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ALCUNI ASPETTI DELLA VITA DI TUTTI I GIORNI.

- Lettera di G. S.

Trento, 22 luglio 1971.
... Appena giunto ad Alessandria fui sbattuto in una cella sporca e umida e buia, dove rimasi per circa tre giorni, in attesa di essere chiamato dal direttore per le formalità del caso. La cella aveva un finestrone completamente chiuso da una gabbia di lamiera applicata davanti che aveva nella parte alta una fitta rete, al posto della lamiera, che avrebbe dovuto servire come sfiatatoio alla cella; una specie di bocca di lupo che aveva in sé qualcosa di sadico. Tutta la sporcizia che pioveva dall'alto si infiltrava nella rete e cadeva all'interno, facendone un ricettacolo di ragnatele e insetti di ogni foggia e grandezza; naturalmente nessuno si sognava di farvi pulizia e buttarci del disinfettante. Gli insetti erano il motivo decoratore di tutta la cella; non mancavano le cimici e neppure la visita notturna di qualche topone da fogna; il pagliericcio era un ammasso di terriccio umido e duro, tanto era consunto e sporco: forse ci avevano dormito su da decine d'anni; l'unica cosa morbida erano i nidi di cimici che ci stavano dentro. Mi resi conto, dopo, che era tutto il carcere ad essere in queste condizioni di incuranza igienica. L'unica differenza che si riscontrava nelle celle assegnate ai detenuti nelle sezioni era che, vivendoci dentro, i detenuti facevano il possibile per tenerle pulite, ma il luridume era nelle murature stesse dell'edificio, tanto che, malgrado ci si industriasse di farsi stuccare ogni possibile buco (pagando qualche pacchetto di sigarette ai muratori e imbianchini), le cimici finivano sempre con il perforare l'intonaco e passeggiare a frotte nella "spelonca". Si comperava il D.D.T. a proprie spese, ma non bastava; era una lotta continua tra noi e le cimici. Le visite notturne dei topi non mancavano mai, ma non ci si faceva caso.
Dopo il periodo di "quarantena" mi assegnarono al dormitorio studenti e mi portarono in un grosso camerone (circa 5 per 30 metri) dove stavamo circa in settanta tutto il giorno, e che fungeva da refettorio, locale per lo studio, per i pasti, per le pulizie personali, e come luogo di segregazione diurna.
Nel camerone c'erano dei tavoli grandi intorno ai quali potevano sedere circa dieci persone; i tavoli erano sei e intorno, per sedersi, c'erano alcune panche e sedie, ma non erano sufficienti per tutti. C'erano grossi stipetti di legno, ma anche questi non erano sufficienti; erano disposti lungo una delle pareti longitudinali. Nella parete opposta c'erano cinque finestroni grandi (con le sbarre ma senza bocche di lupo) dai quali si vedevano i palazzi e la strada a poca distanza. Tra un finestrone e l'altro al muro c'erano dei fornelli a gas, di proprietà personale appartenenti a piccoli gruppetti.
Quando chiesi come dovevo fare per cucinare, avere uno stipetto e una sedia, mi risposero "Arrangiati!". Scoprii dopo che l'arrangiamento era la norma che imperava sovrana; si poteva avere tutto ciò che si voleva, compreso il coltello, purché si fosse in grado di pagare (una specie di borsa nera) e si sapesse a quale personaggio rivolgersi.
Quando giunsi non avevo una lira; per circa due anni ho fatto la fame più nera. La mia famiglia non poteva mandarmi che qualche mille lire al mese, giusto sufficiente per comprarmi un dentifricio, la saponetta e qualche altra piccola cosa. L'assistenza era riservata ai soliti ruffiani oppure a qualcuno che aveva fatto dell'accattonaggio un modo di vivere da furbi... Poi c'erano i soliti figli di papà che ricevevano dalla famiglia dalle 10 alle 50 mila mensili, più i colloqui con relativo deposito di soldi in portineria, pacchi vari, eccetera [...]. Costoro, in genere, facevano comunella, mangiavano insieme, oppure, specialmente se la "sovvenzione" era molto cospicua, avevano la loro piccola corte di servetti, pronti a litigare per loro, ad appoggiar loro qualche piccola prepotenza quando si trattava di decidere qualcosa; pagavano per farsi fare le pulizie in cella, per farsi lavare la biancheria, ostentavano alterigia e si atteggiavano a piccoli ras; e, non ultima cosa, avevano molti amici tra il personale!... In carcere, la discriminazione classista è ancor più evidente che all'esterno!
