23 OTTOBRE 2004

dal Giornale di Vicenza

Assolte ventitré "teste rasate"
L’antenna Umts cerca casa

Nel ’94 il tribunale di Verona ordinò l’arresto di sette fondatori e promotori del Veneto Fronte Skinheads. Altri finirono sotto processo. Ieri sono stati scagionati tutti
Assolte ventitré "teste rasate"
Fecero propaganda xenofoba, ma non istigarono all’odio razziale

di Ivano Tolettini

Dieci anni dopo gli arresti, scanditi da tredici giorni di cella (4 ottobre-17 ottobre ’94), l’assoluzione piena. La formula adottata dal tribunale di Vicenza è inequivocabile: il fatto non sussiste. Il ragionamento è lineare: il Veneto Fronte Skinhades (VFS) è un movimento di ultra destra con una visione storico-ideologica razzista e xenofoba, ma nei casi concreti analizzati dai giudici non violò la legge Mancino per la quale in ventitré sono stati processati.
Le teste rasate venete pur essendo di parziale ispirazione neonazista e neofascista, non a caso il pm Alessandro Severi nella ricostruzione tira in ballo la legge Scelba del ’52, nei fatti analizzati nel capo d’imputazione non istigarono e non incitarono alla violenza, all’odio e all’intolleranza razziale che, se provate, avrebbero sancito l’illegalità e di conseguenza la censura penale. Alla richiesta di assoluzione della pubblica accusa (le 10.39) fa eco la sentenza letta alle 11.31 dal presidente Giuseppe Perillo (giudici Giovanni Biondo e Michele Bianchi) che assolve i 23 imputati residui della maxinchiesta avviata dalla procura di Verona nell’autunno del Primo governo Berlusconi, ma che affondava le origini addirittura nell’89 durante Italia-Uruguay al Bentegodi. Si tratta di dieci veronesi, otto vicentini, tre bolognesi, un padovano e un friulano. Nel mezzo c’è stata la stringata e logica arringa dell’avvocato Roberto Bussinello (anche a nome dei colleghi Roberto Canevaro, Gianni Correggiari di Bologna e Paolo Dell’Agnolo che gli hanno lasciato il passo vista la indiscussa padronanza della materia). Il legale veronese se da una parte ha tessuto le lodi dell’onestà intellettuale della pubblica accusa, dall’altra ha osservato che già dieci anni fa il tribunale del Riesame di Verona (allora non si andava a Venezia) aveva scritto la parola conclusiva del processo, liberando i principali sette indagati perché gli indizi di gravità non c’erano. Se all’epoca le porte del carcere veronese del Campone si aprivano per accogliere il capo del VFS Piero Puschiavo e i suoi più stretti collaboratori Guglielmo Mancini, Alfio Forante, Fabrizio Bazzerla, Alessandro Castorina, Paolo Rinaldi e Luca Zampini, ieri mattina quelle del tribunale di Vicenza si sono chiuse - a meno che la procura generale di Venezia non proponga appello (è credibile?) - su un capitolo controverso. Sia perché il tribunale di Verona nel 2001 dichiarando la propria incompetenza a giudicare gli allora 43 imputati e spedendo gli atti a Vicenza perché a Gambellara il VHS si era costituito nel ’90, aveva già fatto capire qual era il vento che spirava in sede giudicante; sia perché gli episodi portati in aula erano più di carattere ideale che fattuale, per usare il linguaggio dei giuristi. C’è da dire, per chi ha memoria di quegli anni, che gli skin head in generale alimentavano un certo disagio in vasti strati dell’opinione pubblica. Nell’autunno ’94 la memoria era ancora fresca della manifestazione di maggio a Vicenza, le cui immagini riprese da Rai Tre fecero il giro del mondo indignando molto. Ma tutto questo come poteva saldarsi con episodi di violenza razziale per riaffermare la purezza e la superiorità dei bianchi su meticci, negri e quan’altro? Il pm Severi in quaranta minuti di analisi storica, giuridica e semantica, partendo da quello che ha definito il «presupposto statico», cioè il «contenuto ideologico del VFS e il suo portato razzista e xenofobo», mettendo in guardia dal pericolo dello stato etico che s’impalca a giudicare la correttezza o meno delle idee, ha concluso che da documenti, manifestazioni, volantinaggi, feste e concerti non riusciva a scorgere l’istigazione a commettere atti di discriminazione razziale. Anzi ha notato un’imborghesimento del gruppo. La propaganda razziale, perché di questo si occupava in base alle carte processuali essenzialmente il VFS, di per sé non può essere un reato.

