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Le origini del penitenziario Capitolo 4.
UN MONITO DI PIETRA: IL PENITENZIARIO IN FUNZIONE.


1. Lo scoppio della guerra americana e l'improvvisa sospensione delle deportazioni nelle tredici colonie nel 1775 paralizzò di colpo le autorità preposte all'amministrazione della giustizia. Esse dovettero d'improvviso escogitare pene alternative per i delitti contro la proprietà. Inizialmente si dimostrarono inclini a temporeggiare piuttosto che ad effettuare trasformazioni sostanziali e come «espediente temporaneo» il governo ricorse al riadattamento di un certo numero di navi da guerra in disarmo, facendone prigioni galleggianti ancorate nel Tamigi presso Woolwich. In seguito furono poste altre «carcasse», come venivano chiamate, all'ingresso dei porti di Plymouth, Gosport e Portsmouth. Nel 1787 circa duemila detenuti erano utilizzati su queste navi, in gruppi incatenati, a sollevare sabbia per la zavorra delle navi o a costruire nuove attrezzature nei cantieri.
Il governo affidò la direzione di questi condannati a Duncan Campbell, un mercante con vent'anni di esperienza come appaltatore nel trasporto di delinquenti. Avendo in passato accumulato una fortuna vendendo detenuti a imprenditori nelle colonie americane, egli era avvezzo a trattarli come oggetti. Campbell, che pure non era un appaltatore eccezionalmente insensibile, riteneva che una mortalità di uno su sette fosse «una riduzione delle scorte» accettabile. Durante i primi tre anni però il tasso di mortalità sulle navi sotto la sua supervisione fu quasi di uno su quattro (1).
I prigionieri avevano portato con sé il tifo dalle carceri di contea e, non avendo Campbell preso alcuna precauzione igienica, il contagio invase le navi. Quando Howard visitò i detenuti a bordo del Justitia nell'ottobre 1776 comprese, «dal loro colorito malsano», che erano «sotto una cattiva direzione»:

«Molti non avevano camicia, alcuni erano senza maglia... alcuni senza calze, altri senza scarpe; molti lo conoscevano (Howard) e fra questi uno era molto malato; egli gli tastò il polso e Gli chiese come stava. Egli disse che era pronto a sprofondare sottoterra» (2).

La Londra rispettabile venne tenuta con il fiato sospeso per un decennio di fughe ricorrenti, scoppi di epidemie di tifo e insurrezioni a bordo delle navi ancorate nel Tamigi. Il governo stava chiaramente dimostrando la propria incompetenza nella gestione dei luoghi di pena al pari dei giudici di contea e di distretto nel passato.
Anche se restarono in funzione per lungo tempo dopo che la crisi degli anni Settanta era passata, le navi-prigione non erano mai state destinate a sostituire definitivamente la deportazione. Da un lato potevano accogliere solo il 60% dei condannati alla deportazione allo scoppio della rivoluzione americana, mentre il resto, composto di diverse migliaia di prigionieri, doveva essere rinchiuso nelle prigioni di contea e di distretto, insieme a coloro che furono condannati alla stessa pena dopo il 1775. Di conseguenza, quasi nel giro di una notte, la detenzione divenne la pena di ripiego comminata per tutti i delitti minori contro la proprietà, mentre in passato era stata la punizione occasionale per delitti più gravi. La tabella 1 illustra il drammatico incremento delle sentenze di detenzione comminate all'Old Bailey dopo il 1775 (3):

Tabella 1: Distribuzione delle punizioni, Old Bailey, 1760-94.
[Per ogni quinquennio verranno indicate le cifre in percentuale indicanti a) sentenze di morte (S.M.), b; deportazioni navi-prigione (D.N.), c) fustigazioni, marchiature, ammende (F.M.A.), d) detenzioni (D.)].

Anni 1760-4: 12,7 S.M; 74,1 D.N.; 12,3 F.M.A.; 1,2 D.
Anni 1765-9: 15,8 S.M; 70,2 D.N.; 13,4 F.M.A.; 0,8 D.
Anni 1770-4: 17,0 S.M; 66,5 D.N.; 14,2 F.M.A.; 2,3 D.
Anni 1775-9: 20,7 S.M; 33,4 D.N.; 17,6 F.M.A.; 28,6 D.
Anni 1780-4: 25,8 S.M; 24,1 D.N.; 15,5 F.M.A.; 34,6 D.
Anni 1785-9: 18,5 S.M; 50,1 D.N.; 13,2 F.M.A.; 13,3 D.
Anni 1790-4: 15,9 S.M; 43,9 D.N.; 11,7 F.M.A.; 28,3 D.