Un'altra delle caratteristiche del nostro camerone era quella di avere, nella parete di fondo, una specie di strettoia (di metri 2,40 per 0,90 circa) e, di fianco, due gabinetti alla turca. Nella strettoia c'era un lavandino, a forma di mangiatoia per vitelli o di truogolo per maiali, con quattro rubinetti quasi sempre scassati; sovente mancava l'acqua per molte ore al giorno; in questa strettoia dovevamo fare le pulizie personali, lavarci la biancheria, lavarci i piatti, eccetera; ogni volta bisognava fare la fila per ore intere, e litigare tra noi, anche perché, mancando sempre l'acqua ed essendo i rubinetti posti in modo sbilenco, se si apriva un rubinetto posto in posizione dagli altri non usciva più acqua. L'umidità e il tanfo erano impressionanti. Per i gabinetti la cosa diventava ancora più tragica; uno dei due era quasi sempre intasato e in pratica era uno solo a funzionare di continuo: circa sessanta-settanta persone (quando non eravamo di più) facevamo la fila, specialmente al mattino, tenendoci la pancia con le mani e rischiando di farcela addosso da un momento all'altro, cosa che qualche volta è capitata a qualcuno che aveva lo stomaco in disordine; una volta venne il direttore perché nel gabinetto intasato era stata trovata una bottiglietta di shampoo e ci gratificò tutti dell'appellativo porci perché, disse, in casa sua non succedeva mai una cosa del genere e, poiché a noi capitava ogni tanto, ciò avveniva soltanto perché eravamo dei porci e non sapevamo badare alla nostra igiene personale... Il fatto che noi fossimo in più di sessanta persone con a disposizione due gabinetti costruiti con criterio da cani... mentre lui aveva a disposizione un appartamento di lusso tutto per sé e la moglie e la loro unica figlia, non aveva nessuna importanza per lui... Noi eravamo dei porci e nient'altro, e non gli eravamo neppure riconoscenti per tutto ciò che egli faceva per noi! Eravamo anche degli ingrati!
Nei dormitori restavamo chiusi in cella dalle venti alle otto del mattino. In cella si aveva il solito bugliolo per i bisogni corporali. In fondo alla sezione c'erano un paio di gabinetti per ogni piano e fino alle ventidue circa si poteva chiedere all'agente di uscire soltanto uno per volta e nel giro di due ore o due ore e mezzo solo una decina si riusciva a essere aperti per andare al gabinetto, così, almeno i due terzi erano costretti a fare i propri bisogni nel bugliolo, anche perché l'agente di servizio, tra cambi e chiamate varie, non era costantemente disponibile.
Le celle hanno una cubatura d'aria inferiore a quella prevista dalle norme in proposito ed è per questa ragione che l'ingresso è chiuso dal solo cancello, che costituisce l'unico passaggio per la circolazione d'aria; in estate si crepa dal caldo, in inverno si battono i denti per il freddo: le coperte diventano rigide e pesanti a causa della nebbia che si infiltra ovunque. Le celle non hanno finestre, poiché il muro posteriore dà sul camminamento interno. Ogni sezione ha sei finestroni grandi che affacciano sui cortili interni; le imposte di questi finestroni sono tutte sgangherate, vecchie e contorte a causa dell'umidità e non chiudono mai bene, i vetri si rompono molto spesso e sovente restano per mesi senza che nessuno si sogni di sostituirli, cosa che in inverno diventa una tortura a causa della nebbia e del freddo, spesso ci industriavamo noi per tappare i buchi con cartoni e pezzi di compensato che restavano per settimane e mesi prima che qualcuno si decidesse a mettere il vetro.
Il riscaldamento nei mesi invernali era pressoché inesistente. Sia nel camerone-refettorio che nel dormitorio funzionavano delle stufette a legna del tipo "War Morning", come quello che usavano i soldati americani nelle tende durante la guerra. Di queste stufe in genere ne avevamo una nel camerone-refettorio ed una per ogni sezione del dormitorio, e se si aveva qualcosa da bruciare usavamo anche una stufa ricavata da un fusto di catrame vuoto. Naturalmente, una delle prerogative di queste stufe era quella di appestarci con il fumo più che darci caldo. In definitiva, la stufa era soltanto un palliativo, qualcosa che c'era ma non c'era, poiché la legna era sistematicamente insufficiente e potevano rimanere accese solo per qualche ora.

