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IL LAVORO.

- Lettera di D. S.

Porto Azzurro, 9 luglio 1971.
A Volterra [...] oltre alle consuete lavorazioni dell'amministrazione carceraria (falegnameria, idraulica, sarti, scopini, cucinieri, spesini, addetti agli uffici come scrivani, eccetera), vi sono lavorazioni private della ditta Valle Sport (presente anche a Porto Azzurro), della ditta Giuliani (produzione artistica artigianale di ottoni per decorazioni dell'alabastro). Squadre = piccole compagnie addette al trasporto di carichi di estremo peso (bombole di ossigeno, carbone, lastre di pietra, mattoni ed altro). Questa squadra esiste solo a Volterra e si collega in un certo senso al lavoro coatto descritto in immagini della galera classica, tipo palla al piede e piccozza alla mano; detto lavoro non viene pagato a giornata, ma gode del beneficio del cottimo, i cui guadagni vengono immediatamente reintegrati dalle spese dei lavoratori che sono costretti a tale spesa in quanto lo sforzo prodotto richiede un diverso e maggiormente qualitativo sistema di alimentazione, che non viene loro dato, ma in compenso viene loro offerto del vino in più oltre a quello concesso come acquisto di sopravvitto. È da notare come in carcere il vino venga offerto senza esitazione da parte della direzione ai lavoratori più produttivi (i più alienati) e come lo stesso vino vada ad arricchire il traffico interno mai voluto stroncare dalle direzioni. Il mezzo litro distribuito dagli addetti alla spesa viene consumato al momento stesso della distribuzione, nelle ore seguenti inizia la ricerca dei venditori di tale "veritiera bevanda", il prezzo di un litro può giungere persino a lire 500 e più, dipende dall'orario di tale richiesta e dalla festività da solennizzare. A Natale le guardie effettuano una perquisizione particolare alla ricerca del vino in più (in più del mezzo litro regolamentare), ogni quantità eccedente tale misura viene sequestrata e ritorna ad arricchire le damigiane dell'impresa di vendita (quando non viene consumata dagli agenti stessi).
Ma ritorniamo alle lavorazioni: lavorazioni Valle Sport: costruzione a mano di palloni per gare di foot-ball, anche in questo caso la paga è cottimale e cioè tanti palloni, tanti danari (un pallone costa alla produzione lire 1000, alla vendita viene lire 5000); ogni pallone viene pagato lire 720 se di misura grande, 275 se di misura media, 180 se di misura piccola. È da notare che ogni pallone è interamente da cucire a mano e il cuoio non è certo materia che si faccia trapassare con facilità, oltre a questo vi sono delle azioni di preparazione della cucitura da fare, ad esempio: la sfilacciatura del cordoncino di cucitura che deve essere cosparso di pece, la bucatura del cuoio, l'annodamento di ogni singolo punto, eccetera. Come vedi per guadagnare due lire ci si deve fare il culo come un paiolo.
Naturalmente questa difficoltà di guadagno prepara la popolazione detenuta alla prostituzione morale e materiale. Prostituzione che tocca vari aspetti della vita coatta, prostituzione come strumento di piacere per individui depravati e forniti di mezzi, prostituzione per mezzo di delazione alla direzione che fornisce ai loro aiutanti i lavori di maggior facilità e di maggior guadagno.
Altra lavorazione che però si trova solo a Volterra, è quella della ditta Giuliani, che all'interno del carcere ha costruito una specie di capannone trasformando parzialmente alcune strutture del Castello. Questa lavorazione offre come incentivo il fatto che gli operai di detta lavorazione e solo loro possono acquistare cibi crudi, anche se la qualità è pressappoco identica a quella fornita dal bettolino dell'impresa. Le paghe non superano le 1200 lire al giorno, gli elementi superproduttivi vengono compensati con l'immancabile vino o con generi a scelta. Nelle lavorazioni sono sempre presenti delle guardie che non solo vigilano sul comportamento dei lavoratori, ma incrementano la produzione attraverso continui richiami alla fedeltà al proprio posto di lavoro, come nelle industrie vi è il continuo e pedissequo richiamo per vari individui che frequentano con troppo entusiasmo il cesso. Tutto questo è quello che si dice Ergoterapia. Veramente confortante, no?
Qua a Porto Azzurro le lavorazioni sono diverse; vi sono lavorazioni di tessitura, con telai che sarebbero stati rifiutati dai tessitori del Settecento, lavorazioni di guanti che vengono frequentate da molti reclusi ed anche da qualche internato in casa di lavoro.