La maggior parte delle recenti sentenze di detenzione erano state inflitte a persone processate per la prima volta e condannate per furti minori. Criminali «crudeli e incalliti» erano mandati sulle navi-prigione. Inizialmente si comminavano lunghi periodi di carcere, sovente accompagnati dalla fustigazione. I giudici d'abitudine emanavano sentenze di cinque o sette anni finché un comitato della Camera dei Comuni fece notare nel 1779 che esse equivalevano a condanne a morte, data la condizione in cui si trovavano la maggior parte delle prigioni (4). In seguito la durata delle condanne diminuì e durante gli anni Novanta era per lo più inferiore a un anno.
Il ricorso improvviso alla detenzione costituì un elemento di ulteriore aggravio per le istituzioni carcerarie che già avevano mostrato segni di sovraffollamento ancor prima del 1775. Fino al 1783 in ogni caso il sistema riuscì a funzionare senza che scoppiassero epidemie; Howard non riscontrò un solo caso di tifo durante le sue visite nel 1779 (5). Queste circostanze non erano tuttavia dovute a precauzioni prese dai magistrati in quanto la maggior parte di loro evitava di intervenire. Essi supponevano che, dopo una rapida vittoria sugli americani, sarebbero riprese regolarmente le deportazioni dei prigionieri, che ora affollavano le prigioni, verso una colonia sconfitta e acquiescente. Quindi venne fatto ben poco per migliorare le condizioni delle prigioni, ritenendo che il problema del sovraffollamento si sarebbe risolto da solo. La richiesta di mano d'opera in tempo di guerra contribuì poi a stabilizzare il tasso di criminalità e quindi a ridurre la pressione sulle carceri (6). Gli stessi giudici intervennero condannando i delinquenti a servire nella flotta o nell'esercito invece che rinchiuderli in prigione (7).
La vera crisi fu provocata dalla conclusione della pace nel 1783. La smobilitazione e la depressione del commercio che seguirono la perdita del mercato coloniale provocarono il più grave incremento di criminalità dopo gli anni Venti (8). Il numero di imputati giudicati all'Old Bailey fra il 1783 e il 1786 fu quasi del 40% più alto che nei precedenti tre anni. Alcuni contemporanei attribuirono «il rapido e allarmante aumento di crimini e furti» a cause immediate quali la temporanea saturazione del mercato del lavoro e la depressione del commercio, mentre i sostenitori della riforma carceraria interpretarono la situazione in termini apocalittici come segno di un collasso dell'ordine urbano, dell'armonia fra le classi e della disciplina dei poveri (9). Il punto centrale nella loro diagnosi della malattia dell'epoca era il concetto di «lusso». Il «lusso», secondo loro, aveva eroso quel forte senso civico del dovere che in passato sentivano i ricchi e da cui dipendeva il mantenimento dell'ordine pubblico (10). I poveri, sotto questa perniciosa influenza, non più tenuti a freno dai principi di gratificazione differita e di misurato ascetismo che il lavoro salariato comportava, avevano abbracciato i facili piaceri che il delitto poteva procurare. In un clima di rilassatezza morale, i ricchi, sempre più dediti ai piaceri, avevano smesso di esercitare la tradizionale tutela sui poveri, i figli non obbedivano più ai genitori e gli apprendisti sfidavano i loro padroni (11).
Questo elenco di dissolutezze portò Jonas Hanway a scrivere numerosi opuscoli di tono allarmistico sulla condizione della polizia londinese e a invocare l'adozione dell'isolamento nelle carceri. «L'esperienza quotidiana prova che le punizioni ora inflitte hanno perso la loro efficacia» e quindi «occorre escogitare qualcosa di nuovo... Non si esagera dicendo che viviamo in un paese in cui un uomo non può far ritorno alla propria abitazione, neppure in carrozza in una grande città, senza correre il rischio che gli venga puntata una pistola contro il petto» (12). Le autorità erano «addormentate sull'orlo di un precipizio», non comprendevano che «il successo della guerra, il miglioramento delle arti, la prosperità del commercio» avevano indotto il popolo a dimenticare «la mano da cui provengono queste
benedizioni». Hanway faceva notare che le «dissipazioni» e le «stravaganze» della propria classe sociale rendevano i poveri «disperati e rapaci» e li spingevano a «commettere furti e omicidi per ottenere il benessere» (13).
L'allarmismo di Hanway trovava eco nelle parole del magistrato della polizia londinese Patrick Colquhoun, del medico di Londra William Blizard e del radicale whig Josiah Dornford. Non sorprende che tale allarmismo fosse incentrato su Londra, in quanto le tentazioni del lusso erano maggiori nella capitale: balle nei magazzini del porto, prosciutti nelle vetrine dei negozi alimentari, vasi appesi alle tende dei negozi di ferraglie, pacchi che saltellavano invitanti sui carri costituivano per i criminali un allettamento che mancava nei villaggi (14).
La città era inoltre la mecca dell'«uomo senza padrone», il fuggiasco dalla comunità di villaggio. Nel cuore della città si concentrava una collettività incontrollabile, al sicuro da sorveglianza o intrusioni. Blizard, descrivendo una di queste «repubbliche di ladri» nelle vicinanze di Church Lane, Field Lane e Black Boy Alley, afferma che quest'area è «una specie di città o distretto distinto eretto per dar rifugio ai più crudeli e pericolosi nemici della società» (15). Inseguiti dalle guardie, i criminali potevano nascondersi in questo labirinto impenetrabile di cortili, vicoli, passaggi sotterranei e di là schernire l'impotenza della legge.
Gli elementi di questa analisi allarmistica, l'influenza corruttrice del lusso, la decadenza dell'autorità morale dei ricchi, la sfida da parte della malavita, erano presenti molto prima degli anni Ottanta negli scritti di Joseph Butler, Henry Fielding, Thomas Bray e Robert Nelson (16). Per quasi un secolo il dibattito sul «lusso» e i suoi effetti morali aveva costituito il punto di riferimento rispetto al quale la classe media, in particolare gli ambienti whig nonconformisti, aveva valutato le conseguenze della crescita economica. Nonostante l'argomento non fosse nuovo, le modalità della crisi, la guerra, il collasso della giustizia, il sovraffollamento delle prigioni e il tasso di criminalità senza precedenti, rendevano d'improvviso assai più credibile qualsiasi voce allarmistica. Proprio per questo, dopo l'aumento delle detenzioni nel 1783, le analisi sulle forme patologiche dell'epoca, incentrate su Londra, cominciarono a trovare udienza favorevole anche nelle varie contee. Per molti le circostanze richiedevano provvedimenti che riaffermassero l'ordine sociale, rivendicassero la legittimità morale dello stato e contribuissero a riformare la moralità delle classi inferiori insubordinate.
Uomini come Hanway e Blizard avevano definito il crimine come parte di una più vasta rivolta dei poveri e quindi essi si sentivano attratti dal pensiero di un'istituzione che avrebbe conferito loro un controllo totale del corpo, del lavoro e anche delle menti dei prigionieri. Il penitenziario, in altri termini, era assai più di una risposta funzionale a una specifica crisi delle istituzioni carcerarie: esso esercitava una forte presa sull'immaginazione in quanto rappresentava, sotto forma di microcosmo, l'ordine sociale rispettoso delle gerarchie, obbediente e pio che molti ritenevano stesse crollando attorno a loro.
La sensazione che provavano i riformatori di vivere un momento di crisi sociale venne ben presto rafforzata. Nel 1786 fu pubblicata l'inchiesta di un comitato della Camera dei Comuni sul costo dell'assistenza ai poveri ed essa rivelò che dal 1776 il numero di persone che chiedeva assistenza alle parrocchie era aumentato in alcune zone fino al 30% (17). Inoltre l'insolito affollamento delle carceri e delle case di correzione aveva gettato nel panico i magistrati di tutto il paese. Contrariamente alle crisi di sovraffollamento del 1750 e del 1770, verificatesi soprattutto a Londra, quella degli anni Ottanta fu avvertita in ogni prigione del paese. Howard stimò che la popolazione carceraria fosse aumentata del 73% fra il 1776 e il 1786 (18). La conseguenza fu un drastico deterioramento delle condizioni di vita nelle carceri.
Il Segretario di Stato a Whitehall era in posizione adatta ad afferrare la gravità della situazione. Fra il 1783 e il 1785 ricevette dispacci dai magistrati di trentacinque località in cui essi riferivano di scoppi di epidemie, fughe o rivolte e in cui avanzavano richieste di assistenza militare attorno alle prigioni e di una rapida ripresa delle deportazioni. A Maidstone, ad esempio, uno scoppio del «putrido disturbo» causò la morte di dodici prigionieri, lasciandone altri ventisette gravemente malati (19). Da Ilchester giunsero rapporti sulla morte di undici persone a causa del «disturbo maligno» (20). Una petizione inviata dai giudici del Somerset informava il ministro che il tifo aveva ucciso il carceriere, sua moglie e il medico locale ed aveva «provocato grande apprensione nei giudici e nei magistrati» incaricati di processare detenuti malati (21). I giudici delle sessioni trimestrali del Lancashire scrissero per esternare il timore che la «febbre pestilenziale» potesse spargersi dal carcere di Lancaster oltre le mura (22). A Gloucester nel 1784 accadde effettivamente che il tifo dai reparti del carcere del castello affollato di detenuti in attesa di essere deportati si spargesse nel vicinato, provocando la morte di una mezza dozzina di poveri (23).
I prigionieri non sopportavano con rassegnazione queste sofferenze. La rivolta scoppiata al Wood Street Compter, un carcere di Londra, diretta da un detenuto «feroce come Belzebù», divenne tanto seria che il carceriere fu costretto a richiedere l'assistenza di un'associazione militare, costituita da cittadini delle classi medie, la London Military Foot Association (24). Nella casa di correzione di Clerkenwell tre detenuti furono uccisi e altri tre feriti nel corso di un tentativo di fuga in massa sventato dai guardiani (25). I giudici del Surrey erano tanto allarmati dal comportamento minaccioso dei condannati nel carcere di Southwark da inviare una petizione al segretario di stato con cui richiedevano una guardia militare attorno alle mura; essi protestarono violentemente quando questa venne ritirata sei mesi dopo (26).
Anche i prigionieri si rivolgevano al Segretario di Stato per esprimere le proprie lagnanze. Dalle loro petizioni risulta che i magistrati non si erano mai resi conto delle implicazioni che potevano derivare dal comminare condanne al carcere. Le istituzioni carcerarie erano ancora gestite come luoghi di detenzione provvisoria. In molte case di correzione non era prevista alcuna razione di cibo per i detenuti, costretti a dipendere dalla carità incerta degli amici. Un gruppo di prigionieri di Durham, condannati per furto di pecore, scrisse a Whitehall lamentandosi di essere stati esclusi dalla deportazione a patto che accettassero di entrare nell'esercito, dove tuttavia non erano mai stati mandati. Essi languivano in prigione:

«privi di qualsiasi mezzo di sostentamento che si possa ottenere con un onesto lavoro e, avendoci i nostri crimini privati dell'assistenza dei nostri amici, non abbiamo altro aiuto che la generosa concessione della contea che a stento basta per il cibo, mentre i nostri abiti sono del tutto logori e i nostri corpi quasi nudi. Vi preghiamo quindi di voler prendere in considerazione questo nostro infelice stato e di dare le necessarie disposizioni che nella vostra bontà e saggezza riterrete opportune» (27).

