L'Avamposto degli Incompatibili
www.controappunto.org

Solidarietà a Diana
No all'annientamento


Esprimere ogni giorno un dissenso politico in merito a fatti o azioni in Italia ed in Europa è estremamente pericoloso. E' quasi automatico che colui il quale si pone in questa ottica, si trovi ad aver a che fare con perquisizioni ed interrogatori da parte degli apparati dello Stato, "curiosi di sapere" "per evitare azioni di terrorismo" (toccando addirittura un comico come Beppe Grillo).

Terrorismo è un termine, attualmente, molto in voga, al punto di essere usato in campagna elettorale per screditare i propri avversari, come fu ad esempio il caso di D'Alema nei confronti del Polo.

Nonostante ciò e pur consapevoli del rischio personale che ciascuno di Noi si assume, rimaniamo sensibili a delle questioni cardine. Pur mantenendo alta la nostra vigilanza e non mancando mai di denunciare questi fatti ogni qualvolta vi accadranno, certi che si verificheranno.

Nei giorni scorsi, dalle pagine di alcuni quotidiani di diffusione nazionale, esponenti abruzzesi del partito della Rifondazione comunista hanno denunciato la situazione di "estremo disagio" in cui versa la comunista Diana Blefari, attualmente detenuta in regime di 41Bis presso il carcere dell'Aquila.

Abbiamo potuto constatare che l'esecuzione di tale articolo di legge è la causa che ha determinato la sua attuale condizione definita dalla strategia di annientamento della persona ed al tempo stesso di repressione preventiva, che viene perseguita ai danni dei detenuti politici (ma non era vietato costituzionalmente giudicare o addirittura creare distinzione per queste motivazioni?!!!!!).

Diana è una delle sette persone detenute per reati previsti dall'art. 270bis del c.p.p. che, a partire dall'Ottobre scorso, hanno subito l'estensione della disciplina dell'art. 41Bis dell'ordinamento penitenziario.

Una estensione decisa dal parlamento nel 2002, che da subito parve palesemente pretestuoso considerato che le associazioni cosiddette eversive non sembrano possedere quella capacità, propria invece di quelle mafiose, di gestire un vero e proprio apparato di potere e di mantenerlo intatto nonostante le iniziative giudiziarie che le colpiscono (ovviamente grazie al radicamento che hanno ampiamente dimostrato di avere nel territorio e soprattutto nelle istituzioni). Proprio questa caratteristica portò storicamente, e sulla scia dell'emozione popolare di alcuni efferati delitti oltre al consueto linciaggio mediatico all'introduzione del 41Bis, ovvero una disciplina d'eccezione (successivamente resa di carattere permanente) indirizzata ad impedire i contatti tra detenuti ed associati in libertà (come è noto la soluzione concreta, a sua volta discutibile, per realizzare tale obiettivo ha determinato un pressoché totale annientamento della dignità della persona con azzeramento degli spazi di socialità, con i propri affetti esterni e con gli altri detenuti).

In mancanza delle caratteristiche proprie delle associazioni di tipo mafioso, l'estensione del 41Bis ai detenuti politici palesa la sua funzione di strumento di ricatto per portare al rinnegamento della identità umana e politica del detenuto (ma del resto anche nei confronti dei mafiosi con l'applicazione di tale legge si è inteso innanzitutto trasformare il carcere in una fabbrica di pentiti, di cui ancora oggi ci si domanda l'utilità).

