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LA TRADUZIONE.

- Lettera di C. A.

Volterra, 15 marzo 1971.
Generalmente, quando in un carcere avviene una traduzione per Volterra, il detenuto viene fatto uscire dalla sezione in cui si trova con l'inganno, di solito viene chiamato all'ufficio matricola che è l'ufficio accettazioni dove vengono fatte tutte le comunicazioni ufficiali, cioè dove vengono notificati mandati di cattura, rinvii a giudizio, ordini di scarcerazione, eccetera; naturalmente colui che viene chiamato si reca nelle condizioni in cui si trova in cella, spesso in ciabatte, maglietta, senza sigarette. Improvvisamente scatta la trappola, arrivano agenti da tutte le parti, si chiudono tutte le porte, ti trovi circondato, solo, contro tutti. Hai mai visto quelle scene di film africani dove si vede la belva avvicinarsi ignara verso l'esca, poi improvvisamente una rete gli piomba addosso e dagli alberi saltano gli indigeni contenti e soddisfatti di averla catturata? Ecco, ci si sente tali e quali la belva. In quel momento può accadere di tutto, c'è gente che entra in crisi spaventose dove nemmeno venti agenti potrebbero tenergli testa, spaccano tutto cercando di autolesionarsi nella speranza di essere ricoverati in infermeria o in ospedale, altri svengono, la maggior parte, dominando la ribellione interna, fanno bella faccia a cattiva sorte e si fanno docilmente ammanettare dai carabinieri che sono il corpo addetto alle traduzioni. Allora la situazione diventa anche comica, vedi i secondini intervenuti con il compito, qualora si renda necessario, di infilarti la camicia di forza andarsene delusi, quasi amareggiati per non aver avuto l'opportunità di romperti le costole.
Naturalmente queste traduzioni non avvengono in via "ordinaria" cioè in treno (vagone cellulare) insieme ad altri detenuti, bensì in via "straordinaria" cioè in una macchina circondato da quattro carabinieri.
In questo modo inizia il viaggio augurandosi che sia breve perché per tutto il tragitto si deve soggiacere allo scherno e all'ironia della scorta.
Quando si arriva nei pressi di Volterra, già da molto lontano si scorge il "Mastio" stagliato nel cielo in tutta la sua freddezza poi, man mano che si sale perché il carcere rimane sulla vetta di un colle, appaiono le antiche mura. Per finire un'ultima rampa di scale, che se uno è legato gli fanno salire di peso come un sacco di patate, ci porta al piano del carcere. Qui tutto puzza di antico, enormi mazze di chiavi, lucchetti di fabbricazione artigianale, probabilmente eredità dei Medici emeriti fondatori di questa fortezza, fanno tutt'oggi folclore nella portineria.
Entrando propriamente nel carcere quello che più colpiscono sono: il silenzio rotto soltanto dal fischio del vento che qui tira quasi in continuazione, e l'occhio minaccioso di una mitragliatrice a piazzatura fissa che dall'alto di un torrione minaccia tutto il carcere. Dalla portineria, attraverso un cortile, si giunge all'ufficio matricola, qui i carabinieri ci tolgono le manette o la camicia di forza e ci lasciano in consegna alla custodia la quale dopo aver registrato le generalità e i connotati ci fa calcare le mani su un cuscino intriso d'inchiostro e deporle accanto ai connotati. Svolte le operazioni di "carico" si passa al magazzino vestiario. Qui ci dobbiamo spogliare completamente e dopo essere stati attentamente esaminati in bocca e tra i capelli, l'agente addetto si pone dietro di noi a testa bassa e ordina: "chinati". Non ci credi? Ti assicuro che è assoluta verità. Dopo di che ci viene fornita una divisa completa mentre tutta la nostra roba andrà a passare un esame radiografico. Di qui, accompagnati da un agente, che, forse più per abitudine che per cattiveria, non guarda nemmeno in faccia, veniamo condotti in cella di isolamento.
Una volta chiuso il catenaccio alle spalle, in attesa che ti inviino i soldi dal carcere di provenienza e la tua roba dai raggi, solo, senza sigarette, senza alcuna lettura, ti sdrai sulla branda e ti guardi le mani ancora nere d'inchiostro e mediti.
Mediti sulla solitudine che ti circonda, sul silenzio, sul vento e sulla mitragliatrice, mentre dal cuore sale un'angoscia che si ferma alla gola e che è una gran voglia di piangere.
Questo è solo un aspetto di quel sistema coercitivo che è la negazione di ogni forma di valori umani.
Probabilmente questa lettera ti arriverà con un certo ritardo, ma devi capire che ho dovuto attendere un momento propizio per farla uscire illegalmente attraverso una persona di fiducia, perché se l'avessi sottoposta alla regolare censura adesso sarei a farmi qualche mese di cella di punizione.

