Come Futbol Rebelde, associazione facente parte del Progetto Rebeldía e affiliata UISP, vogliamo comunicare la nostra inquietudine per il nuovo bando per la gestione della Stazione Leopolda, in cui abbiamo individuato varie criticità:
- l'elevato onere economico che viene richiesto alle associazioni, e la “concessione”, che di fatto si trasforma quindi in necessità, di svolgere attività commerciali: sembra che ci si sia dimenticati che il bando è rivolto a entità no profit, che si troverebbero invece costrette a far cassa, e non per finanziare le proprie attività, ma per pagare affitto e spese!
- il controllo e la supervisione delle attività da parte della Giunta comunale come passo necessario per ottenere lo spazio e avere finanziamenti pubblici (indispensabili, dati i costi elevatissimi); è evidente il rischio di un'ingerenza della politica, che porterebbe con sé clientelismo, sudditanza, perdita della necessaria autonomia.
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L'affaire Leopolda, ovvero della distanza intergalattica che separa la Giunta comunale di Pisa dalla partecipazione e la democrazia
Come Laboratorio delle disobbedienze, collettivo facente parte del del Progetto Rebeldía fin dalla sua nascita, vogliamo comunicare alla città la nostra posizione sulla questione del bando della Leopolda. Riteniamo che l'attuale gestione di uno spazio così importante come l'ex Stazione Leopolda rappresenti in maniera chiara un modello di rapporto sbagliato e dannoso tra il potere politico e la città viva e vissuta.
Sorvolando sulle gaffes dell'Assessora Maria Paola Ciccone che ha ritirato il bando dopo soli tre giorni dalla sua pubblicazione, rivelando preoccupanti errori e imbarazzi nella gestione delle politiche sociali, ciò che non ci convince del bando così come è stato presentato sono i seguenti punti:
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Con il bando per la Leopolda la democrazia è in "prognosi riservata"
L'attuale gestione di uno spazio così importante come l'ex Stazione Leopolda rappresenta in maniera chiara un modello di rapporto sbagliato e dannoso tra il potere politico e quella parte di città che realmente agisce in città con iniziative, attività e proposta culturale.
Sorvolando sulle gaffes dell'Assessora Maria Paola Ciccone che ha ritirato il bando dopo soli tre giorni dalla sua pubblicazione, rivelando preoccupanti errori e imbarazzi nella gestione delle politiche sociali, ci sono molte questioni che non solo non convincono ma preoccupano del bando così come è stato pensato e pubblicato.
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Come Laboratorio di cucito 31K32 ci sentiamo toccati nel vivo dagli ultimi sviluppi dell’ormai annosa questione Leopolda: chiunque abbia dato un’occhiata al bando elaborato per assegnare la gestione di quella che è nata come la Casa delle Associazioni (ripetiamo: Casa delle Associazioni) ha visto come si tratti di un abito male imbastito da una Giunta armata di metro da sarto e forbici. Dovrebbe trattarsi di un bando “taglia unica”, capace di vestire e dare spazio alle associazioni, tutte, della città, e invece guardiamo l’etichetta e vediamo che è una taglia 40, perché quaranta devono essere le associazioni partecipanti, che queste devono avere sede a Pisa e esser state formate da almeno due anni; che tali associazioni si presumere debbano essere a scopo di lucro, altrimenti come potrebbero pagare gli alti oneri previsti? Ancora, sotto la scritta “Made in Pisa”, l’etichetta del Bando per la Casa delle Associazioni, riporta altre clausole: chiunque voglia indossarlo non può avere pendenze (ossia vertenze in sospeso, non condanne) per occupazione, né potrà indossarlo chi intenda svolgere la propria attività associativa nel territorio senza dover render conto a controllori. E’ prevista infatti la supervisione politica delle attività da parte della Giunta Comunale, il cui parere sarà dirimente per la concessione degli spazi della Leopolda (che è sempre la Casa delle Associazioni di cui sopra) nonché di eventuali contributi.
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Il Rebeltheater del Progetto Rebeldia si congratula con l'amministrazione comunale di Pisa per l'esemplare farsa messa in piedi per la gestione di uno spazio così importante come l'ex Stazione Leopolda.
