Apr 162013
 

Lettera di Maurizio Alfieri

Carissimi/e compagni/e, famigliari, amici e solidali di nostro fratello Stefano,
inizio questa mia abbracciandovi tutti/e al mio cuore con eterno bene, sperando che tutti/e stiate bene di salute, lo stesso posso dirvi di me, sempre a testa alta, contro le prevaricazioni e le ritorsioni di qualche “benpensante aguzzino”, che mi danno la possibilità di vivere con molti agi e tutti i comfort, che mi danno l’opportunità di rigenerare l’anima e lo spirito, quello spirito ribelle che le mura non potranno mai rinchiudere, quelle “catene” che si sciolgono come neve al sole, “grazie di cuore”, gliene sono grato.

Voglio spiegarvi qualcosa sul mio povero papà, che io ho sempre amato e amo, anche se adesso non c’è più.
Mio papà lavorava 20 ore al giorno per permettere a tutti i suoi figli (sei, tre maschi e tre femmine) di poter mangiare, di trovare sempre un piatto caldo a tavola, di poterci comprare un cappotto o un paio di scarpe una volta all’anno, soprattutto per me, che ero il più piccolo e desiderava che io studiassi, solo che l’ho fatto fino alla 5° elementare, perché avevo capito la “schiavitù del lavoro”, che gli oppressi e i poveri rimanevano sempre tali, che la casta appartiene a pochi (e sono felice di non farne parte, sono apolitico).
Mio padre è stato un partigiano, ha combattuto per la libertà di tutti/e, per il suo popolo, la sua terra, contro il fascismo e nazismo. È stato prigioniero in un campo di concentramento, mi raccontava che mangiavano i topi, le bucce delle patate, e che a volte erano fortunati a trovare la barbabietola che nasceva sotto lo sterco…
Finita la guerra, mio papà ha dovuto rimboccarsi le maniche, lavorava come ferroviere, la notte faceva il garagista. Così nel 1969, quando io avevo sei anni, è immigrato con la valigia di cartone a Milano. Dormivamo tre fratelli in un letto, io ero il più coccolato, la bistecca la davano sempre a me, perché dovevo crescere, mia madre era sempre premurosa e amorevole, al pomeriggio pane e nutella con la banana (“ha potassio e ne hai bisogno per crescere”, diceva così). Mia mamma doveva accudire i figli, e lavorava in casa cucendo oppure facendo quei lavoretti che una volta ti spedivano a casa per assemblare tutti i pezzi.
Ho avuto due genitori onesti, lavoratori, e sempre pronti ad aiutare anche il vicino di casa. Infatti al funerale di mia mamma l’anno scorso c’era una signora che a Milano è arrivata con sei figli, senza marito (dalla Calabria), Franca, e mia mamma cucinava anche per i suoi figli e mandava me la sera a prenderli per portarli a casa mia e farli mangiare. Franca abita al piano terra nel palazzo dove abito io, noi all’ottavo piano (case popolari).
A vedere Franca che piangeva, dicendo di aver perso una mamma, per me è stata una tristezza, invece quei bastardi del D.A.P. non mi permettevano di vederla, capito!!! Vorrei averli nelle mie mani, guardarli negli occhi, potergli dire cosa penso di loro, che sono essere infami, indegni di avere figli, indegni di essere e definirsi essere umani.
Un giorno mio padre ebbe un ictus ed ischemia, restò paralizzato; era il 1993, io ero uscito dopo 7 anni di prigione avendone fatti 2 e mezzo poco prima, perché ero uscito per decorrenza termini (sempre per banche).
Dopo due mesi di ospedale, decidemmo che mio papà dovevamo portalo a casa, perché mia mamma dall’ospedale non voleva muoversi, così lo portammo a casa, con tutto l’amore del mondo. Subito però mi accorsi che mia mamma era anziana e che non poteva accudire da sola mio papà, che aveva bisogno di essere pulito, lavato e tutte le cure che gli servivano (abbandonato dal governo come fanno con tutti/e).
Mia madre pensionata, mio padre in quello stato, così, con tutti i problemi, ho ripreso la strada degli espropri verso le banche per permettere una vita normale ai miei genitori. Sono felice di aver fatto quello che ho fatto, lo rifarei, gli metterei due badanti a mia mamma e mio papà.
Lo Stato abbandona tutti, erano solo bravi a venire a casa a cercare il voto quando c’erano le elezioni, e una volta al sindaco per poco non andavo in comune a buttarlo giù dalla finestra, se si permetteva ancora a chiedere il voto a mia madre, invece di interessarsi dei problemi sociali che affliggevano gli anziani e non solo.
Tornando alla scuola, dato che ho scritto di avere solo la 5° elementare, la terza media l’ho conseguita al Beccaria (carcere minorile). Dal Beccaria sono evaso. Ero dentro per una rapina in gioielleria da 800 milioni di lire: era il 1977, erano tanti soldi all’epoca, ma in carcere aiutavo tutti. Sono evaso per aiutare mio fratello che avevano arrestato in Grecia, ad Atene; era a “Comotint”, rischiava la pena di morte, fu arrestato per hascisch, c’erano i colonnelli, solo pagando 200 milioni siamo riusciti a tirarlo fuori. Ero scappato per rapinare e salvare la vita a mio fratello.
In carcere poi ho fatto due anni di ragioneria e due anni di geometri, però ho letto molti libri: L’interpretazione dei sogni di Freud, Carl Gustav Jung, Avere o essere e L’arte di amare di Erich Fromm, Siddhartha di Hermann Hesse, poi libri sul fascismo, sui medici del Terzo Reich e tanti altri. Soprattutto ho fatto tanta ginnastica e la faccio ogni mattina, ogni giorno, escluso la domenica, per quello sono in forma. … Io i bulli non posso vederli, mi sono sfidato tante volte con le mani, e qualche volta anche con altro, parlo sempre di carcere. Posso dire che quando in carcere c’erano gli omicidi e gli accoltellamenti ero sempre rispettato e benvoluto dai più pericolosi, perché non mi facevo mettere i piedi in testa da nessuno, mi facevo, e mi faccio, voler bene da tutti. Anche durante le rapine mi definivano il rapinatore galantuomo; infatti mi hanno arrestato in una banca per aver soccorso una donna che era svenuta vedendo il mio coimputato che maltrattava il direttore. Così per far rinvenire la signora con un bicchier d’acqua sono arrivati i carabinieri perché era scattato l’allarme. All’inizio ero riuscito a ingannarli perché avevo una tuta da elettricista, parrucca e baffi finti: gli avevo detto che sicuramente era scattato l’allarme perché eravamo intenti ad aggiustarlo, si erano allontanati, ma per chiamare il mio coimputato e non lasciarlo solo, perché era sceso nel caveau, ho perso tempo. Così dalla centrale gli hanno detto: “Deficienti, guardate che c’è l’allarme e quello che vi ha parlato sicuramente è il rapinatore!!!”. Appena li ho visti ritornare ho preso la scopa in mano e facevo finta di pulire nella banca, solo che mentre controllavano le targhe e i blocchetti delle macchine sono arrivati alla nostra moto (quel “deficiente” del mio coimputato, per impennare la moto al mattino, aveva fatto cadere il blocchetto dell’accensione, per cui si accendeva solo con il cacciavite). Così hanno spianato le armi, ed io ho bloccato tutte le porte della banca, ci siamo arresi con l’intervento di un capitano dei carabinieri, perché se uscivamo ci facevano come un “colapasta”, così abbiamo optato per una resa condizionata (6 giugno 1994). La mia è una storia lunga e… molto, molto movimentata…