- Lettera di un gruppo di detenuti.

San Vittore, 28 novembre 1970.
La nuova misura sul peso limite per i pacchi è veramente antipatica. Verrebbe voglia di mettere insieme i cinque chili consentiti a furia di pacchettini di patate fritte.
Del resto, che a San Vittore stia entrando in vigore un trattamento più umano, noi altri detenuti lo abbiamo appreso dai giornali. Il signor C. si fa tanta pubblicità mentre la gente qui crepa bruciata viva, si impicca nelle celle, si rivolta e viene massacrata.
Nel nuovo raggio, in cambio dell'acqua corrente e dei caloriferi, la disciplina è impossibile, le punizioni sproporzionate e crudeli, le guardie sono state scelte accuratamente, la maggior parte tra gli energumeni che facevano servizio alle celle di punizione e avevano la funzione di "squadra picchiatori"; le perquisizioni sono continue, è stata riesumata quella anale che diverte molto le guardie, cui il "nuovo corso" di C. consente di sottoporre ai propri arbitri provocatori e ai propri sadici dispetti i detenuti (e se protestano, a pugni e a calci alle celle di rigore).
Il nuovo tipo di passeggio è a zone ristrette e incomunicanti fra alti muri di cemento e vi si entra per un cunicolo stretto che i primi giorni, quando il nuovo raggio è stato inaugurato da alcune ribellioni collettive, è servito da forca caudina per dare una lezione esemplare e ammazzare di botte i compagni, che ora passeggiano all'ombra di una torretta con idranti. La modernità della costruzione non impedisce che in una intera sezione-ammalati (quelli in cura da altre carceri) si dorma ancora in celle non riscaldate e umide.

- Lettera di un gruppo di detenuti.

San Vittore, settembre 1971.
Siamo un gruppo di detenuti di San Vittore e vogliamo sapere se il fatto che per sommi capi vi narreremo, rientra per caso tra le terapie oggi in uso al fine di operare il nostro graduale reinserimento nella società. Dunque: è consuetudine che, in tutti gli istituti di pena, il controllo quantitativo e qualitativo del vitto venga affidato a una commissione costituita da tre detenuti, rinnovantesi di settimana in settimana. In pratica, però (almeno per quanto riguarda San Vittore), tale controllo avviene soltanto in modo quanto mai superficiale.
Non dimenticate, compagni, che un detenuto "scomodo" può essere sempre spedito (come un pacco postale! ) per "esigenze di sfollamento" in quella tomba dei vivi che risponde al nome di Volterra...
Ad ogni modo, nei giorni scorsi, un membro di codesta commissione ha preteso, regolamento alla mano, che venisse finalmente operato un accurato controllo quantitativo dei generi alimentari registrati come entranti in quella specifica giornata. I risultati? Quelli previsti, naturalmente. Cinquanta chilogrammi di pasta in meno, venti chilogrammi di carne svaniti nel nulla, quindici litri di olio... dissoltisi nell'aria, quindici chilogrammi di verdure mancanti, 20 chilogrammi di fagioli... perduti per via.
L'appuntato R. P., responsabile del servizio, rispondendo all'interrogatorio... pro forma del vicedirettore, non si preoccupò nemmeno di salvare le apparenze e neppure tentò di trovare qualche valida giustificazione, e si noti che un tale controllo, per le ragioni anzidette, veniva operato per la prima volta dopo chissà quanto tempo! Sono vent'anni che quell'appuntato è addetto a quel preciso servizio... ora, non soltanto non è stato neppure esonerato dall'incarico, in attesa che l'inchiesta stessa facesse luce sulle intricate "mene" commerciali di guardie, graduati e civili, ma si tende addirittura a minimizzare l'episodio. Insomma, si vuol mettere a tacere ogni cosa e questo, noi detenuti, non possiamo permetterlo. Non possiamo permettere che alcuno speculi tanto spudoratamente sulla nostra già grande miseria e lasciare per di più che esso goda della più totale impunità... per questo fatto, compagni, chiediamo il vostro intervento affinché la pubblicazione di questa lettera e la pubblica denuncia di questo schifoso atteggiamento da parte di chi, invece di rieducarci, vien colto a rubare, - pensate compagni, rubare a dei carcerati! - promuova una inchiesta che metta a fuoco - e punisca! - i responsabili.
Ma non ci facciamo eccessive illusioni. Non pensiamo neppure per un attimo di ottenere, con tutto ciò, un miglioramento del vitto passato dall'amministrazione, che è appena sufficiente per garantire la sopravvivenza fisica. Purtroppo, quella dell'alimentazione è una piaga insanabile, qui a San Vittore. I generi alimentari che si possono acquistare come "straordinari" (e che invece sono d'uso comunissimo!) hanno prezzi che a volte raggiungono il triplo del normale. Si pensi poi che, per favorire l'acquisto di tali generi, si è persino imposto che i pacchi viveri passati ai detenuti dai familiari non possono superare i cinque chili... È chiaro che, una volta terminata tale misera scorta, si deve attingere, per non morire di fame, a quanto mette a disposizione l'impresa che ha l'appalto del mantenimento per tutto San Vittore a prezzi, come abbiamo già detto, schifosamente maggiorati.
È doloroso riconoscerlo, ma non possiamo fare altro (per ora!) che denunciare questo sfruttamento legalizzato che è tanto più grave in quanto cerca le sue vittime nei luoghi ove queste non possono difendersi... Volterra, tetra, massiccia... è sempre là. Si, v'è dentro di noi tanta rabbia ed amarezza. Le ipocrisie, le miserie che ci rivoltano il sangue e l'anima... ma non siamo soli e questo pensiero ci reca un conforto più grande di quanto non si possa immaginare. E, forse, con i nostri sforzi comuni tutto questo domani scomparirà...
Seguono cinque firme.

