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folletto25603@inventati.org

archivio NEWS 2007

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- 14/dic/oo7

Ai giudici l'avvocato Mirko Mazzali aveva mostrato una cartolina con le immagini del disastro della diga del Vajont e aveva detto: "Questa è la devastazione. Non quei tre quattro episodi di danneggiamento contestati agli imputati"

IN OGNI CASO NESSUN RIMORSO
supportolegale.org - comunicato stampa

La sentenza del processo contro 25 manifestanti per gli scontri avvenuti durante le proteste contro il g8 a Genova, ha deciso qual è il prezzo che si deve pagare per esprimere le proprie idee e per opporsi allo stato di cose presenti: 110 anni di carcere. Il tribunale del presidente Devoto e dei giudici a latere Gatti e Realini, non ha avuto il coraggio di opporsi alla feroce ricostruzione della storia collettiva ad uso del potere che i pm Andrea Canciani e Anna Canepa gli ha richiesto di avvallare.
Anzi, ha fatto di peggio. Ha scelto di sentenziare che c'è un modo buono per esprimere il proprio dissenso e un modo cattivo, che ci sono forme compatibili di protesta e forme che vanno punite alla stregua di un reato di guerra.
Per completare l'opera ha anche fornito una consolazione a fine processo per i difensori e gli "onesti cittadini", chiedendo la trasmissione degli atti per le false testimonianze di due carabinieri e due poliziotti, un contentino con cui non si allevia il peso della sentenza e il cui senso di carità a noi non interessa.

Il tribunale di Genova ha scelto di assecondare tutte quelle forze politiche, tutti quei benpensanti, tutti quegli avvocati, che - coscientemente - speravano che pochi, ancora meno dei 25 imputati, fossero condannati per poter tirare un sospiro di sollievo, per poter sapere dove puntare il proprio dito grondante morale e coscienza sporca. L'uso del reato di devastazione e saccheggio per condannare fatti avvenuti durante una manifestazione politica apre la strada a un'operazione pericolosa, che vorrebbe vedere le persone supine alle scelte di chi governa, inermi di fronte ai soprusi quotidiani di un sistema in piena emergenza democratica, prima ancora che economica. Nessuno di coloro che era a Genova nel 2001 e che ha costruito carriere sulle parole d'ordine di Genova, salvo poi tradirle con ogni voto e mezzo necessario, ha voluto schierarsi contro questa operazione assurda e strumentale: nessuno, o quasi, in tutto l'arco del centro sinistra al governo ha saputo dire che a Genova, tra coloro i quali oggi sono stati condannati ad anni di galera, avrebbe dovuto esserci tutti quanti hanno partecipato a quelle giornate.

La stessa cosa è stata portata avanti anche da molti dei movimenti, e molte delle persone che hanno cercato di sabotare i contenuti della manifestazione che solo tre settimane fa, il 17 novembre, ha riempito le strade di Genova: hanno voluto annebbiare le persone su chi fossero coloro che si battevano per un modello di vita e di società diverso, e chi difendeva il modello che viviamo sulla nostra pelle tutti i giorni; hanno voluto confondere le acque, forse perché anche la loro dignità è confusa. E allora decine di comunicati sulle possibili Commissioni Parlamentari, sulla Verità e sulla Giustizia, e troppe poche parole su 25 persone che stavano avviandosi a diventare capri espiatori di un potere che ha avuto paura.
Genova però non si cancella con il revisionismo a mezzo procura, né con le pelose scelte di comodo e gli scheletri nascosti negli armadi. Le 80.000 persone che lo scorso 17 novembre hanno sfilato per le vie di Genova, non chiedevano una Commissione Parlamentare, bensì che 25 persone non diventassero il paravento dietro cui seppellire un passaggio storico scomodo, che ha messo in discussione l'attuale sistema di vita e di società. Siamo convinti che quelle 80.000 persone ci ascoltano e non permetteranno a un'aula di tribunale di espropriare la propria memoria e devastare le vite di 24 persone.
A maggior ragione oggi, con una sentenza che cerca di schiacciarci e farci vergognare di quello che siamo stati e quello che abbiamo vissuto, di dipingere quei momenti di rivolta a tinte fosche anziché con la luce e la dignità che meriterebbero i momenti più genuini che esprimono la volontà popolare, noi diciamo che non ripudieremo nulla, che non chiederemo scusa di nulla, perché non c'è nulla di cui ci pentiamo o di cui sentiamo di dover parlare in termini diversi che del momento più alto della nostra vita politica.

Noi pensiamo che tutti coloro che erano a Genova dovrebbero gridare: in ogni caso nessun rimorso. Nessun rimorso per le strade occupate dalla rivolta, nessun rimorso per il terrore dei grandi asserragliati nella zona rossa, nessun rimorso per le barricate, per le vetrine spaccate, per le protezioni di gommapiuma, per gli scudi di plexiglas, per i vestiti neri, per le mani bianche, per le danze pink, nessun rimorso per la determinazione con cui abbiamo messo in discussione il potere per alcuni giorni.
Lo abbiamo detto il giorno dopo Genova, e in tutti questi anni: la memoria è un ingranaggio collettivo che non può essere sabotato. E per tutto quello che Genova è stata e ha significato noi non proveremo nessun rimorso. Oggi, come ieri e domani, ripeteremo ancora che la Storia siamo Noi. Oggi, come ieri e domani, diremo di nuovo: in ogni caso nessun rimorso.