- Lettera di D. S.

Porto Azzurro, 18 giugno 1971.
... I prodotti artigianali qua costituiscono buona parte delle fonti d'entrata lavorativa. Si producono: scialli in lana, stole in lana, modellini navali, quadretti in fiammiferi, eccetera. Questi oggetti non trovano una continua corrente di vendita e quindi coloro che li fabbricano trovano come sola soluzione la loro vendita a prezzi minimi e cioè non tengono in nessuna considerazione il tempo impiegato nel produrli. Questo fa sì che chi abbia contatti con compratori (ditte, privati, e persone "amatrici") può acquistare questi prodotti e smerciarli a suo nome arrivando a guadagni che solitamente ammontano al 100 per cento sul prezzo d'acquisto. Se altri non possono, e le ragioni sono diverse, cedere a queste forme di "libera vendita" possono inviare i loro manufatti alla vetrina esistente all'ingresso del carcere, vetrina che avrebbe lo scopo di reclamizzare i prodotti che una volta venduti subiscono da parte della direzione una trattenuta del 20 per cento sul loro ricavato. Altro sistema di "piazzamento" della merce è quello del tentativo; infatti molte volte degli oggetti sono inviati con una lettera d'accompagnamento ad attori conosciuti, dive del cinema e ai vari personaggi della cronaca mondana. Qualcuno di questi, mosso a pietà più dal contenuto della lettera che da altre ragioni (il prodotto inviato non raggiunge nessuna valutazione in sé), spedisce qualche mille lire. Come puoi notare il carcere autorizza l'accattonaggio a domicilio! È chiaro che queste forme di lavoro non servono come preparazione ad alcun lavoro o conoscenza di mestiere e restano solo delle soluzioni momentanee che non possono trovare alcun sbocco nella vita "libera" e nella pratica sociale. Con questi lavori "coatti" ci ridanno alla società nelle stesse condizioni di preparazione posseduta quando siamo entrati.

- Lettera li A .S.

Trento, 4 ottobre 1971.
[La permissività di oggetti non consentiti ufficialmente, ad Alessandria] era legata ad interessi economici ben precisi, soprattutto a livello delle lavorazioni ed allora, quando era necessario, si aveva interesse a chiudere gli occhi per non vedere quel che succedeva intorno e far finta di non sapere per non avere responsabilità dirette. Questo stato di cose produceva un abnorme stato di intrallazzi tra i detenuti e produceva anche differenziazioni di condizioni di vita in tutti i sensi. Circolavano molti soldi liquidi: quelli che facevano traffici avevano il loro piccolo giro di affari con relativo capitale liquido sempre pronto: i lavoranti se li facevano passare sottobanco dai civili che dirigevano direttamente le lavorazioni facendosi pagare direttamente in liquidi un quid del loro lavoro, quando questo superava di parecchio il limite consentito dalle mercedi ministeriali, cosa che conveniva a loro in quanto su quello che ricevevano così non venivano scaricati i soliti 2-3 decimi che normalmente l'amministrazione detrae dalle mercedi, e conveniva ai tenutari delle imprese lavorative in quanto diminuiva la percentuale di quote da versare al ministero [...].
Una conseguenza di tutti questi traffici era anche l'uso enorme che veniva fatto di pastiglie di metedrina. Ne circolavano tubetti a decine e chiunque avesse voglia di prenderne e possibilità per pagarle (la tariffa minima era di almeno 2000 lire al tubetto) poteva trovarle facilmente tramite alcuni lavoranti (o anche dal traffichino di professione), che a loro volta se le facevano portare da qualcuno delle imprese private o dall'agente compiacente con il quale condividevano il traffico. Ai lavoranti, in genere, la metedrina veniva fornita per rendere di più sul lavoro... ed essere così maggiormente sfruttati! Logicamente non erano tutti che ne facevano uso, ma molti sì, specialmente alcuni di quelli che facevano le biciclette [Girardengo] e che occupavano posti di alta produttività e che in questo modo collaboravano con le necessità del padrone quando c'era da preparare in fretta un certo carico di merce da mandar via. Questa è una delle cose più sporche che ho visto. C'erano poveracci che si impasticcavano per poter lavorare come cani per quattordici-quindici ore al giorno senza un minuto di sosta. Si illudevano di star bene soltanto perché potevano guadagnare qualche 10.000 lire di più al mese e potevano così mangiare, bere e fumare quanto volevano e mandare anche qualche soldo a casa, i più coscienti. Altri se li giocavano a carte o li usavano per soddisfare qualche vizietto particolare. Saldatori, verniciatori, montatori di ruote, eccetera, a mezzogiorno e a sera, venivano su da quella specie di catacomba dove lavoravano sporchi, stanchi, con gli occhi stralunati a causa della tensione nervosa: dopo qualche mese di quel lavoro diventavano irriconoscibili e le malattie erano all'ordine del giorno. E tutto questo perché? Per guadagnare 30-40.000 lire al mese producendone dieci volte tante! Purtroppo nel carcere il lavoro è uno dei grossi problemi per il detenuto e fino ad oggi non ci sono assolutamente possibilità per chi ha necessità o vuole guadagnare qualche mille lire in più, se non assoggettandosi ad un simile tipo di abbrutimento e di sfruttamento. Ed il carcere di Alessandria, per il detenuto, è già un posto considerato un privilegio in quanto nella quasi totalità degli altri carceri si può arrivare a guadagnare al massimo una mercede di 15-16.000 lire al mese, pur lavorando in media circa otto ore al giorno.
Ho visto persone talmente abituate alla metedrina da doverne prendere cinque-sei pastiglie per volta perché gli facessero effetto. E questa non era certo una novità per nessuno in quel carcere, ma nessuno se ne curava o aveva la voglia di curarsene, per timore di rappresaglie o altro...

