Le donnole e l'oste

PREMESSA:
Vi raccontiamo questa piccola e stupida storia non perché sia così importante,
ma perché ci sembra emblematica della situazione del movimento cosiddetto “no
global” in Italia dopo Genova, ma soprattutto dopo il Social forum europeo. A
noi pare infatti che alle parole di molti (singoli, organizzazioni, istituzioni)
non faccia riscontro una corrispondente pratica; che ci si sia impossessati di
slogan e parole d’ordine solo per continuare a perpetuare l’esistente, questo
sempre più terrificante esistente.

ANTEFATTO:
Il ristorante “Il Cibreo” si trova a Firenze,
nel quartiere ex-popolare di Santa Croce. È stato aperto negli anni ’80,
rilevando una vecchia ed economica trattoria nei pressi del mercato di Sant’Ambrogio.
Poi un po’ alla volta siè allargato, tanto che tra noi amici dei paraggi lo chiamiamo
confidenzialmente “l’impero”. Oggi comprende :
1) un ristorante “per ricchi”: un primo, un secondo e un contorno 50 euro
2) una trattoria “per poveri”: un primo, un secondo e un contorno 18 euro (noi
personalmente ci limitiamo a farci un panino con il lampredotto e un bicchiere
di vino da Sergio, il trippaio di fronte)
3) un bar con tavolini fuori (a pago)
Tra breve aprirà anche una grande bottega/teatro (“Il teatro del sale”) che
venderà prodotti genuini e di nicchia (a quale prezzo?) e comprenderà un
“retrobottega” dove si svolgeranno attività culturali e di altro tipo.
Per annunciarne l’apertura è apparso, in una vetrina/bacheca sulla strada, un
manifesto/comunicazione con l’intestazione “Cibreo-città aperta”, in cui si
presentava il luogo come punto d’incontro e di cultura, un luogo di socialità e
di affetti, in cui sempre avrebbe regnato una “calviniana leggerezza”. Il testo
terminava con questa affermazione (più o meno):
“vogliamo fare impresa, costruire economia, vendere (la sottolineatura è
nostra) la cosa più preziosa che c’è: la ricerca della qualità della vita”.
(P.S.- ci dispiace non potervi presentare il testo originale completo, ma,
avendolo richiesto al proprietario, non abbiamo avuto risposta)

LEGGEREZZA E PESANTEZZA
Leggendolo abbiamo deciso di dire la nostra. Abbiamo preparato un manifesto e lo
abbiamo attaccato vicino alla vetrina del teatro del Cibreo. Eccolo:

AVVERTENZA INIZIALE:
vi preghiamo di non staccare questo scritto,
dimostrerete così la vostra apertura.
C’è chi non ha soldi e potere per comprarsi una bacheca personale e che per far
sentire la propria voce deve per forza scrivere sui muri)
Noi non ci sentiamo affatto leggere.
Noi siamo invece molto pesanti.
Pesanti come corpi umani, viventi.
Pesanti come quest’aria ammorbata che respiriamo ogni giorno.
Pesanti come gli affitti alle stelle o il mutuo da pagare o uno sfratto esecutivo.
Pesanti come l’insicurezza e lo sfruttamento di un lavoro sempre più precario.
Pesanti come i ticket sanitari e il costo di un dentista.
Pesanti come una scuola sempre meno alla portata di tutti.
Pesanti come una guerra umanitaria.
Pesanti come la vostra sporca legge dell’impresa e dell’economia.
La qualità della vita, o la sua “ricerca”, non possono essere in vendita,
neanche se a venderla è un bottegaio “illuminato” di “sinistra”.
I beni essenziali non possono essere una merce.
Non può essere una merce l’acqua, non può essere una merce la casa, non può
essere una merce la sanità, non può essere una merce l’istruzione.
Non possono essere una merce neanche la cultura, la socialità, gli affetti.
In un “altro mondo possibile” questi sono soltanto gli inalienabili diritti di
TUTTI.

