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L'universo concentrazionario 4.
STRANE OSSESSIONI AGITANO I LORO CORPI.


«Lei non conosce la profondità dei campi.» Una sera, a Helmstedt, nella Stube Zwei, la saletta dei Kapos. Siamo solo noi tre: Emil, al suo solito posto, seduto sul tavolo con la schiena appoggiata al tramezzo che divide dalla Schreibstube; Martin alla sua destra, i gomiti puntati, e io di fronte a lui, a cavalcioni sulla panca. Georg è uscito. Piccolo, tarchiato, qui fa il falegname. Ha alle spalle dieci anni di campo. Per aver amato troppo le ragazzine ed essersi ritenuto un guaritore. Ogni tanto, del resto, impone ancora le mani. Adesso è innamorato di una detenuta, e le passa di nascosto delle lettere e a volte qualcosa da mangiare. Rischia venticinque colpi sulle natiche, ma è innamorato. Ha quarantacinque anni, il viso cotto dal sole di un contadino scaltro e un'incredibile propensione a discorrere. Dalla parte della Schreibstube si sente arrivare la voce di Poppenhauer, il LagerŠltester, alta, grossolana e volgare. Tozzo, i gesti pesanti, il collo troppo grosso e corto, la testa massiccia con i capelli dalla sfumatura altissima, è il perfetto tipo del piccolo-borghese tedesco uscito da «Simplicissimus». E' internato da un anno per aver venduto al mercato nero delle apparecchiature elettriche riservate allo stato. Ha trascorso parecchi mesi negli Stati Uniti, e parla inglese. Poppenhauer picchia con l'eccitazione di un sergente. Franz, prima che lo arrestassero, pestava come una furia. Si precipitava al pari di un turbine sui detenuti, ebbro dell'acre piacere di colpire, di veder fuggire e cadere, davanti a lui solo, settecento uomini. Ma aveva i suoi momenti di appagamento, di principesca liberalità. Poppenhauer, invece, non si ferma mai. E' pignolo, meschino. Il viso congestionato, agitando il manganello, insegue e colpisce con furore asmatico. Tutte le sere, si diverte costringendo a eseguire capriole detenuti sfiancati dalla stanchezza e dalla fame, ma colpevoli di non aver piegato le coperte in modo regolamentare. Dopodiché è costretto a sdraiarsi perché gli fa male il fegato. Adesso a Poppenhauer risponde Alfred, il Kapo del Rollwagen. Si esprime in modo breve, indifferente. Parla un po' di francese, articolando molto lentamente ogni parola. Dice di avere una donna ad Avignone. E' stato lui a vendere Franz alle S.S. e a far nominare LagerŠltester Poppenhauer. Alfred dispone di un grande potere poiché ha in mano quasi tutte le leve del mercato nero locale, e favorisce i traffici delle S.S. Alla sera, quando gli uomini sono rinchiusi nel dormitorio, suona Mozart, e bene. Alla domenica ama cantare a lungo, insieme ad altri, vecchi "Lieder" sentimentali. Ieri ha picchiato a sangue Rudolf, reo di aver fatto proposte oscene al curato Heinz, il suo amante. E ora deve ruminare vendette sanguinose contro quel mascalzone di Herbert Pfeiffer, sempre mezzo ubriaco, che però è riuscito a farsi amare appassionatamente da Heinz. Dal refettorio salgono richiami. Kamou! Kamou! Kamou sigarette? Delauney, passami la tua miska, per Dio! Scheisse Mensch! Khoui! Pisda! Tra la folla qualcuno imita il grande Toni: "Iopa twoyou mate pisda Khoueva". Protende le labbra in una smorfia di sdegno, il grande Toni, e i russi ridono di lui, ma la loro schiena ne fa le spese. Toni BrŸncken, un bruto, un sadico, il nostro BlockfŸhrer. Un giorno ha frustato tutte le detenute: quattrocento. Provveduto all'ultima, si è sprofondato su una sedia, sfinito e radioso. "Iopa twoyou mate"... Si litiga, ci si accapiglia. Hanno dato agli uomini una forma di pane da seicento grammi da dividere in diciotto. I gruppi si scontrano, si accaniscono intorno a delle bilance rudimentali fabbricate dai russi e dai polacchi. Con il pane hanno venticinque grammi di salame. E' la loro cena. Il fischio del BlockŠltester trafigge il tumulto. In un attimo nella Schreibstube cala il silenzio. Poi si leva una voce riconoscibile fra tutte. E' il Kammerkapo, detto il Giuda, truffatore di professione e SchlŠger numero uno. Tutti conoscono il suo sorriso. Anche i suoi pari lo detestano. Ma parla dolcemente, è sempre ossequioso, strascica le parole con le sue labbra sottili, che mentono loro malgrado. Nella Stube Zwei, Emil KŸnder