VERONICA FRANCO

Nacque a Venezia nel 1546 e vi morì nel 1591
Cortigiana e poetessa
Donna colta e appassionata
Nel 1580 fu imprigionata e subì un processo da parte del Santo Uffizio
Io la amo per i forti sentimenti, la passione, la fierezza, lo spirito indomito
Una buona medicina dopo delusioni amorose
C’è anche un film: “Padrona del suo destino”
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Terze Rime

E, se invero mi amate, assai mi duole,
che con effetti non vi discopriate,
come chi veramente ama, fare suole.

Mi duole, che da l’un canto voi patiate,
e dall’altra il desio, c’ho d’essere grata
al vostro amore, m’interrompiate
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Da gli effetti, signor fate stimarvi,
con questi in prova venite, s’anch’io
il mio amor con effetti ho da mostrarvi

Ma, s’avete di favole desio,
mentre andrete voi favoleggiando
favoloso sarà l’accetto mio.

Aperto il cor vi mostrerò nel petto
Allor che’l vostro non mi celerete
E sarà di piacervi il mio diletto
…………………….
Con questo, che mi diate la certezza
Del vostro amor con altro che con lodi
Ch’esser da tai delusa io sono avvezza

Più mi giovi con fatti che con lodi
Ben fuor di parola io’l dico chiaro
Voglio vedere il vostro amore in fatto.


Spogliata, e sola, e incauta mi coglieste
Debil d’animo, e in armi non aperta,
e robusto, e armato m’offendeste
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Pur finalmente s’è stagnato il pianto
E quella piaga aperta s’è saldata,
che dall’un mi passava all’altro canto
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E in man col ferro a esercitarmi appresi
Tanto ch’aver le donne agil nature
Non men che l’uomo, in armeggiando intesi
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Così nei casi avversi i savi fanno
Che’l lor utile espresso al fin cavare
Da quel che nuoce da principio, sanno.

E così ancor le medicine amare
Rendon salute; e l’ferro e l’fuoco s’usa
Le putrefatte piaghe a ben curare:

Benché non serve a voi questa per scusa
che m’offendeste, non già per giovarmi,
e l’fatto stesso parla, e sì v’accusa.
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Quando armate, et esperte ancor siam noi
Render buon conto a ciascun uom potemo
Che mani, e piedi, e core avem qual voi.


Di gelosia non ho l’pensier mai scemo
Tal ch’avvampando in freddo verno al ghiaccio
Nel mezzo delle fiamme aggelo e tremo


Or sicuro ho l’pericolo a la mente
Quando da bè vostri occhi e dal bel volto
Contra me spinse Amor la face ardente
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Pur rimasi ferita in mezzo ‘l petto
Sì che perduto poscia ogni altro schermo
Arder del vostro Amor fu ‘l cor costretto
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E così sobria in mia fame divenni
Ch’assai men che l’odor, nel mio digiuno
Sol di memoria il cor poscia convenni.

Così senza trovar conforto alcuno
La soverchia pena d’amor soffersi
In stato miserabile importuno.

Ma procedendo l’ore a poco a poco
Del bisogno convenni far virtute
E dar ad altre cure entro a me loco

Questa fu del mio mal vera salute
Così divenne al fin la mente sana
Da le profonde mie grandi ferute

Forse stata sarei lieta e felice
Nel potervi godere a mio talento
E forse in ciò sarei stata infelice

La gran sovrabbondanza del contento
Potria la somma gioia aver cangiato
Il noioso e gravissimo tormento.


Sonetti

Ite, pensier fallaci, e vana speme,
ciechi, ingordi desir, acerbe voglie,
ite sospir ardenti, amare doglie,
compagni sempre alle mie eterne pene.

Ite memorie dolci, aspre catene
Al cor, che alfin da voi pur si discioglie,
e’l fren della ragion tutto raccoglie,
smarrito un tempo, e in libertà pur viene.

E tu, pura alma, in tanti affanni involta,
slegati ormai, e al tuo signor divino
leggiadramente i tuoi pensier rivolta;

sforza animosamente il tuo destino,
e i lacci rompi, e poi leggiadra e sciolta
drizza i tuoi passi a più sicur cammino.