La guerra delle televisioni

di John Pilger

 


Per chissà quanti uomini, donne e bambini iracheni, la propaganda può aver ben fatto la differenza tra la guerra e la pace, tra la vita e la morte. Se da entrambi i lati dell'Atlantico le grandi emittenti televisive, e molti dei grandi giornali, non avessero veicolato e fatto da ripetitori alle bugie e alle false politiche, e le avessero invece denunciate, la gang di Bush, io credo, non avrebbe potuto procedere in questo oltraggio. Per questa ragione, giornalisti e commentatori televisivi hanno adesso il preciso dovere di ribellarsi 


Ora che Bush e Blair hanno cominciato il loro attacco illegale e immorale contro un paese che non costituisce alcuna minaccia, noi europei abbiamo davanti a noi una scelta. Possiamo torcerci le mani e dichiarare la nostra impotenza davanti a un atto di pirateria così possente. Oppure, possiamo reclamare la democrazia che è stata così corrotta da una dittatura eletta (nel caso di Bush, non eletta). C'è un solo modo responsabile di raggiungere il secondo obbiettivo. Il termine educato è disobbedienza civile. Il termine della piazza è ribellione. Il governo Usa e quello britannico hanno commesso un grande atto criminale. Questa non è retorica, è la verità, e lo confermano tutti i fondamenti del diritto internazionale, non ultima la stessa Carta delle Nazioni unite. Per la verità, a Norimberga i giudici dissero piuttosto chiaramente quale ritenessero essere il più grave tra tutti i crimini di guerra: l'invasione non provocata di uno stato sovrano.

I milioni di persone che hanno capito la natura di questo crimine hanno ora il diritto e il dovere di agire. Anche se il governo britannico e quello americano non sono i vostri governi, dovete agire. Il silenzio e l'inerzia non faranno che incoraggiare Blair, l'uomo che ha trascinato la Gran bretagna in guerra cinque volte in sei anni di governo, senza che ce ne fosse bisogno. Non dimenticate la sua affermazione secondo cui la Corea del Nord, una potenza nucleare, è «la prossima».

In Europa è in atto una grande rivolta. I macchinisti scozzesi si sono rifiutati di far viaggiare le munizioni. In Italia sono state bloccate dozzine di treni che trasportavano armi e personale militare americani, e i portuali si sono rifiutati di imbarcare i carichi di armi. In Germania le basi militari statunitensi sono state assediate e all'aeroporto di Shannon, in Irlanda, migliaia di persone hanno reso difficile per l'esercito Usa rifornire di carburante i suoi caccia diretti in Iraq.

La propaganda è un'arma letale quasi quanto le bombe. Per mesi, le «armi di distruzione di massa» sono state una questione di notizie false. Come ex capo ispettore Onu sulle armi, Scott Ritter ha sempre detto che l'Iraq è disarmato al «90-95%». L'attuale capo della squadra degli ispettori, Hans Blix, ha praticamente definito Blair e Bush furfanti e bugiardi. Quando gli è stato chiesto quali arsenali segreti ci fossero in Iraq, uno dei suoi ispettori ha risposto: «Zilch» (nessuno).

Tuttavia, noi non-americani siamo stati costretti a partecipare a questa farsa, dibattendo e analizzando la sua agenda pretestuosa. Nonostante la reputazione di correttezza e oggettività di cui gode la Bbc, i suoi programmi di attualità radiofonici e televisivi hanno insistentemente proposto la legittimità dell'atteggiamento guerrafondaio del governo Blair, veicolando e facendo da ripetitori ai suoi inganni sempre diversi. Un memorandum trapelato la scorsa settimana e scritto da Richard Sambrook, un dirigente della Bbc, invita gli autori dei programmisti a non trasmettere troppo dissenso e «ospitare alcune delle opinioni più estremiste contro la guerra [anche se] non c'è dubbio che la maggioranza dell'opinione pubblica sia contraria all'azione unilaterale degli Usa». Che egli consideri l'obiezione all'uccisione di persone innocenti come «estremista», senza dire invece una parola sulle intenzioni omicide di Blair e dei suoi difensori, riflette la distorsione intellettuale e morale così frequente nell'attualità della Bbc. Quando un documentario della Bbc ha osato investigare le armi di distruzione di massa di Israele e l'uso di gas da parte degli israeliani, mettendo così a nudo l'ipocrisia di Bush e Blair, è stato tolto da una fascia oraria di massimo ascolto.


