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Convegno di Zurigo


Intervento di Michel Faure (OIP)

Presentazione di Manuela Scuccato

Abbiamo ora il contributo della Francia, rappresentata da Michel Faure dell'OIP (Observatoir International des Prisons), un'associazione che si occupa del monitoraggio e dei diritti dei detenuti.
Quest'organizzazione, estesa a diversi Paesi del mondo, ha in Francia due sedi principali (Lione e Parigi) e pubblica un rapporto internazionale.
La relazione di M. Faure è incentrata sull'annientamento della personalità del detenuto e Michel ci dirà, penso, anche qualcosa sul modo in cui è strutturata quest'associazione e come si svolge il suo lavoro.

Grazie Manuela. Sono un po' turbato in questi giorni, perché ho perso le chiavi della macchina e non capisco se si tratti di un atto mancato, cioè del mio desiderio di restare ancora più a lungo coi compagni svizzeri; perché ho apprezzato molto l'accoglienza e mi piace Zurigo...
In ogni caso ringrazio a nome dell'OIP tutta l'organizzazione della Rote Fabrik e tutti coloro che hanno contribuito all'organizzazione di questo incontro assai audace e coraggioso, a partire dallo stesso titolo: l'abolizione della prigione. Un titolo che si pone fra la provocazione e l'utopia e anche la pedagogia, perché è già molto difficile comunicare fra di noi, al proprio interno, in merito a un approccio così radicale. L'abolizione è un programma assolutamente totale. È difficile anche preoccuparsi di questa questione dato che ognuno di noi sa cosa sta succedendo nei Balcani; nello stesso tempo ci si domanda se l'imprigionamento delle persone non sia, a sua volta, un progetto di genocidio, di eliminazione totale di certe persone.
Secondo l'approccio di una certa criminologia ogni deviante è deviante per natura, è il suo corpo che non va. Questo enunciato ha giustificato mezzi di sanzionamento che rappresentano un intervento diretto sul corpo della persona deviante. Si tratta pertanto della lobotomia nei confronti dei "matti", dell'elettrochoc o, come succede ancora in certi Paesi, di tagliare le mani ai ladri. Ciò significa, nei casi in cui qualcosa non funziona come dovrebbe (secondo le regole dominanti) intervenire sul corpo e sull'anima (del deviante).
Michel Foucault spiega molto bene, come sappiamo, questo procedimento che consiste nell'entrare all'interno della persona, per convertirla a una certa forma di normatività (interiorizzare la norma).

Ieri si è parlato anche della sanzione penale. In che cosa consiste la sua legittimità? Che cosa la giustifica? Per quale motivo viene irrogata la reclusione? Come si sanzionano le persone?
Effettivamente, si è detto ieri, la prigione - come l'avvocatura e la magistratura - è inscritta in una storicità particolare, secondo certe norme, certi valori che sono inscritti in determinati rapporti di forza, dunque è essenzialmente un meccanismo del potere. La società francese in un dato periodo, per esempio, ha sanzionato (punito) l'omosessualità e, in un altro momento storico, ha sanzionato l'adulterio. Possiamo citare un film di Roberto Cayatte, che aveva come protagonista un giovane professore di filosofia di Aix en Provence, che fu imprigionato a Marsiglia perché usciva con un'allieva che all'epoca aveva 19 anni. In quel periodo occorreva avere 21 anni per essere maggiorenni; per questo motivo egli fu incarcerato (per un reato contro un minorenne). Attualmente si è considerati maggiorenni a 18 anni e quindi la stessa persona non sarebbe incriminata e condannata alla prigione.
La stessa questione ruota intorno alla legalizzazione o no delle droghe leggere o pesanti e, inoltre, rispetto a una quantità di delitti e di crimini che sono considerati tali in funzione della rappresentazione e dei valori che si dà una società specifica.

