28 FEBBRAIO 2006

dal Giornale di Vicenza

«Così il “Dal Molin” diventa civile»
Tav, Verona punta alla linea a sud
Guerra tra poveri sotto i portici

«Così il “Dal Molin” diventa civile»
Cicero e Martello in missione a Roma: «Cose fatte in un paio di settimane»

di Marino Smiderle

Gli aerei sono a terra, anzi non ci sono proprio. Da qualche settimana l’aeroporto "Dal Molin", versante civile, non dà segni di vita. E la compagnia aerea Regionali, fondata proprio per collegare lo scalo vicentino con Roma e con Monaco di Baviera, si sta leccando le ferite, leggi debiti. Già, perché i prezzi dei biglietti non erano concorrenziali e, dopo alcuni mesi di attività, conditi da incomprensioni di varia natura, il bilancio si è fatto pesante. Avventura finita? «Neanche per idea - attacca il presidente di Aeroporti Vicentini, Giuseppe Sbalchiero -. Non voglio anticipare nulla, perché ancora non sono stati definiti i dettagli del piano di rilancio, ma posso dire che non abbiamo alcuna intenzione di mollare. Anzi, mi sono giunte notizie piuttosto incoraggianti da Roma. Però, per non fare la figura di quello che canta vittoria prima del tempo, aspetto carte scritte». Le carte scritte dovrebbero arrivare dai vertici romani dell’Aeronautica militare, che da tempo hanno digerito la chiusura del sito vicentino, dove attualmente trovano posto il 10° Gruppo manutenzione elicotteri e il 27° Genio campale. E, guarda caso, proprio ieri hanno fatta tappa a Roma l’assessore alla Mobilità, Claudio Cicero, e il direttore di Aeroporti Vicentini, Mario Martello. Scopo del viaggio? «Volevano sapere i tempi di attuazione del passaggio da militare a civile dell’aeroporto "Dal Molin" - dice senza mezzi termini Cicero -. Da tempo ci hanno comunicato questa intenzione, ma siamo ancora in attesa di una formalizzazione. Così, al momento, la gestione dell’aeroporto è in fase di stallo: i militari non possono gestire la torre di controllo oltre un determinato orario e la compagnia aerea non può prevedere un’attività regolare proprio a causa di questa limitazione pesante». Sull’esito dei colloqui né Cicero, né Martello vorrebbero sbottonarsi più di tanto, anche perché è capitato spesso che annunci di ottimismo siano stati poi smentiti dalla realtà dei fatti. Solo che, accanto alla fretta degli Aeroporti Vicentini, c’è anche l’urgenza degli americani cui è stata promessa l’area logistica attualmente occupata dall’Aeronautica militare. «La faccenda degli americani è disgiunta dalla questione della gestione aeroportuale - precisa Cicero -. In ogni caso posso anticipare che gli alti ufficiali dell’Arma Azzurra ci hanno dato ampie assicurazioni che il passaggio da militare a civile del "Dal Molin" arriverà presto. Forse già tra un paio di settimane. Ma prima di cantare vittoria, conviene aspettare. Anche se la trasformazione è già stata prevista da un decreto». Già, ma quand'anche venisse ratificato il passaggio, la società Aeroporti Vicentini sarebbe pronta a farsi carico di un costo piuttosto pesante qual è quello legato alla gestione della torre di controllo? Finora, infatti, i voli hanno potuto essere fatti grazi al non trascurabile dettaglio che a pagare gli omini che dirigevano il traffico era stata l’Aeronautica. Se domani toccherà ai civili, chi salderà il conto? «Bisogna spiegare - dice Martello - che la torre di controllo di Vicenza subirà un declassamento da Twr ad Afis. Questo non vuol dire che dal Dal Molin non si potrà più decollare o atterrare: più semplicemente, si può riassumere il concetto nel fatto che la gestione comporterà minori costi». Già, ma se già Aeroporti Vicentini e Regionali sono in stand by per difficoltà, diciamo così, contabili, come potranno sopportare altri costi, per quanto inferiori al previsto? «Il nostro budget aveva già previsto i costi di gestione della torre - osserva Giuseppe Sbalchiero, presidente di Aeroporti Vicentini - e se domani potremo finalmente avere la gestione completa dell’impianto, credo che ci potranno essere importanti novità anche sul fronte del vettore incaricato a gestire il servizio». Di più Sbalchiero non dice, anche se si può ipotizzare che altre compagnie potrebbero essere chiamate a operare a Vicenza, magari con biglietti più concorrenziali, visto che, nella fase sperimentale, i viaggiatori hanno lamentato il costo ritenuto eccessivo (250 euro) per l’andata e ritorno Vicenza-Roma.