SUPPORTOLEGALE
info@supportolegale.org


- 1/dic/oo7

In concomitanza con l'inizio dello sciopero della fame promosso a livello nazionale, gli ergastolani Annino Mele e Salvatore Pezzino per la caratterizzazione in cui ci troviamo abbiamo deciso per la durata di giorni dieci a partire dal 1 dicembre 2007 l'autoseppellimento.
Non potendo guardare in faccia alcun nostro futuro, proviamo a chiuderci dentro le rispettive "morgue" rinunciando a tutto e tutti, con la differenza che ogni giorno per cinque minuti a partire dalle ore 16 ci suoniamo le campane a morto.
L'autoseppellimento consiste in:
1. non uscire dalla propria "morgue" per nessun motivo
2. niente udienze con il Direttore o altre autorità
3. niente colloqui con i familiari o telefonate
4. niente docce
5. nessuna visita medica
6. niente matricola o magazzino casellario

Ci rivolgiamo alla direzione che dia disposizione affinché i vari punti organici dell'amministrazione non ci ostacolino nel portare a termine questa nostra iniziativa, tranne doverla interrompere anche se per poco in caso di perquisizione nelle rispettive "morgue". Resterà poi nostro desiderio quello di
lasciaci "vivere" la nostra esclusione alla vita. Sarebbe veramente importante da parte di chi ha il compito di rispettare quanto previsto dall'articolo 27 della nostra Costituzione di ammettere il fallimento, la contraddizione tra la speranza e l'esclusione.
Dal 1 dicembre fino al 10 proviamo a seppellirci ben consci che siamo da tempo e per sempre carne archiviata. Archiviate anche i nostri fascicoli, cosi' evitate di venirci a dire quel che alla fine non potete darci.

Annino Mele
Salvatore Pezzino
Carcere di Reclusione, Sezione AS
Saluzzo (CN)
dicembre 2007

campagna per l'abolizione dell'ergastolo:
www.informacarcere.it/campagna_ergastolo.php


- 2/ott/oo7

Folletto25603 e Leoncavallo s.p.a.

LA TERRA TREMA al LEONCAVALLO
Vini critici e vignaioli autentici, agricoltori periurbani, produzioni agricole di qualità

23, 24 e 25 Novembre 2007 - MILANO

LA TERRA TREMA, è il nome dell’appuntamento che riunisce l’agricoltura critica di qualità allo Spazio Pubblico Autogestito Leoncavallo di Milano, già sede della Fiera dei Particolari - t/Terra e Libertà/Critical Wine, ultimo “sogno possibile” condiviso con Luigi Veronelli. LA TERRA TREMA è anche il frutto della collaborazione tra Folletto25603 e Leoncavallo s.p.a.

Il 23, 24 e 25 Novembre più di cento piccole aziende agricole - tra vignaioli provenienti da tutta Italia, coltivatori e allevatori (in special modo del Parco Agricolo Sud Milano e del Parco del Ticino) - offriranno in degustazione e in vendita i propri prodotti.
Nel corso dell’evento oltre ad assaggi confidenziali e acquisti diretti sono previsti momenti pubblici di confronto, interventi di produttori, scrittori e giornalisti, proiezioni video, concerti, cene a filiera zero.
Particolare attenzione sarà dedicata al rapporto tra città e agricoltura periurbana; alla condivisione di un patrimonio culturale collettivo quale è il sapere gastronomico; alla discussione delle problematiche attinenti il settore agricolo e alimentare.

LA TERRA TREMA è il risultato di una frequentazione forzata ma quotidiano tra due geografie che scorrono parallele, opposte, tanto da apparire ossimoro/contraddizione. Un territorio agricolo periurbano da una parte, una metropoli ipertrofica dall’altra. Entrambi sono flussi in trasformazione. Una divora l’altro con cemento e catrame. I luoghi dell’agricoltura sono perciò compromessi dalle urgenze impellenti proprie dello spazio metropolitano, atto all’edificazione coatta e alla distribuzione schizofrenica delle merci. Edificare/distribuire imperativo presente. Opporre resistenza è un vizio impossibile quasi. Opportunità di pochi. Eppure questo è, per forza di cose, il vivere quotidiano di contadini, allevatori, piccoli produttori che abitano l’appena oltre la periferia milanese. La periferia milanese finisce laddove iniziano queste esistenze “periferiche” diverse (citando Rumiz).

LA TERRA TREMA è il desiderio di portare porzioni di queste opposizioni nella metropoli (quelle che Luigi Veronelli avrebbe detto hackers), è un invito ai guardiani del territorio ad uscire temporaneamente e a darsi al racconto delle proprie quotidiane resistenze. LA TERRA TREMA vuole ribadire che l’agroindustria e la grande distribuzione, gli ipermercati, i grandi centri commerciali, la ristorazione prefabbricata, sono anzitutto i luoghi della negazione dei diritti, dello sfruttamento, dell’infima qualità del lavoro, della distruzione dei territori, della omologazione di merci e sapori, l’alienazione dei bisogni e del vivere sociale.

LA TERRA TREMA al Leoncavallo - 23, 24 e 25 Novembre 2007 - Via Watteau 7 - Milano
Vini e vignaioli autentici, agricoltori periurbani, gastronomie autonome

Folletto 25603 (Abbiategrasso, Mi)
Leoncavallo s.p.a. (Milano)

Email: laterratrema@canaglie.org
Sito: www.inventati.org/folletto25603/laterratrema

 

“I ragazzi – per me lo sono – del Leoncavallo ospitano (e qui la parola ha un valore totale dacché non è mossa dal minimo interesse privato) i vignaioli, ripeto, migliori e più conosciuti, e quelli, anche migliori, ma non ancora conosciuti.
Ciascuno di loro – e in primis va da sé, i miei lettori ed amici – sono invitati a partecipare. Sarà una fiera del tutto nuova; vi si assaggeranno i vini di ogni parte d’Italia. Festeggeremo la vita”.
(Gino Veronelli, in occasione della prima edizione di tl/cw al Leoncavallo, Dicembre 2003)


- 6/ott/oo7

crash! again... non ci fermerete mai!