«I danni per l’ingiusta detenzione»
Piero Puschiavo, capo degli skin, trascorse 13 giorni in cella

(i. t.) L’assoluzione era attesa dopo la conclusione della precedente udienza dell’8 ottobre, quando il pm Severi, dopo avere ascoltato quattro investigatori, aveva rinunciato agli altri testimoni facendo capire che dall’esame dei fatti non emergeva nulla di concreto per condannare gli skinheads del Fronte Veneto come istigatori dell’odio razziale.
«Del resto, era una sentenza scritta dal tribunale del Riesame di Verona dieci anni fa - analizza l’avv. Bussinello -, quando annullò l’ordine di custodia per carenza degli indizi di colpevolezza. Per questo si può parlare tranquillamente di un’odissea repressiva. Leggeremo le motivazioni e poi faremo i passi necessari per chiedere i danni per l’ingiusta detenzione e per l’eccessiva lunghezza del processo. Dieci anni non sono uno scherzo». A fianco dell’avvocato penalista veronese c’è il principale imputato, Piero Puschiavo, 39 anni, di Gambellara, fondatore del FVS, ritenuto l’ideologo del movimento assieme a Ilo Da Deppo (fondatore ma non imputato), Alessandro Castorina e Pio Polese.
«È chiaro, siamo soddisfatti - spiega mentre stringe la mano a Bussinelllo e Roberto Canevaro -, ma è anche vero che siamo al centro di una repressione che dura da più di 10 anni. Se pensiamo alle perquisizioni, ai fermi, agli arresti, si comprende che la pressione dello stato è stata ingiustificata rispetto alle finalità del nostro movimento. Noi rivendichiamo il diritto di esprimere e professare le nostre idee. Possono piacere o non piacere, ma noi siamo fieri di esse. Per questo il processo che è durato dieci anni è una cosa assurda, appunto un’odissea come ha detto Bussinello. Io vorrei vedere un cittadino costretto a subire quest’azione incessante che ti mina a livello psicologico. Anche perché una cosa dev’essere chiara, noi non abbiamo mai professato la violenza. Abbiamo reagito a provocazioni, ma per primi non abbiamo mai attaccato nessuno perché ognuno dev’essere libero di pensarla come vuole. Noi siamo difensori della nostra cultura, della nostra tradizione, siamo estranei alla viltà e al servilismo, siamo contro la droga, l’immigrazione incontrollata e contro l’uso politico della giustizia. Siamo oppositori del pensiero unico e dell’arroganza del potere». L’avv. Canevaro sposta la questione su un dato tecnico: «La nostra vittoria fu chiara quando il tribunale di Verona anziché pronunciarsi sollevò la questione della competenza territoriale».


Recoaro. Il sindaco durante il Consiglio all’istituto comprensivo
L’antenna Umts cerca casa
«L’edificio alternativo all’albergo è dell’Ulss 5»

( m. sc. ) L’edificio alternativo all’albergo Alpino che va bene all’azienda e alla comunità recoarese ci sarebbe. Ma le possibilità di installarvi l’antenna Umts sono legate al consenso del proprietario dello stabile, l’Ulss 5, che sembra alquanto improbabile. È quanto emerso l’altra sera dalla relazione con cui il sindaco Franco Viero ha aperto il consiglio dell’istituto comprensivo di Recoaro, riunitosi in via straordinaria per discutere la questione antenna.
«Con 3 rappresentanti della ditta H3g ed uno del Comitato Griffani - ha spiegato Viero - abbiamo valutato alcuni siti alternativi all’Alpino, che resta il posto migliore per irradiare il segnale». L’unico che ha incontrato un certo favore dell’azienda è l’attuale sede del distretto dell’Ulss 5. Su quell’edificio si potrebbe installare un’antenna “mobile”. Tuttavia, stando alle parole del sindaco che ha già contattato l’Ulss, «l’azienda sanitaria sarebbe intenzionata a vendere l’immobile e pertanto a non accogliere alcun ripetitore, che lo svaluterebbe». Il consiglio d’istituto ha ribadito la necessità di informare e sensibilizzare il paese e dato mandato al preside Domenico Caruso di redigere un documento da inviare al prefetto di Vicenza entro il 28 ottobre, giorno in cui le parti si incontreranno in prefettura per dirimere la questione. Sono tre i cardini della posizione del consiglio d’istituto: il «no» deciso all’antenna vicino alle scuole; la forte preoccupazione per l’ordine pubblico in paese; la necessità di monitorare l’impatto anche dell’antenna Gsm già esistente. L’obiettivo immediato è convincere l’azienda ad accettare un’installazione provvisoria.