- Lettera di G. G.

Perugia, 2 ottobre 1971.
Nelle carceri esiste la tabella del sopravvitto, che sarebbe una spesa giornaliera che ci viene fornita da un'impresa appaltatrice carceraria, sarebbe come una bottega, acquista presso le varie case della merce con forti sconti essendo la merce comprata all'ingrosso, e poi la rivende a noi detenuti a prezzo assai superiore a quello che si potrebbe acquistare in un qualsiasi negozio fuori, continuando lo sfruttamento, realizzando un lauto guadagno a nostre spese che raggiunge proporzioni bestiali, come se non bastasse lo sfruttamento cui siamo sottoposti nelle lavorazioni delle varie carceri amministrate da gente "particolarmente onesta"; oltre a realizzare guadagni di cui parlo sopra si usa anche alterare questi prezzi per realizzare guadagni maggiori.
Dal mese di marzo 1970 mi trovo alle carceri giudiziarie di Mantova dietro richiesta della ditta A. S., sin dal primo momento avevo notato dell'alterazione di alcuni generi da acquistare e precisamente: un tubetto di dentifricio Pasta del Capitano formato famiglia che costava lire 400, prezzo al minuto e contrassegnato sulla scatola veniva alterato a lire 550. Ripeto che è da notare che tutti questi generi portano il prezzo stampato sulla scatola e che di conseguenza ci venivano consegnati o con il prezzo cancellato o senza scatola. Più volte ho fatto presente alla amministrazione del furto che ci veniva fatto ma senza mai intervenire a fare rispettare i prezzi, al massimo succedeva che faceva rimborsare il di più a chi minacciava di riferire alla magistratura. In seguito a un mio doveroso reclamo avvenuto nel mese di giugno scorso, fu preso provvedimento disciplinare trasferendomi nella casa penale di Porto Azzurro, la motivazione di tale trasferimento al ministero di grazia e giustizia fu del tutto travisata, definendomi sobillatore elemento pericoloso. Già perché a smascherare il gioco di coloro che stanno dall'altra parte delle sbarre si è sobillatori, a protestare contro il furto che ci veniva fatto, a far sapere a chi sta fuori che anche qua dentro veniamo continuamente sfruttati senza poter fare alcun reclamo per non essere colpiti da provvedimenti disciplinari e bisogna sopportare dei soprusi. Ricevuta la notifica del trasferimento chiesi udienza al sostituto procuratore di Mantova, esposi i fatti per aprire un procedimento a carico dei colpevoli, a distanza di tre mesi, per quanto ne so, nessuno è stato preso, o quanto meno avranno regolarizzati i prezzi; ma l'azione penale dove è andata a finire? Il ministro di grazia e giustizia, la magistratura che regala fior di anni di galera a chi ha rubato magari per fame, tollera e indirettamente autorizza che nei nostri confronti si compiano ogni giorno di questi furti.
Vogliamo che gli oppressi e gli sfruttati di fuori capiscano che dietro le sbarre ci sono non delle belve come mostra la stampa borghese, ma altri oppressi sfruttati pronti ad unirsi a loro nella lotta rivoluzionaria contro questa inumana, schifosa società. Voglio far presente che il trasferimento "per motivi disciplinari" mi fu notificato senza aver mai ricevuto un rapporto punitivo, poiché ho sempre lavorato nei diciotto mesi di permanenza a Mantova e fatto il mio dovere.
Con i recenti aumenti dei prezzi, qui al carcere di Perugia s'è verificato un fenomeno: il tonno sciolto è stato aumentato del 40 per cento, il parmigiano del 30 per cento, la carne ancora di più...

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