Alle 6.45 del 20 Agosto 2007 un atto militare tenta di fermare l'esperienza del Laboratorio Occupato CRASH! Le ruspe cofferatiane entrano nello spazio per demolire tutto quanto costruito e vissuto in un anno e mezzo di occupazione di un vecchio edificio dismesso, a cui si era data nuova vita. Nessun preavviso alla vile delibera a porte chiuse agostana. Lo stabile torna vuoto e chiuso per le volontà dell'amministrazione Cofferati: l'ennesimo scempio di quanto Bologna è ancora in grado di produrre dal basso al di là delle ordinanze proibizioniste, della negazione della socialità, della mercificazione culturale. Un Laboratorio largamente attraversato, catalizzatore di desideri e bisogni di decine di migliaia di persone a Bologna, che ha visto prodursi e riprodursi al suo interno reti sociali in cerca di spazi di vivibilità.

Quello che il Laboratorio CRASH! ha rappresentato in città rimane nelle cronache: asilo per quanti, in fuga dalla ruffiana cultura cortigiana bolognese, hanno trovato li un luogo per esprimere le proprie conoscenze; fruibilità per tutti di ineguagliati eventi musicali; presentazioni di libri, rassegne cinematografiche; condivisione di saperi; laboratori teatrali e fotografici... Ma soprattutto un virtuoso meccanismo di coinvolgimento di quanti hanno vissuto lo spazio nella produzione di eventi altri, di vivacità culturale e politica. Quello che lo sgombero del Laboratorio CRASH! porta è solo un vuoto.

Ma il Laboratorio CRASH!, nella città/cavia del delirio securitario cofferatiano, ha rappresentato anche altro. Ed è proprio su questo piano che la vendetta politica dell'amministrazione ha preso corpo: anni di lotte contro la precarietà, al fianco dei migranti per la chiusura dei CPT, una rinnovata propulsività sociale che ha saputo contrastare inquietanti presenze come quella razzista di Forza Nuova il 21 Giugno, che ha dato battaglia per difendere la libertà d'espressione e le libertà personali di tutte e tutti e dare soddisfazione a bisogni e desideri.

Con questo sgombero prende forma un ulteriore tassello di quello che è il modello societario che Cofferati, in rappresentanza delle forze politiche di cui è interprete, cerca di imporre ed esportare in tutta Italia. Sono recenti le dichiarazioni del ministro Amato che individuano nel modello dello "Sceriffo Giuliani" l'ideale gestionale da importare e diffondere ad opera del costruendo Partito Democratico: un modello di esclusiva repressione, ormai superato dalla stessa New York, sua città natale. E se da un lato l'eco dei peggiori e più rischiosi modelli politici d'oltreoceano approdano qui a partire da Bologna, è impossibile scordarsi tutta la sequela di provvedimenti che in ogni parte d'Italia prendono forma, spesso sotto il vessillo di amministrazioni di centrosinistra: dai recenti provvedimenti, d'eco cofferatiano, contro i lavavetri a Firenze, all'espulsione del diverso dalle città, alla manifesta connivenza nei confronti di quanti, portatori di eredità xenofobe e fasciste, si fanno braccio armato di queste politiche, assaltando occupazioni abitative, bruciando campi nomadi, assassinando compagni, facendo squadrismo perfino nel corso di eventi ludici come la recente, ma non solo, cronaca romana mostra. Ma questa estate non ha mietuto vittime solo a Bologna: a Milano, Verona, Padova altre esperienze di autorganizzazione e autogestione vengono sgomberate e chiuse, marcando il segno di un inquietante parallelismo delle politiche adottate dai sindaci forzaitalioti Moratti, leghisti Tosi e diessini Zenonato e Cofferati.

Se il modello di amministrazione cittadino è questo, la politica istituzionale si innalza sempre più a simulacro mediatico, a vuoto gioco delle parti, quanto mai distante dalle contraddizioni dell'esistente. E così ecco lanciate mistificatorie campagne di intolleranza e repressione all'insegna della legalità, che a malapena celano una politica di sacrifici fatta di stangate fiscali, attacchi ai diritti, bisogni insoddisfatti, peggioramento delle condizioni di vita. Ecco inabissarsi con questo ceto politico anche il mito di un riformismo progressista che si rivela come semplice maschera di una esasperata voglia di impattare contro la società, di entrarvi per distruggerla e funzionalizzarla plasmandola ad esclusivo modello di sè, per la propria riproduzione.

La necessità di una risposta antagonista a queste politiche non potrebbe manifestarsi adesso in modo più palese. Ed in questo stanno tutti i conflitti che all'interno delle città, e non solo, sorgono: dalla vittoriosa lotta della Val di Susa del No Tav, alla Vicenza del No DalMolin, alle battaglie per la laicità e per la libertà d'espressione vanno costruendosi terreni di rottura dai quali partire per rilanciare su altri terreni. E nei territori gli spazi sociali assumono un ruolo centrale nel tentativo di costruire alterità e contrapposizione, nel strutturare queste ed altre battaglie, divenendo espressione di ingovernabilità dei conflitti. Del resto la Bologna dello sgombero di CRASH!, ma anche di Metrolab, della chiusura del Livello 57 e del Link, delle ruspe abbattute sui campi rom, delle ordinanze anti-alcolici, della chiusura forzata di ogni ambito di socialità e ludicità, della cultura-merce ad alto prezzo solo per pochi, finisce con l'innescare dinamiche che semplicemente si autoalimentano. Assistiamo allo spettacolo di un sindaco costretto a trincerarsi dietro decine di agenti di polizia e bodyguards perfino alla festa del suo partito perchè contestato e fischiato. L'allarme sicurezza così amministrato alimenta nuove insicurezza, la legalità brandita a mo' di manganello produce clandestinità e questo perchè tutta questa parte della città non è riducibile ad un deserto sociale. Chi vuole negare, neutralizzare le esistenze di noi tutti, genera nuovi conflitti non amministrabili.

