Processo imputati per la solidarietà allo sgombero di Cox 18

Giovedì 30 gennaio è iniziato presso il tribunale di Milano il processo ai compagni indagati per i cortei e le iniziative successive allo sgombero di COX18. Come collettivo, abbiamo deciso di essere presenti durante ogni udienza sotto il tribunale per rivendicare con forza che quelle giornate sono patrimonio di una intera città e che l'ennesimo tentativo di criminalizzazione dei singoli e della solidarietà portata alle lotte non può essere accettato.

GIOVEDì 26 GIUGNO 2014 - ore 9.00 Presidio davanti al tribunale con gli imputati a processo per i fatti legati allo sgombero di Conchetta.
In programma sono le arringhe del pm e degli avvocati difensori e, forse, il pronunciamento della sentenza


Cox 18 - Calusca City Lights - Archivio Primo Moroni

Il colore delle percezioni che nel tempo sfumano e non si ricordano più
prima udienza (27-02-2014)

Processo Cox18 - Resoconto dell'udienza del 30 gennaio 2014
seconda udienza (30-01-2014)

Processo Cox18 - Resoconto dell'udienza del 29 aprile 2014
terza udienza (29-04-2014)




Fuori dal gabbione, finalmente!

Processo Cox18 - Resoconto dell'udienza del 29 aprile 2014

L'udienza del 27 marzo, che avevamo annunciato nel nostro secondo resoconto, fu sospesa causa l'assenza per motivi di salute di uno degli imputati. La successiva si è tenuta il 29 aprile scorso, ancora a porte aperte nella "Maxiaula" della prima Corte d'Assise e alla presenza, come di consueto, di un folto drappello di compagni e solidali.
L'istanza degli imputati di poter conferire con il coimputato custodito in carcere dal 9 dicembre, presente in aula sotto scorta e rinchiuso nel gabbione, è stata dapprima respinta dalla corte, con una motivazione secondo cui «la tutela dell'imputato non risulta sufficiente» e «non esiste un diritto come tale a conferire per gli imputati cui debba in questa sede darsi corso»; al che la difesa ha reagito appellandosi al comma c dell'articolo 178 del Codice di Procedura Penale, che prescrive, a pena di nullità, l'osservanza delle disposizioni in merito a «l'intervento, l'assistenza e la rappresentanza dell'imputato e delle altre parti private»; uno dei difensori ha poi argomentato che, sebbene non esista per gli imputati un "diritto a conferire", non esiste neppure un divieto in merito, e che pertanto, in caso di divieto, la Corte è tenuta a fornirne le motivazioni specifiche.
La Corte delibera quindi l'ammissione dell'imputato sotto scorta al banco degli imputati, al fianco del suo difensore.

