Strategie USA: Disinformazione organizzata

di Jacqueline E. Sharkley*
(Trad. di D. Avolio)
Fonte: www.altremappe.org

* docente di giornalismo presso l'Università dell'Arizona e autrice del libro Under Fire - U.S. Military Restrictions on the Media from Grenada to the Persian Gulf, di cui questo articolo è una sintesi.

Dalla censura militare a quella politica. La strategia di comunicazione del Pentagono e della Casa Bianca da Grenada alla guerra del Golfo

Ampie ricerche sulle limitazioni militari nei confronti della stampa e sui fattori politici che hanno contribuito a queste restrizioni durante gli ultimi dieci anni, rivelano un irritante proposito di esercitare un controllo crescente sull'accesso dei media alle informazioni dentro e fuori i teatri di guerra.
Le prove mostrano che, in modo sempre maggiore, le informazioni sulle attività del Dipartimento della Difesa sono limitate o manipolate non per tutelare la sicurezza nazionale ma per scopi politici, per proteggere l'immagine e le priorità del Dipartimento e dei suoi vertici civili, incluso il Presidente, che è il comandante supremo delle forze armate.

INFORMAZIONI LIMITATE O MANIPOLATE

Questa modalità non è semplicemente uno scontro di mentalità tra militari e media. Molte decisioni cruciali sulle politiche di informazione sono state prese dai vertici civili del Pentagono e della Casa Bianca, al di là delle obiezioni dei responsabili militari che si sono battuti duramente per mantenere l'accesso dei giornalisti alle campagne militari e al personale delle forze armate, e hanno lavorato giorno e notte durante le operazioni per sostenere gli sforzi di giornalisti e fotografi tesi a fornire un'informazione indipendente al popolo americano.
Le tecniche impiegate dal governo per limitare e plasmare le notizie - che hanno incluso il divieto di accesso alle operazioni e il rilascio di informazioni fuorvianti sui successi statunitensi e sulle vittime - sollevano questioni che vanno oltre l'ovvia necessità di bilanciare il segreto militare con il diritto del pubblico di sapere. Questo programma di controllo dell'informazione ha distorto la valutazione di quanto accadeva durante le operazioni militari a Grenada, Panama e nel Golfo Persico e ha portato a una falsa percezione sull'impatto delle operazioni a breve e a lungo termine su queste regioni e sulla politica statunitense, mettendo in pericolo la memoria storica.

