli Stati nazionali di pubblicare in una sorta di bollettino europeo le offerte di lavoro, in modo che, se entro 4 settimane non c'è nessun europeo a farsi avanti, il posto possa essere concesso finalmente al lavoratore straniero (a meno che il datore di lavoro non sia disposto a versare una somma supplementare, perchè se questi è disposto a pagare lo straniero di più, allora si considera raggiunta la prova che sul mercato interno non ci sono lavoratori disponibili ad assumere quel posto).
Allo stesso tempo, la proposta di direttiva comunitaria prevede che si possa essere ammessi per lavoro autonomo soltanto se c'è una prova degli effetti benefici e della necessità economica di questo ingresso sul mercato interno. Quindi, per potere entrare in Italia o in Europa, l'imprenditore straniero, o comunque il lavoratore autonomo, dovrebbero (adesso non si sa attraverso quale meccanismo) produrre effetti benefici sul nostro mercato interno.
Allo stesso tempo, il principio per cui c'è un unico atto amministrativo che sintetizza permesso di lavoro e permesso di soggiorno è previsto nella direttiva della Comunità Europea: l'articolo 2 prevede proprio che vi sia un unico atto che autorizza al lavoro e al soggiorno. E dice anche di più, dice che lo Stato dovrebbe farsi pagare per il servizio prestato concedendo il permesso di soggiorno e di lavoro, con cifre che verrebbero stabilite dai vari Stati nazionali. E' una proposta che in Italia ha fatto il leghista Calderoli, il quale chiedeva che venisse imposta una tassa di 1 milione all'anno per il permesso di soggiorno. Nel momento in cui è stata resa nota e girata su Internet, ho letto commenti sarcastici, ma francamente, essa incarna - per quanto nel modo più rozzo - lo spirito della Comunità Europea.
Tutte queste proposte di direttiva nascono dagli incontri svoltisi a Tampere, in Finlandia, dove è stato architettato questo meccanismo per rendere di fatto impossibile l'immigrazione regolare.
La proposta di direttiva prevede che i singoli Stati possano stabilire tetti massimi e che la domanda d'ingresso di regola debba essere effettuata dall'estero attraverso le rappresentanze consolari. Quindi, definendo un sistema di ingresso soltanto previa chiamata nominativa, stabilisce che il permesso di soggiorno possa avere una durata massima di 3 anni (dunque i 2 anni previsti dalla "Turco-Napolitano" prima e dalla "Bossi-Fini" poi stanno perfettamente all'interno di queste regole). Inoltre stabilisce una sorta di regionalizzazione - chiamiamola così - del lavoratore straniero: vivaddio, lo abbiamo fatto entrare, inchiodiamolo al posto di lavoro.
Siccome per entrare dobbiamo dimostrare che non ci sono lavoratori italiani o europei che possano occupare quel posto, una volta che il lavoratore straniero l'ha occupato mica potrà andare in giro, sarà vincolato a quell'attività professionale, quindi non a quel datore di lavoro ma a quell'ambito per il quale gli è stato dato il permesso: se fa il metalmeccanico, vorrà mica rincorrere magari qualche posto più appetibile, continui a fare per tutta la vita il metalmeccanico; non pensi, se viene in Toscana, poi dopo di andare in Sicilia, perchè il clima è più mite.
L'articolo 9 di questa proposta di direttiva afferma che i cambiamenti devono essere autorizzati, non viene specificato da chi, ma nella proposta "Bossi-Fini" si stabilisce che la gestione amministrativa dei rapporti di lavoro dello straniero venga sottratta agli uffici periferici del ministero del Lavoro, quindi dagli Uffici del Lavoro (a Milano dall'ufficio di via Lepetit), venendo accentrata in un nuovo ufficio da istituirsi presso la prefettura. Anche questo non è secondario, anche solo sul piano, come dire, dell'immaginario. Le stesse direttive prevedono che nel momento in cui lo straniero dovesse perdere il lavoro, di fatto abbia una possibilità per un periodo brevissimo di trovarne un altro prima di essere fuori dello Stato in cui ha avuto il permesso di ingresso. Prevedono regole ancora più rigide di quelle che vedevamo nella "Bossi-Fini": non più la possibilità di rimanere iscritti al collocamento per 6 mesi, ma solo per 3 mesi (permessi di durata fino a 2 anni) e per 6 mesi (permessi e con permanenza di lavoro per un periodo superiore).