L'udienza inizia quindi con l'esame degli imputati, a cominciare proprio dall'imputato detenuto nel carcere di Alessandria, che è appena stato fatto uscire dal gabbione.
- In merito al "capo a" della richiesta di rinvio a giudizio («interruzione o comunque turbamento della regolarità del funzionamento del servizio di trasporto pubblico [...] tra le ore 18 e le ore 19 (del 22 gennaio 2009, Ndr) in via Manzoni angolo via Verdi», cioè in piazza della Scala, ove gli occupanti del Centro Sociale Conchetta e centinaia di solidali si erano riuniti in presidio) l'imputato risponde che, al momento del suo arrivo su quella piazza, il traffico era già stato bloccato «dalla gente che sostava sulla carreggiata».
- In merito al "capo d" («in concorso tra loro e con altre persone non identificate, dopo essersi impossessati di capi di abbigliamento di valore non potuto accertare, sottraendoli all'interno del negozio Pirulì Pirulà [nome di fantasia, NdR] di via Torino ed ai dipendenti che li detenevano, hanno usato violenza, cercando di colpirlo con pugni e calci, nei confronti di Tal de' Tali [nome di fantasia, NdR]. Addetto alla sicurezza del negozio, e con minacce, gridando che, se tale addetto non avesse lasciato fuggire la persona che si era impossessata della merce, avrebbero spaccato tutto il negozio»), l'imputato ha spiegato che, passando in corteo davanti al negozio, la sua attenzione era stata richiamata dalle urla e da altri segni di concitazione, provenienti sia dal marciapiede sia dall'ingresso del negozio stesso. Approssimatosi, aveva subito visto il suddetto addetto alla sicurezza del negozio costringere e trascinare verso l'interno una persona, a lui sconosciuta, tenendola per il collo. L'imputato afferma di avere reagito «d'istinto» avendo valutato, dall'espressione sofferente dello sconosciuto, il pericolo costituito da quella presa per la sua incolumità, e di essersi rivolto risolutamente all'addetto alla sicurezza, inizialmente con un «ma che cazzo fai?», poi con un «lascialo andare o succede un casino!» ma proprio perché questi interrompesse quella sua azione - paventandone l'obiettiva pericolosità.
A quel punto, l'imputato, ormai trovandosi all'interno del negozio, verso il fondo del quale l'addetto alla sicurezza era indietreggiato, nota che altre persone presenti stavano protestando contro l'addetto alla sicurezza. Proprio in quel momento lui stesso era stato preso alle spalle, sollevato di peso, e trasportato fin fuori del negozio da un non identificato esponente delle forze dell'ordine di notevole stazza, che a tutta prima gli aveva detto, apostrofandolo chiaramente per cognome: «se ti ci metti anche tu qui finisce male». Una volta fuori dal negozio, egli non aveva cercato di rientrarvi, anche perché vedeva chiaramente che parecchie altre persone ne erano uscite di corsa, e tra loro lo sconosciuto, riuscito a sottrarsi alla presa dell'addetto alla sicurezza; rinfrancato si era riunito al corteo ancora in corso.
Alla domanda se abbia notato «qualcosa» (cioè merci esposte del negozio, Ndr) tra le mani dello sconosciuto, l'imputato dice che, nel primo momento, non vi aveva fatto caso; nel secondo, quando era ormai all'interno del negozio, aveva notato nettamente gli sforzi fatti dallo sconosciuto per divincolarsi dalla presa che l'addetto alla sicurezza gli teneva intorno al collo con il braccio, sforzi che si traducevano nell'aggrapparsi, con tutte le forze e con entrambe le mani, libere, al braccio del molto più di lui possente addetto alla sicurezza.

Il secondo esaminato, imputato solo in merito al "capo a", riceve domande e risponde, in sostanza, solo in merito al "capo d" prima citato.
Ella si trovava «nella parte finale del corteo», appena prima del "cordone di chiusura", insieme a due amiche, una delle quali imputata per il "capo d". Aveva notato una certa concitazione attorno a un folto capannello. Non l'aveva associata affatto a qualcosa di accaduto dentro un qualche negozio, ma a un qualcosa che doveva essere accaduto in strada, forse sul marciapiedi, a seguito del fatto che una scritta che era stata tracciata sul muro.
Preoccupate soltanto dal fatto che il corteo proseguisse senza attendere che i manifestanti addensatisi in quel capannello vi si riunissero, le tre si erano date da fare: l'imputata in merito al "capo d" aveva «rincorso» il "penultimo cordone" del corteo perché desse seguito a un "passaparola" di arresto del corteo fino al primo in testa, come in breve avvenne ; le altre due si erano invece avvicinare alle persone assembrate in capannello, non tanto per chiedere spiegazioni, ma con esortazioni tipo: «Dài, non fermiamoci qui, riprendiamo a sfilare». Essendosi risolta prontamente la "situazione allarmante", né lei né le altre due amiche avevano ripensato a quell'episodio, se non un anno dopo, quando due di loro avevano ricevuto la prima comunicazione di denuncia. Solo allora avevano appreso che quei capannelli e quegli assembramenti erano legati ai fatti di cui al "capo d".