- La retorica della legalità e della trasparenza si è tradotta, senza troppi colpi di scena, nelle arbitrarie condizioni sulle caratteristiche del soggetto richiedente: 40 associazioni formate da più di 2 anni da reperire nei 20 giorni di apertura del bando. Ovvero un bando ritagliato per l'attuale comitato gestore della Leopolda.
- Come i mecenati rinascimentali, che amavano circondarsi da artisti che contraccambiavano ponendo la propria arte al servizio del potere rappresentato dai loro benefattori, dando così prestigio alle loro corti, così la Giunta comunale di Pisa pone il controllo e la supervisione politica della programmazione delle attività delle associazioni come passo necessario per confermare il contributo pubblico, nonché determinante per la stessa assegnazione del bando.
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Dopo anni di proroghe è stato pubblicato il bando per la Stazione Leopolda. Un bando dovrebbe essere uno strumento di democrazia, pensato per dare la possibilità a tutti di potervi partecipare senza privilegi per l'una o l'altra parte. Invece quello che è venuto fuori in questi giorni è qualcosa che va ben oltre ogni effetto speciale. Non siamo di fronte, però, a un film di fantascienza, bensì a un film drammatico. Da un lato l'evidente costrizione delle associazioni no-profit eventuali vincitrici del bando a vincoli e sudditanze che snatureranno l'identità delle stesse, costringendole a diventare attività commerciali per poter pagare l'oneroso affitto.
Dall'altro, si parla addirittura di stipendi per i dipendenti. Dipendenti di chi? Ma non è tutto. Le attività dovranno passare dalla supervisione politica della Giunta comunale. Sì, siamo sconfinati nel cinema fanta-politico, o forse siamo già arrivati direttamente dentro Matrix.
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L'affaire Leopolda, ovvero della distanza intergalattica che separa la Giunta comunale di Pisa dalla partecipazione e la democrazia
Come Osservatorio antipro del Progetto Rebeldía vogliamo comunicare alla città la nostra posizione sulla questione del bando della Leopolda. Riteniamo che l'attuale gestione di uno spazio così importante come l'ex Stazione Leopolda rappresenti in maniera chiara un modello di rapporto sbagliato e dannoso tra il potere politico e la città viva e vissuta.
Sorvolando sulle gaffes dell'Assessora Maria Paola Ciccone che ha ritirato il bando dopo soli tre giorni dalla sua pubblicazione, rivelando preoccupanti errori e imbarazzi nella gestione delle politiche sociali, ciò che non ci convince del bando così come è stato presentato sono i seguenti punti:
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Il Comitato Acqua Bene Comune Pisa lancia nel nostro territorio, la "campagna di obbedienza civile" promossa dal Forum Nazionale dei Movimenti per l’Acqua per l'applicazione del 2° quesito referendario. Con la pubblicazione del decreto del Presidente della Repubblica, 18 Luglio 2011, n. 116 (Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 167 del 20 Luglio 2011), è stata sancita la vittoria referendaria, sostenuta da 27 milioni di cittadini italiani che il 12 e 13 giugno 2011 hanno votato per l'abolizione della remunerazione del capitale investito dalle bollette dell'acqua.
La Corte costituzionale con la sentenza n. 26 del 2011, con la quale ha dichiarato costituzionalmente ammissibile il quesito referendario, aveva chiarito che l'esito di questa abrogazione è direttamente applicabile, e "non presenta elementi di contraddittorietà", rendendo cioè immediatamente praticabile la riduzione della tariffa senza attendere alcun ulteriore intervento legislativo.
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Ho negli occhi Luca che viene giù dal traliccio. Non riesco a togliermi
la sua immagine dalla mente, neppure ora che è fuori pericolo. Perché è
la parte migliore del nostro paese che cade con lui.
E si fa male,
molto male.
Avrà a lungo bisogno di cure per rimettersi in piedi,
questo paese assaltato dal proprio Stato, prima di poter dire che è
fuori pericolo. Non sto parlando di economia, naturalmente, di spread,
di banche, di borse, di tutte quelle diavolerie che Lorsignori usano
per assoggettare intere popolazioni.
