2007.09.26



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#1

L'ideologia sociale dell'automobile (Andre' Gorz)

by cm-crew Friday, Sep. 20, 2002

Tutto dovra' cambiare: il mondo, la vita, la gente.

E tutto questo non succedera' da se'.

Bike Liberation Front


L'Ideologia Sociale dell'Automobile

di Andre' Gorz

La cosa peggiore delle automobili e' che sono come castelli o ville sul mare: beni di lusso inventati per il piacere esclusivo di una ricchissima minoranza e che, per concezione e natura, non furono mai indirizzate al popolo. A differenza dell'aspirapolvere, della radio o della bicicletta, che mantengono il loro valore d'uso quand'anche ciascuno ne possegga uno, l'auto, come le ville al mare, e' desiderabile solamente e utile sin tanto che le masse non le posseggano. Questo e' il motivo per cui - tanto per concezione quanto per lo scopo originale - l'auto fosse un bene di lusso. E l'essenza del lusso risiede nel non poter essere democratizzato. Se ciascuno puo' avere il lusso, nessuno se ne avvantaggia. Al contrario, tutti fregano, imbrogliano e frustrano tutti gli altri, e ciascuno e' fregato, imbrogliato e frustrato parimenti da tutti gli altri. Questo e' di facile comprensione nel caso delle ville sulla costa. Nessun uomo politico ha finora osato sostenere che democratizzare il diritto alle vacanze significhi una villa con spiaggia privata per ciascuna famiglia. Capiscono tutti che se ciascuna delle 13 o 14 milioni di famiglie avesse l'uso di soli 10 metri di costa sarebbero necessari 140000 Km di coste per dare a ciascuno il suo! Per dare a ciascuno la sua parte si dovrebbero lottizzare le spiagge in lotti cosi' piccoli - o addossare le ville cosi' tanto le une alle altre - che il loro valore d'uso sarebbe nullo e il loro vantaggio rispetto a un complesso alberghiero scomparirebbe. In breve, democratizzare l'accesso alle spiagge punta a una sola soluzione: il collettivismo. E questa soluzione cozza fatalmente col lusso della spiaggia privata, che e' un privilegio che una piccola minoranza pretende come diritto alle spese di tutti. Allora, perche' cio' che e' perfettamente ovvio nel caso delle spiagge non e' generalmente accettato nel caso dei trasporti? Come le case sulla spiaggia un'auto non occupa uno spazio, per sua natura, limitato? Non toglie qualcosa agli altri che usano le strade (pedoni, ciclisti, utenti di tram e autobus)? Non perde il suo valore d'uso quando ciascuno usa la sua? E pur tuttavia v'e' un'infinita' di politici che insistono che ogni famiglia ha il diritto di possedere almeno un'auto e che e' dovere del "governo" rendere possibile per ciascuno posteggiare in modo conveniente, guidare speditamente in citta', andare in vacanza nello stesso periodo di tutti gli altri e guidare a 140 Km/h sulle strade che conducono alle mete vacanziere. La mostruosita' di questo nonsenso demagogico e' immediatamente manifesto, e tuttavia neppure la sinistra non disdegna di farne ricorso. Perche' allora l'auto e' considerata una vacca sacra? Perche', a differenza di altri beni "privativi", non e' riconosciuta come un lusso antisociale? Le risposte dovrebbero essere ricercate nei due seguenti aspetti della guida:

  1. La motorizzazione di massa costituisce un trionfo assoluto dell'ideologia borghese nella vita quotidiana. Da' a ciascuno l'illusione che ciascun individuo possa cercare il suo proprio beneficio alle spese di tutti gli altri. Prendete il crudele e aggressivo egoismo del guidatore che in ogni istante sta figurativamente uccidendo gli "altri" che gli appaiono unicamente come ostacoli alla sua velocita'. Questo egoismo aggressivo e competitivo marca l'arrivo del comportamento universalmente borghese ed e' venuto ad essere fin da quando e' divenuto comune guidare. ("Non avrete mai il socialismo con questo tipo di gente" mi disse un amico tedesco orientale infuriato dallo spettacolo del traffico parigino).
  2. L'automobile e' l'esempio paradossale di un oggetto di lusso che e' stato privato del suo valore dalla sua stessa diffusione. Il mito del piacere e del beneficio dell'auto persistono nonostante che - qualora fosse diffuso il trasporto di massa - la superiorita' di quest'ultimo sia palese. La persistenza del mito e' facilmente spiegabile. La diffusione dell'auto privata ha rimpiazzato i trasporti di massa e alterato la pianificazione cittadina e urbana in modo tale che vengono trasferite all'auto funzioni che la sua stessa diffusione ha reso necessarie. Una rivoluzione ideologica ("culturale") sarebbe necessario che rompesse questa spirale. Ovviamente questo non ce lo si dovrebbe aspettare dalla classe dirigente (sia di destra che di sinistra).