Da oggi è il momento di marcare il segno di un'assoluta incompatibilità dei soggetti che in questa ed in altre città si muovono rispetto a queste politiche. La distanza del Palazzo resti tale: solo da noi tutti potrà venire una risposta adeguata, di massa, a chi questa città la sta uccidendo. Qualcuno, a corte, ha deciso che l'alterità, a Bologna, non debba avere casa. Rispondiamo contrastando il delirio securitario, per le libertà d'espressione e personali, perchè CRASH! torni ad avere uno spazio. Bologna è di chi la vive e rende viva!

Facciamo appello a tutti coloro con cui abbiamo tracciato segmenti del nostro percorso, coloro con i quali abbiamo condiviso battaglie, piazze, assemblee, socialità a portare assieme a noi la propria rabbia per le strade di Bologna.

Costruiamo per SABATO 6 OTTOBRE
un CORTEO A BOLOGNA in difesa degli spazi
sociali e contro il modello cofferatiano

Laboratorio CRASH!

Per adesioni: baz at ecn punto org
www.ecn.org/baz


- 1/set/oo7

Manifestazione di Verona: Le idee, i desideri, le lotte non si sgomberano!

A Verona sabato 1 settembre ci saremo e cercheremo di esserci ai prossimi appuntamenti e quando servira'.
Ci saremo per quello che siamo. Una piccola parte che insieme a tante altre ne puo' fare una grande.
Torneremo in piazza Zagata, borgo Venezia. Torneremo in quel quartiere dove grazie alla Chimica abbiamo passato del tempo prezioso: condiviso imparato discusso conosciuto bevuto mangiato comunicato riflettuto immaginato...
Alla Chimica abbiamo attraversato Critical Wine/Terra e Liberta', come in altre parti d'Italia, da nomadi, in movimento: l'ultimo sogno possibile di Veronelli, un'idea e un desiderio di una banda di pazzi che ha fatto incontrare migliaia di persone, vignaioli e contadini in decine di iniziative, in luoghi autogestiti diversi e simili alla Chimica sparsi in tutta Italia... per costruire e promuovere nuovi progetti, nuovi processi diretti di trasformazione e distribuzione... per parlare, difendere e trasformare i territori e l'agricoltura... per riappropriarsi di gusti, cibi, vini, relazioni, e dei piaceri a loro connessi.
Questa volta saremo in piazza zagata non per restare la', ma per andare in giro nelle strade di verona.
Perche' le idee, i desideri e le lotte non si sgomberano e non vanno da sole in giro per il mondo!

FOLLETTO 25603, politica dalla strada

 

LE IDEE, I DESIDERI, LE LOTTE NON SI SGOMBERANO!

Il centro sociale la Chimica esiste perché nasce da necessità politiche, culturali, esistenziali. Esiste perché lo dimostra una storia ormai lunga 10 anni, una storia fatta di lotte e occupazioni: il forte di S. Lucia, la vecchia pensilina degli autobus di Piazza Isolo, l’area industriale dell’ex quacker chemical, le scuole Fincato di via del capitel. Luoghi abbandonati e dimenticati che abbiamo pulito, sistemato, trasformato in spazi di socializzazione, aggregazione, cultura. Spazi aperti riconsegnati alla cittadinanza: non abbiamo mai rubato spazi a nessuno, non siamo mai stati competitivi con le esigenze del territorio come alcuni vorrebbero far credere, come chi vorrebbe competitive le esigenze degli anziani del quartiere in cui abbiamo vissuto.

Lo diciamo con forza perché in questi anni abbiamo realizzato dei sogni, abbiamo dato risposte concrete alla necessità di spazi sociali e aggregativi, di spazi politici e culturali, aperti alla cittadinanza, al quartiere, vissuti dalle migliaia di persone che li hanno ricostruiti, camminati, ridipinti e rimessi a nuovo, riempiendoli di musica, disegni, giochi, parole, sapori e saperi in azioni creative, favorendo comunicazione e relazioni.

Abbiamo scelto l’autorganizzazione: non abbiamo bisogno di finanziamenti perché autoproduciamo (con fatica) i mezzi con cui sostenere i nostri progetti. Abbiamo scelto l’autogestione che non tollera la distinzione tra gestione ed utenza, coinvolge e responsabilizza, investe sul protagonismo attivo delle persone che esprimono con la loro presenza, desideri ed esigenze. Investiamo sulla partecipazione dal basso, che non riproduce gerarchie o strutture burocratiche di associazione, si esprime e condivide le scelte comuni attraverso le assemblee di gestione. In questi anni ha preso vita un contesto nato da una comunità di centinaia di persone che hanno frequentato e attraversato le iniziative proposte: concerti, rassegne cinematografiche, dibattiti, presentazione di libri, il mercato autogestito, eventi come Terre Ribelli/Critical Wine e Brutti Caratteri, la libreria Ubik Books, la trattoria comunarda Fornelli Ribelli, lo sportello precario, i corsi di inglese, di ginnastica, giocoleria…

Una realtà attiva nelle lotte per la giustizia sociale, contro la condizione precaria del lavoro e per i diritti dei lavoratori, al fianco dei migranti, contro il razzismo e per i diritti di cittadinanza, contro il sessismo e le discriminazioni verso gay, lesbiche e trans, contro tutte le guerre, per una ecologia sociale e ambientale.

Esistiamo. Lo diciamo con forza a questa giunta, al suo buffo sceriffo flavio tosi, malato d’inguaribile protagonismo. Meritato: l’instancabile provocatore, il Gentilini al quadrato, l’abile collaudatore di rapporti tra l’estrema destra e la lega, celebre per gli autobus con entrata per “negri”, per la guerra santa ai rom, ai migranti, ai diversi, a tutto ciò che non è compatibile con l’anacronistica idea di città- castello- ricco recintato identitario…

L’uomo che ha vinto l’elezioni fomentando le pulsioni più retrive legittimandole, dando cittadinanza all’irrazionale alla paura e alla fobia.

