Ogni guardia rappresenta un confine“e vincerà
Bang Bang
chi al cuore colpirà”
(Dalida)

Lo sbirro che ha sparato per tre volte contro il corpo di una persona sabato notte a Brissago, in uno dei tanti dispositivi di reclusione/marginalizzazione per migranti del Canton Ticino, ha difeso un confine.
La polizia e i confini nazionali uccidono, niente di diverso e niente di nuovo.
A causa e per mezzo dei confini si muore di fame, di guerre e di stenti, di stupri, di umiliazioni e di rabbia, per mari e deserti, nei camion o sui tetti dei treni, nei lager, per mano di sgherri e poliziotti a guardia di stati o in stati di guerra.
Si muore di polizia bianca, maschia, autoctona occidentale.
Anche qui, da Ferguson a Brissago, niente di nuovo.
Nessuna novità nemmeno nella retorica istituzionale e mediatica del regime capitalista democratico ticinese. Il solito megafono per il tenente colonnello leghista, per un compito ben svolto, in una circostanza evidente, una difesa legittima e necessaria, uno psicologo e qualche pacca sulle spalle.
Per lo sbirro.

Per il morto ammazzato il prezzo da pagare e la pena da scontare. Per essere un migrante, un nero, un povero, un incazzato, un disperato. Un anonimo straniero, un corpo senza nome né storia, offerto in pasto alla minoritaria maggioranza votante, di sentimenti nàzional e alienazioni social. A edificare la normalizzazione e la pacificazione dell’omicidio di stato. Al ludibrio dei razzisti da tastiera, dei « me ne frego » fascisti, degli #iostoconleforzedellordine e di tutta la merda a seguire. Magari tra una partita di qualificazione ai mondiali di calcio in Russia e un nuovo inutile dettaglio nella fiction Argo1.

Uno straniero morto ammazzato per mano poliziotta. Nessuna novità. Una consueta, rassicurante e celebrativa dimostrazione di sicurezza, quella dello stato e dei suoi confini.
Cosa aspettarsi di diverso da divise già solerti nel picchiare, trattenere, umiliare e derubare, in modo professionale (…e soltanto in alcuni casi isolati, si raccomanda !), qua e là, a Locarno o a Lugano, nei boschi di Val Mara o in qualche stanzetta ferroviaria, sempre e comunque nei confronti di persone migranti, nere, rom, e indesiderabili di ogni colore ?
Nessuna novità e niente di nuovo: affinché la rimozione e la soppressione del diverso diventi routine e la violenza sbirresca un’abitudine necessaria, accettata e legittimata dalla costruzione di paure percepite.

Ribellarsi a questo piatto marciume rappresenta un confine che si infrange.
Ostacolare con ogni mezzo necessario i meccanismi di detenzione, deportazione e marginalizzazione per persone migranti, i confini assassini, le politiche securitarie e xenofobe e il loro consenso strumentale.
Rompere il silenzio complice su ogni forma di violenza sbirresca.
Abbattere le molteplici forme d’apartheid, di controllo e di segregazione che subiscono le persone « non bianche ».

Serbare complicità e costruire solidarietà attiva con chi è colpito dalla guerra dei confini e del capitale, dalle politiche migratorie, dal ritorno dei fascismi e da uno sfruttamento incessante e sempre meno invisibile.
Costruire e sostenere percorsi di lotta per ampliare le crepe dal basso, per fare spazio alle vite, alle narrazioni e alle verità di un mondo che preme per distruggere i muri.

Contro ogni confine e ogni violenza sbirresca.
In solidarietà e complicità con le persone migranti detenute o respinte.
Con affetto e vicinanza alla comunità Tamil della Svizzera italiana.

Nemiche e nemici di ogni frontiera

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