GUERRA DEL GOLFO: COME PROMUOVERE IL SOSTEGNO PUBBLICO

Nei mesi successivi all'operazione "Desert Storm" sono emerse prove consistenti che la strategia di gestione delle notizie adottata dall'amministrazione Bush non aveva l'obiettivo di consentire al popolo americano di valutare obiettivamente gli eventi che hanno portato al conflitto e la gestione stessa della guerra, ma di promuovere il sostegno pubblico sui temi prefissati, quali l'accesso al petrolio o sistemi d'arma controversi.
I punti principali di questa strategia includono:
- Una testimonianza al Congresso rilasciata da un ex ufficiale del Pentagono secondo cui il Dipartimento della Difesa "elaborava" statistiche sulle percentuali di successo dei sistemi d'arma nel Golfo per aumentare il sostegno del pubblico alla guerra e quello del Congresso per un aumento delle spese militari.
- Una testimonianza al Congresso di un ex consigliere del Pentagono secondo cui i missili Patriot non erano così efficaci come sosteneva il Dipartimento della Difesa e avrebbero potuto causare più danni di quanti avrebbero potuto evitarne.
- Dichiarazioni del Capo di stato maggiore dell'Aeronautica militare, generale Merrill A. McPeak, secondo cui i filmati del Pentagono che mostravano bombe a guida laser colpire i bersagli con precisione chirurgica - ripetutamente mostrati dalle reti televisive e dalla Cnn - presentavano una realtà distorta della guerra aerea. In una conferenza stampa dopo la guerra, McPeack ha fornito statistiche che mostravano come queste bombe rappresentassero l'8,8% dell'arsenale sganciato dalle forze statunitensi sull'Iraq. Il restante 91,2% delle 84.200 tonnellate di bombe sganciate dagli Stati Uniti durante il conflitto erano "stupide", prive di sistemi di guida di precisione.
- Dichiarazioni in base alle quali le affermazioni del portavoce del Pentagono, generale Thomas Kelly, durante la prima settimana di guerra, secondo cui le missioni di bombardamento avevano una percentuale di successo dell'80%, erano ingannevoli. Dopo ripetute domande dei corrispondenti, i funzionari del Dipartimento della Difesa chiarirono che per "successo" si doveva intendere un aereo che era decollato, aveva sganciato il suo arsenale nell'area del bersaglio ed era rientrato alla base. Il generale McPeack ha ammesso in una conferenza stampa dopo la guerra che durante i primi dieci giorni di guerra aerea le condizioni meteorologiche erano così cattive che i piloti della coalizione non riuscivano a vedere nemmeno il 40% dei loro obiettivi principali. Più tardi il generale Kelly dichiarò che il problema dipendeva da un "cambiamento di politica" su come dovesse essere definito il termine "percentuale di successo".
- Prove che alle società interessate a produrre programmi sulla guerra del Golfo che volessero presentare l'impegno militare degli Stati Uniti in una luce positiva era garantito un maggiore accesso alle operazioni che non ai giornalisti. Quantum Diversified, una società di Minneapolis che voleva realizzare un video sulla Guardia Nazionale, ha trascorso nell'ottobre del 1990 otto giorni riprendendo alcuni reparti. In quel periodo capitava che gli inviati aspettassero settimane per trascorre brevi periodi con particolari reparti. L'itinerario per Quantum Diversified - che aveva ricevuto assistenza tecnica per il video dalla Nfl Films - fu realizzato con il consenso del Comando centrale degli Stati Uniti e con l'aiuto di funzionari del Pentagono, compreso l'ufficio del Vicesegretario della Difesa per gli Affari istituzionali. Quando la Quantum Diversified volle girare ulteriori immagini in marzo, i funzionari del Pentagono trovarono nuovamente spazio su un volo militare e il Comando centrale inviò un messaggio agli ufficiali dell'Esercito, dell'Aeronautica, del corpo dei Marines e della Marina che comunicava che la troupe aveva libero accesso ai teatri d'azione. Il maggiore Robert Dunlap dell'Ufficio Affari Istituzionali della Guardia Nazionale al Pentagono dichiarò che il Dipartimento della Difesa era felice di essere d'aiuto, perché la Quantim Diversified non faceva "un'operazione alla cieca" che avrebbe "tirato fuori un mucchio di cattive notizie".
- Indicazioni che il Pentagono non voleva rivelare cosa sapeva sulla veridicità delle vittime civili causate dai bombardamenti degli Stati Uniti e degli alleati. Durante le conferenze del Pentagono i funzionari sottolineavano ripetutamente che gli aerei statunitensi evitavano obiettivi civili, ma poco si diceva o veniva chiesto a proposito degli effetti a lungo termine che i bombardamenti sulle infrastrutture dell'Iraq avrebbero prodotto sui civili. Un rapporto preparato nel maggio del 1991 da un gruppo di studio di Harvard, prevedeva che 170.000 bambini iracheni sarebbero morti entro l'anno successivo come risultato degli effetti della crisi del Golfo. Una delle ragioni principali era che i bombardamenti della coalizione distruggevano le strutture sanitarie e la produzione agricola. Un rapporto dell'Onu sosteneva che migliaia di iracheni sarebbero morti a causa delle condizioni "quasi apocalittiche" create dai bombardamenti e indicava che i bambini e gli anziani erano particolarmente a rischio.
- Prove che mentre il personale del Dipartimento della Difesa si lamentava del numero di giornalisti inviati dai grandi organi di stampa per coprire l'operazione "Desert Shield", il Pentagono stava organizzando trasporti, scorte e permessi speciali per le zone di guerra per più di 150 inviati dalle città più piccole in modo che potessero produrre storie in stile "ciao mamma" sulle truppe locali stanziate in Arabia Saudita. La maggior parte della copertura stampa ottenuta risultò di grande sostegno alle azioni del Dipartimento della Difesa.
- Prove di un ampio sforzo dell'Amministrazione Bush per plasmare l'opinione pubblica sugli effetti a lungo termine della Guerra del Golfo. Un promemoria del Ministero dell'Energia del 25 gennaio 1991 ordinava al personale e ai collaboratori del Ministero che lavoravano nelle strutture di "porre fine immediatamente a ogni ulteriore discussione con la stampa fino a nuove disposizioni sulla guerra, sulle ricerche e su temi correlati." Il promemoria forniva un testo per istruire il personale a dire ai giornalisti, che volevano informazioni sulle conseguenze ambientali della guerra: "le previsioni sono speculative e in questo momento non permettono nessun ulteriore commento."
- Prove di una sofisticata campagna di relazioni pubbliche da parte di imprese private e gruppi stranieri per costruire il sostegno alla politica della Casa Bianca nel Golfo. Nell'agosto del 1990, Hill and Knowlton - un'agenzia di relazioni pubbliche il cui presidente e chief operatine officer per gli affari istituzionali a livello internazionale è Craig Fuller, che fu Capo di Gabinetto del vicepresidente di Bush dal 1985 al 1989 - fu incaricata dai rappresentanti del governo del Kuwait di aiutare a convincere gli americani della necessità dell'intervento militare statunitense. Il presidente di Hill and Knowlton e chief executive officer statunitense Robert Dilenschneider, affermò in un discorso che il compito dell'azienda era di "creare sostegno per il Presidente". Un modo di farlo, disse Dilenschneider, era quello di fornire ai media, che erano "controllati in modo molto efficace dal Dipartimento della Difesa, il genere di informazioni che avrebbe loro permesso di fare il proprio lavoro." Hill and Knowlton fu pagata più di 10 milioni di dollari per il suo impegno.
- Indizi che i funzionari dell'Amministrazione Bush agivano secondo motivazioni politiche, quando decisero di impedire ai media l'accesso alla base dell'aeronautica militare di Dover (Delaware), in occasione dell'arrivo delle bare che riportavano i soldati uccisi nella guerra del Golfo. Durante l'invasione di Panama nel 1989, due reti televisive e la Cnn avevano mostrato le immagini dal vivo, a mezzo schermo, del Presidente Bush che scherzava con i giornalisti prima della conferenza stampa in occasione dell'arrivo a Dover dei corpi dei soldati statunitensi uccisi negli scontri. In una conferenza successiva il Presidente disse che le immagini mostrate lo avevano fatto sembrare senza cuore e avevano provocato lettere di critica alla Casa Bianca.