Gli americani sono già lì per prendere le misure

(ma. sm.) Sanno che se ne devono andare, ma non capiscono perché e non hanno idea di quando dovrà avvenire. Al Dal Molin, versante militare, si respira un’aria di scoramento dovuto ad assenza di informazioni. E poi ci sono già gli americani, che girano con sofisticati strumenti di rilevazione per prendere le misure: hanno intenzione di prendere per mano tutto quanto e di ripensare l’insediamento logistico in vista dell’arrivo dei nuovi contingenti dalla Germania. Il problema, tutto italiano, è che ci sono circa 300 persone impiegate al Dal Molin e non vorrebbero vedersi trasferite dalla sera alla mattina. Un pochino di programmazione, è tutto quel che chiedono. Poi, scendendo nel dettaglio, il 10° Gruppo manutenzione elicotteri, comandato dal ten. col. Federico Osti, e il 27° Genio campale, comandato dal col. Pierino Bolla, non sono certo poca cosa. Ancora adesso sono in piena attività, e pensare di trasferire il tutto, oltre che complicato, appare anche piuttosto costoso. Comunque, tutto è già deciso da tempo, con tanto di decreto firmato dai politici che contano. Vicenza diventerà la sede europea più importante per le forze armate americane, che hanno già cominciato il piano di progressivo trasferimento dalla Germania all’Italia. Siccome sono interessati più agli alloggi che alla pista (già hanno Aviano), ecco che il passaggio ai civili della gestione aeroportuale completerebbe l’opera di smobilitazione. Qualcuno ancora confida di rimanere in coabitazione con gli americani, che però non ne vogliono sapere. E nemmeno i vertici politici e militari dell’Italia. A meno che, dopo le elezioni...

I soldati più celebrati da Hollywood
Sbarca alla Ederle il Grande uno rosso figlio del D-day

(al. mo.) Magari non vedremo arrivare a Vicenza un mito di Hollywood come Lee Marvin. Perchè era un attore e non un soldato e perché ci ha lasciati qualche anno fa. Ma un po’ dello spirito di uno dei suoi film più famosi, “Il grande Uno rosso” di Samuel Fuller, forse sì. Perché fra i militari americani destinati a rimpinguare la caserma Ederle ci sono proprio loro: gli eredi di quella 1ª Divisione di fanteria dell’Us Army che ha attraversato le più grandi battaglie della Seconda Guerra Mondiale. Pensare che dopo un secolo di storia la “prima brigata di artiglieria” Usa, nata nel 1917, è stata sciolta. Momento triste, celebrato il 15 febbraio scorso. Il reggimento, dice il Dipartimento della difesa americano, diventerà l’Airborne artillery battalion in supporto della 173esima brigata aerotrasportata di stanza alla Ederle di Vicenza. Insomma the Big red one, il Grande uno rosso che ha lasciato il segno sui libri di storia farà da “assistenza” ai parà di Vicenza. Non proprio un destino glorioso. Non per chi, spedito in Francia nel 1918 in due furiose battaglie perde 14600 uomini. Poi la guerra al nazismo. Sbarcano per primi in Nord Africa e sonfiggono Rommel. Il 10 luglio del 43 sono in Sicilia e risalgono l’Italia. Il 6 giugno del ’44 in prima fila nello sbarco in Normandia: Omaha Beach, inchiodati a Coleville sur Mer. Dove il colonnello Taylor dice la frase da cineteca: «In questa spiaggia ci sono due tipi di persone: quelli morti e quelli che stanno per morire. Quindi leviamoci subito da questo inferno...». Si levano e liberano il Belgio, subiscono il contrattacco tedesco delle Ardenne, conquistano il ponte di Remagen (e si guadagnano l’omonimo film del 1968 con George Segal e Ben Gazzara) nel ’45. Alla fine conteranno 21 mila morti. Poi la guerra fredda, Berlino, il Vietnam, Desert Storm, la Bosnia e oggi l’Iraq. Sempre con il loro grande uno rosso sulla divisa, quello che ha liberato l’Europa da Hitler. Quello che adesso, almeno nello spirito, porteranno nel loro ultimo viaggio a Vicenza.