    Ma osserviamo ora piu' da vicino questi due punti. Quando l'auto fu inventata, doveva fornire a pochi dei ricchissimi un privilegio completamente senza precedenti: viaggiare piu' veloci di qualsiasi altro. Nessuno fino ad allora l'aveva neppure mai sognato. La velocita' di tutti i carri era essenzialmente la stessa, sia per i ricchi che per i poveri. I calessi dei ricchi non andavano molto piu' veloci dei carri dei contadini, e i treni portavano tutti alla stessa velocita' (questi non avrebbero iniziato ad avere velocita' differenziate finche' iniziarono a competere con le automobili e gli aeroplani). Cosi', fino al cambio di secolo, l'e'lite non viaggiava a una velocita' diversa dal popolo. L'auto a motore stava per modificare tutto. Per la prima volta differenze di classe si sarebbero estese alla velocita' e ai mezzi di trasporto.

    Questo mezzo di trasporto dapprincipio sembro' irraggiungibile per le masse - era cosi' diverso dai normali mezzi di trasporto. Non c'era paragone tra l'auto e il resto: il carro, il treno, la bicicletta o il calesse. Esseri eccezionali uscivano con veicoli a propulsione autonoma che pesavano almeno una tonnellata e i cui meccanismi erano tanto misteriosi quanto nascosti alla vista. Un aspetto importante del mito dell'automobile era che per la prima volta c'era della gente che stava guidando veicoli privati i cui meccanismi operativi erano completamente sconosciuti, anche a loro stessi, ed il cui mantenimento e cura dovevano essere affidati a specialisti. Qui e' il paradosso dell'automobile: sembra conferire ai suoi proprietari liberta' senza limiti, permettendo loro di viaggiare quando e dove avessero scelto alla velocita' uguale o maggiore di quella del treno. Ma, di fatto, questa parvenza di indipendenza ha come suo lato nascosto una dipendenza radicale. A differenza dei carrettieri, dei ferrovieri, dei ciclisti, l'automobilista dipendeva per il rifornimento di carburante, cosi' come per la piu' piccola riparazione, da fornitori e specialisti di motori, lubrificanti, carburanti, e sull'intercambiabilita' delle parti. A dispetto di tutti i precedenti proprietari di mezzi di locomozione, la relazione tra l'automobilista e la sua auto era quella di utente e consumatore e non quella di proprietario e padrone. Questo veicolo, in altre parole, avrebbe obbligato il proprietario a consumare ed usare un insieme di servizi commerciali e prodotti industriali che gli sarebbero potuti essere forniti solo da terzi. L'apparente indipendenza del proprietario dell'automobile stava solo nascondendo la sua effettiva dipendenza radicale.

    I magnati del petrolio furono primi a percepire il guadagno che si sarebbe potuto ricavare da un'ampia diffusione delle automobili. Se la gente avesse potuto essere indotta a viaggiare in auto essi avrebbero venduto loro il combustibile necessario per muoversi. Per la prima volta nella storia la gente sarebbe divenuta dipendente per la sua locomozione da una fonte di energia commerciale. Ci sarebbero stati tanti acquirenti per l'industria petrolifera quanto il numero di automobilisti e - giacche' ci sarebbero stati tanti automobilisti quante sono le famiglie - l'intera popolazione sarebbe divenuta acquirente dei mercanti del petrolio. Stava per realizzarsi il sogno di ogni capitalista. Tutti stavano per dipendere per i loro bisogni quotidiani su un bene di cui una sola industria aveva il monopolio.

    Quello che rimaneva da fare era far in modo che la popolazione guidasse le auto. Sarebbe stata necessaria ben poca persuasione. Sarebbe stato sufficiente abbassare i costi delle auto per mezzo della produzione di massa e della catena di montaggio. La gente si sarebbe precipitata a comprarle. Tutti ci cascarono, non accorgendosi che venivano presi per il naso. Infatti, che offriva loro l'industria automobilistica? Semplicemente questo: "da ora in poi, come l'aristocrazia e la borghesia, anche tu avrai il privilegio di guidare piu' veloce di tutti. In una societa' motorizzata il privilegio di una e'lite e' reso raggiungibile anche da te."

