Vanja, 1999:

Esco di casa, è una serata di autunno.
Vivo in un paese. Il paese è vivo con me.
Incontro amici, gente che conosco.
Viviamo assieme quella che decidiamo noi essere la nostra vita.
Individui che si sono incontrati ad un certo punto della loro vita e che hanno deciso di
costruirsi assieme la loro esistenza.
Costruirsi insieme la propria esistenza deve partire dalle radici,
dalla casa. Ma il discorso vuole qui essere ampliato. Non si tratta di una casa, della
propria casa. Ma si tratta di un agglomerato di case, puoi chiamarlo un paese se vuoi. Non
mi interessa la casetta in Canadà se i miei vicini sono "teste di cazzo".
Magari non li conosco nemmeno.
La vita di città ci ha così alienato che a fatica riusciamo a
concepire e a ritrovare il senso di stare insieme nell'agglomerato urbano. Nel magma
caotico urbano. Dobbiamo ritrovarci, per passare ore insieme, in luoghi preposti. Luoghi
organizzati dove viene commercializzata la nostra sete di socialità.
A me in fondo piace la città, mi piace incontrare gente, parlare,
suonare, giocare. Provo sempre a vivermi la città nel migliore dei modi. Non frequento
locali abitualmente, solo talvolta mi piace sedermi ad un bar. Non vado al venerdì sera
in centro storico a bermi la birra al moretti. Preferisco suonare con gli amici per la strada, quando capita. Magari andiamo al mare a sfogare i nostri deliri, a far uscire la
voglia di stare all'aperto...
siamo andati a Cogoleto un mese fa con la voglia di fare uno
spettacolo al mare, una specie di invasione pirata delle spiaggie di cogoleto... ma sul
mare non c'era nessuno, ci siamo limitati ad urla liberatorie "Cogolet's Pirates" e deliri portati dalla voglia di fare casino.
Ci siamo fatti il nostro bagno di mezzanotte col gommone e poi ci
siamo assestati sulla spiaggia. Mancava però un 'background'. Cogoleto sembrava un
fantasma assente. C'eravamo solo noi a sentire questa voglia irrefrenabile di urlare,
saltare, giocare.
Nella mia vita di tutti i giorni frequento abitualmente 5 o 6
persone. Poi vado all'università, sono iscritto all'ultimo anno di informatica. Lì ci
conosciamo tutti. Ma in 4 anni che sono lì dentro non ho mai stabilito rapporti troppo
fecondi. Tutte conoscenze che si limitano al cazzeggio. Non sono quasi mai uscito con i
miei "compagni" fuori dalle ore di lezione. E devo dire, non a malincuore. E' un
periodo della mia vita, questo, in cui sto proprio bene. Mi sto divertendo in tutta una
serie di attività che ho intrapreso, e che intendo continuare. Ma mi rendo conto che per
continuarle, il passo successivo è un passo che coinvolga la mia vita alle radici.
La casa.
Mi piace quando vengono gli amici in casa e si mettono a cucinare.
Usano la casa con disinvoltura. Casa nostra non è un bordello, ma è molto aperta.
Purtroppo le limitazioni di casa nostra sono date dagli spazi.
Dai vicini che si lamentano se ci mettiamo a suonare la batteria
di notte.
Dal quartiere, il centro storico: Il quartiere più bello e
affascinante di Genova, dove manca tuttavia un luogo di aggregazione... uno spazio a
disposizione di tutti.
Noi (almeno, io) vado spesso a giocare e a suonare in piazza
S.Matteo. Riesco a ricavarmi uno spazio senza che nessuno mi rompa le scatole, a parte
talvolta il prete. Sono riuscito a trovare un compromesso per me accettabile col
proprietario della piazza, il prete appunto. Mi basta non commettere atti osceni di fronte
alla chiesa, cerco di adattarmi a questo.
Questo lungo preambolo è per me essenziale per dare un'idea di
quello che sono io.
Mi sento stretta addosso la città.