Il presidente della Provincia scaligera è fiducioso che il tracciato possa essere modificato dopo il Cipe per proteggere il nodo di San Bonifacio
Tav, Verona punta alla linea a sud
Mosele: «Con la Dal Lago c’è pieno accordo. Si potrebbero risparmiare soldi»

(g. m. m.) «Giù le mani dalle campagne». Non la prende bene, il presidente della Coldiretti Diego Meggiolaro, la dichiarazione del presidente della Provincia di Verona Elio Mosele che sta infiammando le carrozze vicentine dell’Alta velocità. Come riportato domenica da L’Arena, infatti, Mosele, replicando al centrosinistra che lo interrogava sul nodo di S. Bonifacio, avrebbe assicurato che sul tracciato non tutto è perduto, si può ancora intervenire. Parole che andrebbero nella direzione opposta rispetto a quanto assicurato dall’assessore regionale alla Mobilità Renato Chisso e dal suo omologo nel Comune di Vicenza, Claudio Cicero. Secondo le ultime versioni rese di pubblico dominio, il progetto che sta per essere esaminato dal comitato interministeriale Cipe prevede il passaggio per la stazione di Vicenza, con fermata. I supertreni passerebbero in galleria sotto Altavilla, per riemergere a Ponte Alto, dove proseguirebbero lungo la linea storica fino a Grisignano: da qui a Padova verrebbe raddoppiata la linea. Nel centro del capoluogo i binari verrebbero isolati con speciali barriere anti-rumore, in attesa della costruzione del tunnel, che entrerebbe in gioco in un secondo momento, tutto da definire. In questo modo si chiuderebbe anche il tratto fra Verona e Padova, dove restava aperto un punto di domanda. L’assessore berico Cicero si trova a Roma in questi giorni proprio per definire gli ultimi dettagli in vista della convocazione della riunione del Cipe, che dovrà scrivere le cifre del finanziamento nero su bianco: 3.150 milioni di euro per la tratta Verona-Padova. In terra veronese, il tracciato così come verrà presentato al Cipe non piace, soprattutto per l’impatto che avrebbe su S. Bonifacio. Di qui la mobilitazione del centrosinistra e le dichiarazioni, in risposta, del presidente forzista Mosele, che nelle scorse settimane aveva stretto con Vicenza un’alleanza per lavorare proprio sul tracciato della Tav. «Sabato scorso - sono le parole di Mosele - mi sono visto appositamente con la presidente vicentina Manuela Dal Lago, con la quale c’è pieno accordo. In questo momento, l’assessore Chisso dice che non può far variare il progetto, già a suo tempo approvato. Però per me c’è la possibilità di intervenire anche dopo. Se si salta Vicenza e la linea di Verona va direttamente a Padova, c’è più logica e indubbiamente una traduzione dei costi. E penso quindi che anche le Ferrovie siano sensibili a una diminuzione della spesa con un tracciato diverso da quello attuale, che comporterebbe molto più aggravio». «Ho fiducia - aggiunge Mosele - che quando la Tav avrà ottenuto il finanziamento dal Cipe, ci sarà la possibilità di operare e che la cosa non sia definitiva. Con la Dal Lago abbiamo deciso che andremo a Venezia quanto prima per portare le istanze delle due province». Da Roma, Cicero tuona: «Forse non sanno che stanno parlando di ferrovie: ragionamenti di questo tipo non hanno alcuna logica trasportistica. Dove sono stati fino ad ora? Se pensano che ho lavorato finora per ottenere finanziamenti per un progetto condiviso e poi passano loro a dirottarli su altri progetti si sbagliano di grosso». Dietro Cicero si muovono poi anche le categorie economiche, che hanno già appoggiato il tracciato che verrà portato al Cipe e che vedono come fumo negli occhi altre ipotesi che consumino territorio. Il primo a dire la sua è Meggiolaro, della Coldiretti: «Qualcuno sta lavorando contro tutti a tutti i costi. Proprio in questa occasione, che tutti sono concordi, mi pare strano che ci sia questa volontà: vorrei non crederci. Non riesco a immaginare un presidente di Provincia che si preoccupa di quello che accade in un territorio che non è il suo. La spesa non era mai stato un problema, semmai si era parlato di difficoltà funzionali. Vicenza è una delle prime province dal punto di vista economico: non può restare esclusa. Dalle parole di Mosele mi sembra di capire che si vorrebbe rimettere in pista il passaggio a Sud del Berici: sarebbe follia passare in mezzo alla campagna, in un territorio fragile, escludendo la fermata a Vicenza».