racconta con voce sorda: «Adesso il campo è un sanatorio. Una volta eravamo in quattro, come oggi, a spingere un carrello. Ma sul carrello c'era un S.S. E bisognava correre. Se non si correva abbastanza in fretta, giù colpi. Alla sera, rientrando al Block, sul piazzale ci si doveva far largo con i piedi tra i cadaveri». Emil KŸnder è un ex dirigente del partito comunista tedesco. Ha trascorso anni nei campi. E' fisicamente solido, nonostante la magrezza. E' ancora in grado di portare in spalla due sacchi di cemento. E nella sua andatura permane il dondolio del marinaio di Amburgo che è stato in gioventù. Ma tutta la sua struttura è quella di un uomo di apparato ostinato e scaltro. Ha sfiorato tre volte il patibolo. Adesso dalla Schreibstube cominciano a venire delle urla. Hans, soprannominato il Bulldog, sta impartendo colpi regolari con la frusta di Toni. Il russo grida. Tutte le sere è così. E' entrato Walter, e poi Kurt. Walter ha detto qualche parola in Plattdeutsch. a Emil. Ha alle spalle quattordici anni di internamento, di cui sei di cella di isolamento e otto di campo; Kurt è al campo da dieci anni. Tre volte ha pensato di suicidarsi, e tre volte gli è arrivata in tempo una lettera della moglie. Per ore, dopo avergli incatenato i polsi dietro la schiena, lo hanno appeso così, le spalle spezzate, i muscoli dilaniati, il corpo di minuto in minuto sempre più pesante, la mente sempre più lucida, in preda a un'angoscia dilagante come un'ubriacatura. Ha, da qualche parte, una figlia ormai donna. Era un funzionario regionale comunista. Walter era invece, ai tempi della repubblica di Weimar, un noto terrorista. Possiede un umorismo crudele, fatto di disprezzo. Magro e curvo, come ingobbito, il viso divorato da un morso interiore, Walter, Kapo di Schacht Marie, misura con passo regolare, in silenzio, le gallerie solitarie, deserte e illuminate da una luce cruda: nient'altro che pareti di sale senza uscita. Lo scherno che gli fiorisce sulle labbra consuma un'attesa disperata. Oggi Walter è un personaggio shakespeariano.
La Stube è invasa. A suo tempo Otto è stato un parto grottesco. Ora la sua bruttezza di uomo maturo è tanto tragica da costringere al riso. Il volto non conosce mai pace. Ogni suo tratto ammicca senza requie, teso da spasmi di inquietudine. Trascina, come slegata, la propria alta statura, stanca della sua stessa stupidità. Posa sugli altri enormi occhi stupefatti e mendichi. Nei camminamenti danteschi di Bartensleben, a cinquecento metri sotto terra, picchia come un cieco i disgraziati del suo Kommando. Picchia, picchia perdutamente, per paura. Otto, il Vorarbeiter, ha paura di tutto: del Kapo, dei Meister civili, dei Posten. Di notte, poi, ha paura dei suoi sogni. Max il fornaio: una potenza romana. E' un personaggio biblico. Procede come una forza della natura, con la stessa indifferenza e con grande avarizia di parole. Ma una sera ci ha intrattenuti a lungo, Martin, Lorenz e io. Parlava con molta dignità, e il suo discorso, tra pause e riprese, aveva la lenta sicurezza propria di chi sta comunicando un messaggio. Con gesti gravi tratteggiava la figura di Hitler, immagine della bestia apocalittica votata alla distruzione. Max, il Kapo, vive nella certezza dei profeti. Bazzica i campi, serenamente, da dieci anni; non ha mai accettato le proposte di liberazione delle S.S. Gli uomini della Bibbia non rinnegano il loro Dio. Otto sta con il suo Dio. Del resto, si dice che vada a letto con la padrona della panetteria. Hermann, Vorarbeiter senza bracciale, un comunista dal volto devastato, è un tipo allegro; non picchia mai. Felix, il polacco, che si millanta Reichsdeutscher, e che alcuni accusano di avere addosso l'odore della Gestapo. Sua moglie gestisce un bazar nei pressi di DŸsseldorf. Detesta Emil e il suo tono autoritario. Felix osserva con straordinaria costanza un'educazione sempre eccessiva. E' un «organizzatore» di vaglia. La sua squadra lavora all'ascensore di Bartensleben; ogni giorno lui ruba ai civili due bidoni di minestra. Alex, il russo, si è seduto sul suo letto, lasciando penzolare gli stivali. Emil ha interrotto il suo racconto. Ha posato sul tavolo un vaso di margarina. Su un pezzo di carta bianca ha della carne tritata. E, adagio, comincia a tagliarsi il pane.