Tre parole d’ordine in campagna elettorale: cacciare i rom, cancellare il centro sociale, debellare il centro dalle presenze sgradite, ambulanti in primis. Le vere emergenze di Verona. In nome del decoro. Dal detto al fatto: un allucinante battuta di caccia: prostitute, mangiatori di panini, kebbabbari, phone, center, senzatetto, Rom. Sgomberi, chiusure, multe, arresti, il tutto sotto il vigile sguardo ed il sorriso compiaciuto del primo cittadino. Attualità e non solo: all’istituto storico per la resistenza un naziskin doc, noto alle cronache cittadine e non solo.

Lo ricordiamo al centro sinistra con la forza e la lucidità della memoria che non ammette amnesie strumentali, ipocrisia e revisioni. Imperdonabile la subdola repressione messa in atto nei nostri confronti, sottovoce: 10.000 euro comminati dai vigili urbani a quattro esponenti della chimica in occasione dell’ultimo C.W. sono spiccioli al confronto dei 30.000 euro che la precedente amministrazione ipotizzava di attribuirci come indennizzo per l’usufrutto abusivo dello stabile di sua proprietà. Imperdonabile l’incapacità e la codardia di offrire alternative reali al centro sociale per emergere nella precarietà nella quale versava, riconoscendone la storia la forma i bisogni. Imperdonabile la scelta consapevole di conquistare voto e consenso dei presunti moderati, assecondandone le fobie gli egoismi le passioni tristi. La deriva in atto non esclusiva della destra, non è solo politica e sociale: il quando sociale e il politico si stratificano inquinano appieno la sfera esistenziale. Per questo forme di vita non omologabili fanno paura, non solo per ciò che sono e producono materialmente ma anche per i linguaggi e gli immaginari che hanno dimostrato di saper creare.

Gli spazi sociali autogestiti sono stati in questi anni il cuore in movimento di tutte le lotte per i bisogni e diritti d’esistenza.

Urge innanzitutto una presa di coscienza: ciò che siamo stati e ciò che siamo.

La consapevolezza del percorso comune è la stessa cosa della responsabilità che abbiamo: vivere uno spazio di relazioni liberate giorno per giorno è concretamente un pezzo di una società diversa che vorremmo costruire.

Significa non fermarsi.

Urge ricomporre e ricombinare i corpi e le menti di chi questa esperienza ha attraversato e sostenuto, soprattutto in una città come la nostra. Ripartire dalla piazza, oggi piazza zagata, da ciò che all’esterno della chimica riusciremo a fare, a partire dalla socialità che in questi anni abbiamo consolidato, rompendo le barriere del pregiudizio.

Trasportare le nostre azioni le nostre idee i nostri corpi nelle strade, nelle piazze, di nuovo imprevedibili, di nuovo invisibili…ma non troppo.

Riprenderci la fisicità di un laboratorio, occupando se necessario, consapevoli che l’occupazione rimane uno strumento, non un fine, per ottenere una piccola parte di ciò che ci spetta.

Questa città ma non solo. Il vento che soffia a Verona non ha niente di localista ma è comune a tante ricche città di questo paese dove il modello economico non prevede, non accetta, odia soggetti non omologabili, utilizza le isteriche politiche della paura dell’emergenza della sicurezza della tolleranza zero, della richiestissima categoria dell’illegalità per spostare l’attenzione dalle contraddizioni, dai veri problemi, dalle becere ingiustizie del sistema e dai veri responsabili. Perché non è tollerabile immaginare una società diversa e possibile.

Il triangolo tosi cofferati zanonato ha infiammato l’estate ed è solo l’apice di un fenomeno in costante diffusione; ma l’estate infiammata è quasi finita:

Urge lasciare le nostre riserve dove ci vorrebbero confinanti e riprenderci le città

Sui sentieri che il movimento saprà tracciare.

A partire dal campeggio NoDalMolin a Vicenza, un laboratorio a cielo aperto di partecipazione popolare in lotta contro ogni militarizzazione del territorio e in difesa dei beni comuni.

A partire da Bologna e ogni altra città sotto assedio securitario e legalitario


A partire dal percorso che attraverserà Verona sabato 1 settembre.
Il primo passo.
Solo l’inizio.


Manifestazione sabato 1 settembre 2007
concentramento ore 14.00
piazza Zagata Borgo Venezia davanti al csoa la chimica

 

Questo è un appello aperto. Per adesioni e contributi: lachimica@autistici.org

 

http://www.ecn.org/porkospino

http://veronainforme.noblogs.org

 


- 16/giu/oo7

SONO ARRIVATE LE MAGLIETTE DEL FOLLETTO!!!

