Il comandante della Cantonale sui fatti accaduti all’Usi: ‘I due pm italiani non sono mai stati in pericolo’

di Andrea Manna

Non sono pochi gli interrogativi all’indomani dei disordini scoppiati all’Auditorium dell’Università della Svizzera italiana (vedi pure pagina 17). Cosa sarebbe successo se invece di striscioni e volantini fossero entrate pistole? Cosa sarebbe successo se al posto dei simpatizzanti (nostrani e non) del movimento ‘no Tav’ fosse entrato un sicario di Cosa nostra o di qualche organizzazione terroristica? Insomma, cos’è che l’altra sera a Lugano non ha o non avrebbe funzionato nel dispositivo di polizia all’esterno della sala dell’Usi dove sono intervenuti due magistrati italiani – Gian Carlo Caselli eArmando Spataro , da sempre sul fronte della lotta alla mafia e all’eversione – per parlare, dietro invito dell’associazione “Incontro democratico”, dei rapporti fra politica e giustizia? È vero che alle prime proteste indirizzate a Caselli gli agenti in borghese presenti in aula hanno allontanato i contestatori, ma la domanda di fondo resta: perché, data la partecipazione in veste di relatori di due pm particolarmente esposti al pericolo di azioni dimostrative o vendette, le persone in entrata non sono state perquisite? In altre parole: la situazione è stata sottovalutata?

« No – afferma con tono perentorio il comandante della Polizia cantonale Matteo Cocchi –. Ci siamo mossi come da sempre ci muoviamo in simili circostanze. Sulla base delle informazioni ricevute da Berna abbiamo adattato, in collaborazione con la Comunale di Lugano, il dispositivo di polizia ».

Informazioni secondo le quali?

«Secondo le quali i due magistrati non correvano rischi tali da giustificare un imponente dispositivo di sicurezza. Berna del resto ci ha comunicato quanto a sua volta era venuta a sapere dall’Italia. E sulla scorta delle informazioni in nostro possesso abbiamo attuato le misure del caso: la presenza in sala di agenti in borghese e la presenza all’esterno, come deterrente, di alcuni poliziotti in divisa».

L’effetto deterrente però non c’è stato visto che sono entrati anche manifestanti con tanto di striscioni, volantini e, come precisate in una nota diramata oggi (ieri per chi legge), di gas irritante.

«Stiamo ai fatti. Come polizia il nostro compito principale era di garantire l’incolumità dei due magistrati italiani: ebbene, in nessun momento sono stati in pericolo. Non hanno subìto alcuna aggressione fisica. La protesta è stata da noi sedata nel giro di pochi minuti con un intervento proporzionato, adeguato alla situazione. Allontanati coloro che hanno inscenato la protesta, la conferenza si è svolta normalmente: i relatori hanno potuto riferire del tema oggetto della serata».

Insisto: è mancato un filtro all’entrata.

«Nella fattispecie si è trattato di una conferenza aperta al pubblico promossa da un ente privato. Parlando in generale, dico che se non si vuole correre alcun rischio si fanno degli inviti personali. Se invece si rende l’evento accessibile al pubblico, come quello di martedì sera, anche gli organizzatori, d’intesa con le forze dell’ordine, dovrebbero se del caso predisporre un servizio di sicurezza facendo capo a società di sorveglianza. Ma questa è una valutazione che devono fare i privati che promuovono manifestazioni. E comunque per quanto ci riguarda non possiamo a ogni conferenza pubblica indetta da enti privati perquisire all’entrata i partecipanti, se alla luce delle informazioni di cui disponiamo attraverso i nostri canali ciò non risulta necessario. Oltretutto, tornando a martedì, una presenza massiccia di agenti all’esterno dell’Auditorium dell’Usi avrebbe probabilmente attirato un numero altrettanto massiccio di manifestanti con conseguenti problemi d’ordine pubblico. Non è certo nostra intenzione trasformare il Ticino in uno stato di polizia piazzando ovunque agenti muniti di metal detector».

Giusto, ma certi fenomeni sono transfrontalieri…

«Che Polizia cantonale e organi federali monitorano costantemente, applicando misure mirate e adeguate al tipo di minaccia».

Comandante, non ha proprio nulla di cui rimproverarsi in relazione a quanto accaduto nell’Auditorium dell’Usi?

«Con i se e i ma non facciamo molta strada. Ripeto: martedì sera la vita dei due magistrati italiani non è mai stata in pericolo. I miei collaboratori hanno assolto il compito loro assegnato. Questi sono i fatti».


