E.2 La proprietà privata "assoluta" può proteggere l'ambiente?

Secondo i principi del libero mercato capitalista, solo attraverso la proprietà privata saremmo in grado di proteggere l’ambiente. Murray Rothbard, per esempio, sostiene che “se le aziende private fossero proprietarie dirette di fiumi e laghi...chiunque si azzardasse a gettarci spazzatura...verrebbe immediatamente denunciato per aggressione ai danni di una proprietà privata...Perciò, solamente un diritto di proprietà privata assicurerebbe la fine certa dell’invasione e inquinamento delle risorse” [For a new liberty, p. 256].

Questo tipo di ragionamento non tiene conto, però, di un punto fondamentale: perché questi proprietari privati sarebbero così tanto interessati nel mantenere tutto pulito? E se il soggetto che getta la spazzatura fosse proprio la corporazione proprietaria stessa? Per quale ragione non si dovrebbe pensare al fatto che proprio la compagnia, in questo modo, potrebbe fare molti più soldi trasformando fiumi e laghi in autentiche discariche o gli alberi in carta-straccia? Tutto ciò non appare per niente impossibile. Infatti, è probabile che possa accadere più spesso di quanto non si voglia ammettere. Come dice Glenn Albrecht, una simile “soluzione” ai problemi dell’ambiente sarebbe solo “presumibilmente fattibile per quelle specie [o ecosistemi] protette e commercialmente rilevanti nel caso che il valore commerciale di queste specie [o ecosistemi] sia eccedente rispetto ad altre potenziali nuove sorgenti generate dallo stesso ’capitale naturale’...questo modello diventa, progressivamente, meno plausibile dal momento in cui ci si trovasse a confrontare con specie [o ecosistemi] di un certo valore, ma commercialmente ritenute non-importanti per i propositi di ampio sviluppo, incompatibile con la loro esistenza...Meno affascinante sarà la specie, quanto “non-attraente” sarà un dato ecosistema, tanto più probabile sarà che il proposito di sviluppo andrà avanti...” [“Ethics, Anarchy and sustainable development”, Anarchist Studies vol. 2, no. 2, pp. 104-5]. Sostenere che i diritti di proprietà “assoluta” siano utili alla salvaguardia ambientale è giusto un altro esempio del tentativo da parte del “libero mercato” capitalista di dire alla lettrice ciò che vuole sentisi dire.

Ma certamente, i sostenitori del capitalismo si alzeranno in piedi dicendo che se scaricare rifiuti fosse consentito, ne risulterebbe soltanto inquinamento ai danni di terzi i quali, a loro volta, denuncerebbero i proprietari in questione. “Forse” è la risposta a questa considerazione,  in quanto sappiamo bene che esistono parecchie circostanze in cui una causa legale è difficile che venga portata avanti. Per esempio, se gli abitanti del posto fossero dei senza-casa che vivono in baracche e non potessero permettersi una causa legale? E se fossero terrorizzati dall’idea che i proprietari delle terre che occupano possano cacciarli via nel caso intentatassero una causa (e in particolare, se gli stessi proprietari di questi terreni fossero anche direttamente coinvolti in materia di inquinamento)? E se la maggior parte dei membri di comunità vittime di inquinamento doloso fossero al tempo stesso lavoratori dipendenti di queste stesse compagnie e avessero timore di perdere il posto come conseguenza di una causa (vedi prossima sezione)? Ancora, questo tipo di argomentazione ignora totalmente il fatto che una causa legale verrebbe intentata a cose già fatte, con parecchi danni già compiuti. Non è facile ripristinare ecosistemi e specie estinte. E se la minaccia di un’azione legale avesse un reale valore “deterrente” allora inquinamento, omicidio, furto e una marea di altri crimini sarebbero già dovuti scomparire da tempo.

Al di là di questi punti si trova quello forse più importante, vale a dire: sarebbe realmente possibile intentare un tipo di causa legale come questa nel contesto di un mercato libero basato sulla proprietà privata? Rothbard pensa di sì. Prendendo in esame il caso delle emissioni di fumo dalle fabbriche nel diciannovesimo secolo, egli ne prende atto e aggiunge: “molti dei suoi effetti negativi già erano noti agli inizi della Rivoluzione Industriale, conosciuti a tal punto che i tribunali americani, durante il... diciannovesimo secolo arrivarono alla decisione di consentire alla proprietà privata di venir violata dal fumo industriale. Per arrivare a questo, i tribunali dovettero – e lo fecero – modificare e indebolire sistematicamente la difese dei diritti di proprietà insiti all’interno della comune legge anglo-sassone...i tribunali sistematicamente alterarono la legge sulla negligenza e la legge sul disturbo in modo da permettere ogni sorta di inquinamento atmosferico che non fosse insolitamente più grande rispetto a quello emesso da altre aziende manifatturiere” [Rothbard, Op.Cit., p. 257].

Questo passaggio considerevolmente auto-contradditorio ci invita a trarre la conclusione che spetti alla proprietà privata farsi carico della soluzione del problema dell’inquinamento in considerazione di quanto chiaramente non faccia! Negli USA del diciannovesimo secolo – che per parecchi liberisti viene considerata come una specie di “età dell’oro” per il libero mercato capitalista – si assistette ad uno spostamento da una situazione iniziale di buona difesa dei diritti di proprietà, verso una successiva situazione in cui un alto indice di inquinamento veniva tollerato, come Rothbard sostiene, e peraltro i diritti di proprietà privata non furono effettivamente in grado di provvedere alla soluzione del problema dell’inquinamento ambientale.

E’ assai probabile, ovviamente, che Rothbard e altri sostentori del libero mercato insistano sul fatto che il sistema capitalistico del diciannovesimo secolo non fosse abbastanza puro, che i tribunali fossero motivati ad agire in tale maniera a causa delle pressioni ricevute dallo Stato (il quale, a sua volta, riceveva pressioni da parte di potenti industriali). Ma può un simile sistema venir purificato solamente rimuovendo il governo e privatizzando i tribunali in nome di un cosiddetto “libero mercato per la giustizia”? Le pressioni degli industriali rimarrebbero, se non aumenterebbero addirittura, sui tribunali privatizzati nel tentativo di ottenere vantaggi nel mercato. Per cui l’intero concetto di competizione in un “libero mercato per la giustizia” all’interno dei tribunali privati risulta essere assurdo una volta riconosciuto il fatto che coloro che possiederanno più denaro saranno sempre in grado di comprare più “giustizia” (come già accade attualmente).

Il tipico discorso del “libero mercato” capitalista, cioé: se privatizziamo X - quasi sicuramente otterremo la cosa Y, non riguarda nient’altro che fede cieca nei propri convincimenti personali.