Allo stesso tempo, parlando invece del meccanismo dei ricongiungimenti, - un altro dei possibili canali di ingresso - il decreto "Bossi-Fini" stabilisce una restrizione altamente significativa, perchè restringe la possibilità di chiedere il ricongiungimento familiare al coniuge e ai figli minori a carico. Di fatto si abroga la facoltà di chiamare gli ascendenti - preclusa se non si dimostra che al paese di origine non c'è nessuno che possa badare loro - ed i parenti entro il terzo grado inabili al lavoro, categorie per le quali era possibile il ricongiungimento familiare con la "Turco-Napolitano".
Ancora una volta questi princìpi non sono solo farina del sacco della Lega, di Alleanza Nazionale, di Forza Italia, ma sono espressi anche in una direttiva della Comunità Europea, la 624 del 2000, che prevede esattamente questi stessi princìpi, e quindi apparecchia una politica dell'immigrazione che poi in Italia i fascisti attuano, ma che è concordata a livello comunitario da Prodi e compagnia.
Lo straniero è solo manodopera a basso costo: viene qui, in Europa, e deve costare il meno possibile; se poi non ci serve, perde il posto di lavoro e torna a casa. Sotto altro punto di vista però, lo straniero, visto che deve essere così flessibile e vivere in condizioni così risicate, rappresenterà presumibilmente anche un problema di ordine pubblicoƒ Claudio Frugoni e Massimiliano D'Alessio ci daranno uno specchio di quella che è la politica in materia di espulsioni, molto significativa (e non soltanto sul piano simbolico), in un impianto normativo basato su di un importante aumento dei poteri discrezionali di polizia e dell'autorità amministrativa.
A me venivano in mente due esempi che volevo segnalarvi. Il primo è quello della possibilità di revoca del permesso stagionale, laddove il decreto "Bossi-Fini" prevede la possibilità di avere un permesso per lavoratori che vengano stagionalmente in Italia: un permesso stagionale pluriennale, perché al termine di ogni stagione (ad esempio, della raccolta dei pomodori in Campania) i lavoratori devono rientrare al loro paese d'origine. Permesso che può essere revocato - dice il disegno di legge - in caso di abuso. Chi stabilisce quali siano gli abusi, che tipo di verifica debba essere effettuata, che tipo di impugnazione sia possibile fare rispetto a un provvedimento che verrebbe adottato autoritativamente e in maniera assolutamente discrezionale dalle questure, non è ovviamente dato sapere. Un altro aspetto altrettanto significativo di questa attribuzione di poteri di polizia pressoché illimitati lo vedremo poi. Immagino che anche Gaetano Raffa potrà fare degli accenni rispetto alla politica dell'asilo. Io volevo aggiungere soltanto una cosa: in materia di asilo, dicevo, non c'è una legge attuativa della Costituzione. Nella scorsa legislatura c'era un disegno di legge a firma di Ersilia Salvato, approvato dalla camera e poi rimasto fermo per strada a causa della fine della legislatura. In quel disegno la domanda era preliminarmente esaminata da una commissione così composta: un dirigente del ministero degli Esteri e uno del ministero degli Interni, con la partecipazione di un non meglio specificato esperto di diritti umani e un rappresentante dell'Alto consiglio delle N.U. per i rifugiati (che non fa parte organicamente della commissione). Nel disegno di legge "Bossi-Fini" la commissione che procede all'esame preliminare della domanda d'asilo è così composta: un membro della prefettura, uno polizia di Stato, uno dell'ente territoriale (la Regione Lombardia o il Comune di Milano). Circa il trasferimento di poteri di polizia non verificabili e la discrezionalità che si vuole dare alle questure in materia di immigrazione, a me sembra che questi siano due esempi particolarmente significativi. Per sintetizzare al massimo e lasciare spazio agli altri interventi, mi sembra che si debba sottolineare - l'ho detto più volte - la riduzione quasi a zero dei canali di ingresso regolari (non dei canali di ingresso, perchè i flussi non si fermano con le sentinelle alla frontiera e l'identificazione dello straniero, del migrante, come nemico). Se nell'articolo 1 del disegno "Bossi-Fini" si specifica che comunque in caso di guerra verranno sospese le norme che consentono l'ingresso, nel disegno di modifica del trattato NATO, del 1999, sottoscritto dai vari governi e all'epoca dal governo D'Alema, si inserisce tra i rischi incombenti per la stabilità euroatlantica il movimento incontrollato di un gran numero di persone, in particolare come conseguenza dei conflitti armati. Quindi da un lato ci attrezziamo a chiudere ermeticamente le frontiere, dall'altro identifichiamo i migranti come nemici cui far fronte attraverso la NATO che, caduto il Muro, evidentemente non ha più il nemico a est ma ce l'ha a sud, a est, e comunque in tutti i paesi che non fanno parte dell'Occidente ricco.