FALKLANDS: UN MODELLO
L'attuale sistema di restrizioni ai media e di controllo dell'informazione è l'ultima delle raffinatezze di una politica del Pentagono e della Casa Bianca che si sta evolvendo da oltre 25 anni.
La guerra del Vietnam ha dato lo slancio allo sviluppo del sistema. Molti ufficiali militari erano convinti che gli Stati Uniti avessero perso la guerra a causa della copertura stampa negativa che aveva portato i cittadini degli Usa a schierarsi contro il conflitto. Alla fine degli anni Settanta, i funzionari del Pentagono iniziarono a studiare un modello nuovo di rapportarsi alla stampa. Lo trovarono in Gran Bretagna, dove il governo Thatcher aveva sottoposto i media a un controllo molto stretto durante la guerra con l'Argentina nel 1982, nelle Falklands. Il fatto che il Pentagono fosse interessato a quel modello di controllo della stampa era inquietante, poiché la Gran Bretagna attua ancora quelle limitazioni nei confronti della stampa, che portarono i Padri Fondatori ad adottare il Primo Emendamento a garanzia della libertà di stampa.
Un articolo scritto per una pubblicazione del College della Marina Militare statunitense sottolineava le lezioni che il Pentagono poteva prendere dal modello Falklands. Per mantenere il sostegno pubblico alla guerra, diceva l'articolo, un governo dovrebbe sterilizzare l'immagine visiva della guerra; controllare l'accesso dei media ai teatri di guerra; censurare le immagini che possono turbare i lettori o gli spettatori; escludere i giornalisti che non vogliano scrivere articoli favorevoli. Durante i conflitti successivi, il Pentagono impiegò queste tecniche con gradi diversi.

GRENADA: LA PRIMA OCCASIONE
L'invasione di Grenada nel 1983 offrì al Pentagono la prima occasione di provare queste tecniche di gestione dell'informazione. Il personale del Pentagono, con la conoscenza e l'approvazione della Casa Bianca, tenne lontani i giornalisti durante i primi due giorni di conflitto. I giornalisti che cercarono di raggiungere l'isola via mare furono trattenuti dai militari statunitensi e tenuti in isolamento. I giornalisti che cercarono di arrivare in aereo furono "affiancati" da un jet della Marina e costretti a rientrare per paura di essere abbattuti. Quasi tutte le informazioni che gli americani ricevettero durante i primi due giorni provenivano da fonti governative. Il personale della Casa Bianca e del Pentagono affermava che il conflitto aveva avuto un enorme successo e, dalle parole del Segretario della Difesa Caspar Weinberger, "condotto in modo estremamente abile".
Nella realtà l'operazione era stata pianificata in gran fretta e i primi giorni di conflitto erano stati quasi un disastro per le truppe statunitensi e un potenziale motivo d'imbarazzo per i vertici del Pentagono. Per esempio, gli ufficiali militari non conoscevano l'ubicazione di molti degli studenti di medicina statunitensi che ci si aspettava che salvassero; le truppe statunitensi erano confuse riguardo alla vera identità del nemico ed erano in possesso di cartine turistiche invece di mappe strategiche militari. Più di una dozzina di persone innocenti furono uccise quando le forze statunitensi accidentalmente bombardarono un ospedale psichiatrico dopo averlo scambiato per un'insatallazione militare.