Guerra tra poveri sotto i portici

di Eugenio Marzotto

Venti passi e un angolo di città, quello di palazzo Angaran. Venti passi che corrono lungo i portici dell’edificio di via Torretti dove gli spazi sono divisi tra disperati italiani e barboni del resto del mondo. È la guerra tra poveri giocata sul filo della rassegnazione di associazioni, enti e istituzioni che tentano ogni giorno, spesso invano, di dare risposte al disagio e alla povertà. Il teatro della miseria che incontra il disordine pubblico, si trova a ponte degli Angeli, piazza XX Settembre, a pochi metri dall’Olimpico nel cuore della città dell’Unesco. Vicenza e il suo terzo millennio è anche questo. Il portico del palazzo, sede di alcuni uffici Inps, è diviso in due per chi vive ai margini. Lungo via Torretti sostano durante il giorno i clochard vicentini, lungo Contrà Santa Lucia invece, dalle 19 e per tutta la notte, trovano dimora tra le mura quattrocentesche, clandestini nord africani, indiani, cingalesi, immigrati dell’est europeo e tossicodipendenti. In quell’angolo maledetto, secondo le testimonianze dei residenti, accade di tutto. Latrine diventano mense a cielo aperto, vetri di bottiglie sono sparsi ovunque, liti e zuffe nel cuore della notte irrompono nel silenzio di una Vicenza costretta a fare i conti con due aspetti strettamente legati. La questione sociale e dell’accoglienza da una parte, quella dell’ordine pubblico e della sicurezza dall’altra. Con buona pace dei residenti che hanno paura e tanta, che sono costretti a girare al largo da quella zona nelle ore serali e che temono per una piazza che giorno dopo giorno non è più la stessa. Il “salotto cittadino”, il centro storico, non è più sicuro e i primi ad accorgersene sono i residenti che sfilano di corsa quando si avvicinano ai “punti caldi” della zona. «Oramai tra porta Padova e porta Santa Lucia - raccontano i vicentini - è difficile camminare sicuri alla sera, in questa zona il degrado è in aumento». E intanto nei portici di palazzo Angaran, si continua a vivere, a sopravvivere. Non sono bastate in questi mesi, le irruzioni delle volanti, gli interventi della polizia locale, oppure l’accoglienza fatta di pasti caldi e dormitori con i letti della Caritas o degli alberghi cittadini, tutto per diradare un fenomeno che non si arresta almeno da un anno e mezzo. La querelle tra Comune e Inps è solo all’inizio ma forse si concluderà stamattina, quando i vertici dell’ente decideranno se e come rispondere all’amministrazione Hullweck che aveva chiesto all’istituto di consentire con un provvedimento ufficiale, l’azione di forza. Da una parte gli assessori Sorrentino e Piazza chiedono da tempo la collaborazione dell’istituto per intervenire e sgomberare i portici, dall’altra l’Inps ha deciso il profilo basso. Da parte del presidente vicario Antonio L’Arco infatti non c’è stata nessuna risposta, ma il presidente Inps Andrea Cestonaro assicura: «Oggi mi incontrerò con il vicedirettore e affronteremo la questione, di più non posso dire». In attesa che palazzo Angaran venga sgomberato ci sono i cittadini e i commercianti a non poterne più del degrado di quelle vie. Il segnale della sconfitta ha i colori dell’Aim costretta ad alzare bandiera bianca, visto che non può procedere alla pulizia del porticato di palazzo Angaran «a causa della presenza di persone che vi dimorano ormai stabilmente», come si legge in una nota di qualche giorno fa. «Per poter procedere allo sgombero degli occupanti è necessario che l’ente proprietario faccia una denuncia penale», aveva detto Sorrentino nei giorni scorsi, «sarebbe opportuno che Comune e Inps lavorassero insieme per risolvere questo problema - commenta oggi l’assessore al sociale Davide Piazza -. Quello che la nostra amministrazione può fare è convincere questa gente, attraverso i nostri volontari della Croce Rossa, ad entrare nell’albergo cittadino per il soggiorno notturno. Ma questi sono degli “irriducibili”, è difficile “catturarli”, anche perchè per molti scatterebbe l’arresto, visto che sono privi del permesso di soggiorno. Quello che si vede in quel punto è penoso, siamo in centro città». Un segnale che la situazione sia comunque difficile e la tensione stia salendo, arriva anche dalla sede Caritas, distante meno di cento metri dal palazzo e che ogni giorno apre le porte ai senza tetto e agli emarginati per offrire, con tutte le difficoltà del caso, un pasto caldo e un letto dove dormire. Ma questioni di ordine e organizzazione hanno imposto alla Caritas regole severe a partire da domenica scorsa. Una recentissima nota per gli ospiti infatti, recita: «no agli ingressi dopo le 21, chi non arriva starà fuori almeno due notti, chi è ubriaco perde il posto letto, chi non lavora, scadute le dieci nottate, perderà il diritto al posto». Oggi l’Inps deciderà se collaborare e in che forma con gli assessorati alla sicurezza e al sociale per sgomberare quell’angolo di città, ma il rischio che altri “palazzo Angaran” sorgano in altri punti della città, rimane.