- Lettera-documento di A. R. - San Vittore.

Agosto 1971.

CON L'AIUTO DEL PROLETARIATO NOI DETENUTI TORNEREMO NELLA NOSTRA CLASSE: IL PROLETARIATO.

Forse nessuno sinora ha affrontato in modo esauriente questo problema, e naturalmente non posso farlo io, se non riportando alcune esperienze e tentando di richiamare l'attenzione almeno su un punto di tutta la assurda macchinosità di un sistema giudiziario e penitenziario che si fonda sullo spreco, l'inutilità, il sadismo. Esso tenta di giustificare se stesso come istituto di utilità pubblica, efficiente e organizzata. Invece è una macchina mangiasoldi, e la sua efficacia è solo apparente: ciò che organizza è unicamente il disordine e la repressione. Esiste un bilancio disastroso che va sotto le voci di giustizia e interni: la polizia, la magistratura e l'amministrazione penitenziaria inghiottono il denaro pubblico, senza dare in cambio un minimo di "servizio". Anzi, in sostanza non servono ad altro che a produrre con più intensità proprio quel fenomeno che sono chiamate a combattere e a sanare: la criminalità!
E il denaro bruciato e trasformato in forze antisociali, è denaro estorto, in modo sia pure legale e indiretto, alla classe operaia. Credo sia importante far conoscere ai proletari questo aspetto della questione, proprio in quanto sono loro che finanziano con il loro lavoro e le loro fatiche questo sperpero; mantenendo una istituzione che è marcia sin dalle fondamenta, è fallimentare sul piano della sua funzione ufficiale, mentre è efficientissima nella repressione contro gli operai, cioè contro coloro che ne pagano le spese. Oltre ai miliardi sprecati in decine di modi diversi, ce n'è uno in particolare che non trova la minima giustificazione se non nel sadismo e nella folle disorganizzazione del sistema carcerario. La maggioranza dei detenuti viene di continuo sballottata da un carcere all'altro. Non solo tra un giudiziario e penale, ma tra i vari giudiziari e i vari penali. Nonostante vi siano al Nord parecchi penali - Alessandria, Parma, Fossano, Saluzzo, Padova, Reggio Emilia e altri - la maggioranza dei detenuti settentrionali o che hanno la famiglia al Nord, viene sbattuta al Sud o nelle isole, e viceversa. E va già bene per chi riesce a fermarsi a Porto Azzurro o alla Pianosa!
Teniamo conto che solo la metà dei detenuti nelle carceri italiane è colpita da condanne definitive. Gli altri sono ancora giudicabili e appellanti. È chiaramente un abuso da parte dell'autorità, quella di sottrarre continuamente l'imputato ai suoi giudici naturali, alla sede in cui si presume abbia compiuto il reato e in cui può godere dell'assistenza dei suoi legali. Invece... abbiamo un continuo spostamento dei detenuti sotto i più vari pretesti, che in genere non sono altro che i capricci e le paure - evasione - di qualche direttore e maresciallo, oppure misure di sicurezza, o di punizione, come i trasferimenti nei carceri di rigore e nelle isole; e come le massicce deportazioni in occasione di vere o presunte rivolte. Ci sono quotidianamente migliaia - ho detto migliaia - di detenuti in traduzione ordinaria o straordinaria sui treni, nelle auto, sulle navi. In ogni stazione c'è almeno una cella di sicurezza - sui treni e sulle navi è la stessa cosa. A volte si vedono nelle stazioni lunghe "catene" di detenuti ammanettati, circondati da carabinieri, cui è affidato il servizio di scorta.
Ogni giorno migliaia di carabinieri sono impegnati in questo servizio, con un enorme sperpero di mezzi.
Oltre ai biglietti del treno, al pedaggio sulle autostrade, alla benzina, vi sono le diarie segnate dai "fogli di viaggio": in tutto sono milioni che vengono continuamente dilapidati. In ogni città vi sono imprese appaltatrici che forniscono autisti e macchine per le traduzioni straordinarie, cioè le traduzioni di quei detenuti considerati più pericolosi, o che dal direttore del carcere sono classificati arbitrariamente "sobillatori". Noi siamo ritenuti tali, ad esempio; dopo il primo processo siamo stati spediti subito, ognuno in un "penale" della Toscana. Per poi tornare per l'appello, quindi, a causa di un rinvio, invece di essere lasciati a disposizione dei difensori, di nuovo inviati nei penali, e di qui ancora una volta a San Vittore!!!
