La precarietà picchia duro, nel lavoro e nella vita. Non è “sfiga”. Non è cosa passeggera. Non è un problema sociale tra gli altri, ne’ un titolo ad effetto sul domenicale gratuito. Non è semplicemente la perversa proliferazione di contratti atipici, ne’ un dazio che le giovani generazioni sono costrette a pagare per entrare nel mercato del lavoro.

È il modo contemporaneo di produrre la ricchezza, di sfruttare il lavoro, di asservire ogni aspetto della nostra esistenza al profitto delle imprese. La precarizzazione è la crisi della rappresentanza politica e sindacale del lavoro e nel sociale, e segna un punto sulla linea del tempo rispetto al quale non si può tornare indietro.
È il punto da cui è necessario ripensare e sperimentare nuove forme e strategie di lotta; contro lo sfruttamento, le gerarchie e le povertà.
Una lotta che parli chiaro e a voce alta, perché ricca di tutto ciò che la precarizzazione nega e riduce al silenzio. Aderendo all’Euromayday, così come partecipando al Coordinamento dei Precari Esistenziali (CPE), abbiamo cercato di costruire uno spazio politico e sociale, condiviso, in cui la presa di parola e il protagonismo dei precari e delle precarie, senza mediazioni e mediatori, ha sperimentato forme inedite di visibilità, comunicazione e conflitto.

Il lavoro migrante rivela i segreti della precarizzazione. Il controllo dei confini produce gerarchie spesso razziste tra regolari e irregolari, tra buoni e cattivi, criminalizzati dalle retoriche della guerra e della sicurezza che servono solo a non parlare di coloro che di lavoro muoiono, senza nessuna sicurezza.

La specificità dei migranti è vivere una doppia precarietà. Dentro e fuori i luoghi di lavoro il legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro li ricatta, le nuove leggi sull’immigrazione, le politiche democentriste e l’avanzata di nuovi fascismi(istutuzionali e non) li minacciano costantemente. La loro condizione riguarda però tutto il lavoro, è una leva fondamentale della precarizzazione perché alimenta la frammentazione, perché riduce gli spazi di libertà e le possibilità di lotta.
Nelle scorse settimane abbiamo condiviso in Ticino una lotta unica ed entusiasmante, quelle per la difesa delle Officine di Bellinzona. Durante questo primo maggio, vogliamo condividere questa forza, amplificarla, congiungerla con quella degli altri precari. Condividere esperienze che sono transnazionali, e che danno il segno di una May Day che attraversa l’Europa da Aquisgrana a Berlino, Copenhagen, Hanau, Amburgo, Helsinki, Lisbona, Madrid, Milano, Napoli, Palermo, Vienna… e va oltre, perché passa per la Tokyo MayDay in Giappone, e si collega alla manifestazione dei migranti negli Stati Uniti.

Vogliamo costruire una larga MayDay che sappia porre un confronto serrato e continuativo, fra tutte le realtà lavorative, sociali, sindacali che lottano, ogni giorno, in ogni dove, contro la precarizzazione, sulle tematiche che da sempre hanno caratterizzato l’idea del primo maggio precario: la continuità di reddito intesa come un nuovo orizzonte delle politiche rivendicative, del welfare e la trasformazione del protagonismo precario e migrante in un conflitto nuovamente diffuso ed incisivo.

La precarizzazione, lo ripetiamo, picchia duro e segna una discontinuità profonda con il passato. E’ un equilibrio sapiente fra ricatto e consenso e agisce sul sociale in modo diverso, dividendoci e confondendoci. Atomizza le nostre vite e saccheggia i territori e le metropoli in cui viviamo. Nei prossimi mesi assisteremo in Svizzera agli Europei di calcio, tremiamo pensando alle conseguenze di ciò: l’orgia bipartisan dell’orgoglio nazionale di speculazioni ed appalti ha già allestito il palcoscenico nascosto per lo sfruttamento intensivo di lavoro precario e migrante, in un’osceno contesto di repressione e negazione dei diritti fondamentali. Non ci sono dubbi, siamo incompatibili con tutto ciò: se questa è una vetrina che lo sia della nostra capacità di conflitto e di un’idea di valorizzazione delle nostre vite ben differente .

Senza padrone, chi ti licenzia?
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