- Lettera di G. S.

Trento, 6 ottobre 1971.
La condizione del detenuto nel lavoro è la più sfruttata che ci sia al mondo. E tieni presente che il lavoro è obbligatorio ed è considerato un mezzo di rieducazione. Ormai il problema ha varcato i confini del carcere ed è stato portato perfino in parlamento, e c'è da sperare che venga trovata una soluzione meno degradante per il detenuto. In sostanza, chi viene condannato per un reato, non solo viene privato di ogni forma di libertà personale, ma viene indirettamente condannato a una seconda pena, quella di non potersi assolutamente sottrarre allo sfruttamento della sua persona nell'attività lavorativa. Questo dovrebbe essere addirittura anticostituzionale. Non so in forza di quale diritto il detenuto deve essere sottoposto ad un simile sfruttamento. Il fatto che il lavoro deve servire come mezzo di rieducazione è un'ipocrita astrazione di uno sfruttamento arbitrario, ingiusto e disumano, perché il lavoro in carcere può produrre qualsiasi cosa, dallo sfruttamento all'abbrutimento fisico e mentale dell'individuo, ma assolutamente non può produrre rieducazione e recupero in questo modo. Serve solo a permettere a qualche impresa privata di arricchirsi alle spalle dei detenuti potendosi servire di una manodopera che sfugge a qualsiasi controllo economico e assistenziale. Il detenuto, più d'ogni altro, funge come merce da usare, senza neppure gli obblighi previsti dai contratti di lavoro. Qualcuno afferma che il rendimento dei detenuti è minimo poiché bisogna prima prepararli al lavoro e raramente si può disporre di persone qualificate che possano rendere in modo normale, ma questo è vero solo in minima parte e serve come giustificazione di una situazione assurda, paradossale e inumana. Qualunque lavoro il detenuto faccia, anche lo scopino per conto dell'amministrazione, è sempre una prestazione d'opera per circa otto ore al giorno, e dovrebbe avere niente a che fare con il deprezzamento del lavoro. Tanto più che il detenuto rimane debitore allo stato delle spese di giustizia e di mantenimento carcere, cosa che non gli permetterà mai di possedere beni propri pena il sequestro per indennizzo allo stato. Inoltre, il carcere è un servizio sociale e come tale viene pagato al costo dai cittadini, ed è assurdo che il detenuto rimanga debitore verso lo stato delle spese di giustizia e di mantenimento carcere quando queste sono pagate da tutti i cittadini, e che, inoltre, debba ancora pagare con la sua pelle per anni attraverso l'obbligo ad uno sfruttamento sistematico di tal genere. C'è qualcosa di mostruoso in tutto questo, qualcosa che va molto al di là della semplice difesa sociale contro il crimine, considerazioni politiche a parte.
Mi hanno detto che lo scorso aprile, per ordine del ministero, sono state tolte le lavorazioni dai seminterrati-catacombe ad Alessandria. Evidentemente, ci si è resi conto di quanto fosse bestiale lavorare in quelle condizioni. Ma sarebbe stato interessante fare un'indagine accurata sulle condizioni di lavoro che c'erano in quel carcere, una indagine con tanto di autorizzazione e possibilità di ficcare il naso in tutti i buchi, e non soltanto dove avrebbe fatto comodo alla direzione; quante cose ci sarebbero state da scoprire! Purtroppo questo era difficile ottenerlo così come per qualsiasi carcere. Io stesso che ci sono stato ho potuto solo intravvedere certi locali luridi, maleodoranti, privi di aria e di luce, dove la gente lavorava in condizioni che erano un'offesa ai più elementari principi di umanità e di giustizia, condizioni che solo in un carcere possono essere ammesse e permesse, condizioni in cui solo persone psichicamente e fisicamente alienate ed in stato di assoluta necessità, potevano lavorare senza ribellarsi; ma molti accettavano proprio perché erano pronti a buttare il sangue pur di poter guadagnare 10.000 lire per mangiare o per mandarle a casa, ed anche questo è droga, ricatto, alienazione, ed è soprattutto reato ai danni della salute altrui, è un sopruso che nessuno dovrebbe avere il diritto di operare ai danni del detenuto, anche se ha perduto certi diritti sociali. Ma purtroppo in quanto detenuti siamo considerati meno di un nulla da certe persone ed il guaio, purtroppo, è che spesso queste persone hanno la possibilità di giocare con la nostra pelle senza che nessuno possa impedirlo.