Nel mio caso particolare poi, le cose sono andate ancora peggio. È quattro anni circa che sono detenuto, e in questo tempo ho toccato le mura di ben sei galere: Milano, Pianosa, Livorno, Porto Azzurro, Noto, Lecce. Come ho già detto questi tragitti di centinaia di chilometri mi sono toccati sempre in straordinaria: macchina, motovedette, treno. La scorta fatta da quattro o cinque carabinieri. Lascio alla vostra discrezione stabilire la somma di denaro spesa per me solo in questo lasso di tempo. È pazzesco dover rilevare con quanta facilità e improvvisazione ci trasferiscono da un carcere all'altro, senza preavviso alcuno, o al massimo con due o tre ore di anticipo; senza aver modo così di preavvisare i propri familiari, il che causa disguidi nella posta e nei colloqui. È pure evidente che, anche in questo che parrebbe una piccolezza - per chi vive in libertà -, si rileva l'assoluto disprezzo per la personalità del detenuto e per la tanto vantata rieducazione. Proprio in questi giorni abbiamo assistito a un ennesimo caso di sopruso che rasenta la vigliaccheria psicopatica: un nostro compagno, S. M. - in attesa di appello presso il tribunale di Milano -, ritenuto senza alcun fondamento un sobillatore, fu mandato nel penale di Lecce. A Lecce, lo tennero per venticinque giorni, dopo di che fu nuovamente spedito a Milano. È da tener presente che in questi casi il detenuto è sempre accompagnato da una cartella informativa - biografica - in cui esso viene dipinto a tinte talmente fosche per cui il direttore che lo riceve in consegna, cerca immediatamente di sbarazzarsene. Il direttore di questo carcere, dottor A. C., ventiquattro ore dopo, lo rimanda con traduzione straordinaria nel carcere penale di Noto (Sicilia).
Questo è uno dei reali problemi, forse il più importante: essere considerati dei numeri da spostare a piacimento di un uomo, come si spostano le pedine di una scacchiera. Ciò che invece dovrebbe servire da base alla nostra reale rieducazione. Infatti è riscontrato anche da studiosi di sociologia borghese - la più avanzata - nonché dalla psicologia e psichiatria, che un individuo privo della libertà, e ristretto in questi luoghi, per essere risocializzato e rieducato, ha bisogno di rimanere costantemente a contatto con i propri familiari, con gente amica, vincolata da sentimenti umanitari. Questo per far sì di ridurre il senso di miseria e di prostrazione in cui l'uomo è venuto a cadere. Ma come arrivare a questo contatto umano e socializzante se siamo strappati a forza dalla vicinanza dei nostri familiari? È chiaro che qui vi è del marcio, basti pensare che noi siamo fonte di commercio e di ingente guadagno per quei capoccioni che si trovano al ministero, e che hanno tutto l'interesse di tenere sempre in vita questo bubbone mangiasoldi, che si nasconde sotto la voce "trasferimento detenuti".
Il modo in cui avvengono le traduzioni è indicativo di una concezione del detenuto visto come oggetto o come sottouomo. Molto scalpore fece il libro "La traduzione" di Silvano Ceccherini - vincitore di un premio letterario e plaudito da tutti gli intellettuali borghesi - ma che purtroppo ha lasciato il tempo che ha trovato. Sono lieto che l'ex detenuto Ceccherini abbia vinto un premio e si sia affermato come scrittore, ma questo appartiene ai suoi affari privati, ciò che conta è la sostanza drammatica della situazione descritta nel libro. Dramma umano che interessa decine di migliaia di uomini e che ancor oggi non è stato risolto. Ecco perché noi detenuti preferiamo la denuncia che prevede immediatamente la lotta a tutte le belle frasi commoventi fatte su esperienze che vengono ogni giorno amaramente vissute da tanti poveri cristi. Abbiamo detto che in genere i trasferimenti sono arbitrari e ingiustificati, ordinati d'autorità. Un ultimo esempio è quello verificatosi in data