Dossier su Expo in arrivo

Dopo l’esperienza del dossier sul TAV e i suoi tentacoli ambrosiani, abbiamo deciso di esagerare: 60 pag a colori stampate in mille copie per fissare alcuni concetti e raccontare il nostro punto di vista su Expo2015. La pubblicazione sarà pronta per il ClimateCamp (presentazione ven08 h19) e distribuita negli spazi sociali, nei presidi territoriali, in alcune librerie. Di seguito l’introduzione, in forma di anteprima.

Milano, maggio 2015. Viene finalmente inaugurata l’Esposizione Universale più attesa della storia. L’enorme lavoro preparatorio, migliaia di cittadini che hanno portato idee e proposte in centinaia d’assemblee locali, ha dato i suoi frutti. L’Expo milanese sarà il primo a impatto zero: nessuna speculazione, nessuna nuova edificazione ma un grande lavoro di recupero, riutilizzo e valorizzazione del patrimonio urbano esistente; 200.000 visitatori attesi al giorno che si muoveranno solo con mezzi di trasporto pubblico a emissione zero. Per l’occasione Milano si è rifatta il look; il nuovo bosco urbano realizzato al posto del vecchio quartiere fieristico è il simbolo della prima città mondiale ad aver risolto i problemi energetici e della mobilità con un ricorso totale a energie rinnovabili, con una rete di linee pubbliche e percorsi ciclabili che non hanno paragone al mondo. I quartieri periferici sono stati trasformati in tante cittadelle dove cultura, socialità e vivibilità sono le nuove parole d’ordine. Il Parco Sud è diventato il principale fornitore di alimenti biologici alla città e costituisce il più vasto sistema di agricoltura periurbana d’Europa; una rete wireless gratuita fruibile da milioni di persone quotidianamente ha reso la metropoli più ricca dal punto di vista culturale, cognitivo, scientifico e tecnologico; il 40% del territorio comunale pedonalizzato. Grazie alle nuove politiche fiscali, sociali e del bene comune, Expo è stato realizzato senza oneri per la collettività, ma solo con i proventi dei soldi recuperati da corruzione, sprechi e confiscati alle mafie; miliardi di euro che hanno permesso a Milano di generare un virtuoso sistema di welfare metropolitano e di investimenti sulla città. Questi sono solo alcuni dei fiori all’occhiello del Rinascimento ambrosiano. Insomma oggi Milano è una città dove chiunque vorrebbe vivere e il modello cui tutte le metropoli si ispirano per superare i problemi che stanno portando il pianeta al collasso….Ma non sarà così…

Iniziare un dossier con una visione potrebbe far nascere l’idea di avere già capito tutto. Ma dovendo parlare di Expo ci sembrava giusto chiarire subito ciò che Expo 2015 non sarà (e, probabilmente, mai potrebbe essere) riprendendo le parole con cui, più di quattro anni fa, uno sparuto gruppo di milanesi introdusse una lettera scritta al Boureau Intenational de Exposition (la società che gestisce il marchio Expo e decide le sedi delle esposizioni), cercando di evitare che Expo 2015 fosse assegnato a Milano.

In questi anni sono successe molte cose a livello locale e globale (e il quadro è ancora in moto), tra crisi economica e di sistema, cambi di Sindaci e Governi, revisioni del progetto e della struttura organizzativa e decisionale su Expo. E’ cambiato lo scenario rispetto al quale, nel 2007, il sodalizio Prodi-Moratti aveva visto in Expo 2015 lo stratagemma per rilanciare/rigenerare il sistema economico milanese e il cosiddetto “modello lombardo” (infrastrutture, poli logistici, grandi aree di trasformazione urbana, sussidiarietà). Resta il tentativo, ad oggi mai del tutto decollato se non nelle settimane appena successive all’assegnazione di Expo a Milano, di suscitare un moto di entusiasmo, partecipazione, coinvolgimento nell’evento dei milanesi.