Il detenuto, all'interno di questo processo, viene considerato come qualcuno che è straniero ed estraneo agli altri esseri umani; qualcuno che è estraneo e nemico dei valori condivisi dalla maggioranza dei cittadini di una data società, dunque è un deviante. La devianza che lo marchia fa sì che egli sia collocato in uno spazio altro. Egli viene considerato come un individuo radicalmente diverso da noi; è l'alterità assoluta, che viene vincolata a una località altra, radicalmente diversa, un luogo altro. Per riprendere un concetto che Foucault ha sottolineato alla fine della sua vita, la prigione è un'eterotopia. Dunque alterità (totale, assoluta) del luogo.

L'eterotopia è un concetto che riguarda luoghi altri come il cimitero, le pattumiere, i manicomi e ogni genere di istituzione totalitaria (totale), come quelle descritte da Goffman... Il che significa stigmatizzazione, chiusura... Nella prigione, dunque, si incrociano due concetti fondamentali: l'eterotopia e il luogo fuori luogo ("l'altrove"). In effetti, non a caso, come diceva Ermanno a proposito delle prigioni private, queste prigioni sono poste al di fuori delle grandi città, nella periferia, nel "vuoto". Quando viene proposta all'amministrazione locale la costruzione di una città penitenziaria, in genere il comune interessato cerca di passare questo compito a un'altra municipalità. Ciò significa in genere che l'amministrazione risponde dicendo: non vogliamo essere investiti di questo compito, avere a che fare con questa pattumiera V. in altri interventi come il carcere sia invece considerato redditizio da alcuni comuni e territori che non hanno risorse industriali ed imprenditoriali. Contraddizione?. In effetti il detenuto è considerato come del pattume proveniente dalla società, che è individuato e trattato come un rifiuto a tutti gli effetti.

Questa rottura fra dentro e fuori, come vedremo, è caratterizzata per il detenuto da un certo numero di passaggi, come scrive Goffman, di riti d'iniziazione.
In un certo numero di Paesi, come succede anche in Francia, si tratta della perquisizione totale, a nudo, del corpo. La perquisizione a nudo viene effettuata sulla persona quando entra in prigione; tale passaggio viene definito da Goffman come "rito di umiliazione" della persona.
Mi ricordo, per esempio, della testimonianza di una persona detenuta che mi diceva: "Nel momento in cui precipiti in quell'universo tu non sei più nessuno, non sei più nulla. Tu non esisti più. Non hai più un corpo". Si trattava di una donna che mi ha confidato: "In quei giorni avevo le mestruazioni, ma nessuno ha preso in considerazione il mio stato particolare. Quando sei detenuto sei un detenuto come qualsiasi altro. E basta".
Dunque la dignità della persona, l'identità e il rispetto che gli è dovuto in quanto essere umano, che è un suo diritto fondamentale, è assorbito dal fatto stesso che ha sbagliato, ha commesso una colpa. E ciò avviene anche quando da un punto di vista giudiziario il detenuto si trova in condizione di presunzione d'innocenza. Anche se la persona non è ancora condannata e non si può definire innocente o colpevole, nei suoi confronti non esiste più alcun rispetto, alcuna attenzione.