Beninteso, voglio mantenermi in contatto con Genova perché è lì
che possiamo fare i nostri spettacoli, è lì che ci sono opportunità in questa
direzione.
Stiamo tirando su un gruppetto di gente con cui andare in giro...
giocare, suonare, recitare ... tutto per divertimento, sia chiaro, non è una professione.
Ma chissà che cosa salterà fuori da questo gruppetto misto di persone che vogliono
insieme tirare su attività nei campi più eterogenei.
Sono molto ottimista, perché in molte situazioni ho avvertito la
forza che ti da lo stare insieme. Ti da il coraggio di fare mille e più cose,
provocazioni, messinscene. E Genova con la sua molle inerzia è il luogo migliore dove
sperimentare le proprie invenzioni. Non c'è niente a Genova la sera, non c'è nessuno per
la strada che faccia nulla di interessante.
Quale platea migliore di frotte di soggetti che non fanno niente
se non passeggiare avanti e indietro per via XX Settembre, quali soggetti migliori per una
'presa per il culo' di quelli che il centro storico lo percorrono in lungo e in largo...
ma fino alle 7 di sera, poi tutti a casa che i negozi chiudono?
Ecco, il senso forse è questo. Mi sento un estraneo alla vita
della città. Ma mi sento molto addentro alla mia vita. E mi sento a tratti molto in
sintonia con la vita di chi mi è intorno. E' questo senso di 'solidarietà' che mi spinge
a cercare la situazione migliore.
Quindi, la situazione migliore.
Mi immagino un paese (lavoro molto con la fantasia), di sera.
Intanto amo le case di pietra secolari dell'entroterra. Mi piace molto la fotografia, ed i
colori bianco e nero di queste case mi fanno impazzire.
Dicevo, mi immagino un paese. Ci sono luci soffuse all'esterno,
l'illuminazione è quella che è. Volendo cadere nel romantico, lampade a petrolio con la
loro luce gialla. Nel paese ci sono 5 o 6 case più un casolare di forma allungata su tre
piani. L'impressione è molto bella nel vedere questo paesello in mezzo alla vallata, con un'esposizione molto aperta, i boschi intorno e qualche paese lontano.
Ci sono i canti degli uccelli, i grilli, gli abitanti notturni del
bosco.
Il paese è vivo.
La sera, nella chiesetta sconsacrata, ci si ritrova e si suona
assieme.
E' divertente suonare nella chiesetta, l'acustica è ottima e
l'ambiente stimolante. C'è anche il palco. E salire sul palco è decisamente
l'appropriarsi ludico di quegli spazi che la vita moderna ti nega, se non a un livello professionale o comunque commerciale.
In piazza de Ferrari sarebbe improponibile salire su un palco e
cantare. La città non è a misura d'uomo. La vita è condizionata da quelli che sono dei
criteri imposti dalla società dei consumi per cui l'arte ha la A maiuscola ed è fornita
dagli addetti ai lavori come ogni altro mestiere... fanculo!
Nel paese tutto questo non esiste e ognuno trova lo spazio per
esprimersi e per creare, libero dai condizionamenti esterni. Non ha certo bisogno di
etichettare quello che fa.
E' per lui un divertimento e un seguire le proprie inclinazioni
naturali di essere umano.
Quando poi si tratta di entrare in contatto con la città ed il
mondo civile, allora d'accordo si potrà ricorrere alle etichette così necessarie nel
mondo del supermercato e si proporrà come Arte il proprio delirio ludico creativo, come
Artigianato la propria folle impresa di mobili impossibili, come Musica quella prodotta
dal Flegetonte elettronico invenzione di Stefano, chimera degli strumenti musicali di fine
millennio...
La serata nel borgo, dicevo, è fantastica quando avverti la
voglia di fare.
Perché lì puoi fare.
Il laboratorio fotografico, che allestirlo è una cazzata -io ne
uso per ora uno improvvisato in uno stanzino minuscolo- diventa incredibilmente creativo
quando le fotografie che fai riflettono non solo la tua realtà, ma quella di un paese
intero... persone diverse con interessi diversi, animate tutte dalla voglia di uscire.