Prenotatele, ne sono rimaste poche! scrivi a folletto25603@inventati.org

fronte

retro

- 1/giu/oo7

SBALLOTTAGGI

Nel corso di questa campagna elettorale ad Abbiategrasso se ne sono dette, fatte, dedotte. Come da copione, forse peggio di quanto ci si potesse aspettare.
Defezioni, tradimenti, accuse, tristi tiritere: lo spettacolo non è stato piacevole.
Avveniva veloce una trasmutazione fisica: corpi che si trasformavano in partiti, comitati. Al diavolo amicizie, anni di lavoro passati spalla a spalla, addio stima reciproca, addio rispetto, come non fossero mai stati, come fosse stata sempre e solo ipocrisia. È avvenuto questo in campagna elettorale.
È successo però di osservare e confrontarsi con cittadini che avevano comunque voglia di dire, fare, partecipare. Si è cercato con loro di far quadrare un cerchio, in tanti hanno avuto voglia, hanno sperato di dare una svolta, di ridestare le sorti di quei corpi politici. Cercato di parlare, cercato di parlarne.
La classe politica non poteva ascoltare, che non era più carne umana ma lobby, casta, forse società per azioni. Con arroganza, alla fatidica scadenza, si è offerta al confronto ma poi ha cercato di racimolare veloci consensi, candidati ed elettori.
Non c’è da stupirsi che ci sia stata la fuga dalle urne elettorali, che ci sia accaniti sulla propria scheda elettorale, che tanti abbiano segnato con uno sfregio il proprio diritto al voto.
Cosa chiedeva di votare il sinistro centrosinistra? Vai a vedere.
L’appiattimento dei temi, la politica del menopeggio, l’omologazione dei candidati, la presunzione, la sordità.
Non c’è da stare allegri, l’astensione è un momento grave, un momento di crisi violenta e negativa.
Ci sarebbe da chiedersi dove e perché sono stati persi i voti. Ci sarebbe.
Eppure ci si ostina a ostentare la sicurezza di non essere i colpevoli del proprio tracollo. La colpa è altrove. Nell’elettore mancato, indeciso, perplesso.
Ora il ballottaggio, è il momento del richiamo ufficiale al “voto di coscienza” e di responsabilità agli elettori indecisi (al popolo del non voto, al popolo che ha scelto di non esprimersi). Ma cosa garantiscono gli amministratori e il candidato sindaco del centro sinistra di concreto a questa popolazione perplessa: lo spettro della destra o garanzie concrete?
Per che cosa vuole distinguersi il centrosinistra? Cosa risponde alle domande che questo popolo ha ostinatamente posto? Quelle domande che cittadini e città vivono sulla propria pelle:

Quale futuro per il territorio? Un futuro di cementificazione e di crescita forzata? Un futuro deciso da pochi per molti? Un futuro di infrastrutture? Cos’altro? Un futuro legato all’incenerimento dei rifiuti?
Quale sarà il coinvolgimento degli abitanti nelle scelte che riguardano l’impiego delle aree dismesse e, in generale, le sorti della città? Continuerà ad esserci spazio solo per i poteri politici e quelli economici?
E i lavoratori precari del comune? Si riassorbiranno tutti i precari degli asili nido senza condizioni ad esempio?
E la casa? Si intende costruire, ancora? Si intende lasciare libere le case sfitte o darle a chi ha bisogno?
A chi produce cultura, iniziative di quartiere, mette a disposizione il proprio tempo e spazio, che risposte concrete vogliamo dare? Si vuole continuare a non rispondere o a rispondere di arrangiarsi?

Oggi, sotto esame non è la comunità “indecisa” (circa 7500 persone, se vi sembrano poche), chi è sotto esame sono politici e amministratori che si sono candidati a governare! Questo i candidati sindaci, fossero meno presuntuosi, dovrebbero riconoscerlo.
Qui non si chiedono posti nei consigli di amministrazione, non si chiedono assessorati, o altri posti dentro il comune. Si chiedono risposte e garanzie precise, senza troppi giri di parole.
Bisogna avere il coraggio di rispondere e voglia di rischiare, altrimenti chiunque vincerà avrà da fare i conti con una realtà non rappresentata, non rappresentabile, una realtà che ha voglia di fare e di agire ma che si vede troppo distante da poltrone e sale consiliari, una realtà che non ha rappresentanti al Palazzo, all’interno delle istituzioni, e che troverà altri ambiti di espressione e di partecipazione non tradizionali e, se serve, anche conflittuali. Una realtà con cui fare i conti. Appunto.

Una postilla felice: In tutta questa storia c’è con chi congratularsi, per fortuna. C’è da guardare, a cuor sereno, a Cassinetta, e a quelle persone (i politici? Ma Andrea Frassoni è un uomo politico?) che hanno lavorato giorno per giorno a stretto contatto con gli abitanti; alle loro pratiche (sempre additate come estremiste) e alle loro fatiche che sono state ripagate.
Il confronto paga, paga l’umiltà di ritenersi normali, paga la fatica di
ascoltare, rispondere, domandarsi.

Folletto 25603, pronti al peggio
Alice Boni e "il suo entourage"
VerdiAbbiategrasso
QuandoEsceEsce
La Terra Trema ad Abbiategrasso


- 5/mag/oo7

guarda le foto della festa


- 27/apr/oo7

ABBIATEGRASSO - Immobilismo. Mancanza di un programma di svolta. Poca attenzione ai temi della disuguaglianza e del disagio sociale. Appiattimento su questioni di facciata come la sicurezza, le infrastrutture, l'immigrazione vissuta solo come emergenza (dove sono i valori condivisi del centrosinistra?).
Sono critiche politicamente pesanti quelle che arrivano alla giunta Fossati da Alice Boni, consigliere di maggioranza, rappresentante di spicco di Rifondazione Comunista, anche per il suo ruolo di "cerniera" tra il mondo delle istituzioni e quello dell'associazionismo di base e dei cosiddetti movimenti (con il Folletto in testa).

Ma Alice Boni non ha la vocazione della "guastatrice" e non parla a cuor leggero, tanto per fare un dispetto a qualcuno. Sottolinea il fatto che le sue critiche non sono strumentali, al servizio di altre liste o candidati, accomunati dalla stessa fame di potere: «Io credo che esistano anche altri modi di fare politica. Rinuncio a fare il consigliere comunale, riparto da zero... E' evidente che la gente non crede più nei partiti, che c'è una crisi della democrazia rappresentativa, ma si può fare politica anche stando tra le persone, sottolineando l'importanza delle "pratiche", delle azioni concrete. E' una cessione di sovranità alla società civile».

La sua decisione di non presentarsi nella lista di Rifondazione alle prossime elezioni è il risultato di una lunga e tormentata riflessione. «E'
una scelta che arriva dopo tanti mesi di disagio, vissuti quasi in apnea», spiega Alice, che ha deciso di venire allo scoperto, insieme ai compagni di strada del Folletto.