Le persone una volta entrate in prigione sono cancellate. La loro individualità è affondata all'interno di una massa generica, anonima.
Non si parla più di detenuti, ma del detenuto. Il detenuto inteso come anonimo a tutti gli effetti. Le persone sono solo detenuti che corrispondono al reato commesso (presunto o reale). Detenuti per omicidio, per furto, per emissione di assegni a vuoto, per questo e quello...
In effetti si crea un'amalgama assoluta e il luogo stesso, le sue caratteristiche di separatezza, contribuiscono a suggellare questa identità collettiva. (Si parlava, per esempio, in un intervento di "detenuti detti comuni" rispetto ad altri.) Tutte queste persone vengono quindi chiuse dentro un unico sacco collettivo, che cancella del tutto ogni identità individuale.
Questo fenomeno ci ricorda in modo singolare la testimonianza di Bruno Bettelheim rispetto ai campi di concentramento.
In effetti l'universo carcerario è un universo concentrazionario, per definizione. Quando si trovano tre o quattro detenuti chiusi in uno spazio di 9-12 m2, cosa significa questa restrizione dello spazio?
Troviamo quindi di nuovo in questa concentrazione, sottrazione dello spazio individuale, la negazione e la cancellazione dell'identità personale.
Il prigioniero si trova, da un giorno all'altro costretto insieme ad altri detenuti che non conosce in alcun modo, che gli sono sconosciuti, estranei e insieme ai quali deve sopportare una realtà quotidiana all'interno di uno spazio previsto per uno solo. In generale per l'individuo esistono spazi diversi - la camera, la cucina ecc. - nei quali muoversi, mentre nella cella tutto è confuso e sovrapposto; questa realtà rinvia al fatto che esiste solo l'assenza totale di uno spazio privato (individuale, intimo).
Lo spazio dell'uno pesa sullo spazio dell'altro. Così accade che lo spazio fra detenuti viene negoziato continuamente e ci sono conflitti e rapporti di forza, di violenza per la conquista, la dominazione dello spazio. È un rapporto essenzialmente fisico, di contrapposizione, che passa attraverso il racket e altre diverse forme di violenza. Ma il carcere è totalitario non soltanto rispetto alla costrizione, ma anche al rumore. Esso passa anche attraverso i rumori che bisogna sopportare ogni giorno, ogni ora, i rumori degli altri e le loro esigenze.
Se qualcuno vuole dormire di notte e il suo codetenuto, invece, vuole scrivere o fare altro, allora si ha un conflitto e una negoziazione. Dunque uno spazio che tende a essere totalitario e che è perfettamente incarnato da quell'architettura così ben descritta da Foucault: il Panopticon.

Questo progetto, risalente a J. Bentham, consisteva nell'avere una torre, posta al centro della prigione - una sorta di occhio onniveggente che permetteva di osservare tutto ciò che avveniva nei vari raggi. La prigione era una stella al centro delle quale si trovava un dispositivo di sorveglianza totale. La forza di questo dispositivo, una delle sue dimensioni e funzioni totalitarie, consisteva nel fatto che il detenuto in ogni momento della sua esistenza quotidiana sapeva di poter essere visto e controllato. E anche quando non era visto da quest'occhio onnipresente, il solo fatto di sapere che poteva esserlo determinava in lui un comportamento di autocontrollo Interiorizzazione del controllo, del potere, società disciplinare. "Dio" come norma interiorizzata..
In certi regimi di dittatura si sa, per esempio, che chiunque può essere ascoltato. E quando è risaputo che la dittatura, il potere totalitario può ascoltare chiunque, in qualsiasi momento, allora le persone tacciono (interviene un effetto di autocensura).

Dunque questo progetto di sorveglianza totale descritto da Foucault, che qui senza dubbio conosciamo bene, non ha bisogno di essere sintetizzato. Ma insieme a esso c'è un'analisi del controllo sociale, delle estensione del carcere all'esterno: la continuità del carcerario, l'arcipelago carcerario e le sue differenti istituzioni. L'uomo è stato costruito attraverso le diverse epoche di socializzazione, mediante istituzioni specifiche, come la famiglia, la scuola, il servizio militare per i maschi e, in seguito, il lavoro, che addestra le persone a obbedire e mediante il quale sono sanzionate nel momento in cui deviano o affermano il loro potenziale creativo o la minima audacia di esseri umani.
Tale dispositivo di punizione attraversa l'universo carcerario. Assume una dimensione di caricatura, una dimensione estrema, che possiamo tuttavia estrapolare all'esterno. Quando diciamo che la prigione è il riflesso della società, lo specchio della società, in effetti è interessante vedere tutto ciò che possiamo apprendere, focalizzando la nostra attenzione sulla prigione. Tutto ciò che possiamo apprendere, attraverso di essa, sull'esterno.
Si potrebbe dire, parafrasando il filosofo: "Dimmi come sei punito e io ti dirò chi sei".