Un altro imputato per i fatti di cui al "capo d" non si sottopone all'esame, ma rilascia la dichiarazione spontanea di «non essere mai entrato» nel suddetto negozio.

Con questa dichiarazione si chiude l'esame degli imputati e possono avere inizio le testimonianze dei cinque testi della difesa, nell'ordine l'avvocato difensore del Centro Sociale nella causa civile con il Comune di Milano ch'era in corso quando ebbe luogo l'azione di sgombero; un giornalista inviato de «La Stampa», presente il 22 gennaio 2009 durante e dopo lo sgombero stesso, e fino alle 17 circa, ora nella quale era andato a farne la cronaca in redazione; un giovane scrittore e un esponente del Centro Sociale; una partecipante al corteo del 24 gennaio 2009.

Il primo teste, riferisce della causa civile in corso dal 2007 tra il Centro Sociale e il Comune; si trattava di una "causa di accertamento" del diritto di usucapione, mossa dagli occupanti, essendo i locali del Centro occupati fin dal 1976. Nel gennaio 2009 la vertenza era ancora in corso. L'avvocato si trovava in tribunale, e proprio nella stessa "maxiaula" in cui si svolge questo processo, la mattina del 22 gennaio, quando fu raggiunto dalla notizia dello sgombero in atto. Recatosi prontamente in loco, aveva potuto accertare che, nessuna richiesta di sgombero era stata avanzata, in sede giurisdizionale. Rivoltosi ai funzionari Digos, aveva constatato che non vi era stata nessuna disposizione da parte della Questura di Milano o della Procura della Repubblica. Quanto alle istanze politiche, il Comune non aveva mai fatto richiesta di sgombero; l'allora vicesindaco Riccardo De Corato lo aveva prima "rivendicato" e successivamente "ritrattato", fino ad arrivare a querelare per diffamazione un articolista del quotidiano «il manifesto» che lo aveva indicato come il «mandante» dello sgombero.
Detto altrimenti, con le parole dell'avvocato teste, quella dello sgombero fu «una decisione senza madri né padri». Perciò c'è poco da stupirsi se la mattina dello sgombero, nei pressi del Centro si era formato un corteo di protesta che aveva attraversato dapprima il quartiere e le zone limitrofe ed era poi confluito in piazza della Scala, davanti a Palazzo Marino, quando era in corso la seduta del Consiglio comunale.
D'altra parte, sottolinea il teste, la rioccupazione dei locali del Centro era avvenuta 35 giorni dopo lo sgombero «senza scontri e senza tensioni».

Il giornalista inviato de «La Stampa» arrivò in via Conchetta nella tarda mattinata del 22 gennaio. Alla domanda se avesse capito le ragioni dello sgombero, risponde che i funzionari della Questura da lui interpellati in merito gli avevano riferito di un intervento prefettizio in merito. Prosegue poi nella descrizione dei fatti susseguitisi nel corso della giornata, dello spontaneo formarsi di un corteo «improvvisato e frammentato», ch'era andato crescendo con lo scorrere delle ore, fino ad assumere, nel pomeriggio, le dimensioni di una manifestazione di carattere cittadino: al presidio in piazza della Scala erano presenti diverse centinaia, e forse più di un migliaio, di manifestanti e solidali. A precisa domanda della Corte, precisa che tutte le manifestazioni della giornata ebbero un carattere «pacifico», che il presidio era stato accompagnato da lanci di petardi e dagli interventi di esponenti del mondo della cultura e dello spettacolo che si erano susseguiti al microfono di un improvvisato "sound system" montato su un furgone.