PANAMA: LIMITAZIONI POLITICHE
Prove indicano che a Panama molte limitazioni ai media erano dettate da ragioni politiche. Per esempio, il Segretario alla Difesa Richard B. Cheney decise di assicurarsi che il gruppo di media del Dipartimento della Difesa arrivasse troppo tardi per coprire le prime ore dell'operazione "Just Cause", dopo che il Presidente Bush per due volte contestò le capacità dei membri del gruppo di mantenere la sicurezza operativa. Dopo il loro arrivo, i giornalisti furono trattenuti in una base statunitense per alcune ore, ascoltando una lezione sulla storia di Panama e guardando i servizi televisivi della Cnn dal Pentagono per aggiornarsi sui progressi della guerra.
Durante i primi giorni i gruppi di giornalisti erano afflitti dalla scarsità dei trasporti e degli equipaggiamenti. La logistica dei campi di battaglia era talmente confusa che una aereo che portava giornalisti aveva rischiato di essere abbattuto dalle forze statunitensi.
Durante le conferenze stampa della Casa Bianca e del Pentagono sull'invasione, funzionari sviarono i giornalisti riguardo alle vittime statunitensi dovute al fuoco amico e ai lanci di paracadute da basse altitudini. Ufficiali militari nascosero deliberatamente che il controverso aereo Stealth, che Cheney aveva elogiato per la sua "precisione millimetrica", durante l'invasione aveva in realtà mancato tutti i suoi bersagli da poco più di cento metri.

ALCUNE RESPONSABILITÀ DEI MEDIA
I media sono in parte responsabili dell'incremento delle limitazioni sulla copertura degli avvenimenti in tempo di guerra. Nonostante i giornalisti si siano lamentati per anni delle restrizioni, non hanno mai manifestato una reale opposizione e spesso si sono lasciati cooptare dal Pentagono e dalla Casa Bianca.
Per esempio, sebbene la stampa si lamentasse di essere stata confinata all'interno dei pool durante la guerra del Golfo, i giornalisti si scontravano tra loro per esservi inclusi e segnalavano i colleghi che cercavano di lavorare fuori di questo sistema. I giornalisti non hanno presentato nessuna alternativa che prevedesse risposte articolate alle preoccupazioni degli ufficiali militari circa la sicurezza operativa e delle truppe.
I media hanno fallito anche nel dare un contribuito sufficiente al dibattito pubblico sulle questioni di politica estera che avevano portato al coinvolgimento degli Stati Uniti all'estero. Ad esempio dopo l'inizio dell'operazione "Desert Shield" nell'agosto del 1990, pochi media informarono regolarmente sui fattori politici, economici e storici che stavano influenzando la politica degli Stati Uniti verso l'Iraq e il Kuwait. Queste informazioni, se fornite per tempo, avrebbero potuto avere un effetto importante sull'opinione pubblica e accedere un ampio dibattito nel Congresso sull'intervento militare Usa.
Invece di sviluppare un rapporto con il Pentagono rispettoso ma antagonista, molti membri della stampa si sono resi dipendenti dai militari per le immagini e le informazioni. Per esempio, sebbene i giornalisti fossero fisicamente ostacolati nell'osservare e filmare gran parte dei combattimenti durante l'invasione di Grenada e Panama, le reti televisive mostravano ore di drammatiche - e a volte ingannevoli - sequenze del Dipartimento della Difesa. Un situazione simile si sviluppò nel Golfo, dove le sequenze più emozionanti durante la guerra aerea erano i video del Pentagono, accuratamente selezionati, sulle bombe di precisione che distruggevano i loro bersagli.
Alcuni giornalisti ritengono che la mancanza di iniziativa da parte di molti inviati che seguivano la guerra del Golfo sia stato l'unico grande fallimento dei media e danneggerà i tentativi futuri per ridefinire i rapporti tra Pentagono e stampa.
La triste verità è che mentre da una parte i giornalisti e i commentatori si lamentavano delle limitazioni sui media, alla fine molti di loro hanno presentato esattamente i dati e le immagini che la Casa Bianca e il Dipartimento della Difesa volevano che la stampa passasse ai cittadini degli Stati Uniti.

Febbraio 2002

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