In un'altra petizione i detenuti del castello di Lancaster si lagnano perché anch'essi erano stati abbandonati dalla contea e dagli amici a una lenta morte per fame (28). Il 20 luglio 1785 undici detenuti della prigione di Leicester inviarono la seguente petizione al Segretario di Stato a Whitehall:

«L'umilissima petizione di undici sventurati detenuti. Con grande umiltà dichiariamo di essere miseri oggetti di compassione, essendo ormai rinchiusi da tre anni in questa infelice prigione con una stentata razione di due pence di pane al giorno che non basta neppure a soddisfare a metà le necessità del corpo, dato che siamo per lo più giovani. Le nostre sventure non terminano qui poiché durante l'inverno molti di noi sono stati costretti a separarsi da parte della nostra scarsa quantità di pane per poter comperare un poco di carbone con cui far fuoco per scaldare le nostre membra intirizzite e gelate dall'inclemenza della stagione e dalle pesanti catene. Così, onorevoli signori, anche se i nostri delitti sono stati orrendi, le nostre sofferenze sono superiori a qualsiasi descrizione e certamente dovremo perire in questo nostro paese natale, specialmente se dovremo trascorrere un altro inverno in questo luogo crudele e infelice; se le nostre condanne fossero state scontate appena comminate, la nostra punizione ora sarebbe finita e noi avremmo potuto con la benedizione di Dio comportarci oltremare meglio di quanto mai facemmo in patria. Invece abbiamo davanti agli occhi solo disperazione, essendo quasi ridotti all'inedia per fame e girando alcuni scalzi, altri senza camicia sulla schiena e quasi divorati vivi dai parassiti e in breve senza nulla con cui coprire la nostra nudità. Alcuni sono cento miglia lontani da casa e non hanno un amico al mondo che possa assisterli con una monetina e chi prima aveva amici li ha ormai persi da tempo. Quindi, onorevoli signori, essendo noi oggetto di vera miseria ed essendosi l'onnipotente compiaciuto di benedirvi con la sua abbondanza, vi preghiamo e vi imploriamo con la massima umiltà di tendere le vostre mani generose e di confortare le creature più infelici...» (29).

2. Altrettanto allarmante era la costatazione che le misure repressive non riuscivano a porre freno all'ondata di criminalità. La prima reazione del governo di fronte all'aumento dei procedimenti penali nel 1782 era stata quella di proclamare che la grazia regia sarebbe d'allora in poi stata negata agli scassinatori (30), decisione che incise immediatamente sul tipo di condanne comminate. Nel 1785, ad esempio, a Londra e nelle contee adiacenti, solo un terzo dei condannati a morte ricevette la grazia contro i due terzi circa che l'avevano avuta negli anni precedenti il 1792.
Nei tribunali le giurie parvero appoggiare questa campagna di severità, limitando il ricorso al «pio spergiuro», la manovra legale che permetteva loro di salvare delinquenti accusati di delitti gravi dal patibolo, condannandoli invece per delitti minori. La percentuale delle persone giudicate colpevoli e condannate a morte all'Old Bailey salì così dal 17% nel 1770-1774 al 25,8% nel 1780-1784 (31). Il numero delle persone giustiziate a Londra fra il 1783 e il 1787 salì dell'82% rispetto ai cinque anni precedenti. In totale a Londra morirono sul patibolo 348 persone nei cinque anni successivi al 1783, di cui 97 solamente nel 1785 (32).
Questa strage fece profonda impressione su riformatori quali Romilly, ma non parve riuscire ad arginare l'ondata di criminalità. Durante un'udienza nel 1783 un giudice dell'Old Bailey, pronunciando la sentenza di morte contro trentatré delinquenti schierati davanti a lui, osservò che il loro numero costituiva una melanconica prova dell'impotenza dei tradizionali strumenti di dissuasione:

«Chi vede o sente parlare di una così folta schiera di criminali si preoccuperà indicibilmente e rifletterà che le leggi scritte nel sangue e che prescrivono la morte contro coloro che le violano in così alto numero hanno perso il loro contenuto di terrore tanto che, dopo così frequenti esecuzioni e più frequenti grazie, l'esercito della pubblica giustizia e della misericordia regia sembrano sprecate per delinquenti incalliti» (33).

Visto che le esecuzioni di massa non riuscivano a impedire che nei tribunali affluisse un «torrente di sventurati», lo scrittore quacchero Martin Madan sostenne nel 1785 che l'unico mezzo disponibile era l'adozione di pene ancor più dure e inflessibili. In un opuscolo che ebbe grande diffusione, egli dichiarò che la frequenza delle grazie concesse sminuiva il terrore per la pena capitale, riducendola a «poco più che uno spaventapasseri posto in un campo per tener gli uccelli lontani dal grano» (34). Egli proponeva che per il futuro non si concedesse più la grazia a chi fosse stato condannato a morte. Samuel Romilly, uno dei giovani legali del circolo di lord Shelburne a Bowood, si affrettò a demolire le argomentazioni di Madan, ma il suo intervento risultò superfluo poiché nessuno dei sostenitori del Bloody Code si mise a difendere Madan. Con 97 esecuzioni l'anno nella sola Londra, il Bloody Code pareva essere stato applicato al limite accettabile nel tentativo di controllare il crimine con il terrore; accogliere la proposta di Madan e aumentare la strage, avrebbe significato distruggere il mito già precario della misericordia e umanità della legge.
In una nota al Segretario di Stato, la Corporazione di Londra sosteneva che un aumento del numero delle esecuzioni avrebbe potuto anche incoraggiare i criminali, abituando la popolazione a gesti di brutalità e sminuendo il valore della vita umana (35). Lo stesso filosofo William Paley, che in genere è ritenuto un difensore compiaciuto del Bloody Code, nel 1786 manifestò dubbi sulla legittimità di giustiziare i borsaioli e appoggiò con il suo grande prestigio l'idea di sostituire impiccagioni e deportazioni con la detenzione in un penitenziario come pena per chi avesse commesso il primo furto non grave (36).
Nel 1783 la delusione sull'efficacia del rituale delle esecuzioni pubbliche portò all'abolizione della processione fino al patibolo di Tyburn a Londra. I condannati erano condotti da Newgate su di un carro attraverso le vie affollate fino al patibolo di Tyburn presso Marble Arch. Questa processione ostentatamente solenne voleva, nel modo più ampio possibile, rendere di pubblico dominio il destino che attendeva i criminali. In pratica il rituale veniva diretto dalla folla e trasformato in una festa per i ladri e un carnevale per i poveri.
Le critiche a questa pratica e al suo svilimento erano ormai divenute abituali, ma solo nel 1783, all'apice della crisi generale della giustizia, si presero provvedimenti. Gli sceriffi di Londra e del Middlesex abolirono del tutto la processione e ordinarono che in futuro le esecuzioni si tenessero davanti a Newgate. Le motivazioni addotte sono degne di nota:

«Da lungo tempo si levano lagnanze perché le nostre processioni fino a Tyburn costituiscono una farsa del terribile esercizio della legge e la stessa scena finale ha perso ogni senso di terrore e invece di dare una lezione di moralità agli spettatori tende a incoraggiare il vizio. Nessuno che vi abbia assistito può negare la correttezza di questa critica. Il giorno in cui alcuni nostri simili sono destinati a servire da esempio di terrore per i malvagi e a espiare le offese di una vita mal spesa con una morte ignominiosa è spesso considerato dal popolino di questa città una festa; e il luogo dell'esecuzione è più spesso frequentato con la strana speranza di soddisfare una curiosità morbosa che con una seria sollecitudine di progresso sociale. Se il solo difetto fosse la voglia di cerimonie, la mente degli spettatori dovrebbe, si suppone, restare almeno indifferente, invece quando vedono lo squallore dei preparativi, il carro sudicio con finimenti logori circondato da un sordido gruppo dei più miserabili fra il popolino, i loro sentimenti sono più inclini al ridicolo che al senso del dovere. L'intero percorso è visto con lo stesso effetto. Numerose persone ben presto si addensano a formare una schiera di accompagnatori e allora si manifesta un'indecente spensieratezza, la folla si ingrossa poco alla volta e la sua allegria cresce fino a quando giunge sotto l'albero fatale, il terreno diviene una massa turbolenta e l'impudicizia del linguaggio esplode in scherni lascivi, imprecazioni e bestemmie» (37).

Anche in passato erano stati fatti attacchi del genere contro le esecuzioni pubbliche, ma solo nel 1783 le autorità si convinsero della loro fondatezza. Il rapido aumento nel numero delle impiccagioni dopo il 1782 dovette probabilmente influire sulla loro decisione. I disordini provocati da folle agitate e chiassose dovevano essere intollerabili da quando le esecuzioni avvenivano quasi ogni settimana. Inoltre il ricordo dei "Gordon Riots" doveva essere ancora fresco nella memoria di molti, anche se questo fattore non comparve esplicitamente nelle motivazioni per l'abolizione della processione a Tyburn.
Erano passati solo tre anni da quando il popolino londinese, protestando contro un disegno di legge che intendeva rimuovere le limitazioni civili imposte ai cattolici, aveva attaccato le dimore dei giudici, assalito le prigioni di Londra e liberato i detenuti, schernendo i pari e i parlamentari che si recavano in parlamento. Al contrario di precedenti disordini elettorali accaduti a Londra diretti sempre, anche se non ufficialmente, da uomini politici radicali, i "Gordon Riots" sfuggirono ben presto al controllo del principale istigatore, lord George Gordon, e quindi costituirono il segnale di un'ulteriore spaccatura fra la classe dirigente e i poveri. In seguito a questi fatti perciò ci si poteva aspettare che le autorità fossero meno tolleranti nei confronti di forme di disordine popolare come le processioni a Tyburn.
Ad ogni modo è chiaro che gli sceriffi trasferirono il patibolo da Tyburn alle porte di Newgate per riprendere il controllo di un rituale che era progressivamente passato dalle loro mani nelle grinfie della folla. Da questo punto di vista il provvedimento è paragonabile allo sforzo dei sostenitori della riforma carceraria per riconquistare il controllo del carcere sottraendolo alla subcultura che l'aveva ridotto a un seminario per ladri. Entrambi i provvedimenti inoltre richiamano alla memoria le proposte avanzate da Patrick Colquhoun durante gli anni Novanta perché si costituisse una polizia metropolitana che servisse a distruggere l'indipendenza della malavita a Saint Giles e a ristabilire l'incontestabile sovranità della legge in tutta Londra (38). Ciascuno di questi casi può essere interpretato come un tentativo di riaffermare l'egemonia dello stato sugli strati più poveri, le cui sfide all'autorità pubblica erano sempre state tollerate o date per scontate.
L'abolizione della processione a Tyburn va inoltre messa in rapporto con la reazione contro la fustigazione e la marchiatura esplosa durante gli anni Settanta, quando divenne comune sostenere che queste due pene pubbliche «non avevano altro scopo che quello di segnare con infamia indelebile coloro che vi erano sottoposti e di offendere tutti i cittadini per bene» (39). Le persone che portavano le stigmate lasciate da queste pene sarebbero state ignorate dai datori di lavoro, evitate dalla gente rispettabile e quindi inesorabilmente ricondotte sulla via del crimine. Invece di agire come deterrente, queste punizioni indurivano i delinquenti e «li riconfermavano nell'infamia». William Eden e Jonas Hanway ritenevano che simili spettacoli non fossero più approvati dall'opinione pubblica perché davano della legge un'immagine così dura da compromettere la sua autorevolezza agli occhi dei poveri (40).
Questo nuovo orientamento nell'opinione pubblica provocò mutamenti significativi nelle sentenze emanate. La marchiatura venne abolita nel 1779 dallo stesso atto che autorizzava la costruzione di penitenziari (41). Frattanto le condanne alla fustigazione calarono dal 17% all'11% dei verdetti espressi all'Old Bailey fra il 1775 e il 1790. Quando nel 1805 furono disponibili le prime statistiche nazionali sulle pene, risultò che la fustigazione non concerneva più del 4,5% delle sentenze alle assise e alle sessioni trimestrali, anche se è probabile che questa pena venisse comminata in un numero percentualmente maggiore di casi nei processi sommari (42). Diminuì inoltre anche la frequenza delle impiccagioni e dal 1787 in poi il numero delle grazie concesse cominciò nuovamente ad aumentare. Nel 1800 solo poco più del 10% dei condannati a morte a Londra fu effettivamente giustiziato (43). Tutto ciò stava ad indicare che era venuta meno la fiducia nell'equità e nell'efficacia del rituale punitivo in vigore e che vi era una crescente resistenza all'idea che lo stato potesse dividere il proprio diritto ad infliggere pene con la folla riunita ai piedi del patibolo o attorno al palo della fustigazione. Spostando la forca all'ombra di Newgate e incrementando l'uso della detenzione si negava ai delinquenti l'opportunità di sfidare pubblicamente il potere e alla folla l'occasione di utilizzare la cerimonia a fini suoi propri. Paragonata alle punizioni pubbliche, la detenzione offriva allo stato un controllo senza precedenti sui criminali, permettendogli di regolare il livello di sofferenza previsto dalle sentenze, senza dover sottostare agli scherni del popolino.
Contemporaneamente l'aumento del numero delle detenzioni indicava un maggiore scrupolo nei confronti di pene che abusavano del corpo dei condannati, parallelamente all'appoggio sempre più consistente dato alla campagna di Howard contro le catene e le percosse. I riformatori compresero che il «pubblico», termine con cui intendevano i prigionieri, gli accusatori e gli spettatori insieme, non tollerava né accettava più condanne che comportassero abusi fisici.
Se un ulteriore ricorso a pene fisiche era considerato inaccettabile come risposta all'aumentato tasso di criminalità, le deportazioni erano invece richieste a gran voce da magistrati posti di fronte a carceri strapiene di detenuti già condannati a quella pena. Il Segretario di Stato stesso riteneva che questa fosse la via d'uscita dalla crisi. Dopo il disastroso fallimento del tentativo di fondare una colonia di deportati nell'Africa Occidentale e dopo che la Nuova Scozia e il Capo di Buona Speranza si erano dichiarati entrambi contrari all'utilizzazione come deposito di criminali delle loro colonie appena insediate, Joseph Banks, botanico al seguito di Cook durante i suoi viaggi di esplorazione, suggerì di servirsi della Botany Bay in Australia. Egli seppe abilmente insistere sul valore mercantile di una colonia «più grande dell'intera Europa», convincendo con facilità un governo che ancora lamentava la cessione di un continente agli americani (44). Fu tuttavia necessario mutare le sentenze di chi era stato condannato a periodi di detenzione sulle navi-prigione o nelle carceri per poter far partire i primi deportati nel 1786. In una lettera al Segretario di Stato, Sampson Wright, magistrato a Bow Street, riconosceva che sarebbe stato illegale alterare le sentenze, ma metteva da parte ogni scrupolo con la considerazione che l'«opinione pubblica sarebbe stata contenta di liberarsi di loro a qualunque costo» (45).
Dopo quel che avevano sofferto sulle prigioni galleggianti o nelle celle sotterranee i condannati, o almeno alcuni di quelli di Londra, non erano però nello spirito adatto per lasciar passare la cosa senza protestare. Nove uomini e sette donne che avevano già trascorso un periodo di detenzione a bordo di prigioni galleggianti manifestarono la propria opposizione quando vennero condotti davanti ai giudici che dovevano tramutare le loro condanne in deportazione.
Sarah Mills, alzatasi, gridò: «Preferirei morire piuttosto che lasciare il mio paese per essere divorata dai selvaggi». E Sarah Cowden disse a un giudice indignato e sorpreso: «Morirò in base alle leggi del mio paese piuttosto che andare oltremare per tutta la vita». Jane Tayler si dichiarò d'accordo con lei: «Preferirei morire; penso di aver sofferto abbastanza durante i tre anni trascorsi in carcere per quel che ho fatto». In effetti si era lasciato credere che le condanne sarebbero state considerate scontate dopo quattro o cinque anni di carcere. Mary Burgess disse al giudice: «Sono spiacente per il disturbo che reco alla corte, ma mi aspettavo di riavere la libertà ad ogni sessione, durante gli ultimi sedici mesi. Lord Sydney (Segretario di Stato) era mio amico e intesi che non sarei stata mandata oltremare». Il giudice ordinò che fossero ricondotti in carcere a riflettere e tutti, fuorché uno, si lasciarono convincere a partire. Sarah Cowden venne riportata in tribunale dove cominciò a mercanteggiare per la vita di una compagna:

«Vi dirò cosa fare; sono disposta ad accettare qualsiasi sentenza il re pronuncerà contro di me, ma Sarah Storer è innocente. Non mi interessa la condanna che mi sarà inflitta; l'accetterò se la sentenza di quella donna sarà mitigata» (46).

A questo punto il giudice perse la calma e ordinò che la donna fosse rinchiusa in carcere in attesa dell'esecuzione. Tuttavia la sua vita fu risparmiata per intervento di un legale che si recò nella sua cella a Newgate e la convinse a salire sulla nave. Era così che ci si opponeva, all'Old Bailey, ai provvedimenti di deportazione e sarebbe interessante sapere se anche i prigionieri condotti davanti ad altri tribunali, presi da angoscia alla notizia che dovevano partire per l'altro capo della terra, seguivano l'esempio di Sarah Cowden.
I condannati non erano i soli ad opporsi alla ripresa delle deportazioni. Lo stesso Howard si scagliò contro «il progetto della Botany Bay», sostenendo che distruggeva ogni opportunità di riabilitare i delinquenti. Anche il comitato che nel 1785 sostenne la ripresa delle deportazioni, manifestò qualche dubbio:

«La deportazione risponde assai imperfettamente all'esigenza di dare un esempio... anche se un condannato può soffrire per questa condanna, le sue pene restano ignote... l'abisso è presto colmato e, dimenticato con altrettanta rapidità, non incute terrore nella mente di coloro per la cui riabilitazione si intendeva agisse» (47).

La convinzione sempre più diffusa che le deportazioni non costituissero una pena efficace aiuta a comprendere come mai, dopo il 1787, esse cominciarono a diminuire. A partire dagli anni Novanta la condanna alla deportazione era inflitta in meno del 50% dei casi di colpevolezza, mentre prima della sua sospensione nel 1775 costituiva il 70% delle pene inflitte (48). Si cominciò invece a condannare alla detenzione le persone dichiarate per la prima volta colpevoli di delitti minori, mentre la deportazione e l'impiccagione continuarono ad essere inflitte per crimini gravi contro la persona e la proprietà, come rapine e furti con scasso. Per la prima volta dunque veniva introdotta una pena «intermedia» per delitti minori contro la proprietà.
Nel breve spazio di un decennio l'intero sistema punitivo del Diciottesimo secolo era stato messo in discussione da un'ondata di crimini che non si riusciva a arginare con gli antichi rimedi, dalla sospensione delle deportazioni e dalle teorie dei riformatori che sostenevano vi fosse per lo stato un modo più giusto e razionale di punire i propri sudditi.

3. Il documento più importante basato su questa concezione fu il Penitentiary Act del 1779, redatto da Howard, Eden e Blackstone. La stesura originale prevedeva la creazione di un'intera rete di «case per il lavoro forzato», tramite la riconversione di edifici già esistenti o la costruzione di nuove strutture a spese dello stato, progetto che venne notevolmente ridimensionato nella versione definitiva (49). Questa prevedeva la costruzione di due penitenziari nell'area di Londra, uno per 600 uomini e l'altro per 300 donne. I prigionieri dovevano essere quelli condannati nei tribunali della capitale e dei dintorni, per crimini punibili in passato con la deportazione e vi dovevano restare per un massimo di due anni. Durante la notte dovevano essere rinchiusi in celle individuali, mentre il lavoro quotidiano si sarebbe svolto in comune. Questo doveva essere «del tipo più duro e servile, in cui sia richiesta soprattutto fatica e tale che non possa essere reso meno efficiente da ignoranza, negligenza o ostinazione».
Come esempio la legge raccomandava il taglio di pietre, la lucidatura del marmo, la battitura della canapa, il segare legna o fare a pezzi gli stracci. Howard sperava che queste clausole potessero indurre le contee ad adottarle e a inaugurare così una nuova era di severità nelle carceri locali.
Lo stesso spirito ispirava le clausole di un progetto di legge che regolava vitto e uniformi. In sostituzione del cibo fornito
irregolarmente e in quantità inadeguata dalle contee, si doveva provvedere con regolarità al vitto di ogni detenuto. Perché qualche magistrato non pensasse che tale provvedimento potesse sminuire l'efficacia della pena, la legge precisava che il vitto doveva consistere di «pane e di qualche genere di carne non scelta o di altro cibo di una qualità inferiore e di acqua o poca birra». I detenuti poi dovevano essere riforniti di abiti al loro ingresso nel penitenziario, invece di essere costretti a restare con i loro stracci sovente sporchi e infettati. Ancora una volta gli imperativi della repressione venivano fatti concordare con quelli umanitari. Gli abiti dovevano essere di «tessuto rozzo e a tinta unita, con qualche segno distintivo riconoscibile cucito su di essi, sia per umiliare chi li porta sia per facilitare la cattura in caso di fuga».
A chi temeva che i miglioramenti nella dieta, l'igiene e gli abiti dei detenuti potessero togliere qualsiasi potere terrificante alle pene detentive e indurre gli «strati più bassi della popolazione» a preferire il carcere alle «proprie case», Howard rispondeva che egli desiderava solo rendere più giuste le sofferenze che l'imprigionamento comportava, non ridurre la loro intensità:

«Non ho proposto nulla che miri a dare loro un aspetto elegante o una vita piacevole... Per quanto riguarda un più umano trattamento dei prigionieri rispetto al cibo, all'alloggio e cose simili, oso affermare che se ad esso si accompagneranno regole rigide che prevengano ogni dissolutezza e divertimento sregolato... la detenzione in un carcere, anche se forse non è più fatale per la salute fisica e morale, non mancherà di essere sufficientemente fastidiosa e disagevole specialmente per gli oziosi e i dissoluti» (50).