Alla base di questa politica c'è una visione mistificata del fenomeno immigrazione, che viene sostanzialmente affrontato come se partisse da una pluralità di scelte individuali e casuali, come se una miriade di persone, senza coordinarsi tra loro, si svegliasse un giorno e decidesse che è bello andare in Italia o in Francia o in Germania: senza pensare che le politiche liberiste, le guerre, le trasformazioni economiche, la distruzione delle economie di sussistenza attraverso le politiche del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, la trasformazione della manodopera in salariati nell'universo mondo fanno sì che il salariato vada a cercare il salario dove c'è, e quindi necessariamente si debba mettere in movimento. Si vuole così bloccare del tutto un sistema già bloccato, perchè guardando i dati delle sanatorie (le 4 sanatorie che si sono succedute dall'86 a oggi), le statistiche dell'Istat di un paio di mesi fa dicono che il 49% degli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia sono arrivati attraverso la sanatoria, il 25% degli stranieri regolarmente soggiornanti sono arrivati tramite i ricongiungimenti familiari, mentre di ingressi regolari per chiamata dall'estero (teniamo conto degli ingressi per studio, turismo, ricerca di lavoro, etc.) ce ne sono stati pochissimi.
Facciamo due più due e ci accorgiamo quindi che questa politica di blocco delle frontiere produce sistematicamente clandestinità e crea un bacino di precarietà diffusa. Contemporaneamente, attraverso la politica dei CTP e delle espulsioni si studiano e si sperimentano sui migranti nuove tecniche di marginalizzazione, di flessibilizzazione e di controllo sociale poliziesco.

Gaetano Raffa - Vi parlerò brevemente delle poche modifiche che dovrebbero essere apportate dal disegno di legge alla disciplina dell'asilo Innanzitutto, il disegno di legge "Bossi-Fini" rinuncia a disporre una disciplina organica del diritto d'asilo, sancito dall'articolo 10 della Costituzione, poi regolato in maniera (leggermente) differente dalla Convenzione di Ginevra del '51 sui rifugiati, dal Protocollo del '67 di New York e infine, per quanto riguarda le modalità esplicative, dall'articolo 1 della legge "Martelli".
Questa rinuncia a regolare l'intera materia da un lato si può spiegare col fatto che è in previsione una proposta di direttiva in materia di diritti dei rifugiati, che dovrebbe entrare in vigore entro il 2002, in attuazione di una serie di accordi precedenti ( ad es. l'accordo di Amsterdam del '97) che prevedono la necessità che l'Europa si doti di una disciplina uniforme in materia, dall'altro col il fatto che, probabilmente, una disciplina organica - come era, ad es. quella contenuta nel disegno di legge di Ersilia Salvato, in discussione al senato - avrebbe rischiato di far impantanare tutto l'impianto della legge, cosa che probabilmente l'attuale maggioranza non voleva. Da qui la decisione di scegliere solamente alcune norme di tipo procedurale per rendere più difficile l'accesso, cioè le modalità per ottenere il provvedimento di accoglimento della domanda, con l'introduzione di un ulteriore elemento di incertezza, dato dal fatto che l'efficacia di dette norme è sottoposta all'emanazione di un regolamento da emanarsi 180 giorni dopo la promulgazione della legge.
Quindi, siccome la legge è in votazione e non si sa quando verrà emanata né entrerà in vigore, né si sa se e quando verrà emanato il regolamento, è probabile che entrerà prima in vigore la direttiva europea e, di conseguenza, tutta la disciplina prevista dal disegno di legge "Bossi-Fini" in materia di asilo potrebbe non avere mai applicazione. Può accadere.
Dal punto di vista delle modifiche sostanziali, vengono peggiorati alcuni aspetti, in quanto, rispetto alla disciplina attuale prevista dalla cd legge "Martelli", si riduce notevolmente la possibilità di concessione del permesso di soggiorno temporaneo, prima concesso in tutti i casi tranne quando a) il richiedente asilo era già rifugiato in un altro paese, b) proveniva da un paese in cui si applicava la Convenzione di Ginevra oppure c) non poteva avere la concessione dello status di rifugiato per i motivi indicati in quella stessa Convenzione.
Adesso invece vengono previste una serie di "deroghe" , soprattutto legate alla necessità di verificare quale sia il paese competente a valutare la domanda di asilo in base alla Convenzione di Dublino, piuttosto che il paese di provenienza del richiedente asilo, in quanto, di norma, i richiedenti non hanno documenti, andati distrutti, oppure viaggiano con documenti falsi per evitare i controlli nel paese di origine al momento della partenza.
