Da Sartre a Spinoza: i diritti dell'immanenza.
["Che cos'è la filosofia?" di Gilles Deleuze e Felix Guattari]

«ESEMPIO III

[...]

Presupponendo un campo trascendentale impersonale, Sartre restituisce all'immanenza i suoi diritti [nota: J.P.Sartre, "La trascendenza dell'ego"]. Solo quando l'immanenza è immanente esclusivamente a se stessa si può parlare di un piano di immanenza. Tale piano è forse un empirismo radicale, nel senso che non contemplerebbe un flusso del vissuto immanente a unsoggetto che si individualizzerebbe in ciò che appartiene a un io. In esso si danno soltanto eventi, ossia mondi possibili in quanto concetti, e "altri" in quanto espressioni di mondi possibili e di personaggi concettuali. L'evento non riconduce il vissuto a un soggetto trascendente = Io, si rapporta, al contrario, al sorvolo immanente di un campo senza soggetto; Altri non restituisce trascendenza a un altro io, ma riporta ogni altro io all'immanenza del campo sorvolato. L'empirismo non conosce che eventi e "altri", è un grande creatore di concetti. La sua forza comincia nel momento in cui definisce il soggetto: un habitus, un'abitudine, nient'altro che un'abitudine in un campo di immanenza, l'abitudine di dire Io...Se ci fu qualcuno a sapere perfettamente che l'immanenza è immanente solo a se stessa, che è quindi un piano percorso dai movimenti dell'infinito, riempito dalle ordinate intensive, questi è Spinoza. Egli è per questo il principe dei filosofi, forse il solo a non aver stabilito nessun compromesso con la trascendenza, ad averla braccata dappertutto. Nell'ultimo libro dell'Etica, col terzo genere di conoscenza, egli ha tracciato il movimento dell'infinito e ha dato al pensiero velocità infinite. Qui egli raggiunge velocità inaudite e scorciatoie così folgoranti, che si può parlare solo di musica, di tornado, di vento e di corde. Ha trovato la sola libertà nell'immanenza, e ha concluso la filosofia perché ne ha colmato la supposizione prefilosofica. Non è l'immanenza a ricondursi alla sostanza e ai modi spinoziani, ma sono invece i concetti spinoziani di sostanza e di modo a ricondursi al piano di immanenza quale loro presupposto. Questo piano ci presenta le sue due facce, l'estensione e il pensiero, o più esattamente le sue due potenze, potenza d'essere e potenza di pensare. Spinoza è quella vertigine dell'immanenza cui tanti filosofi tentano invano di sfuggire. Saremo mai maturi per un'ispirazione spinoziana? È successo a Bergson, una volta: l'inizio di "Materia e memoria" traccia un piano che taglia il caos, movimento infinito di una materia che non cessa di propagarsi e al tempo stesso immagine di un pensiero che non cessa di spargere dappertutto una pura coscienza di diritto (non è l'immanenza a essere immanente "alla" coscienza, ma il contrario)»

[da "Che cos'è la filosofia?" di Gilles Deleuze e Felix Guattari]

 

Dalla tesi nel link: http://dspace-unipr.cilea.it/bitstream/1889/845/1/GGGIOLITESIFINALE.pdf
Ho trovato un pezzo interessante:

[inizio pezzo da pagina 9]

[...] oltre alla necessità dei professori, Deleuze sottolinea l’importanza dei maestri che “ci colpiscono con una novità radicale, sanno inventare una tecnica artistica o letteraria e trovare i modi di pensare corrispondenti alla nostra modernità”. Deleuze non ha dubbi, il suo maestro è stato Jean-Paul Sartre:
«Sartre è stato tutto per me. Sartre è stato qualcosa di fenomenale. Durante l'Occupazione era un modo di esistere nell'ambito spirituale. Le persone che gli rimproverano di aver fatto rappresentare le sue opere durante l'Occupazione semplicemente non le hanno lette. Bisognerebbe paragonare la messa in scena de "Le mosche", in quell'epoca, a Verdi che si fa rappresentare davanti agli Austriaci. Tutti gli italiani capivano e gridavano bravo. Sapevano che si trattava di un atto di resistenza.
È esattamente la stessa cosa per Sartre. "L’Essere e il nulla" è stato una bomba, e questo non perché vi si sarebbe potuto vedere un atto di resistenza come ne "Le mosche", ma perché è stato uno stordimento/abbagliamento. Un intero libro, enorme, di pensiero nuovo. Che choc! L’ho letto quando è stato pubblicato la prima volta. Mi ricordo che ero con Tournier ed eravamo andati a comprarlo. L'abbiamo divorato. Sartre ha ossessionato i giovani della mia generazione: scriveva romanzi, teatro, e allora tutti che volevano scrivere romanzi e teatro. Tutti lo imitavano, o erano gelosi di lui e arrabbiati... Io ero affascinato da Sartre, sono stato conquistato da lui. E secondo me in Sartre c'è qualcosa di nuovo che non si perderà mai, qualcosa di nuovo per sempre. È come Bergson. Non si può leggere un grande autore senza trovarci una novità eterna. E se oggi trattiamo Sartre o Bergson come qualcosa di superato è perché non siamo in grado di ritrovare la novità che rappresentavano per il loro tempo. E le due cose sono una sola: se non sappiamo ritrovare la novità di un autore per la sua epoca, perdiamo l'eterna novità che porta in lui. Non sappiamo più ritrovare ciò che sarà per sempre. A quel punto trionfa il regno dei copiatori, che sono i primi a gettare nel passato ciò che hanno copiato.»

Fare emergere la novità di Sartre e Bergson: questa è l’azione inattuale che Deleuze ha voluto compiere in rapporto al proprio presente e che riassumiamo in due momenti:

1) Deleuze compie un gesto filosofico molto forte scegliendo di intraprendere un’opera di ripresa e riattivazione del bergsonismo, in decisa controtendenza rispetto alle tendenze della coeva riflessione francese.

2) Quest’opera di rivalutazione del bergsonismo avviene in un confronto serrato con la fenomenologia francese e trova nel pensiero Jean-Paul Sartre un referente privilegiato (gesto anch’esso in controtendenza, se si pensa a come la generazione di Deleuze abbia preso nettamente le distanze da quella precedente e, in particolare modo, da Sartre).

Questi due momenti sono in realtà uno, nel senso che la lettura deleuzeana di Bergson è orientata e permeata dalle critiche di Sartre, e tutto il bergsonismo di Deleuze può essere inserito nella cornice pedagogica del dialogo-risposta al suo maestro.

[fine pezzo della tesi]

 

Ne L'Essere e il Nulla, Sartre dice:

«Le indicazioni sui comportamenti e sul desiderio che l'ontologia può procurare devono servire da principi alla psicanalisi esistenziale. Ciò significa non che prima di ogni specificazione esistano dei desideri astratti e comuni a tutti gli uomini, ma che i desideri concreti hanno strutture che provengono dallo studio dell'ontologia, perché ogni desiderio, tanto il desiderio di mangiare o di dormire, quanto il desiderio di creare un'opera d'arte, esprimono tutta la realtà-umana. [...] Avremo dunque adempiuto al nostro compito se utilizzeremo le conoscenze che abbiamo acquistato fin qui, per gettare le basi della psicanalisi esistenziale. E' qui che deve fermarsi l'ontologia: le sue ultime scoperte sono i primi principi della psicanalisi.» [J.-P. Sartre - L'Essere e il Nulla]

In Sartre e Merleu-Ponty ha inizio una critica radicale alla psicanalisi che nella "schizoanalisi" de L'anti-Edipo di Deleuze e Guattari troverà massima espressione.