Alla Schreibstube le urla sono cessate. Gli uomini si ammassano nel dormitorio, sui tavolacci, e imprecano: sono scomparse delle coperte, e anche dei pagliericci. Dal terzo ordine crollano alcune assi, tra bordate di insulti. Nel corridoio centrale, tra le incastellature, è tutto un agitarsi di gruppi che si smembrano e si riformano. Ci sono dei greci che vendono il loro pane in cambio di sigarette. Alla luce delle lampade, i barbieri polacchi e russi cominciano a radere. Porco, coglione, "Yebani v rot". Borisuk si appoggia una mano aperta sulla patta e guarda Noizat cui si imbiancano le labbra. Ma accanto a Borisuk è seduto Yurkevitch. Noizat sputa e tace. Nella sua fila gli uomini stringono i ranghi. Dall'altra parte è Banache a tagliare i capelli. Dalle gole eruttano bestemmie al suo indirizzo perché fa passare davanti agli altri Pol‡cek, l'odiato Vorarbeiter della miniera. Georgialès, il capitano, raggomitolato su se stesso, le palpebre flaccide e gonfie di febbre, esita: la fila è lunga davanti al Revier. Marcel è andato alla SchŠlkŸche a mondare carote. Per un momento ha soppesato il pro e il contro. Non tornerà prima delle undici. Forse, con un po' di fortuna, avrà un litro di minestra: brandelli di cavolo in acqua fredda. Marcel, che viene da Lille, ha fame. Claude cerca di negoziare una porzione di salsiccia. Roger è sul letto, smunto e pallido, lo sguardo spento, la sua voglia furiosa di tabacco, più forte della fame: mendica con gli occhi un «tiro» e pensa, rabbioso, al suo bordello che va avanti da solo, laggiù, vicino a Parigi. Maurice è steso sul pagliericcio vicino agli spagnoli che, come tutte le sere, fanno gruppo e chiacchierano tra loro; e pensa a Villejuif. Vorrebbe forzare quel deserto di silenzio, tutto quello spazio desolato e opaco in cui sono racchiusi i campi. Nicolai, il chirghiso, attacca i bottoni alla giacca con la sua lentezza grave che di tanto in tanto lascia il posto a uno scoppio di riso infantile. Questa sera però è triste. Alla miniera ha visto delle donne, ed è stato come se ai loro occhi Nicolai, l'internato, non fosse un uomo. Kostura, il tartaro, un Oberleutnant, scherza con Yury. La faccia di Yury è grassa e tonda, adesso che lavora in cucina. L'olandese Paul è malato di tristezza. Il suo bel viso vorrebbe trovare un rifugio contro il tumulto. Heindrich, il suo amico, è morto oggi. Hanno pregato e letto la Bibbia insieme, ma Heindrich è morto. Le vie del Signore sono misteriose. E Paul è triste, terribilmente triste. Nella Stube Zwei, Martin si è coricato. Ha chiuso gli occhi. Ma, molto prima che arrivi il sonno, invocherà i suoi bambini.

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