odierna: il nostro compagno Sante Notarnicola, che coraggiosamente denunciò in pubblico, al processo e alla stampa, la repressione sfrenata che viene praticata nel penale di Volterra. Nessuno ha smentito le sue affermazioni; Notarnicola aveva già preannunciato che l'apparato autoritario si sarebbe scagliato contro, e lo avrebbe punito. E la punizione è venuta puntualmente con la decisione di trasferimento a Noto (Sicilia), carcere di rigore situato alla punta estrema. La sua famiglia risiede a Torino. Questo è un modo per terrorizzare il detenuto, con l'uso dell'intimidazione indiretta: significa che anche quando si ha ragione è meglio tacere sempre, in quanto il sistema trova sempre il modo di effettuare una ritorsione. Che però [...] si effettua anche in altri modi, quali, ad esempio, l'invio in un manicomio criminale - comoda formula per distruggere chi dà fastidio e non è attaccabile in altro modo. Per ora voglio solo mettere in luce come a volte il manicomio sia l'unica scelta lasciata al detenuto per ottenere il trasferimento. In sintesi, contro ogni logica, ed ogni senso di umanità, noi veniamo inviati in luoghi lontanissimi da casa. In alcune carceri si sta più o meno bene che in altri - in ognuno vige un trattamento diverso secondo l'arbitrio del direttore - e quindi c'è una reazione da parte del detenuto che continuamente si batte per andare in un carcere migliore o vicino a casa, o là dove si svolge la sua vicenda processuale. Chi decide i trasferimenti è l'ufficio terzo della Direzione istituti prevenzione e pena, ministero di grazia e giustizia, Roma. Questo ufficio decide in modo cervellotico sempre con intenti punitivi su indicazione dei direttori. In genere i direttori favoriscono, come abbiamo detto, il trasferimento, pur di togliersi dai piedi il detenuto insofferente, però cercano di inviarlo dove sta peggio. Come ho già detto e ripeto, vi sono appunto alcuni carceri di rigore e punizione, in cui finiscono coloro che in un modo o nell'altro sono considerati fonte di guai per i dirigenti dei carceri normali. Abbiamo così luoghi come Volterra, Porto Azzurro, Favignana, Noto, Lecce, da cui non si riesce più a venire via, con metodi ordinari - domanda. Sono l'ultimo binario! Ecco che il recluso si trova costretto a imbastire scenate, minacciando anche di fare o farsi del male, giungendo spesso, più delle volte, a tagliarsi i tendini, sfregiarsi lo stomaco, la pancia e tutte le parti del corpo, con un comune vetro rotto dalla finestra o qualche bottiglia o lametta procurata nel tempo. E così normalmente oltre che prendere una denuncia per minacce con un nuovo processo a carico, si giunge a prendere anche un sacco di botte dall'apposita squadretta pestaggio, che in ogni carcere vige!!! Dopo una superficiale medicazione, con sutura se necessaria, fatta dal medico del carcere (degna anche questa del metodo usato nei lager nazisti) il detenuto viene sbattuto nelle celle di punizione, dove oltre alle privazioni delle sigarette, della spesa al sopravvitto, della posta che non potrà ricevere, dei pacchi che non potrà ricevere, e dei colloqui - se vicino a casa - che non potrà avere, verrà tenuto alle celle per almeno trenta giorni prima di essere trasferito nuovamente in uno dei suddetti carceri punitivi, se tutto va per il meglio! Altrimenti verrà inviato in manicomio.
Infatti, per le autorità solo un pazzo può comportarsi in questo modo: in realtà questo è un basso mezzo di intimidazione. Ti creano le condizioni per cui l'uomo deve per forza reagire, e poi lo si accusa di aver reagito in modo asociale-delinquenziale! e tutto questo dopo che egli ha tentato tutte le vie legali che gli sono state ostinatamente precluse. In conclusione, tutta la questione della detenzione è da modificare totalmente, ma ciò per ora è ancora nel campo delle speranze, mentre si può fin da ora lottare per cambiare le situazioni più drammatiche.
Con l'aiuto dell'avanguardia proletaria, contiamo di ottenere i primi successi...

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