Vediamo poi come la nozione di eterotopia, luogo altro, radicalmente altro, altrove (non-luogo) può essere, come vedremo, incrociata con la nozione di eterofobia.
Ci troviamo, anche in questo caso, sempre di fronte al concetto di altro (alterità), ma in questo caso l'eterofobia significa la paura dell'altro. L'imprigionamento si fonda sulla nozione di paura dell'altro, di alterità. Dunque a partire da questa paura occorre proteggersi sia eliminando la persona (che incute paura) mediante la pena di morte sia rinchiudendola all'interno di mura. La paura dell'altro e il fatto che le prigioni vengano spostate al di fuori della cinta urbana, come bagni penali. Non si vuole vedere l'altro e si pratica, in realtà, la politica dello struzzo; ebbene tutto questo modo di procedere corrisponde in certa misura a ciò che altri definiscono razzismo. L'eterofobia è un concetto elaborato da Albert Nemi, sociologo tunisino, che è molto aperto alla nozione di razzismo, che integra l'omofobia e il sessismo, poiché estende la paura dell'altro a varie categorie al di là dell'omosessuale, dello straniero, della razza diversa. La paura dell'altro serve a giustificare un certo numero di illegalità, di interessi che possono derivare da una tale aggressione.

Menziono appena questi concetti, ma vi consiglio di prendere in considerazione i lavori di Albert Nemi. Per quanto riguarda gli esempi di tortura, di violenza, di coercizione in carcere vi rinvio anche al catalogo delle pubblicazioni dell'OIP. In ogni caso conosciamo tutti qual è la situazione dei detenuti in prigione.

Questo avviene non solo in certi regimi di illibertà, ma anche nei Paesi cosiddetti democratici. In Francia le persone detenute sono violentate, torturate. A Boves, recentemente, si è avuto il caso di alcuni sorveglianti che urinavano sul carrello che portava i medicinali ai detenuti. Non parliamo poi dei detenuti malati di AIDS, che in Inghilterra sono contrassegnati da una fascia rossa... In prigione non si può sfuggire alla discriminazione, alla stigmatizzazione, poiché ci si trova ristretti in uno spazio chiuso e limitato. All'esterno ci sono pregiudizi, ci sono stereotipi, ma non si attualizzano necessariamente perché è possibile eluderli, almeno in una certa misura.

Sul pregiudizio esistono altri lavori, per esempio quelli di un sociologo (...cit.). Mediante il pregiudizio si può stigmatizzare il razzismo, pur avendo posizioni e comportamenti razzisti.

Quanto al genocidio, penso che siamo quasi pronti per una società fascista. Credo che la prigione sia un terreno antropologico fondamentalmente razzista, e anche un laboratorio che prefigura l'eliminazione di determinate categorie della popolazione. Le prigioni, come sappiamo, in Francia sono state messe a disposizione negli anni Quaranta, sotto il regime di Vichy, quando è stato necessario per il potere segregare un certo numero di persone considerate devianti, come gli ebrei, gli zingari, ecc. Il dispositivo di segregazione ed esclusione di massa passava allora per la prigione, dove era già in funzione, e ben rodato.

Attualmente svolgo ricerche sociologiche sulle prigioni per stranieri, dunque sul rapporto fra emigrazione e persone in stato di detenzione. L'archetipo della nozione di prigione per stranieri consiste in ciò che è definito come "doppia pena". Si tratta di persone che dopo essere state sanzionate vengono espulse e mandate in un Paese che non conoscono. Sono in Francia da venti, trent'anni; hanno fatto le scuole in Francia, di rado hanno qualche parente che non possiede la nazionalità francese, eppure queste persone sono costrette a tornare nei luoghi da cui provengono originariamente ma di cui spesso non conoscono le usanze, i costumi, la cultura e molto spesso neanche la lingua. Chiaramente se si tratta di paesi come l'Algeria o il Congo o altri - di cui conosciamo l'attuale situazione politica molto difficile - si tratta di una vera e propria deportazione. Ebbene, questa procedura è sintomatica del razzismo di Stato. Tale volontà di bandire la persona è una sanzione ulteriore, perché il reato commesso è già stato sanzionato prima, in Francia, mediante la prigione e la condanna subita.
A essere bandito, attraverso questa procedura è soprattutto l'immigrato, l'immigrazione in sé (piuttosto che l'autore di un reato).