Howard si ispirò per le sue regole ai modelli europei: la Maison de Force di Gand, la Rasp di Amsterdam e il Silentium di Roma, nessuno dei quali era stato però definito con il termine di penitenziario. Contemporaneamente però Eden, Blackstone e Howard scartarono, nel 1778, la denominazione «casa per lavori forzati» a favore di «penitenziario», parola che pareva esprimere non solo l'idea di un luogo dedicato puramente all'operosità, ma anche alla contrizione e alla penitenza. Nell'ultima edizione dei suoi "Commentari" pubblicata prima della morte, Blackstone annunciava la propria conversione all'idea della detenzione nei penitenziari:

«Nel delineare il progetto di questi penitenziari si pensò soprattutto a sobrietà, pulizia e assistenza medica, lavoro regolare, isolamento negli intervalli del lavoro e qualche forma di istruzione religiosa per conservare e migliorare la salute morale degli sventurati criminali, per abituarli all'operosità, a guardarsi da compagnie pericolose, per abituarli a riflessioni serie e per insegnare loro sia i principi sia la pratica di ogni dovere cristiano e morale» (51).

Una volta che il Penitentiary Act fu approvato, venne costituita una commissione di tre membri per scegliere la località in cui edificare le due prigioni, scegliere un architetto e avviare la costruzione. La scelta cadde su Howard, il suo amico John Fothergill e un terzo con cui essi cominciarono ben presto a litigare, George Whateley, tesoriere dell'Ospizio dei Trovatelli. La morte di Fothergill nel 1780 e le dimissioni di Howard subito dopo obbligarono a costituire una seconda commissione, composta, oltre che da Whateley, da Thomas Bowdler, suo collega all'Ospizio dei Trovatelli, insieme a Gilbert Eliot e Charles Bunbury, due parlamentari che avevano seguito la legge fino alla sua approvazione alla Camera dei Comuni (52).
I quattro cominciarono il loro lavoro, esaminando i progetti degli architetti. Dalla lettera che Bowdler scrisse a uno degli architetti concorrenti risulta evidente che essi pensavano a qualcosa di totalmente nuovo nella storia delle prigioni: «La nostra impresa è tanto diversa da qualunque cosa sia mai stata fatta in questo paese che una persona può essere adatta a costruire una chiesa o un palazzo ma non essere l'architetto di un penitenziario» (53).
Il concorso fu vinto da William Blackburn, l'architetto che Howard riteneva comprendesse meglio il suo intendimento; egli avrebbe costruito anche il penitenziario di Gloucester e altre carceri di contea. La commissione si arenò tuttavia in negoziati sterili per l'acquisto del terreno sul Battersea Rise e nel 1785 il progetto cadde.
T. B. Bayley, il magistrato del Lancashire che creò la nuova casa di correzione a Preston, attribuì l'abbandono del progetto alla «parsimonia fuori luogo dei ministri di stato, della nobiltà e della "gentry" di ogni partito», scagliandosi contro la loro «avversione a qualsiasi progetto che comporti attenzione, sorveglianza e disturbo "continui"» (54).
La freddezza del governo era dovuta a qualcosa di più che semplice pigrizia, in quanto si sollevavano obiezioni di natura costituzionale alla sua intromissione nella sfera dell'amministrazione carceraria. Le prigioni erano di competenza delle contee e delle municipalità, sotto la supervisione dei giudici locali, i quali, al massimo, erano pronti a tollerare l'imposizione di leggi non vincolanti. La loro influenza in parlamento era comunque tale da impedire a Whitehall di assumere un ruolo attivo e quindi, pur avendo definito le navi-prigione «un espediente temporaneo», il governo decise di sospendere la costruzione di penitenziari. Obiezioni del genere affossarono anche la proposta di Howard che il parlamento nominasse due ispettori carcerari.
Un altro fattore, più arduo da individuare ma forse decisivo, fu la riluttanza del governo a rinunciare all'esilio per i criminali incalliti, adottando un sistema di detenzione che implicava un possibile ritorno dei delinquenti in seno alla società. L'efficacia deterrente della detenzione era ancora da dimostrare e per una società che aveva da tempo accettato l'idea dell'incorreggibilità dei criminali era difficile adattarsi a una forma di punizione che ipotizzava la loro eventuale reintegrazione sul mercato del lavoro.