Uscire.
Uscire allo scoperto, e allora via! Confido molto nella volontà
creatrice latente nelle persone. Ogni persona ha voglia di costruire, fare. Chi vorrebbe
starsene con le mani in tasca quando intorno a sé ha una situazione stimolante?
Ognuno dà il proprio contributo alla vita del paese.
Penso inoltre agli amici di Genova. Perché se il paese è abitato
da una ventina di persone, mi immagino già il giro di amici che può venire a visitare, a
stare qualche giorno... mi immagino una situazione in movimento. Perché l'importante è
gettare la prima pietra, quello che la gente ha sempre paura di fare.
Per intraprendere un'iniziativa come quella del paese, c'è certo
bisogno di essere animati da intenzioni forti. Non avere paura, paura di cosa? La vita
scorre, sta a noi afferrarla e provare quantomeno a modellarla con le nostre mani, e la
nostra capacità. Ci vuole un certo pizzico d'estro per lanciarsi nelle imprese più
affascinanti. E chi ne rimane fuori, perché lo fa? Forse ha una bella situazione in
movimento nella sua città, nel suo giro di amici. Che è quello che vogliamo creare noi.
Una bella situazione in movimento... a Cà Favale.
Io quello che ricerco è conoscere gente che mi mostri la propria
vita, che non si nasconda dietro le barricate erette dalla società. Spesso ho a che fare
con persone che della loro vita mi danno un'idea prototipata... "finisco
l'università, dopo 10 giorni ho già trovato lavoro, vado a lavorare alla Marconi... c'è
sì la partecipazione militare, ma che vuoi farci, è la vita, io non ci posso fare
niente...". In 1984 di Orwell potevamo immaginarci un mondo di androidi. Siamo nel
1999, gli androidi hanno 15 anni e ci stanno già colonizzando.
L'organizzazione della nostra esistenza a Cà Favale sta prendendo
piede tra discussioni e riflessioni. I punti principali che stiamo delineando sono quelli
più naturali che ci vengono in mente. Cerchiamo di evitare le sovrastrutture e
l'alienamento che la vita in città ci ha così bene insegnato. Un punto importante è la mancanza di lottizzazione. Il paese non è da dividere in unità abitative. Il paese vuole
vivere come insieme. All'interno del paese ci sono gli spazi individuali, poiché io come
individuo voglio potermene stare nella mia casetta. In fondo la casa la vedo come
un'estensione di me. Non potrei vivere sempre in spazi comuni. Posso farlo per periodi di
tempo più o meno lunghi, ma lo chiamo viaggio. Mi piace ritornare nel mio piccolo regno, tra le mie cose... la scrivania, le mie foto, la musica. Questo voglio preservarmelo. Ma
il paese è da vivere come un insieme e spartirlo in, diciamo, 10 case indipendenti non è
nello spirito dell'iniziativa. Io amo mangiare in compagnia, e per questo motivo penso ad
una cucina e sala comune. Io voglio degli spazi comuni come ad esempio la chiesetta - sala
prove - teatro polivalente. Quando penso al borgo nella famosa serata autunnale, penso a
tutte le luci (sempre soffuse, ormai ho iniziato in tono mieloso e continuo così ) accese nelle varie casette... casette dove entrando avresti davanti la vita di chi ci abita... e
poi penso alla sala comune piena di gente... chi legge, chi discute... chi discute molto
animatamente, chi si scazza per decidere chi il giorno dopo deve raccogliere le carote e
pelare le patate, chi prende a calci il frullatore perché non funziona e per sbaglio
spacca pure il televisore, chi non ce la fa più del gallo che (minchia), sempre alle
cinque sto gallo canta, e la capra che ha mangiato tutto compresi i pomodori perini...
insomma, vedo una situazione in movimento, tavoli che volano, sedie che si spaccano... la
vita nel borgo anarcoide di Cà Favale.