Rispetto all'efficacia della prigione vediamo che non è necessario avere una posizione politica o ideologica ben precisa per capire quanto la prigione sia una istituzione assurda, inutile che deriva da processi di tipo sadomasochista.

La definizione di sadismo si spiega da sola. Per quanto riguarda il masochismo, lo spiegherò in breve.
La prigione è masochista nel senso che la società fa del male a se stessa. In altri termini: oggettivamente la prigione distrugge più che riparare (anche le vittime, che non prende affatto in considerazione). Comincia con l'allontanare la persona che ha commesso un reato e finisce con l'incoraggiarla a perseverare nel crimine. La prigione, infatti, non va mai incontro alla vittima, non va mai contro il pregiudizio... niente viene quindi riparato mediante la prigione. È come mettere in frigo l'autore di un reato, per tirarlo fuori dopo un po' di tempo. Ma la persona non è cambiata, è uguale a prima. Con la differenza che - come ha dimostrato nei suoi studi il dott. Gonin, insieme ad altri medici - il prigioniero esce completamente distrutto.

In effetti quando si tratta di pene di lunga durata la persona non ha più niente da perdere, è completamente priva di riferimenti esterni, desocializzata. Come si può pretendere, a questo punto, che ci sia un reale reinserimento a livello professionale, lavorativo, dato che per vent'anni il detenuto ha vissuto in un mondo chiuso, con regole del gioco diverse da quelle esterne? A quel punto la persona ha perso quasi ogni autonomia, è all'interno di un processo di destrutturazione della sua personalità.
L'efficacia del processo penale, della condanna, è ancor più nullificata dalla deformazione che la prigione subisce nella mentalità di molti giovani che arrivano in Francia o sono figli di immigrati. Il carcere, infatti, è concepito come una sorta di valorizzazione di sé. Il giovane immigrato, una volta in prigione, si dice: ecco sono un uomo, sono un duro, sono uno che fa paura. E questa visione è comune a molti gruppi che vivono nelle banlieu nei confronti dei quali, dunque, il carcere non ha alcun potere né deterrente né dissuasivo né tantomeno rieducativo.
Pertanto l'idea che la pena possa trasformare il condannato e integrarlo è un mito, è un dogma, una sorta di religione, che per il momento riguarda solo uno strato determinato della società. Bisogna, infatti, considerare l'origine sociale dei detenuti. Sono persone provenienti da ceti sfavoriti, con problemi di salute, situazioni economiche incredibili. Dunque ancora adesso la maggior parte delle persone che vanno in carcere, che sono punite per i reati commessi, sono dei poveri V. anche A. Jacquard, Une societè sans prisons..
Dunque la funzione principale della prigione, non è superfluo ribadirlo, consiste nel confermare l'ordine costituito, con i suoi privilegi inerenti, e quindi la disuguaglianza.
Si fa finta pertanto che la prigione sia un luogo che riguarda in generale l'ordine costituito. E, in genere, ci si interroga sul significato della prigione in Francia, solo quando cascano in prigione dei VIP, cioè delle persone importanti. Dei politici, dei funzionari, ecc. che non avrebbero mai immaginato di poter essere chiusi in una prigione. Uomini importanti che gestivano affari colossali, che avevano l'aereo a disposizione, che contavano a livello di media... Notabili in vista che all'improvviso si sono trovati in prigione e che hanno detto: non è possibile che esista questa realtà nelle prigioni francesi, non abbiamo mai visto una cosa del genere, è scandaloso, le persone sono trattate come esseri inferiori, sub-umani. In questi casi, allora, la parola di denuncia assume un peso, un rilievo e questo dimostra fino a che punto il detenuto "comune" è cancellato anche in rapporto alla sua parola. In altri termini: la parola di un detenuto non vale niente. Non è credibile. Si sa che ci sono violenze da parte di sorveglianti contro i detenuti, ma nessuno dà ascolto alla denuncia di questi ultimi. Le loro parole sono zero.