Scacchi: la sicurezza non è comunque compito nostro

Parla il presidente dell’associazione organizzatrice della conferenza pubblica

di Luca Berti

« Quale dispositivo di sicurezza avremmo dovuto prevedere noi? Non è una nostra competenza. Abbiamo avvertito per tempo la polizia e sono loro che hanno preso le misure necessarie ».
Diego Scacchi , presidente di “Incontro democratico”, respinge al mittente gli appunti mossi dal direttore del Dipartimento istituzioni Norman Gobbi (vedi l’edizione di ieri) e dal comandante della Polizia cantonale Matteo Cocchi (vedi articolo sopra). Gobbi e Cocchi facevano notare l’assenza di un dispositivo d’ordine privato l’altro ieri sera durante la conferenza organizzata dall’associazione. Conferenza disturbata nelle sue fasi iniziali da una ventina di contestatori appartenenti al centro sociale ‘Il Molino’. Alcuni con il cappuccio calato sulla testa, altri facendosi scudo con le sciarpe, altri ancora a viso aperto hanno scandito slogan anti Tav, sono venuti alle mani con la polizia e hanno apostrofato pesantemente uno dei relatori, il procuratore generale torinese Gian Carlo Caselli , reo – secondo loro – di aver ordinato l’arresto in Val di Susa di una trentina di militanti contrari al progetto di alta velocità tra Torino e Lione.

Un avvenimento con un certo grado di rischio, quindi, che imponeva delle misure di sicurezza… « Abbiamo fatto quello che dovevamo fare – riprende Scacchi –. La polizia è stata avvertita tramite l’onorevole Dick Marty (moderatore della serata, ndr) e devo dire che le forze dell’ordine ticinesi hanno preso le misure necessarie per fronteggiare l’evento. La polizia era presente ed è intervenuta in maniera ineccepibile. Le cose si sono poi risolte come dovevano risolversi senza nessun problema ».

Certo è che le forze dell’ordine, dopo l’intervento, hanno rinvenuto addosso ai contestatori del gas irritante. Gas, evidentemente, che ha potuto entrare senza problemi nell’Auditorium dell’Usi, luogo scelto per la conferenza e teatro della contestazione. Col senno di poi sarebbe stato meglio perquisire chi entrava? « Non è nostra competenza, ma della polizia – torna a ribadire il presidente di “Incontro democratico” – . Tocca a loro, non a noi, giudicare se la situazione richiede un controllo all’entrata. Oltretutto legalmente non credo che avremmo comunque la facoltà di perquisire le persone che si presentano ad una nostra riunione: vige sempre la libertà del singolo. Fatte salve, ovviamente, le restrizioni imposte per questioni di ordine, che però sfuggono alla competenza di una associazione privata ». La polizia avrebbe quindi potuto fare di più… « Francamente non lo so. È chiaro che una perquisizione avrebbe magari evitato questo episodio, ma sarebbe anche potuto passare come intervento eccessivamente poliziesco ». Le misure prese dalle forze dell’ordine, prosegue Scacchi, « a conti fatti si sono rivelate adeguate » tanto più che « la polizia all’entrata c’era ».

Fuori contesto invece la protesta. Aggiunge Scacchi: « Hanno voluto approfittare della presenza di Caselli a Lugano per inscenare una contestazione del tutto fuori luogo, non foss’altro che per la violenza verbale che hanno impiegato nei confronti di questo magistrato che, oltretutto, era qui a parlare dei principi fondamentali della giustizia a servizio della democrazia. È invece stato insultato quasi fosse il braccio armato di un regime totalitario ». La sua “colpa”, come detto, quella di avere a che fare con l’arresto di una trentina di contestatori ‘no Tav’ in Val di Susa. « Se lo ha fatto – rileva Scacchi – sono sicuro che lo ha fatto conformemente alle leggi e in presenza di gravi violazioni da parte di queste persone ».


Tafferugli all’Usi, due ‘No Tav’ denunciati

Sono stati fermati, identificati e denunciati al Ministero pubblico due giovani autonomi del gruppo “No Tav” che martedì sera hanno partecipato all’azione dimostrativa al campus universitario di Lugano. L’occasione era ghiotta per manifestare il proprio dissenso. Uno degli ospiti dell’incontro organizzato da Incontro democratico era il Procuratore generale di Torino Gian Carlo Caselli che recentemente ha ordinato l’arresto di una trentina di militanti che protestavano contro la galleria fra Piemonte e Francia. Peccato che la protesta sia sfociata in un tafferuglio con le forze dell’ordine presenti, che lo hanno domato nel giro di pochi minuti.

Al proposito la Polizia cantonale, in un comunicato diramato ieri, afferma di aver messo in atto un dispositivo comune con i colleghi della Città di Lugano. Un dispositivo che ha garantito la sicurezza dei relatori presenti, l’altro ospite illustre era il Sostituto Procuratore della Repubblica di Milano Armando Spataro, con Dick Marty a far da moderatore. Nessuno ha riportato conseguenze fisiche a seguito della dimostrazione. La Polizia precisa inoltre che i manifestanti avevano con sé, oltre a striscioni e megafono, anche gas irritante.

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