- Lettera di un gruppo di detenuti di Potenza.

Il carcere di Potenza domina dall'alto la zona industriale nella valle del Basento. Nelle fabbriche a valle, lo sfruttamento capitalistico, nel carcere lo sfruttamento parassitario dei funzionari del ministero di grazia e giustizia: la condizione dei proletari è sempre la stessa.
Nel carcere "pilota" di Potenza sono "ospitati" da trecento a trecentocinquanta detenuti. Chi sono questi detenuti? Sono contadini che la miseria spaventosa ha spinto al furto di qualche capra del vicino; sono braccianti, operai, manovali che la vita di stenti e l'insicurezza del lavoro ha indotto ad atti di violenza inconsulta; sono sarti, falegnami, calzolai, fabbri. La maggior parte viene dai paesi poverissimi del meridione svuotati dall'emigrazione. Oltre duecento sono gli analfabeti o semianalfabeti. Il motto del carcere dice "vigilando redimere", rieducare cioè l'individuo "tarato" alla società.
In realtà le condizioni nelle quali i reclusi sono mantenuti non sembrano avere nessun fine rieducativo, sono soltanto disumane. I puniti e i transitanti (coloro che fanno sosta al carcere nel corso dei lunghi trasferimenti da una galera all'altra della penisola) vivono in celle fredde o caldissime, umide sempre, senza aria e luce, completamente isolati. I servizi igienici sono rappresentati da una buca al centro della cella.
Nel frattempo, sempre a scopo "rieducativo", si procede allo sfruttamento della forza lavoro.
I detenuti che hanno un mestiere sono obbligati a lavorare per il ministero di grazia e giustizia, a 410 lire al giorno, nei reparti di falegnameria, calzoleria, sartoria, officina meccanica, elettricità, eccetera. Nelle tasche di chi vanno i profitti del lavoro degli operai carcerati?
La direzione e il personale di ragioneria dell'istituto sfruttano il lavoro degli operai generici remunerandoli con 200 lire giornaliere. C'è un esercito di manovalanza gratis addetta al lavaggio dell'automobile del direttore, del ragioniere economo, del giudice di sorveglianza: c'è una squadra di detenuti per le esigenze domestiche delle signore: una terza squadra ha cura del pollaio della direzione. Eccetera.
È questo il modo in cui i proletari e sottoproletari incarcerati vengono rieducati: imparano di nuovo - se l'avevano dimenticato - a scattare di fronte alla volontà indiscutibile dei funzionari che detengono l'ultima fetta del potere repressivo.
Non basta. I carcerati non sono soltanto sfruttati attraverso il lavoro coatto, sono anche truffati riguardo al vitto e alle piccole spese. I rifornimenti della mensa e le altre forniture sono gestite da ditte private che hanno vinto i concorsi banditi dal ministero di grazia e giustizia. Solo tramite la ditta appaltatrice il recluso può comprare quello di cui ha bisogno. Ma ogni genere di fornitura è di qualità scadente e ad un prezzo più alto dal 15 al 60 per cento. L'impresa fornitrice guadagna sulla salute e sulla pelle dei "delinquenti" che non possono neppure lamentarsi se sono costretti a mangiare i rifiuti dei mercati delle città.
I detenuti hanno chiesto di gestire la mensa, ma la sola idea è considerata un delitto: come potrebbe, la società borghese, consentire la "rieducazione" attraverso l'autogestione?

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