La giustizia non persegue mai, come se fosse una cosa normale, un certo numero di violenze che vengono commesse dai sorveglianti nei confronti dei detenuti. Conosciamo una quantità di casi in Francia. Dei travestiti violentati dalle guardie a Fleury Merogis, e in quel caso i responsabili sono stati appena sanzionati... In questi casi viene rifatto il codice penale: lo stupro non è più uno stupro, è una mancanza leggera, un'infrazione, e tutto questo dimostra, alla fine, che tali persone, in carcere, non sono considerate più come esseri umani.
Vediamo poi come all'interno della prigione esiste ancora un dentro e un fuori. Persone che sono accusate di reati contro la morale, di reati sessuali, sono spesso oggetto di violenze simboliche, di stupro, sono messe alla berlina, ecc.

Possiamo considerare poi lo stretto rapporto fra la recidiva e la durata delle pene. In Francia uno studioTournier et al. ha dimostrato che più la pena è lunga e più è facile che il condannato, una volta uscito, divenga recidivo.
Ciò significa che la prigione produce effetti inversi a quelli per i quali viene usata. Si dimentica spesso che in tal modo vengono distrutti gratuitamente degli esseri umani e, inoltre, si dimentica che in Occidente, fino a prova contraria si sanzionano degli innocenti, fino a quando la loro colpevolezza non è provata (in Africa e altrove il metodo è diverso, ma da noi esiste il carcere preventivo, dunque la sanzione preventiva).
Per quanto riguarda il regime interno e le relazioni fra detenuti ed esterno: familiari, amici, mogli, compagne. In Francia si parla molto, attualmente delle visite con i familiari, questo anche in rapporto al regime (più libero) che esiste in Spagna. Ci sarebbe la possibilità di ricevere visite all'interno di spazi privati, cioè privi di sorveglianza - il che infrangerebbe il progetto panottico della sorveglianza totale, onnipresente. Sarebbero spazi in cui verrebbero concessi al detenuto dei momenti di intimità. Degli incontri più simili alle relazioni che in genere si possono avere all'esterno. E si potrebbero avere anche dei rapporti sessuali fra detenuti e visitatori.


Sessualità

Per quanto riguarda la sessualità oggi esiste il rifiuto, il diniego più totale. Anche se si parla di prevenzione contro l'AIDS in prigione, tuttavia ogni discorso in proposito è falso, paradossale. Da una parte in prigione i rapporti sessuali, a ogni livello, sono vietati, anche se è un divieto senza formulazioni. Infatti esiste un vuoto giuridico in proposito. Non c'è regola o legge scritta, non c'è lettera. Nel 1986, di fatto, la questione veniva lasciata all'arbitrio della custodia, degli agenti di sorveglianza, che applicavano a loro totale discrezione questo potere. In certi casi chiudevano gli occhi - non ho visto quello che stava succedendo -, mentre in altre circostanze punivano secondo i loro criteri. Quindi la possibilità o meno di avere rapporti sessuali duranti i colloqui, in parlatorio, diventava oggetto di ricatto (e di scambio).

