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APPENDICE.


SULLE PRIGIONI
(1971).

["Sur les prisons", in «J'accuse», n. 3, 15 marzo 1971, p. 26].


Il Gruppo d'informazione sulle prigioni ha appena lanciato la sua prima inchiesta. Non è un'inchiesta sociologica. Si tratta di lasciare la parola a quelli che hanno un'esperienza della prigione. Non che essi abbiano bisogno che li si aiuti a «prendere coscienza»: la coscienza dell'oppressione è qui, perfettamente chiara, ben sapendo chi è il nemico. Ma il sistema attuale rifiuta loro i mezzi di esprimersi, di organizzarsi.
Vogliamo spezzare il duplice isolamento in cui si trovano rinserrati i detenuti: attraverso la nostra inchiesta vogliamo che possano comunicare tra loro, trasmettersi quello che sanno e parlarsi da prigione a prigione, da cella a cella.
Vogliamo che si rivolgano alla popolazione e che la popolazione parli loro. E' necessario che queste esperienze, queste rivolte isolate, si trasformino in sapere comune e in pratica coordinata.
Si formano gruppi che riuniscono ex detenuti, famiglie di carcerati, avvocati, medici, militanti, tutti quelli che sono decisi a non tollerare oltre l'attuale regime della prigione. Sta a loro lanciare, in provincia e a Parigi, delle nuove inchieste, raccogliere e diffondere delle informazioni, immaginare nuovi modi d'azione. Non bisogna più lasciare in pace le prigioni, in nessun posto.
Lo sciopero della fame dello scorso gennaio ha costretto la stampa a parlare. Approfittiamo della breccia: che cessi di essere accettato l'intollerabile imposto dalla forza e dal silenzio. La nostra inchiesta non è fatta allo scopo di accumulare conoscenze, ma per accrescere la nostra intolleranza e farne un'intolleranza attiva. Diventiamo intolleranti a proposito delle prigioni, della giustizia, del sistema ospedaliero, della pratica psichiatrica, del servizio militare, eccetera.
Come primo atto di questa «inchiesta-intolleranza» un questionario viene distribuito regolarmente alle porte di alcune prigioni e a tutti quelli che possono sapere o vogliono agire.

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