Feb 032017
 

16265998_1616369041725230_1957961538029592039_n-e1485795510289Il 30 gennaio si è tenuta l’udienza per la richiesta di sorveglianza speciale ad un nostro compagno.

A nostro avviso anche, l’apparentemente assurda, gestione di piazza messa in campo quel giorno va letta come  uno degli aspetti della stretta repressiva in atto da qualche tempo. Le discrepanze emerse tra questurini pur evidenziando contraddizioni all’interno e distinzioni tra “vecchie e nuove guardie”, lasciano il tempo che trovano. Il dato è che, giorno dopo giorno, le strade vanno svuotate dalle espressioni di solidarietà e chi ostinatamente rifiuta di partecipare alla costruzione di quel vuoto incorrerà nelle loro provocazioni. Il fatto poi che quel giorno, in quelle aule, si sarebbe deciso se accogliere o meno la richiesta dei questurini avrà molto probabilmente fomentato il desiderio di esercizio di potere della sbirraglia. Ad oggi,  con il compagno al nostro fianco, raccogliamo con gioia la loro frustrazione certi e certe che la ritroveremo nelle strade che non abbiamo intenzione di abbandonare.

Rete Evasioni

 

Riceviamo e pubblichiamo

 

Lunedì 30 gennaio si è svolta l’udienza per la richiesta di sorveglianza speciale a carico di un compagno di Roma. Un presidio solidale si è raccolto nel piazzale antistante al tribunale di Roma sin dalle prime ore del giorno, con la volontà di far sentire la propria vicinanza al compagno in questione e di non lasciare nel silenzio l’ennesimo attacco a chi non abbassa la testa.
L’atteggiamento della polizia, schierata in forze, è stato dei più odiosi sin da subito. Disposte davanti all’ingresso del tribunale, le forze di pubblica sicurezza hanno impedito ai compagni e alle compagne che volevano seguire l’udienza in aula di entrare, adducendo scuse che più passava il tempo più suonavano grottesche, tra rimpalli di responsabilità che cozzavano col loro stesso codice di diritto. Il compagno aveva fatto richiesta tramite il suo difensore, che l’udienza si svolgesse in forma pubblica, a porte aperte come si suol dire, richiesta accolta dalla corte che avrebbe dovuto garantire l’ingresso libero. Invece no, in una specie di delirio di potere, la polizia, schierata quasi a picchettare l’ingresso principale del tribunale, ha bloccato non solo i solidali ma tutte le persone che dovevano entrare nel “palazzo di giustizia”, operando una ridicola quanto infame selezione all’ingresso che si basava sull’assunto che solo chi era in possesso di un ordine di comparizione davanti al tribunale potesse entrare, ma che riguardava in effetti più che altro l’aspetto di chi poteva sembrare persona amica o vicina al compagno. Nei fatti parenti e amici di altri imputati, persone che avevano impegni nel tribunale, persino fattorini che dovevano consegnare documenti, venivano bloccati, creando una situazione sempre più imbarazzante per le stesse forze di polizia. La risposta dei compagni e delle compagne è stata da subito decisa e ferma. A chi rimasto all’ingresso esigeva di entrare, ricevendo la solidarietà di tutte quelle persone che subivano lo stesso abuso, si è aggiunta subito la risposta del grosso del presidio che scendeva sulla carreggiata stradale per denunciare l’intollerabile prepotenza e far sentire la propria determinazione e rabbia: bloccano l’entrata, blocchiamo il traffico… l’immediata e spontanea deduzione. Dopo diverse decine di minuti concitati il blocco all’entrata è stato tolto, e nell’insistente paranoia degli sbirri solo 4-5 tra compagni e compagne sono state fatte passare per raggiungere un’aula in cui, letta una dichiarazione* dal compagno, l’udienza stava volgendo al termine.
Nel frattempo sulla piazza, mentre si decideva di riunirsi in assemblea per attendere l’uscita dei compagni e delle compagne, l’arrivo di altri contingenti di polizia circondava i solidali. La solerzia del questore del commissariato di Prati, arrivato a dirigere le operazioni di gran carriera, che con una certa goffaggine schierava le sue truppe tutt’attorno al presidio bloccando il traffico molto più di quanto non avessero potuto fare i compagni, riusciva nell’intento di far sembrare tutta la macchina poliziesca più miserabile di quello che solitamente appare. In evidente stato confusionale, litigando tra digos e questurini, lo spropositato contingente assediava la piazza, in cui ormai, finita l’udienza, il presidio aveva deciso di sciogliersi. Ma forse per giustificare tanto zelo, o forse per riaffermare la loro infamità, le forze di pubblica sicurezza impediva ai presenti di lasciare la piazza senza dare le proprie generalità. All’iniziale rifiuto di tanta parte della piazza di accettare questa provocazione, l’atteggiamento della polizia rimaneva granitico, o forse meglio dire stolido, come quello del somaro che non sente più ragioni. Dopo ore di stallo, in cui il numero di celere schierato in assetto antisommossa e digos lievitava mentre il numero dei compagni misteriosamente diminuiva (ad indicare che l’intelligenza e l’astuzia hanno sempre ragione sulla bruta forza e sulle teste di legno), l’arrivo di un pullman della polizia segnava la svolta della mattinata. Prendendo finalmente coraggio, la polizia su ordine del suddetto questore, procedeva al rastrellamento e alla messa al muro di quello che rimaneva del presidio intimando la consegna dei documenti o l’arresto, mentre nei dintorni della piazza scattavano cacce all’uomo in cui questurini inseguivano agenti della digos e viceversa, e gli uni agli altri giuravano di far parte della stessa organizzazione, sotto gli occhi increduli dei compagni che assistevano alla scena. Dopo aver ottenuto almeno che chi non aveva documenti fosse lasciato in libertà, il presidio si scioglieva cedendo alla stupidità poliziesca e lasciando la piazza alla spicciolata. Ma il questore come disturbato da incubi ad occhi aperti, faceva seguire dai suoi plotoni i solidali fino ai bar vicini dove alcuni si ristoravano con acqua e vivande dopo il lungo sequestro, continuando a minacciare e intimare ordini senza senso, ai quali ormai nessuno più badava, finanche i suoi collaboratori, che prendendolo per braccio lo rasserenavano e lo riaccompagnavano in ufficio.
Non ci stupiamo della violenza e dell’abuso con i quali giorno dopo giorno un sistema in affanno amministra la sua iniquità. Siamo e saremo sempre a testa alta a fianco di chi lotta, solidali con chi non si arrende, sprezzanti verso la miseria umana di chi esegue gli ordini assassini che mantengono in piedi questo sistema di dominio.

1 febbraio 2017

NED-PSM

P.s. Apprendiamo in serata, con immensa gioia, la decisione di RIGETTO della richiesta di sorveglianza speciale a carico del compagno… il nostro Pier.
Ringraziamo tutti e tutte le solidali che, presenti al nostro fianco in questi giorni, ci hanno sostenuto e accompagnato nelle iniziative di lotta.
Non scordiamo che c’è ancora molto da fare, né i compagni e le compagne, che colpiti/e da nuove o vecchie inchieste si trovano agli arresti.