Foucault, come sappiamo, ha lavorato a lungo sul rapporto fra punizione e sessualità; in effetti, occorre mettere in connessione i due aspetti, poiché in certi luoghi e casi la sessualità viene punita, essendo considerata per definizione assente e negata. Questa punizione rivela per intero il rapporto distorto della nostra società in relazione alla sessualità esterna.
La Haye, autore de La ghigliottina del sesso, e altri che si sono occupati di tali problemi hanno scritto che questo atteggiamento punitivo viene interiorizzato dai detenuti. I magistrati hanno interiorizzato certe rappresentazioni, sono stati formati in funzione di tale sanzione. Ma anche certi detenuti, il che è obbrobrioso, giustificano essi stessi la prigione e le sue regole. Dicono che è utile, che è meritata, che il castigo è necessario ecc. A questo punto essi giungono persino a dimenticare un certo numero di privazioni, di soverchierie di cui sono oggetto.
Uno studioso, a suo tempo responsabile con Foucault del CAP (Comitato di Azione dei Prigionieri), scriveva nel 1968: la forza dell'abitudine, del potere, della repressione è giunta a occultare in noi, prigionieri ed ex prigionieri, l'idea elementare che l'attività sessuale è indissociabile dalla vita umana, dalla vita tout court. I riduttori di teste e di aspirazioni sono giunti a uccidere in noi il desiderio del desiderio.
E il desiderio del desiderio - essere desiderati dall'altro e desiderare l'altro - è un fatto che più di ogni altro può esprimere l'esistenza personale e irriducibile di una persona. Attentare alla persona umana, attraverso la privazione, inflitta, della sessualità, significa chiaramente rinnegarla e toglierle il suo statuto di persona. E quindi il fatto essenziale persino di desiderare e di essere desiderati. Non mi dilungo ancora su questo aspetto. Vorrei ora fare menzione di un esperimento compiuto da Azim Bardot, professore di psicologia sociale presso la Stanford University di Palo Alto.


Vittime e carnefici

Questo studioso ha detto: proviamo a fare un gioco curioso. Alcuni studenti sono stati posti nelle condizioni di detenuti sorvegliati e altri in quella di sorveglianti. Dieci hanno assunto il ruolo di prigionieri e undici quello di custodi. L'esperimento si è svolto durante alcuni giorni e ci si è accorti, allora, che si verificavano rapporti sadomasochisti fra i due gruppi. E questo nonostante il fatto che gli studenti fossero stati scelti sulla base di criteri e test psicologici, perché fossero equilibrati, ecc. Bene, vi riferirò solo alcuni estratti di questo esperimento. Poi mi fermerò, poiché ci sono problemi molto importanti che saranno trattati dopo, dall'intervento sulla situazione basca.

Un giorno dopo l'altro, i "guardiani" usano di più in più del loro potere, fino ad arrivare agli insulti e all'aggressione fisica dei prigionieri. Coloro che non agiscono in questo modo sono considerati dai colleghi dei deboli, delle persone inadatte alla funzione che svolgono, o dei tipi facilmente manipolabili dai prigionieri. A. Bardot, responsabile di questa ricerca, afferma che tutti i guardiani si sono comportati in modo sadico, in un momento o nell'altro. Parecchi fra loro, nelle interviste fatte a seguito dell'esperimento, hanno ammesso di avere provato un reale piacere nell'esercitare il proprio potere e di essere rattristati dal fatto di dover rinunciare. Uno degli studenti-guardiani dirà più tardi che era rimasto stupefatto di se stesso. Aveva fatto pulire ai compagni "detenuti" le toilettes con le mani, era giunto a considerare i detenuti come bestiame e, a un momento dato, si era convinto che fosse assolutamente necessaria la sua vigilanza, per impedire loro di fare delle sciocchezze. Altri, invece, hanno affermato che l'esperimento li aveva costretti ad agire in modo esattamente inverso a quanto sentivano interiormente. Questo atteggiamento, sostenevano, assomigliava da vicino a una seconda prigione costruita da se stessi contro se stessi. Voi entrate dentro una prigione di cui voi stessi siete i muri.

Voi desiderate distruggere questi muri, uscire, essere capaci di dire a ciascuno: "Non sono più del tutto me stesso, non sono più la persona finita qua dentro, sono qualcuno che desidera solo uscire e dimostrare che sono libero, ho una mia volontà, non sono una persona sadica, ecc.".
Vediamo, dunque, attraverso questo esperimento e le testimonianze successive, la trasformazione delle persone: i secondini come i prigionieri.
E questo è avvenuto nel caso di persone che non erano pagate, non erano funzionari, non erano costretti. Erano studenti (cavie) che hanno partecipato a un gioco... Eppure ci sono situazioni come quella riguardante il prigioniero 819 che ha distrutto la cella e fra i "sorveglianti" molti hanno detto che pativano per il comportamento di 819, che il prigioniero 819 era un cattivo detenuto, ecc. (Goffman ha scritto testi molto importanti e chiarificatori sul rapporto fra sorveglianti e prigionieri, a questo proposito.)