«La discussione all'interno del centrosinistra abbiatense è cominciata con la presentazione della lista Ceretti. Quella poteva essere l'occasione di riflettere su cosa e come cambiare. Ceretti poneva anche delle questioni reali, come la mancanza di relazione con i cittadini, la scarsa partecipazione della società civile. In realtà la sua adesso sembra solo una lotta di potere, ma lì c'erano dei segnali che dovevano essere colti. E invece è stato cacciato Lazzaroni...»

Il problema è la "crisi della politica" e della rappresentanza, che arriva fin dentro il partito della Rifondazione Comunista. L'immagine plastica di questa crisi la offrono quelli del Folletto: «Si era pensato a un percorso di avvicinamento alle elezioni per riflettere sul programma e il candidato sindaco. Noi avevamo dato la nostra disponibilità e la sede di Rifondazione era piena di gente, c'era un bel clima e un gran viavai. Poi il partito ha deciso che era già stato tutto deciso e adesso in Rifondazione fanno le riunioni in quattro».

«Il programma è diventato un orpello fastidioso - spiega Alice Boni. - Io, e non solo io, pensavo che non fosse giusto dare l'appoggio a un sindaco senza un programma, senza valori condivisi espressi esplicitamente. Anche l'idea dei gruppi di lavoro in realtà ha seguito la solita logica delle persone che devono venire al partito e non viceversa. E ancora adesso il programma non c'è. Io l'ho visto in anteprima e certe questioni, come l'inceneritore o la nuova strada, vengono semplicemente evitate».

Anche il bilancio degli ultimi 5 anni non sembra molto positivo. «Non c'è più la sicurezza lavorativa che c'era qualche anno fa. So che il potere di un Comune in questi casi è limitato, ma ad esempio di poteva evitare di esternalizzare i lavoratori degli asili e quindi trasformarli in precari.
Penso anche a una situazione come quella del Folletto, che da uno stato di legalità si ritrova oggi nell'incertezza più totale».

Alice Boni dice di non riuscire più a vedere la differenza tra centrosinistra e centrodestra. «Cosa deve votare un cittadino? Programmi diversi, un modo di fare politica diverso o vota semplicemente persone diverse, piuù o meno rassicuranti, più o meno simpatiche, più o meno cordiali? Un programma di centro sinistra dovrebbe parlare di lotta alle diseguaglianze e al disagio sociale, cose scomparse dalla politica. Non si parla più degli esclusi dal ciclo produttivo, di tutta quella parte della città che non fa opinione e che viene abbandonata all'impegno sul territorio di associazioni come il Folletto. Si parla di insicurezza insistendo sugli stranieri e la criminalità quando non c'è un solo dato che dimostri l'esistenza di un'emergenza. La vera insicurezza è quella della casa e del lavoro! Chi le dice queste cose oggi? Non lo dice più neanche Rifondazione, schiacciata e oscurata, a cui spetta al massimo sollevare temi scomodi come quello della salvaguardia del territorio».

Qualcuno potrebbe avere il sospetto che tutto nasca dalla mancanza di risposte del Comune al Folletto, destinato a rimanere senza una sede:
potrebbe sembrare uno sgambetto fatto per dispetto. «Lo sgambetto se lo sono fatto da soli - dicono i Folletti. - Noi continueremo per la nostra strada.

Abbiategrasso viene portata come esempio in tutta Italia per la collaborazione nata tra la nostra realtà e il Comune. E questa collaborazione era garantita da Alice Boni, che con questa scelta rinuncia a sedere in consiglio, rinuncia alla sua poltrona, mentre c'è gente che fa l'assessore e il consigliere avendo preso 5 voti e rappresentando solo se stesso. Ora il sindaco ci viene a dire pubblicamente che se lo votiamo poi risolveremo la situazione. Noi non ci stiamo a questa logica politica novecentesca. Oggi la gente ha voglia di prendere in mano la propria vita, di essere protagonista nel territorio in cui vive. Ci sono enormi buchi lasciati dalla democrazia rappresentativa ed è qui che noi lavoreremo!».

Secondo Alice «era arrivato il moento della svolta. La giunta Fossati aveva investito sulla riqualificazione dei monumenti, sulla città slow... Va bene, ma ora si trattava di fare un salto di qualità, di non limitarsi a garantire la continuità dando un voto alla cieca a Fossati. Bisognava cominciare a parlare di precarietà, di esclusi, perché non è vero che ad Abbiategrasso stanno tutti bene! Bisogna parlare degli ortisti dietro l'Annunciata che erano lì da 30 anni e adesso devono andarsene. Bisogna fare prevenzione perché poi non si debba ricorrere ai servizi sociali e alle casse comunali.

Occupiamoci degli ultimi e basta con il dogma della crescita! Potevamno aprire dei tavoli permanenti di discussione, invece ci siamo chiusi ad ogni
prospettiva di cambiamento. E io non ci sto». Intanto il Folletto ha
preparato " Una festa alle elezioni" per sabato 5 maggio nel parchetto di via Lattuada. Una festa di quartiere con " musica, animazioni per bambini, materiale informativo, chiacchere e relazioni".

Fabrizio Tassi, Libertà


- apr/oo7

CIRCOSTANZE STUPEFACENTI

In molti parlano di droghe e tante sono le informazioni che circolano intorno ad esse (tra la popolazione studentesca e in quella giovanile, nel mondo degli adulti, nei mezzi di comunicazione e nelle sedi istituzionali).

Molte di queste informazioni sono errate, spesso sono addirittura leggende o pretesti strumentali alla morale o alla politica. Ci si nasconde dietro un “è male”, “è proibito”, o ci si abbandona al consumo e all’abuso inconsapevole, ad uno scambio d’informazioni di bassa qualità e poco precise.

Capita che intorno a questo argomento si faccia fatica a trasmettere informazioni e ad affrontare i rischi e i problemi connessi. Questo accade quando si demonizzano le sostanze, ma anche quando si santificano.

Questo lavoro non vuole stare in nessuna di queste opzioni e non vuole essere un manuale per consumatori di sostanze stupefacenti. Questo libretto contiene semplicemente informazioni corrette e oggettive.

