Sembra però che in pochi li abbiano notati. Né i media presenti, fatta eccezione per la Regione e Teleticino, né i municipali di Lugano, tra i quali siede il loro presidente a vita. Si è preferito mettere l’attenzione su chi era autorizzato o meno (i simboli di cui sopra lo sono?), sulla libertà di manifestare, sulla partecipazione a dibattiti interculturali. Come se i politici di casa nostra partecipassero (e forse farebbe loro bene…) a tutti i dibattiti e tavole rotonde proposti dalle varie associazioni nelle diverse rassegne extraparlamentari.
Siamo però d’accordo: la piazza è di tutti/e e se i giovani leghisti/udc vogliono scendervi per difendere le canzoni di natale e le tradizioni ticinesi, liberi/e di farlo. Se invece serve all’estrema destra per reclutare nuove leve e terrorizzare con slogan e simboli fascisti, allora qualcosa non torna.

“Alla baionetta”, istigare la difesa all’arma bianca come ultima soluzione per difendersi da una presunta invasione islamica, non può che essere una forma di patologia insita negli individui di “fede fascista”. Forse “non individui”, poiché la loro individualità è repressa dalla logica autoritaria propria del fascismo. Sottomessi, insicuri, paurosi tanto che l’istintiva ricerca di certezze esistenziali li induce a loro volta a sottomettere, a reagire con violenza, combattendo la biodiversità sociale che insidia le loro piccole certezze.

La partecipazione al presidio per una società multiculturale ha quindi dimostrato la volontà di arginare pericolose tendenze revisioniste, ha reso urgente il bisogno di confronto, scatenando una serie di discussioni, di approfondimenti sulla questione del rispetto e della valorizzazione delle differenze. Inoltre è emersa una sensibilità civica che si indegna e che non è più disposta a far la parte dello struzzo, nascondendo la testa sotto la sabbia. Ha dichiarato un bisogno urgente di cambiamento dei rapporti umani. Ha evidenziato che il far finta di niente rispetto a modi di fare, di dire e ad atteggiamenti che troppo spesso lasciamo correre per non crearci ulteriori problemi sia da superare.

Saremo pronti a ridiscendere in piazza in maniera colorata e rumorosa come fatto sabato, espressione della pluralità di idee e personalità che per fortuna contraddistingue il nostro modo di agire, in caso di nuove espressioni di intolleranza. Saremo pronti a denunciare le connivenze tra chi fa il lavoro sporco di piazza e chi occupa le poltrone in governo. Su chi costruisce campagne elettorali sulla diffusione della paura.

I nostri mal di pancia sono provocati dalle guerre, dalle menzogne, dagli abusi di potere e non certo dal blocco spontaneo dei giovani ticinesi. Ragazzi e ragazze che hanno deciso di non lasciar correre ancora, ritenendo giusto opporsi alla sfilata xenofoba! Coloro che troppo spesso sono indicati come un problema sociale hanno, al contrario, importanti ideali da difendere.

E mentre finalmente scompariva uno dei più indecenti esseri incarnatisi in forma umana nel ‘900, il dittatore fascista Augusto Pinochet, una parte di Ticino ha riscoperto il valore dell’antifascismo. Sentendo il dovere di manifestare la propria indignazione, giovani e meno giovani hanno affollato una piazza per rivendicare una società multiculturale e aperta.
Da qui ripartiremo, partecipando alla costruzione di un mondo, come dicono gli zapatisti, che contenga molti mondi differenti.

C.S.O.A. il Molino

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