«Siamo senzatetto, ma non miserabili»
Chi sono i clochard vicentini che vivono sotto i portici di palazzo Angaran

(e. mar.) Alcuni li vorrebbero invisibili, ma loro sono scomodamente ben visibili, in pieno centro città. Da una parte i vicentini, dall’altra gli immigrati. Lungo il quattrocentesco pavimento di palazzo Angaran, gli spazi sono divisi equamente tra i senza tetto nostrani e quelli internazionali. Le regole, come in un micro mondo, sono chiare. Dalle 7 alle 19 lì sostano un gruppo di vicentini che hanno fatto di quel portico il loro salotto, cucina e camera con vista lungo via Torretti. Dalle 19 e per tutta la notte invece, lo spazio che dà su via XX Settembre e Contrà Santa Lucia è degli immigrati. Metri quadri preziosi, perché lì si dorme, “si va in bagno”, si beve, ci si azzuffa spesso ubriachi. Accade tutto sotto gli occhi attoniti delle famiglie che vivono in centro storico, residenti costretti a girare al largo per tornare a casa. Ma c’è chi, tra i barboni made in Italy chi non ci sta alla generalizzazione: «Noi siamo italiani, non sporchiamo, non siamo violenti e non provochiamo nessuno. Loro invece sporcano la piazza e girano col coltello». Gianni Doro, originario di Breganze, ha appena finito di mangiare una mela e giocare con i piccioni: «Se quelli là, gli indiani e africani, non se ne vanno prima o poi finisce male». Gianni non vuole grane e alla sera dorme in una casa fuori dal centro. «È di un amico - racconta - io una volta la casa ce l’avevo, avevo perfino una moglie e un lavoro, poi è finito tutto e adesso mi arrangio come posso, ma non va male». È quasi l’ora di pranzo, arriva Maurizio Vicari, ex muratore, fuma una Marlboro e spiega che «là dietro l’angolo, la situazione è drammatica. Bivaccano immigrati nella sporcizia, alla sera girano tossici. Insomma, questa città è anche nostra questa gente andrebbe repressa per quello che fa durante la notte». Venerino è sveglio dall’alba, dorme in una casa abbandonata e al centro Caritas o all’albergo cittadino, non ci vuole più andare: «Io non dormo insieme a quelli là, non ho niente da spartire con certa gente, piuttosto dormo sotto i ponti». È giuto il momento di “mettersi a tavola”, al gruppo si aggiungono altri due, uno porta con sé una bottiglia di bianco, l’altro, Sante, ha appena racimolato qualcosa da dividere con i compagni. Stende la tovaglia in carta da giornale e racconta: «Barboni noi? Io vengo qui alle 7 di ogni mattina e pulisco i portici - spiega Sante - perché alla pulizia ci tengo. Siamo poveri, non miserabili e se ci mandano via da qui non c’è problema. Un posto dove rifugiarci in questa città si trova sempre». Fuori dal micro mondo, la tolleranza è uguale a zero, il timore per la propria incolumità invece cresce di giorno in giorno. Nicola ed Eva che lavorano in un bar lì vicino raccontano: «La gente è stanca e le forze dell’ordine fanno quel che possono. Ormai il problema si conosce da tempo, ma non si è mai risolto davvero. Ogni sera ci sono risse e ubriachi disperati e soprattutto le persone anziane sono terrorizzate». I coniugi Giorgio Lora e Aurora Galiotto vivono in Borgo Scroffa, in Contrà Santa Lucia ci passano quasi ogni giorno e spiegano che «ormai l’intera zona non è più sicura, la delinquenza non si concentra solo sotto i portici dell’antico palazzo, ma in tutta la piazza, fino a corso Padova». E palazzo Angaran? «Bisognerebbe chiuderlo con dei cancelli», suggerisce Giorgio, «Che dici - quasi lo rimprovera la moglie - rovineresti tutto, palazzo Angaran è bello così».