Penso alla coscienza civile, alla
morale; a quel sentimento di solidarietà, di condivisione, di rispetto
per la vita e la storia del territorio che voi dimostrate e che ha
portato Luca sul suo traliccio. Un tesoro prezioso per la convivenza
umana che viene quotidianamente misconosciuto, aggredito, messo in
pericolo da uno Stato che avrebbe il compito di preservarlo.
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Antonella De Vito
Ibadet Dibrani è una giovane donna rom molta coraggiosa. Un coraggio che
in questo momento le nasce dalla disperazione, ma che le conferisce
comunque la caratteristica di una donna forte e combattiva, non
disponibile ad arrendersi alla logica e al potere di un’amministrazione
comunale che da una parte dà e dall’altra toglie sulla base di logiche e
principi che lasciano molti dubbi. Oggi Ibadet ha 34 anni e con i suoi 5
figli, la cui più piccola ha solo 9 mesi, è stata sfrattata dalla casa
dove viveva da oltre un anno. Da una piccola e vecchia roulotte
sistemata a pochi metri dall’abitazione, senza vestiti per potersi
cambiare e con poche coperte per tutti i bambini, continua a chiedersi
perché ce l’hanno proprio con lei. “È la prima volta che qualcuno della
nostra etnia, arriva fino alla Corte d’Assise” spiega Ibadet. I suoi
figli, tutti minorenni, sono Belen di 9 mesi, Corona di due anni e
mezzo, Merema di 12 anni, Ekrem di 13 e Toni di 15. Tutta la famiglia
raggiunge gli onori delle cronache nel 2010 quando ad appena due mesi
dal matrimonio, la moglie di suo figlio Toni decide di rompere l’unione
accusando il marito e tutta la sua famiglia, di averla rapita,
violentata e trattata da schiava. I giornali locali si gettano sulla
storia battezzando il caso come “la sposa bambina” dividendo subito i
protagonisti della vicenda fra buoni e cattivi. Toni ha 15 anni e così
sua moglie, anche se sugli organi d’informazione alla sposa, per essere
ancora più bambina, attribuiscono 13 anni, e le fanno indossare le vesti
della giovane eroina, che denunciando i suoi aguzzini infonde il
coraggio per ribellarsi, ad altre coetanee nelle sue condizioni. Questa
la storia letta sulla stampa.
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 COMUNICATO STAMPA
Aberrante,
disumana, e anche un po’ grottesca. Difficile definire diversamente
quella che sembrerebbe l’ultima trovata dell’Amministrazione comunale:
l’ipotesi di costruire sul Litorale una “barriera” – una rete di
recinzione, una staccionata in legno o chissà che altro – per impedire
le fughe degli ambulanti stranieri durante le “retate” dei vigili
urbani. Un’idea affidata ad un’anticipazione di stampa, confermata a
mezza bocca da un assessore, non smentita dal Sindaco: ma, almeno per
ora, mai scritta nero su bianco su documenti ufficiali o atti
amministrativi.
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In varie parti del Mediterraneo per la pesca del tonno si usavano le"tonnare", un crudele sistema di reti che serviva a catturare più pesci possibile: all'uscita dei pescherecci, il branco veniva spinto verso la tonnara in cui i pesci rimanevano impigliati, e iniziava la mattanza.
Ci domandiamo se l'Amministrazione comunale di Pisa, per bocca dell'assessore Serfogli, si sia ispirata a questo metodo nell'avanzare la proposta innalzare una rete a Tirrenia per catturare i migranti in fuga dalla Polizia Municipale.
Non potendo più emanare ordinanze direttamente discriminatorie come il decreto anti-borsoni, dopo il divieto del Consiglio di Stato, questa Giunta prova a costruire trappole per venditori ambulanti sul modello delle tonnare. Applicare questo sistema a esseri umani è un atto gravissimo, che non rispetta i diritti umani ed ha una chiara matrice razzista. Non è questo che si attende la città di Pisa, almeno quella parte che riesce ancora a ragionare in termini non riducibili al mero interesse di bottega, o alla caccia al voto in vista delle elezioni del 2013.
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