di G. Cabiddu, Italia 2005, colore, 85′, documentario con Paolo Fresu, Antonello Salis, Furio di Castri, Elena Ledda, Mauro Palma, Luigi Lai.

L’ultima fatica di Gianfranco Cabiddu può richiamare alla memoria Buena Vista Social Club di Wenders e Super 8 Stories di Kusturica: è allo stesso tempo un film, un documentario e un film-concerto. E’ musica per immagini e immagini per la musica. Ha i contorni di un diario di viaggio che procede sulle note di Paolo Fresu e compagni, alternando il colore delle immagini di oggi e il bianco e nero di quelle di repertorio, in un montaggio emozionale che passa con disinvoltura dagli anni Venti ai Cinquanta ai nostri giorni.
Il regista realizza una sintesi tra modernità e tradizione, filo conduttore della pellicola. E il cuore del film sta proprio nella ricerca delle radici culturali dell’isola, ma solo per inquadrarle in un contesto più universale e, come afferma Cabiddu, per ‘conservare memoria di un mondo, già durato millenni, terminato di colpo ieri sera, senza celebrazioni che non siano folklore, o mascherate per turisti’.

La memoria recuperata dal regista di Disamistade e Il figlio di Bakunìn è identità, è conoscenza, è evoluzione sociale di un popolo e di una cultura. La pellicola bandisce le immagini stereotipate di un’isola solare, tutta spiagge bianche e acque cristalline: conserva invece le tracce di una Sardegna autentica, ricca di una cultura vitale e di antiche tradizioni, ma pronta ad aprirsi all’altro. Aggrappandosi alle radici etnografiche della Sardegna, ma ricorrendo anche al linguaggio della fiction, ‘Passaggi di tempo’ è un affresco in cui si svela il variegato mondo dei suoi protagonisti, il loro rapporto con la musica, il loro vissuto. La macchina da presa li spia e li cattura nel proprio ambiente: ognuno interpreta se stesso, mostrando la sua anima musicale e umana. Affiorano così le voci, i luoghi e le tradizioni di una Sardegna meno conosciuta, che si intrecciano con i ricordi, gli aneddoti e le storie di famiglia dei protagonisti, scene di vita quotidiana legate con maestria dall’invisibile filo rosso della regia di Cabiddu. Come quando la cinepresa scopre Paolo Fresu e suo papà Lillino, contadino e poeta, impegnati nella compilazione del loro dizionario berchiddese/italiano: il padre pesca da un sacchetto i foglietti di carta dove ha annotato detti e parole antiche perché non vengano dimenticate, e il figlio le raccoglie in un file digitale per poterle trasmettere al mondo. Anche i riti della tradizione, dalle celebrazioni della Settimana Santa di Santulussurgiu alla processione di Sant’Efisio di Cagliari, sono un’occasione per investigare i legami degli artisti con le loro radici. Così, ad esempio, quando si corre l’Ardia’ di Sedilo, Carlo Cabiddu (fratello del regista) smette i panni del musicista classico per lanciarsi a cavallo nel rito secolare di quella sfrenata corsa equestre. ‘Quando ti butti giù per la discesa’, racconta, ‘è come un volo in deltaplano. E quando in ‘Sonos ‘e memoria’ compaiono le immagini dell’Ardia, l’arco del mio violoncello galoppa’. Ma l’obbiettivo di Gianfranco Cabiddu non si ferma al canneto di San Vito da cui Luigi Lai raccoglie la materia prima per le sue launeddas, o alle dune sul mare dove Antonello Salis fa jogging, quasi a sottolineare il suo rapporto ‘fisico’ con pianoforte e fisarmonica; segue le tappe di ‘Sonos ‘e memoria’ – Monaco, Parigi, Roma, Taormina -, riprende gli ospiti internazionali di uno spettacolo che – parola di Paolo Fresu – ‘è come una nave su cui possono salire altri musicisti, come Gerardo Nunez o Uri Caine o Han Bennink e poi scendere al prossimo porto’, mentre tra valli e colline fischia il trenino verde. E il passaggio del tempo segue le tracce dei graffiti lasciati dai writers sui vagoni che sfilano sulle rotaie in quegli stessi paesaggi, magici e selvaggi, che ottant’anni fa ammaliarono David Herbert Lawrence.

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