Avete visto ieri a Ferrara il sit-in contro Federico Aldrovandi!!! Fatto ripugnante e infame. Oggi ho scritto ai compagni di Torino e detto che tutti/e noi dobbiamo organizzare una manifestazione a sostegno della povera madre di Federico, che infami poliziotti hanno oltraggiato, con quel presidio sotto l’ufficio dove lavorava. E dite su Internet che alla mamma del caro fratello Federico va tutto il mio affetto e la mia vicinanza al suo dolore, e che auguro a quei poliziotti che in carcere qualcuno li ripaghi con calci in faccia e un pestaggio come hanno fatto con il povero Federico, perché solo dei vigliacchi oltraggiano il dolore di una mamma (schifosi-luridi-infami-vermi)…
Vi chiedo di mettere su inform-azione il mio dolore alla sua cara mamma, oppure tutta la mia lettera, come volete.

Con questa mia rabbia per l’ennesimo omicidio di Stato, concludo questa mia abbracciandovi tutti/e al mio cuore, famigliari, amici, compagni e solidali di nostro fratello Stefano Frapporti, che aguzzini infami hanno strappato all’amore e all’affetto dei suoi cari e di tutti/e noi.

Terni, 28 marzo 2013

Con la rabbia nel cuore, un abbraccio ribelle
V.V.B. Maurizio (a-cerchiata)

Telegramma scritto dopo il presidio del 30 marzo

Oggi le mie emozioni sono indescrivibili
Ringrazio tutti/e fratelli, sorelle, compagni/e e solidali per il presidio, da Rovereto, a Roma, Trento, Milano, Torino, etc. Per ringraziare tutti/e ho scritto ad Ampi Orizzonti e al circolo Siete la mia energia, la mia forza spirituale, la mia voglia di rivalsa Il mio cuore vi accompagnerà nel vostro ritorno a casa
Ovunque sarò con voi ribelle e fiero di esserci
V.V.B. Eternamente e fraternamente
Maurizio       

Per scrivere a Maurizio Alfieri l’indirizzo è:
Maurizio Alfieri
Casa Circondariale Di Terni
Strada Delle Campore, 32 – 05100 Terni (TR)

Informa-Azione