    La gente si precipito' a comprare automobili finche', quando inizio' a comprarle anche la classe lavoratrice, gli automobilisti si resero conto di quanto fossero stati frodati. Era stato loro promesso un privilegio borghese, avevano fatto debiti per acquisirlo, e ora realizzavano che anche tutti gli altri potevano averlo. Che vantaggio ha un privilegio se tutti lo possono avere? E' una presa per i fondelli. Peggio: contrappone l'uno contro l'altro. La paralisi generale e' destinata a produrre un cozzo generale. Infatti quando ciascuno reclama il diritto di guidare alla privilegiata velocita' della borghesia, tutto si ferma e la velocita' del traffico cittadino precipita - a Boston come a Parigi, Roma o Londra - al di sotto di quella di un carro a cavalli, e nelle ore di punta la velocita' media nelle strade principali va sotto la velocita' di un ciclista. Non si scampa: tutte le soluzioni sono state tentate. Tutte finiscono rendendo la situazione peggiore. Non importa se aumentano il numero delle tangenziali, dei raccordi anulari, degli svincoli sopraelevati, delle autostrade a sei corsie: il risultato e' sempre lo stesso: piu' strade saranno in servizio piu' saranno le auto che le intaseranno, e il traffico urbano diverra' ancor piu' congestionato da paralizzarsi. Fintanto che ci sono citta' i problemi non saranno risolti. Non importa quanto ampie e veloci siano le autostrade, la velocita' alla quale i veicoli ne potranno uscire per entrare in citta' non potra' essere superiore alla velocita' media delle strade urbane. E fintanto che la velocita' media a Parigi e' da 10 a 20 Km orari, a seconda del momento del giorno, nessuno sara' in grado di lasciare i raccordi e gli svincoli autostradali attorno e dentro la capitale a piu' di 10/20 Km orari.

    La stessa cosa e' vera per tutte le citta'. E' impossibile guidare a piu' della media di 20 Km/h nel fitto reticolo di strade, corsi e vicoli che caratterizzano le citta' tradizionali. L'introduzione di veicoli piu' veloci inevitabilmente devasta il traffico cittadino causando imbottigliamenti ed infine la paralisi completa. Se l'auto deve prevalere c'e' ancora una soluzione: liberarsi delle citta'. Ovvero espanderle all'esterno, per centinaia di Km, lungo strade enormi, trasformandole in periferie autostradali. Questo e' cio' che e' stato fatto negli Stati Uniti. Ivan Illich riassume gli effetti in queste impressionanti cifre: "L'americano tipico spende piu' di 1500 ore all'anno (cioe' 30 ore la settimana, 4 ore al giorno domeniche comprese) per la sua auto. Questo include sia il tempo speso dietro il volante, sia in moto che fermo, sia le ore di lavoro per pagarsela e pagare per la benzina, copertoni, pedaggi, assicurazioni e tasse. Cosi' servono 1500 ore per percorrere 6000 miglia (all'anno). Per 3 miglia e mezzo serve un'ora. In paesi privi di industria dei trasporti la gente viaggia esattamente a questa velocita' a piedi, col vantaggio aggiunto che possono andare ovunque e non solo dove e' asfaltato"

    E' vero, sottolinea Illich, che nei paesi non industrializzati il viaggio occupa solo il 3-8% del tempo libero (cioe' da 2 a 6 ore la settimana). Questo fa si' che un pedone copra tante miglia quante una in auto, ma impiega da 5 a 10 volte meno tempo. Morale: piu' si diffondono veicoli sempre piu' veloci in una societa', piu' tempo - oltre un certo punto - la gente spendera' e perdera' viaggiando. E' un dato di fatto matematico.

