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L'altra resistenza 4.


1. Nell'aprile del 1944 partì dal campo di Küstrin l'ultimo sparuto gruppetto di «repubblichini» e quasi contemporaneamente giunsero alcuni ufficiali italiani caduti in mano ai tedeschi dopo aver partecipato nei Balcani alla guerra partigiana dall'armistizio in poi. Quell'episodio riassumeva - quasi un simbolo - il senso di una situazione. La prima fase della nostra lotta si chiudeva così nella primavera del '44 con un grande successo.
Il tentativo di strappare in qualche modo agli internati un riconoscimento, un'adesione, un atto di ossequio al governo di Salò è finito ingloriosamente. Di fronte ai nazisti e di fronte alla massa dei prigionieri italiani il fascismo esce battuto e umiliato dalla prova diretta della propaganda e del proselitismo. D'ora innanzi i funzionari e i propagandisti di Mussolini non oseranno più affrontare nei lager gli internati e, fallito il loro piano di recupero politico, si dispongono a servire fino in fondo il diverso calcolo dei nazisti, che mirano come sempre allo sfruttamento della mano d'opera nel lavoro forzato. Gli uomini di Salò non rinunciano naturalmente a proclamarsi «difensori» degli internati e quando sottoscriveranno con le autorità tedesche un accordo inteso a dare mano libera ai nazisti nei confronti degli ufficiali italiani che in spregio alle norme internazionali avrebbero dovuto essere inviati al lavoro, saranno tanto impudenti da affermare che quell'intesa Hitler-Mussolini significava per noi la libertà.
Anfuso, l'ambasciatore fascista a Berlino insisterà ancora, dopo la guerra, nella sua autodifesa, sulla tesi dell'utilità che gli accordi dell'agosto '44 avrebbero avuto per gli internati e rivendicherà a suo titolo di merito di aver escogitato quella sorta di scappatoia per permettere agli ufficiali italiani di uscire dall'umiliazione e dal rischio del lager! Graziani, in una sua lettera dell'aprile 1944 al maresciallo Keitel, aveva rivelato con più brutale schiettezza il reale ruolo dei dirigenti fascisti assumendo l'impegno di «continuare il richiamo delle classi per esaudire la richiesta di un milione di uomini per l'organizzazione del lavoro»! In realtà l'utilizzo degli ufficiali italiani come lavoratori civili faceva parte del piano di Sauckel e Speer e a esso gli Anfuso offrivano solo il contributo della più sfacciata e canagliesca maschera propagandistica. Del resto, inutile.
«Libertà da 31 agosto» noi definimmo, irridendo, quella promessa dagli accordi nazifascisti perché la «Voce della patria», foglio che i repubblichini di Salò e di Berlino facevano giungere nei lager, aveva commentato con un titolo a quattro colonne: «Al 31 agosto non più internati!» il provvedimento «provvidenziale» che doveva mutarci da prigionieri in liberi lavoratori. «Libertà da 31 agosto» voleva dire una beffa e un insulto nello stile dei nazisti e dei loro servi; in realtà una costrizione nuova alla quale non avremmo potuto che ribellarci.
Già prima che gli accordi venissero stipulati avevamo del resto avuto sentore della macchinazione. E nelle forme coperte in cui solo era possibile esprimerci riassumevo il sentimento generale in una lettera a casa nel luglio del '44: «... ora corre voce di una nostra possibile uscita dal lager per essere inviati al lavoro. Non so quanto di vero possa esserci in questo. Il nostro senso morale si ribella alle costrizioni violente. Ad ogni modo vedremo. Si è creata in noi una durezza estrema temprata a ogni sofferenza». La comune volontà di resistere era il frutto prezioso della prima vittoria conseguita contro i fascisti, del superamento dei dubbi, delle incertezze, dei calcoli opportunistici. La propaganda di Salò poté ingannare in Italia le famiglie di molti di noi che a quell'annuncio di libertà e per suggestione vigliacca dei giornali e delle autorità repubblichine si precipitarono a inviare in Germania pacchi e pacchi di vestiario che andarono a muffire nei capaci depositi dei lager, ma nei nostri confronti era ormai impotente. Altro ci voleva che la voce stonata e ripugnante di qualche pennivendolo o la «tutela» esercitata con atti come quelli dell'agosto '44, o l'invio di qualche pacco di gallette e di qualche manciata di riso a mutare lo schieramento determinatosi nei lager dopo il primo inverno.

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