A Expo 2015 si associa sovente un’aspettativa di crescita per l’intera regione, grazie da un lato al ricorso (keynesiano) alla costruzione di opere, promosse e finanziate da istituzioni pubbliche, in grado di “muovere” l’economia, dall’altro l’idea di grande evento che dovrebbe alimentare nuove prospettive, nuovi sogni, in una parola sola un nuovo immaginario in grado di divenire “motore ideale dell’economia reale” ed inaugurare un nuovo ciclo economico virtuoso. Così è stato nel secolo scorso per Olimpiadi, Mondiali, Esposizioni Universali, utilizzate da paesi che aspiravano alla ribalta mediatica per liberarsi o nascondere “gli scheletri di casa” (la Spagna post-franchista, l’Argentina della giunta militare e dei Desaparecidos, la Cina odierna). Così era ed è nelle intenzioni degli sponsor milanesi di Expo: dalla scelta del tema, Nutrire il Pianeta – Energia per la Vita, etico ed emotivamente coinvolgente, alla ripetizione ossessiva del mantra sulla grande opportunità da non perdere che porterà lavoro, ricchezza, ribalta mondiale per il marchio Milano. Ma il gioco non ha funzionato come nelle intenzioni. Certo il tema scelto già stride con la realtà di una città e di una regione che, negli anni, tutto hanno fatto tranne che salvaguardare il patrimonio agricolo e la sovranità alimentare con produzioni di prossimità (e non a caso anche Slow Food è scesa dal carro). Ma, soprattutto, l’immaginario “verde”, il modello eco-sostenibile è inconciliabile con gli attori in campo e gli interessi economici in ballo. Poi la crisi, i tagli, i sacrifici hanno fatto il resto e reso Expo un ospite ingombrante e un alibi inutile in assenza di una visione strategica ampia e nuova per il territorio della metro-regione Milano

Qui sta il senso di questo Dossier: dimostrare l’inutilità e la pericolosità di Expo 2015 per le sorti di questa città e del territorio vasto che gravita su di essa. Dietro la retorica dei proclami e gli immaginari di carta, la realtà dell’intera regione metro lombarda è invece l’assenza di un orizzonte, Expo o non Expo: le stime economiche parlano chiaramente di stagnazione pluriennale, i telegiornali parlano esclusivamente di “sacrifici”, la tematica “green” Expo2015 “Nutrire il pianeta. Energia per la vita” non viene considerata dal mainstream una risposta alla crisi, se non come accessorio inserito in altre ricette e, comunque, non proponibile nel breve in maniera spettacolare. E l’immaginario riguardo a Expo, dall’autunno scorso, è fatto da un panorama di desolazione in cui l’evento è semplicemente divenuto un obbligo da mantenere per “evitare una brutta figura a livello internazionale”. E’ un po’ poco. Limitare i danni, salvare il salvabile, mostrare visibilmente gli stracci con cui si cerca di coprire l’assenza storica di una strategia territoriale credibile, non offre altro che un’impressione di impotenza. Su questo vuoto si impone l’immaginario della crisi, che nello specifico della costruzione del grande evento Expo, significa la fine del ruolo del garante pubblico e l’incremento del fattore rischio per le aziende, piccole e grandi, multinazionali o locali, fattore rispetto al quale a queste latitudini non si è molto abituati.

Nelle pagine che seguono cercheremo di spiegare perché l’immaginario di Expo 2015 fosse fallimentare dall’inizio e analizzeremo i motivi per cui, oggi più che mai, è necessario affermare che esiste un altro immaginario di città, di rapporto con il territorio e di beni comuni, di crescita sociale, civile, culturale ed economica di un territorio. Un immaginario che prescinde da Expo 2015, da grandi eventi e grandi opere, e che si palesa nella metropoli e attorno a essa, sotto forma di pratiche, stili di vita, progettualità, bisogni quotidiani, vertenze, saperi, resistenze al consumo di suolo e alla privazione di beni comuni. Spesso distanti fisicamente o culturalmente tra loro, tutti questi ambiti esprimono una capacità di partecipazione che nulla ha a che fare con Expo, portando avanti contenuti o praticando obiettivi antitetici alle logiche del grande evento e di quanto, come vedremo, attivano sul territorio.

E’ da queste energie, da questi immaginari altri che si deve partire; abbandonando i sogni di grandezza da “Belle Epoque” che Expo 2015 vorrebbe suscitare, per una più gioiosa sobrietà nel leggere la realtà odierna, mettendo al centro i Beni Comuni, l’Interesse Pubblico, lo Stop al Consumo di Suolo, i Diritti e la Dignità del 99% che siamo noi.

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