    La ragione? L'abbiamo appena vista. Le citta' e i paesi sono stati segmentati in infinite periferie autostradali, giacche' questa era il solo modo di evitare la congestione da traffico dei centri urbani. Ma l'altra faccia di questa soluzione e' altrettanto ovvia: alla fine la gente non puo' passeggiare in modo conveniente perche' e' distante da tutto. Per far posto alle auto le distanze si sono accresciute. La gente ha cominciato a vivere distante dal luogo di lavoro, distante dalla scuola, distante dai supermercati - che richiedono una seconda auto per fare compere e portare a scuola i bambini. Quattro passi fuori? Non se ne parli nemmeno! Amici? Ci sono i vicini... e basta. Alla fine dell'analisi le auto fanno perdere piu' tempo di quanto ne facciano guadagnare e creano piu' distanze di quante ne accorcino. Ovviamente puoi andare a lavorare a 120 Km/h, ma solo se lavori a 60 Km da casa e sei disposto a dare un'ora e mezza agli ultimi 10 Km. Per concludere: "una buona parte della giornata lavorativa se ne va per pagare il viaggio necessario per andare a lavorare" (Ivan Illich).

    Forse ti starai chiedendo: "Ma almeno me la posso filare via da quest'inferno cittadino quando il lavoro e' finito". Gia': la "citta'", quella che per generazioni era stata considerata una meraviglia, il solo posto dove contasse davvero vivere, ora e' "un inferno". Tutti vogliono scapparne, vivere nelle campagne. Perche'? Per solo un motivo: l'auto ha reso la citta' invivibile. L'ha resa puzzolente, rumorosa, soffocante, polverosa, cosi' congestionata che la sera nessuno ci vuole piu' uscire. Cosi', poiche' l'auto ha ucciso le citta', noi abbiamo bisogno d'auto piu' veloci per scappare in superautostrade in periferie ancora piu' distanti. Che trovata davvero impeccabile! Dateci piu' auto cosi' da scappare alla distruzione causata dalle auto. Da bene di lusso e segno di privilegio l'auto e' divenuta necessita' vitale. Devi averne una per scampare dall'inferno urbano delle auto. Cosi' l'industria capitalista ha vinto la partita: il superfluo e' diventato necessario. Non occorre piu' persuadere la gente che voglia un'auto: e' una necessita' vitale. Vero e' che potrebbero venire dei dubbi guardando gli esodi motorizzati: tra le 8 e le 9:30 e tra le 17:30 e le 19 e nei fine settimana per 5 o 6 ore le vie in uscita allineano paraurti dopo paraurti in una processione che va (a dire tanto) alla velocita' di un ciclista e avvolta in dense nuvole di fumi cancerogeni. Che rimane dei vantaggi dell'auto? Che rimane quando - inevitabilmente - la velocita' massima di una strada e' ridotta esattamente alla velocita' dell'auto piu' lenta? A dirla tutta dopo aver ucciso le citta' ora l'auto uccide l'auto. Avendo promesso a tutti che sarebbero stati capaci di andare piu' veloci, l'industria automobilistica conclude coll'implacabilmente prevedibile risultato che tutti vanno lenti quanto il piu' lento, alla velocita' determinata dalle semplici leggi della dinamica dei fluidi. Peggio ancora: essendo state inventate per permettere ai proprietari di andare dove e quando e alla velocita' desiderata, l'auto e' diventata, di tutti i veicoli, il piu' schiavizzante, rischioso, dipendente e scomodo. Anche se tu possedessi un'incredibile quantita' di tempo, non saprai mai se gli ingorghi ti faranno arrivare. Sei legato alle strade inesorabilmente quanto un treno ai suoi binari. Non ti puoi fermare a scelta piu' di un viaggiatore in treno, e come in treno, vai alla velocita' decisa da qualcun altro. Tirando le somme l'auto non ha nessuno dei vantaggi del treno, ma tutti gli svantaggi, piu' le sue vibrazioni, lo spazio ristretto, il pericolo di incidenti e la fatica necessaria per guidarla.