In tutti questi casi, secondo questo disegno di legge, è disposto che il richiedente venga trattenuto, per la durata del procedimento accelerato di verifica della domanda di asilo, all'interno dei centri di permanenza temporanea per richiedenti asilo ( cd centri di identificazione), diversi dai centri di detenzione previsti dalla Turco-Napolitano e, al momento, non ancora esistenti: il regolamento da emanarsi 180 giorni dopo l'approvazione della "Bossi-Fini", dovrebbe prevedere le caratteristiche di questi centri.
Inoltre, la concessione del permesso temporaneo non viene più data a chi sia entrato clandestinamente (quindi non abbia presentato la domanda direttamente al momento dell'ingresso ma l'abbia presentata successivamente) o alle persone che avevano già ricevuto un provvedimento di espulsione o un respingimento alla frontiera, che vengono trattenute nel centro di permanenza in attesa della decisione.
Quindi la prima modifica riguarda il restringimento del permesso di soggiorno temporaneo. Viene inoltre prevista una procedura semplificata sia per chi è trattenuto nei centri di identificazione per richiedenti, sia per chi è trattenuto nei centri di permanenza e la procedura dovrebbe durare rispettivamente 20 e 30 giorni (20 quella accelerata, 30 quella normale) e, in mancanza di un provvedimento entro detto termine, dovrebbe essere concesso il provvedimento temporaneo.
L'altra modifica sostanziale riguarda la composizione dell'organo giudicante. Mentre prima era la Commissione Centrale che doveva giudicare sulle domande, composta da un membro del Consiglio dei ministri, un membro del Ministero degli interni, un membro, anche se con funzioni consultive, dell'ACNUR, adesso a decidere è la Commissione Territoriale, composta da un membro della questura, un membro riconducibile alla polizia e un membro riconducibile agli enti locali.
La composizione della Commissione Territoriale è indicativa di come anche l'asilo sia visto come un problema di ordine pubblico: inutile dire che, con una composizione di questo genere, difficilmente si avrà una disamina elastica delle domande, considerando soprattutto che, se entrerà effettivamente in vigore la disciplina dell'asilo, lo spauracchio di dover dare una risposta entro un certo termine, per evitare la concessione automatica di un provvedimento di permesso temporaneo, probabilmente porterà a un respingimento abbastanza generalizzato delle domande. E' presumibile che queste commissioni, composte da soggetti generalmente non proprio attentissimi a valutare le problematiche politiche e sociali che normalmente stanno alla base delle richieste di asilo politico, taglieranno corto, con conseguente notevole aumento dei respingimenti.
Consideriamo che già adesso l'Italia non è uno dei paesi che brilla in materia di asilo politico. Una terza modifica, anche questa peggiorativa, riguarda la possibilità di presentare ricorso avverso i dinieghi. Contro le decisioni negative di queste commissioni territoriali si deve presentare ricorso entro 15 giorni al tribunale ordinario e, soprattutto, il ricorso non ha effetto sospensivo. Paradossalmente quindi, un richiedente potrebbe essere intanto respinto alla frontiera - ovviamente nel pieno rispetto del principio di cui all'articolo 31 della Convenzione di Ginevra, che esclude il respingimento verso il paese d'origine in cui magari corre il pericolo di essere perseguitato e di andare incontro a rischi d'integrità fisica, bensì verso un altro paese - e nel frattempo potrebbe presentare ricorso tramite le rappresentanze diplomatiche. Il che mi pare un po' un controsenso, perchè quando uno chiede asilo rinuncia ad avvalersi della tutela diplomatica del paese d'origine, quindi è veramente difficile che presenti il ricorso tramite le autorità diplomatiche del paese da cui voleva scappare. Dunque un diritto di opposizione previsto solo in astratto.
Al momento, la decisione relativa al ricorso spetta alla commissione centrale, che nel nuovo disegno di legge dovrebbe avere invece solo funzioni consultive di coordinamento.
E contro queste decisioni è ammesso il ricorso ordinario amministrativo entro 60 giorni, con possibilità di sospensiva.
Altre modifiche sostanziali non ce ne sono.
Mi sembra proprio che la parte relativa all'asilo sia una tipica espressione di legislazione di facciata. E' una legislazione che difficilmente entrerà in vigore, né potrà agevolmente essere attuata: di fatto viene approvata per soddisfare aspettative più o meno bieche dell'elettorato e per adempiere a promesse, più o meno bieche, fatte in campagna elettorale.