BOTTA E RISPOSTA
Dopo poche ore il manifesto è stato staccato e abbiamo ricevuto questa mail:

“Buongiorno: sono F. P. Ieri pomeriggio alle 18 sono stato avvertito del vostro
manifesto, me lo sono fatto leggere e trascrivere. Verso la mezzanotte,
rientrando a casa, ci sono passato davanti avendo così l’occasione di
rileggerlo. Vorrei fare con voi alcune considerazioni.
Le argomentazione che riportate sono cosa seria. Sono per me tema di
riflessione, impegno politico, errori, ascolto, esposizione, confronto. Ho
trovato però nel testo una sorta di pregiudizio nei miei confronti dettato
probabilmente da una non conoscenza. Dove la parola conoscenza acquista il
significato del continuo tentativo “rivoluzionario” del volersi bene, di
rifiutare semplificazioni di pensiero che troppo assomigliano a certi spot
televisivi di una cultura borghese e di destra sempre pronta a non capire, a non
farsi carico, a sminuire le problematiche altrui.
L’altrui idea, l’altrui tentativo, l’altrui che non sai che cosa è, l’altrui che
non sai che cosa vuole e ciò che mi interessa e , sono certo, ciò che vi
interessa. Non mi sento offeso, ma mi sento nell’obbligo di ricercare
insistentemente parole non necessariamente di alleanza per progetti che possono
essere diversi, ma comprensione sì.
Incontriamoci, ascoltiamoci, letichiamo, non riduciamo l’altro a immagine.
Torno a dire che anche nel peggiore, e non mi sento il peggiore, si può
rintracciare sostanza.
Con affetto,
vi passo il botte-gaio, l’illuminato no! Mi sa di lampione e di santo.”

A questa mail abbiamo risposto:
“Quando diciamo che non siamo leggere intendiamo dire che non lo siamo neanche
“calvinianamente”, nel senso che ci piace restituire anche al linguaggio il suo
peso, e riempire le parole di senso, riallacciandole alla vita.
La nostra pesantezza non ha niente a che vedere con pregiudizi meramente
ideologici e semplificazioni, né con l’incapacità di aprirsi all’altro.
La pesantezza è nella realtà, siamo nel terzo millennio e i sogni di leggerezza
e riconciliazione degli anni ’80 sono finiti, per tutti, non solo per noi che
non ci abbiamo mai creduto. Sono stati distrutti dalla realtà e noi ci siamo
dentro a questa realtà. Una realtà pesantissima.
Anche se certamente potrà sembrare ideologico siamo convinte che o si sta da una
parte o si sta dall’altra, che mai come ora è inevitabile prendere posizione:
per un altro mondo possibile o per continuare a sopravvivere in questo, contro
il principio economico che sat distruggendo la vita o dentro i suoi meccanismi.
Sono forse parole antiche, che sembrano tagliate con l’accetta, ma a noi
continuano a piacere e a convincere. Questo non porta a nessuna preclusione
ideologica nei confronti dell’ “altrui”, ma i confronti si fanno sui fatti e sulle cose concrete (pesanti).
Si possono dire tutte le belle parole che si vuole, ma noi siamo abituate ad
andare a vedere se a quelle parole si accompagnano dei fatti corrispondenti. Nel
caso specifico le tue parole possono anche essere belle e aperte al confronto e
all’accettazione dell’altro, ma il fatto concreto è che il nostro manifesto
accanto alla tua bacheca (privata e inattaccabile) non c’è più. Quello che
cercavamo attaccando quel manifesto era proprio un confronto, ma pubblico. Forse
la risposta più convincente sarebbe stata lasciarlo lì e magari dare una
risposta pubblica.
Noi lo riattaccheremo quel manifesto in questi giorni, e ci piacerebbe che
restasse lì, poi allora potremmo anche incontrarci, ascoltarci leticare…Il fatto
è che noi il tuo non lo possiamo staccare, anche se non ci piace: è una pura
questione di potere. Se vuoi esercitarlo fallo, ma allora non chiedere
confronti, perché così l’altro tu non lo riduci ad immagine, semplicemente lo
elimini.
Le donnole”

Due o tre giorni dopo abbiamo pazientemente riattaccato il nostro manifesto, che
è stato regolarmente eliminato, ancora più velocemente.

CONCLUSIONE
In compenso abbiamo ricevuto una nuova mail (un po’ più incazzata). Dato che a
noi non interessa certo avere una diatriba privata con il signor Cibreo, né ne
facciamo una questione personale, e che non ci è stato permesso di avere un
confronto pubblico sui muri della nostra città (città-aperta! La stessa dove si
privatizza l’acqua e si vendono le case popolari al miglior offerente),
pubblichiamo tutto qui, perché purtroppo è l’unico spazio libero di cui
disponiamo.