15.10.2011 Mercatino e concertiQuindici anni di occupazione autogestita rappresentano un traguardo impossibile da trascurare. Specialmente in una realtà, quella ticinese, decisamente poco incline agli spazi di libertà e di autodeterminazione. Nel giardino rossocrociato d’Europa, della pace sociale che azzera ogni possibile conflitto, il Molino è storia viva di rottura in movimento. Una rottura iniziata quindici anni fa, contro quel particolare dispositivo repressivo misto di bambagie paternaliste e bieca ottusità provinciale. Una rottura tale da spingere definitivamente in avanti le politiche “sociali” del cantone e tuttavia irriducibile sul piano della mera rivendicazione di uno “spazio giovanile”!

Il programma di attività per il 15 anni

Del resto, chi non poteva capirci allora rimane, a distanza di anni, lontanissimo da qualsiasi barlume di comprensione di ciò che rappresenta un Centro Sociale (Occupato) e Autogestito come il Molino. Financo presunte figure storiche della cosiddetta sinistra autonoma (ex PSA), ridotte a improbabili controfigure del proprio “pesante” passato “ideologico”, appollaiati in consiglio comunale invocano: regole, soldi e sistemazioni varie. Per non parlare del verde sbiadito di chi continuamente abbocca agli ami leghisti in cerca di una manciata di voti, all’insegna del “lavoro ai ticinesi” e della sistemazione del degrado! Come se questo sistema indigesto non avesse già fagocitato abbastanza, socialisti e verdi compresi! Pennivendoli e politicanti antropo-geneticamente disposti alla perenne figura di un capo al quale rispondere, sublimati da un meccanismo perverso che provvede ai loro bisogni generandoli, non potranno MAI comprendere il significato in divenire dell’Autogestione: il laboratorio che rappresenta, l’esperienza vitale e vivida che lo sostanzia. Non ci meravigliano quindi, i deliri onirici di stampo ornitologico di tal Bollag (Corriere del Ticino, 31/08/2011), convinto assertore dell’incubo reale vissuto ogni giorno dai palestinesi! Cosi come gli “Scribacchini del Popolo” pronti a cavalcare qualsiasi tipo di rumore pur di sbracciarsi in proposte e progetti sullo spazio, mettendo per iscritto e diffondendo null’altro che l’interesse speculativo. Il Giornale del Populismo, cosi come i suoi politici, dimenticano che il Macello, inteso come struttura industriale di inizio secolo, dal succulento valore immobiliare, non esiste più. O meglio, se esiste ancora, in quanto elemento architettonico di pregio, è solo grazie al fatto che da dieci anni l’occupazione è sinonimo di spazio liberato. Liberato, in primo luogo, dalla speculazione edilizia, la stessa che produce appartamenti di lusso vuoti ed esige affitti improponibili. Liberato dalle logiche securitarie, xenofobe ed escludenti, proprie dell’imperante idiozia leghista di questa città. Liberato dal fatalismo dell’ennesimo centro commerciale o da quello del cinema multisala treddi. In quindici anni la spinta benefica dell’Autogestione ha prodotto molteplicità e capacità critica: uno specchio che riflette i limiti di una società ridotta imbelle. Ne riflette le contraddizioni e le brutture. Ciò che alcuni chiamano “degrado urbano” è soltanto il riflesso distorto di una città vetrina. Comunque lo si voglia vedere, comunque lo si voglia denigrare o ridurre o semplicemente criticare: questo riflesso è e rimane uno spazio di conflitto. Non un centro giovanile, ne riduttivamente uno spazio di “illegalità”! Ma un vivo patrimonio di lotta che appartiene a tutti/e: anche a chi questo spazio lo vive e lo attraversa da poco, a chi se ne sta facendo un’idea, a chi ne usufruisce come servizio, a tutti/e coloro i quali ha prodotto stanchezza e scazzi, a chi lo ha abbandonato… e, paradossalmente, anche a chi lo strumentalizza a favore di becere campagne populistiche, più o meno securitarie.

Solo cinque anni fa, in occasione del decennale, l’introduzione di un testo dal titolo “Il calore si sa produce energia” avvertiva circa “Un progetto […] non pensato per rispecchiarsi e vedersi belli e splendenti ma per contribuire a continuare il lavoro sporco di rottura, aggiungendo mattoni, alimentando le pale e farle ancora girare.”

15 anni di (occupazione) autogestita vanno certamente affermati e rivendicati, non celebrati. Non intendiamo festeggiare l’acutizzarsi di una crisi che, prima di essere economica e finanziaria, è soprattutto sociale, culturale ed esistenziale. Non intendiamo festeggiare 15 anni di affermazione incontrastata del pensiero unico. Ne tanto meno le guerre umanitarie, le cacce al migrante, i linciaggi securitari o lo sfruttamento indiscriminato delle nostre nude vite, dentro e fuori i posti di lavoro. Non intendiamo festeggiare la cementificazione dei territori, ne la devastazione degli ecosistemi. Il Molino, sia ben chiaro, non rappresenta ne una parte, ne la totalità della “gioventù’”: al di là di ciò che pensa l’on. Tarchini (PPD), il giovanilismo non è una nostra prerogativa! Quello che da sempre proponiamo è uno spazio di socialità e di espressione, un luogo di confronto critico, un laboratorio politico del dissenso. Un cuore che da 15 anni si ostina a battere nella micropoli della speculazione e del cemento. Un cuore che pulsa per abbattere muri, per infrangere vetrine e riflettere il molteplice.

CS()A Il Molino. 15 anni di R-Esistenza

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