2008.04.21



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#1

Il paesaggio agrario

Sintesi della relazione di Giovanna Ricoveri al convegno
"Territorio, identità, comunità. Verso una nuova visione del paesaggio"
Riserva naturale regionale della Valle dei Casali
Roma, 28-29 febbraio 2008

Da una diecina di anni, vi è in Italia e in Europa un rinnovato interesse per il paesaggio: si fa strada una concezione nuova, che intreccia Storia e Natura e ne riconosce il valore non solo estetico e artistico ma anche identitario, legato alla "percezione" che le popolazioni locali - le comunità - hanno del territorio in cui vivono. Così ad esempio la Convenzione europea del 2000, ora recepita anche dall' Italia. Di qui anche un modo nuovo di intendere il locale e i luoghi come porzioni di territorio su cui è radicato il patrimonio sociale e relazionale delle comunità.

Il paesaggio agrario italiano- a volte definito rurale, nonostante i due termini siano diversi, e infatti "la campagna" non coincide con "l'agricoltura" - è stato messo a dura prova in Italia da oltre mezzo secolo di agricoltura industriale (di intensificazione produttiva e semplificazione colturale) e da alcuni decenni di Pac (politica agricola comunitaria), che hanno esasperato la pressione sui suoli e sull'ambiente. Questo tipo di agricoltura e quel tipo di politica hanno determinato effetti perversi a largo impatto sul paesaggio (agrario e rurale): dissesto idrogeologico; perdita di biodiversità; erosione dei suoli; inquinamento delle acque; cambiamento climatico; desertificazione. Un altro effetto perverso indiretto è la riduzione della superficie agraria utilizzata (da 15 milioni di ettari nel 1990 a poco più di 12 nel 2003), indotta sia dalla cementificazione (urbanizzazione diffusa e politica delle infrastrutture), sia dalla marginalizzazione economica e sociale dell'agricoltura in generale e di quella delle aree agricole periferiche, specie in alta collina e in montagna, in particolare. L'espulsione dai campi dei contadini, considerati un retaggio del passato, ha fatto il resto: contrariamente ad ogni evidenza, ancora oggi i contadini sono considerai anacronistici, un retaggio del passato da cancellare. Viene così negato in radice loro ruolo ineliminabile di produttori di alimenti sani, custodi del territorio e creatori del paesaggio, che definisce la loro e la nostra identità. E passa l'idea che il cibo sia una merce virtuale, che si produce nei supermercati.

Come ha scritto recentemente Giuseppe Barbera (in Tuttifrutti. Viaggio fra gli alberi da frutto mediterranei, fra scienza e letteratura, Mondatori 2007), "Negli ultimi sessant'anni i paesaggi agrari italiani hanno seguito due strade, quella dell'abbandono e quella della specializzazione. La prima, nelle aree di montagna soprattutto, ha portato al degrado, alle frane, agli incendi....La seconda, nelle aree più fertili, ha visto l'affermazione delle monocolture: sistemi e paesaggi semplificati, omogenei, spesso costituiti da una sola specie vegetale, dove le siepi, le alberature, le colture promiscue sono state cancellate, considerate inutili residui del passato in un'agricoltura disegnata per perseguire solo finalità economiche".

Nonostante la corsa alla produttività perseguita dalla politica agricola europea si sia attenuata da quasi vent'anni,, la logica dell'agricoltura industriale e monoculturale è restata la stessa. Molte sono oggi le proposte e gli strumenti messi in campo per "salvare" quel che resta del paesaggio agrario, che tutto il mondo ci invidia: dalla costruzione di un Catalogo generale del paesaggio agrario italiano (Piero Bevilacqua), inteso come un registro di beni artistici unici e irripetibili, che ne documenti il carattere storico; alle nuove competenze di pianificazione ambientale assegnate al Ministero Ambiente dal Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004; alla multifunzionalità dell'agricoltura, che ispira sia il Piano nazionale di sviluppo rurale del Ministero Agricoltura (coordinato da Mauro Agnolotti) sia i piani regionali di sviluppo rurale di matrice europea.

Quello che a me sembra del tutto assente è tuttavia la concezione del paesaggio formulata dai padri costituenti che dettero vita alla Costituzione repubblicana del 1948, ricordata anche dal Documento di indirizzo per la redazione delle linee guida sui nuovi compiti del Ministero dell'Ambiente in materia di tutela del paesaggio, e cioè la valorizzazione del paesaggio agrario inteso come "recupero della storia delle genti vive...il riscatto fatto al popolo e soprattutto al popolo contadino, al suo ingegno, alle sue conoscenze e alla sua fatica". A questo fine, occorrerebbe riconoscere che esistono due paradigmi agricoli diversi, a limite contrapposti: uno alimenta la vita; l'altro la distrugge, come dice Vandana Shiva in un passo ormai celebre di Monocolture della mente, da me tradotto (p.24) a proposito della silvicoltura. Il primo paradigma proviene dalla terra e dalle comunità che la coltivano; il secondo paradigma proviene dal mercato, ed è quello delle monocolture e del libero scambio dei prodotti agricoli sul mercato mondiale regolato dal Wto.

Riconoscere questo dualismo e questa contrapposizione è un primo passo, indispensabile per definire politiche agricole e territoriali capaci di tutelare il paesaggio agrario. Ma questo passo non è alla portata di noi occidentali: richiede infatti di ammettere la nostra interdipendenza dalla Natura, che gli umani possono modificare e controllare solo fino a un certo punto, dopo il quale la Natura si vendica. Pochi intellettuali (per non parlare dei politici) sono disposti a fare questo passo, che richiede una revisione radicale della cassetta degli attrezzi e dunque molto coraggio e la voglia di rischiare entrando in mare aperto. Non è un caso, forse, che su questo terreno si siano finora misurate soprattutto le donne e spesso gli intellettuali del Sud del mondo.

CNS-Ecologia Politica