Negli Stati uniti, dove uno studio ha recentemente accertato che il 75% delle interviste di attualità erano fatte a rappresentanti o ex rappresentanti del governo o dell'esercito, la censura è più radicata. Comunque, quando l'attacco è cominciato, politici favorevoli alla guerra ed «esperti» vari hanno riempito i teleschermi di tutti i paesi europei, incuranti della popolarità del movimento contro la guerra.

Per chissà quanti uomini, donne e bambini iracheni, la propaganda può aver ben fatto la differenza tra la guerra e la pace, tra la vita e la morte. Se da entrambi i lati dell'Atlantico le grandi emittenti televisive, e molti dei grandi giornali, non avessero veicolato e fatto da ripetitori alle bugie e alle false politiche, e le avessero invece denunciate, la gang di Bush, io credo, non avrebbe potuto procedere in questo oltraggio. Per questa ragione, giornalisti e commentatori televisivi hanno adesso il preciso dovere di ribellarsi. Ovunque si trovino, essi devono seguire la loro coscienza, non le richieste di una macchina propagandistica, per quanto sottile e seduttiva, e per quanto remunerativa in termini materiali. Essi potrebbero confrontare le loro vite confortevoli con quelle dei giornalisti in paesi pericolosi quale la Turchia, un satellite americano che come la Gran bretagna, la Francia e la Germania ha una popolazione fortemente ostile a un attacco al suo vicino, l'Iraq. Molti giornalisti turchi hanno fatto il loro lavoro senza paura, e hanno messo a nudo la natura menzognera di quella che George Orwell chiamava «la verità ufficiale». Alcuni sono andati in prigione e altri sono stati ammazzati dallo stato; ma le loro azioni coraggiose hanno offerto la verità a milioni di loro compatrioti. A differenza della Gran bretagna, ad esempio, molti turchi sono consapevoli delle morti e delle sofferenze degli iracheni causate dall'embargo imposto da americani e inglesi.

«Non capisco questa emotività sull'uso di gas» disse Winston Churchill quando era ministro delle colonie. «Io sono decisamente favorevole all'uso di gas venefico contro tribù incivili». Nonostante siano passati ottant'anni, nulla è cambiato. Churchill si riferiva ai kurdi e agli iracheni. Oggi gli americani, e quasi certamente i britannici, stanno usando un insidioso equivalente del gas venefico di Churchill. Questo è l'uranio impoverito, un sinistro ingrediente dei proiettili rinforzati e dei missili aria-terra. Si tratta in realtà di una forma di guerra nucleare, e tutti i riscontri dimostrano che il suo uso nella guerra del Golfo del 1991 ha causato un'epidemia di cancro nel sud dell'Iraq, specialmente tra i bambini. Un'epidemia che là i dottori chiamano «effetto Hiroshima».

L'America e la Gran bretagna hanno negato all'Iraq le attrezzature con cui decontaminare campi di battaglia, città e villaggi che ora stanno per essere tutti contaminati di nuovo; proprio come hanno negato farmaci e attrezzature per la cura del cancro; proprio come hanno costretto le Nazioni unite, questa settimana, a smantellare un efficiente sistema di distribuzione di alimenti.

Chi avrà il coraggio di descrivere gli effetti dell'uranio impoverito, una vera arma di distruzione di massa, un crimine contro l'umanità, come effetto della «liberazione» con cui la propaganda riempirà i titoli dei giornali? Mentre i primi bambini sono già ustionati e storpiati dalla tecnologia americana, quand'è che i media occidentali faranno sentire la loro voce, tutti insieme, contro questi crimini?

Se non lo faranno, ci saranno altri iracheni e altre invasioni in quella che uno dei consiglieri di Bush ha chiamato «guerra senza fine».