L'applicazione della 41Bis ai detenuti politici serve anche per perfezionare l'armamentario della repressione preventiva, con la finalità di dissuadere dal suo impegno chi fa opposizione politica. A tale proposito non è un mistero che già il 270Bis, essendo basato sul principio del pericolo presunto (oggi disciplina Bush), ha dato da sempre agli inquirenti grande discrezionalità nella sua utilizzazione, portando alla costruzione di svariate inchieste che hanno coinvolto anche chi semplicemente si poneva su un piano di critica dell'esistente (ospitandolo nella calorosa ed arbitraria lunga detenzione!), definendo in questo senso la funzione di "arma di dissuasione di massa". Il 41Bis aggiungendo allo spauracchio del carcere quello dell'annientamento della persona e della sua dignità, rafforza tale operazione dissuasiva. Non si tratta di un problema teorico. E' un dato di fatto che emerge da diverse recenti inchieste giudiziarie e anche le relative e numerose sentenze di assoluzione lo hanno confermato: ancora oggi i magistrati dell'antiterrorismo sono orientati a utilizzare il 270Bis in modo largamente discrezionale (anzi oggi lo sono ancora di più, grazie ai ritocchi apportati negli ultimi anni dal legislatore), quindi l'imputazione per il reato di associazione eversiva è sempre più spesso affibbiata per il solo fatto di appartenere ad una certa area politica o culturale.

Nel caso di Diana detta strategia ha già prodotto i suoi primi effetti. Dopo essere stata periodicamente deportata, in sei/sette carceri diversi (in 2 anni), dove ha scontato lunghi periodi di isolamento (in carcere esiste un'ampia discrezionalità di decidere sui cosiddetti casi d'eccezione attraverso provvedimenti amministrativi adottati dal Dap!) e da quando è stata sottoposta al regime del famigerato 41Bis, ella si è totalmente "chiusa in se stessa", allontanando da sé ogni tipo di contatto sociale (se così si possono chiamare in questi contesti di negazione totale della dignità delle persone), rifiuta i colloqui con i familiari e con gli avvocati. Al punto di non rispondere più alle lettere degli amici (per non incappare nell'accusa di gestire con la corrispondenza le situazioni esterne) e nemmeno con altri detenuti.

Forse questo suo rifiuto "di tutto" è la sua ultima forma di lotta nei confronti di una realtà, quella del carcere, esistenzialmente incompatibile, in quanto dispensatrice a ciclo continuo di violenza. E a livello inconsapevole e spontaneo sicuramente lo è, considerata anche la sua storia personale che è quella innanzitutto di una persona che, prima ancora di arrivare a "violare la legge", è stata costretta, e a maggior ragione in quanto donna, a lottare contro tutti quei rapporti di potere che pervadono le relazioni sociali dominanti in questa società. Rapporti di potere che generano una violenza dalla quale nessuno ci tutela mai!

L'applicazione del 41Bis a Diana, limitazione ed il controllo esasperati della persona che oggi non comunica praticamente con nessuno, nella sua manifesta contraddittorietà svela le reali finalità dell'applicazione di tale legge ai detenuti politici, quella di annientare e terrorizzare il dissidente, essa rappresenta il destino di chiunque si trovi a subire lo stesso tipo di violenza. Diana è solo la prima e purtroppo ben presto potranno seguirne altri.

Naturalmente i benpensanti aspetteranno, per esprimere la loro indignazione il momento in cui l'aggressione all'integrità psico-fisica di questa persona produca conseguenze patologiche.

Questa denuncia non è rivolta a loro, ma a tutti coloro che subiscono quotidianamente la violenza del sistema: reperire e mantenere il proprio salario, licenziamenti ecc.

Ovviamente sono da escludere tassativamente tutti coloro che da sempre cavalcano le disperazioni di eventi o persone ai fini di elevare il proprio status sociale come ad esempio quei politici di professione che hanno firmato, con il caso Diana, la loro campagna elettorale, pur non avendo mai superato la fase delle chiacchiere.

Riconoscere che la realtà del carcere non è altro che il punto apicale dell'azione repressiva, messa in atto contro chi dimostra insofferenza ed incompatibilità con lo stato di cose presenti è elemento imprescindibile per costruire una reale opposizione di classe al sistema basato sulla priorità del capitale sulle persone.

Da questa inumana legge si può cominciare a riprendere una discussione ormai sopita di che cos'è il carcere ed a che cosa servirebbe. Le responsabilità della società nei confronti dei suoi membri, ecc. Tutti argomenti ormai vecchi di centinaia d'anni, ma visti i tempi di regressione in cui ormai viviamo, più vitali che mai!

Assemblea contro la repressione e la società che la produce