    E tuttavia, potresti dire, la gente non prende il treno. Ovvio! Come potrebbero? Hai mai provato ad andare in treno da Boston a New York? O da Ivry a Treport? O da Treviso a Cuneo? Da Molfetta a Longarone? Mai provato in un fine settimana estivo? Be', provaci e buona fortuna! Scoprirai che il capitalismo automobilistico ha pensato a tutto. Proprio quando l'auto sta uccidendo l'auto, fa in modo di far sparire le alternative rendendo l'auto obbligatoria. Cosi' prima lo stato capitalista ha permesso che le connessioni ferroviarie tra citta' e paesi fossero ridotte a "rami secchi" e poi le ha eliminate. Le sole risparmiate sono state le connessioni intercity ad alta velocita', per competere colle aviolinee per una clientela borghese. Questo e' il progresso! Benvenuto! La verita' e' che non c'e' scelta: non sei libero di avere un'auto o no fintanto che il mondo della periferia e' progettato per essere una funzione dell'auto, e cosi' via fino a comprendere il mondo urbano. Questo il motivo per cui la soluzione rivoluzionaria - che e' eliminare le auto in favore di biciclette, tram, autobus, filobus, non e' neppure piu' applicabile in citta' come Los Angeles, Houston, Trappers o persino Bruxelles, che sono state costruite da e per le auto. Queste citta' sono state sfilacciate lungo vuote strade allineate con uno sviluppo identico, e il loro panorama urbano ti sta a dire: "queste strade sono fatte per guidare piu' veloce possibile da casa al lavoro e ritorno. Qui tu solo attraversi, non ci vivi. Alla fine della giornata lavorativa tutti devono starsene a casa, e chiunque trovato dopo il tramonto per strada deve essere considerato sospetto o criminale". In alcune citta' americane l'atto di passeggiare di notte per strada e' fonte di sospetto per le autorita' di polizia. Cosi' i giochi sono fatti? No, ma le alternative all'auto devono essere comprensive di tutto. Cosi', perche' la gente sia in grado di rifiutare l'auto, non sara' sufficiente offrire trasporti di massa piu' confortevoli, ma dovranno riuscire a fare a meno del trasporto, perche' la gente si sente a casa nel proprio vicinato, nella propria comunita', in citta' umane. E solo cosi' ci sara' il piacere di andare a piedi, o in bici, al lavoro. Nessun mezzo di trasporto rapido e di fuga compensera' mai la tortura di vivere in una citta' invivibile in cui nessuno si sente a casa o l'irritazione dovuta all'unica alternativa: andare al lavoro in citta' o di stare solo e dormire. "La gente" scrive Illich "rompera' le catene del trasporto sovrapotenziato solo quando ricomincera' ad amare il proprio territorio col suo proprio ritmo e temera' di dover andare troppo distante". Ma per amare "il proprio territorio" questo deve prima essere vivibile, non trafficabile. Il vicinato, la comunita', deve tornare ad essere il microcosmo costruito per tutte le attivita' umane, dove la gente possa vivere, lavorare, rilassarsi, imparare, comunicare e bighellonare e in cui tutti possano gestire la propria vita in comune. Quando qualcuno gli chiedeva come la gente avrebbe passato il tempo dopo la rivoluzione, quando il consumismo se ne fosse andato, Marcuse rispondeva: "Abbatteremo le megalopoli e ne costruiremo di nuove: ci terra' occupati per un po'". Queste nuove citta' potrebbero essere federazioni di comunita', circondate da zone verdi in cui i cittadini, e in special modo gli studenti, passeranno parecchie ore la settimana a coltivare i prodotti freschi che servono. Per andarsene in giro tutti i giorni ci si servira' di tutti i mezzi di trasporto utili e adatti a citta' di medie dimensioni: biciclette municipali, tram, filobus, taxi elettrici. Per viaggi piu' lunghi, cosi' come per gli ospiti, si renderanno disponibili un piccolo numero di auto comuni in garage di comunita'. L'automobile non sara' piu' una necessita'. Tutto dovra' cambiare: il mondo, la vita, la gente. E tutto questo non succedera' da se'. Nel frattempo, che si deve fare per renderlo possibile? Innanzi tutto non lasciare il trasporto un tema a se'. Sempre connetterlo col problema della citta', con la divisione del lavoro nella societa' e il modo di compartimentare le molte dimensioni della vita. Un posto per il lavoro, uno per "vivere", un terzo per la spesa, un quarto per l'apprendimento, un quinto per il divertimento. Il modo in cui lo spazio e' organizzato conduce alla disintegrazione della gente ed inizia con la divisione del lavoro nella fabbrica. Taglia a pezzi le persone, spezzetta il nostro tempo, la nostra vita, in pezzetti in cui in ciascuno tu sei solo un consumatore passivo alla merce' dei mercanti, cosi' che non ti capita mai che lavoro, cultura, comunicazione, piacere, soddisfazione dei bisogni e la tua vita personale possano essere e siano la stessa cosa: una vita unitaria, sostenuta dalla struttura sociale della comunita'.

Le Sauvage Settembre/Ottobre 1973