Dunque, a partire da questi dati, vediamo come il quadro carcerario sia in sé propizio a determinare, direi, una sorta di "delirio collettivo": un delirio che si pone in contrasto radicale con la nozione del rispetto, della dignità della persona detenuta. Foucault, nel confrontare l'universo carcerario con i campi di concentramento si chiedeva: "Che cos'è il carcere?" e rispondeva: "Non posso impedirmi di pensare che c'è qualcosa in comune". Negli anni Quaranta la scuola di criminologia classica affermava che il delinquente è qualcuno che risulta negativo, pericoloso per la sua stessa natura. E quindi (Cigarelles?) un medico della scuola di criminologia francese diceva che costui andava eliminato (lombrosiano?). E sosteneva anche che i criminali dovevano essere condizionati con la frusta o con dei sistemi più scientifici seguiti da un breve soggiorno in ospedale (sic), e che questo trattamento sarebbe stato sufficiente per stabilire, mantenere l'ordine.


La correzione

"Questo per i criminali meno pericolosi. Nei confronti degli altri - che hanno ucciso, che hanno commesso rapine a mano armata, che hanno derubato i poveri - bisognerebbe adottare un impianto dotato di gas per l'eutanasia, che permetterebbe di agire in modo umano ed economico nei loro confronti. Lo stesso trattamento, tuttavia, non potrebbe non essere applicato ai pazzi che hanno commesso atti criminali. Non bisogna esitare a conformare la società moderna sul modello dell'individuo sano". Così si esprimeva l'esperto degli anni Quaranta.
Ora posso dilungarmi sulla nozione di bene e di male, sano e malato, ma resta il fatto che in Francia si parla di prigione repubblicana, mentre esiste ancora, tuttavia, una religione della punizione, una religione che attraversa la prigione sedicente laica.
Ora non mi dilungherò sui sistemi di ampliamento del controllo sociale che hanno come unico effetto quello di estendere nella società un sistema di sicurezza, legittimato dal senso di paura. La problematica delle manette elettroniche la possiamo accantonare, fa parte di questa ramificazione del controllo sociale all'esterno del carcere. Sappiamo, comunque, che negli Stati Uniti questo strumento non è affatto alternativo alla prigione, non significa certo un mezzo per svuotare le prigioni sovraffollate, corrispondendo viceversa a un'estensione del controllo sociale. Cioè permette di controllare e sanzionare persone che fino a quel momento, senza tali strumenti, non potevano esserlo.


Carcere e carcerario

In conclusione, accennerò all'OIP, all'idea fondamentale che lo sguardo dell'osservatorio del cittadino (verso il carcere) deve esigere, in quanto "contropotere" (potersi opporre a questo potere), il rispetto della persona detenuta, dunque il rispetto di tutte le persone segregate. Non ho citato le persone agli arresti provvisori, i malati di mente segregati, ecc. Tutti questi soggetti sono, in qualche maniera sottoposti agli stessi abusi del potere. Quindi il nostro lavoro ci rimanda all'indivisibilità dei diritti dell'uomo, che devono essere applicati a tutti e in qualsiasi luogo.
Per terminare vorrei richiamare Deleuze, il quale constatava come nelle prigioni i casi di suicidio fossero dieci volte più numerosi che nella società esterna. Deleuze si chiedeva: non sarà che il suicidio rappresenta l'ultima intima riappropriazione del proprio corpo? Una delle forme ultime, definitive, di sfuggire all'istituzione totale che riduce a nulla l'individuo. Mi ricordo ancora di un detenuto che mi diceva: "Durante molti anni mi sono guardato in uno specchio come questo". E mi dicevo: così tu non hai più corpo, non hai più l'immagine dell'integrità del tuo corpo. Cito ancora un medico che nel 1972 diceva: "Se ci fosse un tribunale di Norimberga per le prigioni, ebbene io mi considererei colpevole". Mi fermo qui, per il momento, e lascio spazio al dibattito.

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