Il giovane scrittore si presenta come un frequentatore-animatore del Centro fin dal 1982. Su richiesta della Corte si qualifica giustappunto come scrittore e editore. Quindi presenta il Cox come un centro sociale «storico», all'interno del quale, nel corso dei suoi oltre trentacinque anni di attività, si sono avvicendate e confrontate «varie generazioni». Ne descrive le attività politiche e culturali, e si sofferma sul carattere «semigratutito» di queste ultime.
Tanto il pm che la Corte, però, interrompono il suo discorso, vòlto a esaltare, in un quadro d'insieme, la ricchezza delle iniziative offerte dal Centro stesso, precisando che non il Centro e le sue attività costituiscono l'oggetto del processo in corso, ma i reati perpetratisi nei giorni 22 e 24 maggio 2009, dei quali la richiesta di rinvio a giudizio indica alcuni dei presunti responsabili.
Così incalzato, il teste, invitato a rispondere su quanto sa di quei due giorni, racconta di essere accorso in via Conchetta la mattina del 22 gennaio, e di esservi rimasto un paio d'ore, trovandovi un «situazione drammatica ma tranquilla». Successivamente, essendo stato designato come "addetto alla comunicazione" da parte del Centro in quel frangente, si era recato nel suo abituale luogo di lavoro, proprio per adempiere a questa funzione. Non ha quindi assistito al formarsi e allo svolgersi del corteo spontaneo nella mattinata ma era presente in piazza della Scala, nel pomeriggio; al presidio protrattosi per due ore avevano preso parte, a suo parere, «più di 500 persone».
Il 24 gennaio, durante la manifestazione, il teste si trovava tra le prime file di testa del corteo. Quando queste ultime erano ormai in fondo a via Torino, era stato chiamato, dal cordone del "servizio d'ordine" della "coda". Tornato indietro, fino a trovarsi davanti al negozio sopra citato, aveva potuto constatare che il «trambusto» lì verificatosi, che gli era parso collegato a una scritta tracciata su un muro da un manifestante, si era ormai risolto. Davanti al negozio sostava ancora un folto gruppo di rappresentanti delle forze dell'ordine, tra i quali, a precisa domanda della Corte, risponde di non aver riconosciuto nessuno.

L'esponente del Centro Sociale, che su richiesta della Corte si qualifica come un lavoratore ospedaliero, e sottolinea come quella degli ospedalieri sia una componente importante dell'occupazione del centro sociale fin dai suoi inizi, è un suo frequentatore fin dal 1976. Volendo descrivere il tipo di attività svolte dal Centro nei decenni successivi, comincia a enumerarle, ricordando i concerti, le attività librarie ed editoriali della libreria Calusca e dell'Archivio Primo Moroni, il mercatino mensile di prodotti biologici. Anche sulla sua testimonianza il pm e la Corte premono, interrompendo anche agli avvocati della difesa nel corso della testimonianza, perché essa «si attenga» al procedimento penale in corso, che non vede imputato il Centro sociale e le sue attività.
Il teste obietta che, solo sulla base della lunga e articolata storia di quel luogo, si possono comprendere le reazioni a un'azione di sgombero avvenuta in assenza di alcun provvedimento formale che lo motivasse. I giudici della Corte si mostrano però molto incuriositi dal fatto che il Centro Sociale Cox18 si trovasse indicato tra i «luoghi raccomandati» sul sito Internet ufficiale del Comune di Milano.
Ad ogni modo, il teste non viene interrogato né in merito al "capo a" né in merito al "capo d" della richiesta di rinvio a giudizio, viene frettolosamente licenziato.

L'ultimo teste della difesa, è una manifestante del corteo del 24 gennaio 2009, e risponde in merito al "capo d". Si tratta, per la precisione della terza componente del gruppetto che si trovava «nella parte finale del corteo», del quale ha parlato il secondo imputato esaminato. Nella sua testimonianza non fa che confermare quanto da questi dichiarato in precedenza.

La prossima udienza si terrà il 26 giugno, alle ore 9, nella stessa aula. In programma sono le arringhe del pm e degli avvocati difensori e, forse, il pronunciamento della sentenza.