Ci auspichiamo che accresca controllo e consapevolezza rispetto alle sostanze e rispetto a se stessi; ci auguriamo soprattutto che contribuisca allo scambio, alle relazioni e al dialogo tra persone intorno a questi argomenti, senza preconcetti. Indipendentemente dall’essere consumatori di sostanze, indipendentemente dall’età e dal proprio ruolo nella società.

folletto 25603 for high quality life


- apr/oo7

SORVEGLIATO SPECIALE
documento informativo sulla videosorveglianza nella città di Abbiategrasso

video_ctrl_alt.pdf (2.60MB)


- 17/mar/oo7

CONTADINI IN CITTA', CITTADINI IN CAMPAGNA
CONTRO L'AGROINDUSTRIA E LA GRANDE DISTRIBUZIONE

Dalla provincia di Milano che sta diventando periferia, il Folletto occupato incontra gli agricoltori. Pezzi di campagna arrivano nelle grandi metropoli per difendere il proprio territorio e l'agricoltura (quella tradizionale, piccola, di qualità) italiana, europea e di tutto il mondo. Difendere la cultura della terra vuol dire difendere la Terra dall'aggressione del sistema economico globalizzato.

Modificare i rapporti sociali di produzione è necessario:
facilitare le relazioni dirette tra consumatori e produttori, creare dei coproduttori, coltivare un orto, partecipare a gruppi d'acquisto, autoprodurre cultura, sviluppare la vendita diretta dei prodotti della terra, intensificare le relazioni tra cittadini e contadini, creare mercati senza mercanti, saperi e sapori... sono esempi reali di quanto abbiamo chiamato micropolitiche della resistenza. Al di là di mode, fiere e convegni, slow food e life gate, al di là di strategie di marketing a proposito del prodotto tipico.

Le campagne si stanno trasformando. Esistono ormai spazi periurbani in cui le città con le loro tonnelate di cemento aggrediscono i terreni agricoli. Ma le campagne e gli agricoltori possono aggredire la città. E' necessario sviluppare anche degli elementi di espressione conflittuale.

I supermercati, gli ipermercati e i grandi centri commerciali, sono i templi della negazione dei diritti, dello sfruttamento, dell'infima qualità del lavoro, della distruzione dei territori, della omologazione delle merci e dei sapori e della snaturalizzazione dei bisogni e del vivere sociale.

La Politica Agricola Comunitaria e l'OCM-vino (Organizzazione Comune del Mercato vitivinicolo) vanno fermate perchè difendono gli interessi di pochi che rappresentano l'agroindustria, senza tenere in considerazione chi la terra la lavora per davvero.

Vogliamo supportare una porzione precisa della produzione agricola: quella dei piccoli produttori sensibili, critici e legati al proprio territorio e al proprio lavoro. Contadini che producono prodotti naturali di qualità. La grande distribuzione surclassa questi produttori. Vogliamo una distribuzione diretta e partecipata. NON VOGLIAMO L'OCM E LA PAC.

LA TERRA TREMA, Folletto 25603, Abbiategrasso (Milano)


Manifestazione Nazionale a Roma
Sabato 17 marzo 2007, dalle 10:00 alle 13:30

Appuntamento in P.zza Montecitorio sit-in con aperitivo critico

Per un'agricoltura contadina e senza OGM
contro la politica della UE che favorisce l'agroindustria
e declassa il cibo ed il vino a semplice merce
Perché la terra non è un supermercato, e il cibo non è una merce

Per info: terraterra.noblogs.org www.croceviaterra.it agricoltoricritici.splinder.com


guarda le foto della giornata

ascolta gli interventi


 

- 11/mar/oo7

W GLI ORTI E GLI ORTISTI
CHI DISTRUGGE LA TERRA DISTRUGGE ANCHE NOI!

Gli orti tra la Siltal, l'Annunziata e il Folletto domani mattina (lunedì 12 marzo) verranno rasi al suolo.
Con le lamiere, le reti di materassi, le assi di legno, le onduline e altri materiali di recupero improvvisati a delimitare proprietà non legittimate dalle leggi, spariranno le decine di ortisti. La storia di queste persone non saremo di certo noi a narrarla in queste 4 righe anche se in questi anni abbiamo imparato a conoscerla. Una sola cosa vogliamo farla notare : la vita di queste persone è l'orto. Nessuno (proprietari, palazzinari e politici) è riuscito a trovare una soluzione alternativa. C'è chi da quarantanni ogni anno segue i cicli delle stagioni e si abbassa verso la terra. Da quarantanni, trentanni, ventanni ci si incontra, ci si scontra in quel pezzo di terra. Un'umanità diversa, di altri mondi, di altri tempi. Qualcosa che non centra (voce del verbo centrare) un cazzo con le mostre d'arte, le accademie, i politici, i fari alogeni e i giardinetti patinati con improbabili piante esotiche. Non centra un cazzo con le speculazioni immobiliarie o con le tonnellate di cemento versate sulla nostra terra. Non centra un cazzo con i calcoli politici o schede nelle urne. Non centra un cazzo con gli ipermercati o con le villette col prato inglese. Non centra un cazzo col la seconda terza casa al mare, in montagna e in campagna... Oggi abbiamo visto sguardi vecchi di ottantanni guardare il proprio orto con rassegnazione, tristezza, incredulità... forse anche liberati dalla fatica. Forse abbiamo visto gente ammazzata prima del tempo.
Chiediamo a tutti di venire e toccare con mano. Chiediamo uno sforzo a capire dialetti incomprensibili, storie straordinarie, fuori dal "normale" (ma cos'è la normalità!?!)...
Domani mattina arriveranno le ruspe. Gli ortisti saranno lì ha guardare la propria vita demolita. Noi saremo lì insieme a loro.
Vediamo cosa succede.

Folletto25603, pronti al peggio


 

 


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