4. Nonostante si accantonasse il progetto di penitenziario, l'atto legislativo non era destinato a finire nel nulla. Nel 1783 e nel 1784, i magistrati decisero di ricostruire o ampliare le carceri, sotto la pressione di un sovraffollamento sempre maggiore e in seguito a un aumento delle sentenze di detenzione, e guardarono al Penitentiary Act quale modello di disciplina carceraria. Tale ondata di ricostruzione ebbe vasta portata. Quando nel 1812 James Neild, un mercante e filantropo londinese, fece un nuovo censimento delle carceri sul modello di Howard, scoprì che la metà degli edifici erano stati ricostruiti o notevolmente ampliati dall'epoca del primo censimento (55). In queste carceri estorsioni e vendite di bevande alcoliche erano proibite e i carcerieri ridotti a funzionari stipendiati. Ai prigionieri si fornivano «abiti della contea» e una dieta regolare anche se scarsa. In molti casi l'uso di catene era stato abolito e i carcerieri avevano l'ordine di procurarsi il permesso ufficiale di un magistrato prima di fustigare qualcuno. Passare a calce le mura, provvedere bagni e servizi igienici puliti e disinfettati per i prigionieri divennero norme abituali.
Una dozzina di contee fece ancor di più costruendo effettivamente piccoli penitenziari presso le carceri o le case di correzione o in sostituzione di essi. I primi furono iniziati a Horsham e a Petworth nel Sussex nel 1775, quattro anni anni prima dell'approvazione del Penitentiary Act, su istanza del più influente aristocratico del paese, il duca di Richmond (56). Howard approvò il penitenziario di Horsham, ritenendolo un'attuazione fedele dei suoi progetti, anche se non pare che fosse consultato durante la costruzione. Sembra invece che il duca di Richmond ricavasse il suo concetto di disciplina direttamente dalla Maison de Force di Gand e dalla Rasp House di Amsterdam.
La vecchia prigione, dichiarata dalla giuria del Sussex nel 1775 «fatiscente» e «insufficiente sia per la sicurezza sia per la salute dei prigionieri», venne abbattuta e ne fu eretta una nuova al costo di 3560 sterline (57). Rispetto ai modelli ottocenteschi, il nuovo penitenziario era minuscolo, comprendendo solo venticinque celle, rifornite parsimoniosamente di «un vaso di pietra, uno straccio, una scopa, un contenitore di cuoio, un letto di tela e paglia e due coperte». I detenuti erano fatti spogliare, lavati e rivestiti di uniformi verdi e gialle e quindi rinchiusi nelle celle. Qui essi lavoravano e avevano a loro disposizione solo due ore al giorno d'esercizio all'aria aperta e il tempo per il «servizio religioso» e per le visite approvate dai giudici. La dieta consisteva solo di acqua e di un chilo di pane al giorno. Le esazioni erano proibite e il carceriere, i guardiani, un cappellano e un medico a tempo parziale ricevevano uno stipendio. A sorvegliare l'istituzione vi era un giudice nominato «ispettore» del carcere.
Il penitenziario di Petworth, costruito sullo stesso modello disciplinare, sostituiva un piccolo carcere locale che consisteva, secondo un rapporto dei giudici del 1782, di «due miserevoli stanze... senza camino, acqua, cortile o acqua, né possibilità di lavorare». Il duca di Richmond manifestò un evidente compiacimento per tali migliorie nell'apparato carcerario del Sussex. Egli dichiarò che le nuove istituzioni erano divenute oggetto di salutare terrore per i poveri tanto da essere quasi vuote (58).
Dopo la pubblicazione di "The State of the Prisons" e l'approvazione del Penitentiary Act, l'idea di una nuova disciplina carceraria si diffuse rapidamente. Alla fine degli anni Ottanta Howard rilevò che la propria opera e la crisi delle istituzioni carcerarie avevano creato un piccolo gruppo di magistrati riformatori che sedevano nei tribunali di contea. Nel Middlesex William Mainwaring diresse la costruzione di una nuova casa di correzione sul modello howardiano in Coldbath Fields a Clerkenwell (59); nel Dorset Morton Pitt convinse il tribunale locale a far costruire un penitenziario a Dorchester e a far lavorare i suoi detenuti per il locale cappellaio (60); Thomas Beevor nel 1785 trasformò la casa di correzione di Wymondham a Norfolk secondo i principi dell'isolamento penitenziario (61).
La costruzione della prigione di New Bayley a Salford nel 1787 venne diretta da T. B. Bayley (62). Le parole incise sulla pietra angolare proclamavano che la prigione era un «monumento dell'affetto e della gratitudine di questa contea a quell'eccellente persona, John Howard, che ha pienamente dimostrato la saggezza e l'umanità dell'isolamento dei delinquenti» (63). Nel 1792 Bayley presiedette l'inaugurazione di un «penitenziario su progetto di Mister Howard» a Preston, dove duecento detenuti erano rinchiusi in celle singole al calar della notte e, di giorno, venivano messi a tessere e lavorare cotone in enormi officine comuni per Mister Horrocks, uno dei magnati del commercio cotoniero locale. John Aikin osservò che a Liverpool erano stati costruiti dal 1776 un nuovo carcere, un nuovo manicomio e una nuova casa di correzione (64).
Se i costi dell'applicazione delle riforme non fossero stati troppo elevati, sarebbero state certo costruite altre prigioni. Le spese includevano infatti non solo il materiale di costruzione, ma anche gli stipendi per il personale, l'acquisto di uniformi e di quanto serviva per i letti e il cibo dei detenuti. Con il vecchio sistema di esazioni gran parte dei costi di gestione era stata sostenuta dai detenuti stessi. Quando i magistrati riformatori pensarono di trasferire tale onere alla contea sollevarono l'indignazione dei contribuenti. A Bristol, ad esempio, il sindaco propose di costruire un nuovo carcere sul modello dei penitenziari ottenendo solo di essere minacciato da una folla scontenta. Egli venne schernito da caricature distribuite per tutta la città e in cui era ritratto mentre gridava ai consiglieri cittadini: «Avrò un carcere, avrò un carcere e maledetti loro, li tasseremo di generazione in generazione», mentre due prelati che giocavano a carte gli baciavano il posteriore (65). Nelle contee che avevano costruito penitenziari tuttavia l'allarme per l'ondata di crimini durante gli anni Ottanta e per le epidemie di tifo fu sufficientemente forte per sopraffare queste obiezioni di natura fiscale.

5. Fra le nuove carceri di contea le più note e importanti erano quelle del Gloucestershire. Esse rappresentavano l'attuazione più completa dell'ideale carcerario del periodo e un esempio significativo delle difficoltà incontrate nella contea per mettere in pratica tali idee.
Le prigioni del Gloucestershire erano opera di un solo uomo, Sir George Onesiphorus Paul (66). I suoi antenati erano commercianti ugonotti, che, stabilitisi nell'ovest del paese dopo il 1685, si erano arricchiti con il commercio della lana. Il padre di Paul era un pittoresco commerciante di tessuti che aveva fatto fortuna, coronando la propria rapida ascesa sociale con l'elevazione a baronetto nel 1760. G. O. Paul era nato nel 1746 e, dopo un periodo poco proficuo a Oxford e un anno dedicato al "Grand Tour", si stabilì a Londra dove condusse la vita dissipata di un giovane gentiluomo cittadino. Alla morte del padre, nel 1774, ereditò il titolo di baronetto, affittò la manifattura della lana e si stabilì nella proprietà del padre. Nel 1780 Paul funse da sovrintendente a riunioni e banchetti tenuti nella contea a sostegno della campagna di Christopher Wyvill per una moderata riforma parlamentare e una restrizione della spesa pubblica. Al pari di Howard, anche Paul dovette nutrire ambizioni politiche, ma il suo tentativo di entrare in parlamento in appoggio alla politica whig venne frustrato perché la sua fama di radicale suscitò lo scontento dei notabili della contea. Respinto in questo campo, Paul decise di farsi un nome come giudice locale.
Dopo Howard, egli fu il riformatore più noto della sua generazione, un amministratore instancabile e tirannico che da solo trasformò il penitenziario di Gloucester in un modello per le prigioni di tutto il paese. I suoi principi sulla disciplina non furono applicati solo nelle carceri: egli era di frequente consultato sulla gestione di ospedali e dispensari e nel 1807 lanciò una campagna parlamentare per la creazione di un sistema di manicomi di contea per i poveri. Il suo interesse per i malati di mente derivava naturalmente da quello per la disciplina carceraria. Molti di questi malati erano infatti rinchiusi in carcere per mancanza di istituzioni alternative e, poiché il loro comportamento eccentrico e turbolento infrangeva qualsiasi tentativo di imporre una rigida disciplina ai detenuti, Paul cominciò a pensare a istituzioni dedicate specificamente a loro (67). La sua opera maggiore fu tuttavia il penitenziario eretto sulle rive del Severn a Gloucester.
Quando Howard aveva visitato la prigione del castello di Gloucester nel 1779, aveva visto una «stanza stretta e buia» in cui i criminali passavano la notte, con un pavimento «tanto malandato da non poter essere lavato». I prigionieri già condannati e quelli in attesa di giudizio non erano tenuti separati e uomini e donne potevano avere «rapporti licenziosi» che Howard trovava «disgustosi per la decenza e l'umanità». Ogni tentativo da parte del cappellano di promuovere la rieducazione dei detenuti era reso vano «dalla trascuratezza dei magistrati e dal loro disinteresse a provvedere e far rispettare buone regole» (68).
Al pari di molte altre contee, Gloucester si trovò sommersa di detenuti in seguito alla sospensione delle deportazioni. Nel 1783 Paul, nella sua qualità di capo dei giurati, fece appello al ministro degli Interni perché venissero trasferiti i prigionieri in attesa di essere inviati nelle colonie, in quanto erano «tanto numerosi e disperati che è impossibile garantire una custodia sicura» (69). Il sovraffollamento fu ben presto accompagnato da un'epidemia di tifo che si sparse oltre le mura, nei dintorni della prigione (70). Questo disastro, insieme con la prolungata inazione di Whitehall, convinse i magistrati a ricostruire tutti gli stabilimenti penali della contea sulla base del Penitentiary Act. William Blackburn, l'architetto che aveva vinto il concorso per il fallito penitenziario nazionale, ricevette il contratto per le prigioni di Gloucester e a Paul venne affidata la direzione del progetto.
Le cinque nuove case di correzione e la nuova prigione di contea, inaugurate nel 1792, costarono alla contea 46000 sterline. Esse potevano ospitare 400-500 detenuti, quattro volte la capienza dei vecchi edifici. Nessuna altra contea attuò una «riforma» su questa scala (71).
La prigione di contea di Gloucester consisteva di tre parti: un carcere per detenuti in attesa di giudizio, una casa di correzione per delinquenti minori e un penitenziario, un alveare di celle su tre piani costruito attorno a diversi cortili cintati, destinati all'esercizio fisico. Vi erano 52 celle per la notte e 52 per il giorno, ciascuna di 3 per 2,5 metri. I corridoi e i portoni erano bassi e stretti (1,70 per 0,65) per rendere più difficili tentativi improvvisi di fuga (72).
Paul si preoccupò di rassicurare i magistrati del Gloucestershire che la riforma carceraria non avrebbe sminuito il potere deterrente delle pene:

«Non appartengo al novero di coloro che per una inopportuna tenerezza di cuore vorrebbero abolire i giusti terrori della legge. Sono ben lungi dal pensare che le prigioni debbano essere luoghi confortevoli, devono essere luoghi di vero terrore» (73).

Dopo un decennio di aumento del tasso di criminalità e di sovraffollamento nelle carceri, Paul doveva dimostrare a colleghi scettici che la riforma poteva conciliare «il terrore» e «l'umanità». Egli doveva trovare il modo di accrescere la severità delle pene senza compromettere la loro legittimità agli occhi dei criminali e dell'opinione pubblica. Il penitenziario di Gloucester rappresentò il tentativo di riconciliare nella pratica questi due elementi opposti. Presupposto dell'applicazione di una disciplina carceraria era l'introduzione di norme igieniche. Quando scoppiò un'epidemia di tifo nel castello di Gloucester nel 1784, Paul sapeva già, grazie ai suoi stretti rapporti con esperti di igiene quali Thomas Percival, che i mezzi per prevenire il ripetersi di simili casi erano disponibili. La difficoltà stava nel convincere i suoi colleghi magistrati che l'introduzione di bagni, uniformi, infermerie per i malati, visite mediche regolari, cibo migliore e mura a calce non avrebbe compromesso il carattere della pena detentiva. La soluzione di Paul stette nel convincere questi magistrati che le norme igieniche potevano avere funzione punitiva. Ad esempio, in un rapporto ai giudici del 1784, egli suggeriva che la testa dei detenuti fosse rasata sia come misura d'igiene sia come salutare umiliazione:

«Considero la rasatura della testa una norma importante primo perché infallibilmente ripulisce la parte più sporca di una persona e poi perché è il solo mezzo per prevenire l'introduzione di parassiti nel letto. In secondo luogo trasforma l'apparenza abituale di una persona e serve a impedire che i prigionieri siano riconosciuti al loro ritorno in società da quegli estranei che quotidianamente li vedono da lontano mentre camminano nei cortili. In terzo luogo perché la rasatura della testa, essendo una mortificazione per il delinquente, diviene una punizione diretta alla mente, ed è (almeno così penso) un'alternativa accettabile alle pene corporali che questo sistema vuole abolire» (74).

Le visite mediche che accompagnavano l'ammissione al penitenziario avevano quindi uno scopo non dichiarato, ma evidente, di umiliazione. Al loro arrivo a Gloucester i condannati erano fatti spogliare, sondati e sottoposti ad altri esami medici, quindi venivano fatti lavare, rasare e rivestire di un'uniforme. Questa sorta di rito purificatorio li ripuliva di parassiti e di sporcizia e li privava inoltre di quegli elementi d'identità che li qualificavano come individui. La personalità dei condannati era ricostituita nella spettrale uniformità caratterizzata da capelli rasati e uniformi. Le modalità d'ammissione ricordavano in modo indiretto ai prigionieri il potere dello stato di sottoporre a controllo qualsiasi elemento esterno della loro identità. Allo stesso modo la pulizia e le ispezioni igieniche quotidiane avevano non solo lo scopo di prevenire malattie, ma anche di ribadire l'autorità dello stato nel regolare ogni aspetto della vita all'interno dell'istituzione, non importa quanto insignificanti.
Le pratiche igieniche erano considerate riformatrici anche ad un altro livello. La pulizia era vista come la manifestazione esteriore di un ordine interno, la sporcizia, al contrario, era considerata un segno di irresponsabilità e indisciplina. Quindi, come sosteneva Paul, «vi era un fine morale oltre che fisico da favorire» con le regole igieniche (75). Se si poteva insegnare ai prigionieri ad essere puliti, essi avrebbero appreso anche il valore di una vita metodica e ordinata.
Altre misure per la protezione della salute dei detenuti avevano fini disciplinari e correttivi. Paul insisteva per motivi medici perché la contea garantisse a ciascun prigioniero una dieta regolare. Per rassicurare i propri colleghi che ciò non avrebbe mutato la prigione in un rifugio per i poveri affamati, egli faceva notare i vantaggi disciplinari che sarebbero derivati da una dieta fornita dalla contea. Nelle vecchie prigioni i detenuti dipendevano quanto al cibo dalle proprie famiglie e dai propri amici e di conseguenza le autorità erano costrette a concedere libero accesso ai cortili delle prigioni a questa gente. Se la contea stessa avesse fornito i viveri, sosteneva Paul, sarebbe stato possibile tagliare i legami fra i prigionieri e il mondo esterno.
Un'alimentazione fornita dalla contea perciò era parte di una serie di pratiche intese a isolare i detenuti dal loro precedente ambiente sociale. A Gloucester venne costruito un muro alto 5,50 metri attorno alla prigione e i visitatori dovevano chiedere ai magistrati per iscritto il permesso di entrare. Non era consentito introdurre cibo, biancheria, libri o mobili dall'esterno.
Il penitenziario applicava una nuova concezione di separazione sociale fra il «criminale» e chi osservava la legge. Murati dentro Gloucester, i «devianti» perdevano quel precario titolo di appartenenza alla società conferito dal libero accesso dalla strada alla vecchia prigione, tollerato in passato (76).
L'isolamento era considerato la condizione preliminare per la rieducazione morale in quanto privava i detenuti dell'appoggio degli ambienti criminali esterni. Un altro elemento di riforma era la solitudine. Isolamento e solitudine miravano a sottrarre il controllo della prigione alla subcultura carceraria, reintegravano il controllo statale sulla coscienza dei criminali, dividevano i detenuti in modo che potessero essere sottomessi con maggior efficacia, privandoli della possibilità di opporsi sia nel pensiero sia nell'azione. La solitudine aveva lo scopo di sottrarre il detenuto alle distrazioni e alle tentazioni dei sensi. Solo quando mura di pietra e portoni di ferro avevano respinto all'esterno tali tentazioni, la voce della coscienza poteva cominciare a far sentire la propria influenza. L'entusiasmo di Paul per la solitudine era tanto grande che egli fece scolpire la parola stessa nella pietra sull'entrata delle nuove carceri. I prigionieri del penitenziario di Gloucester dormivano in celle individuali e lavoravano in altre celle singole situate presso quelle in cui trascorrevano la notte. Essi erano lasciati uscire solo per prendere aria una volta al giorno in recinti posti nel cortile del carcere, sotto gli occhi di un guardiano che doveva «controllare che essi non si fermassero e rendessero vano lo scopo dell'esercizio oziando in gruppi a complottare e conversare» (77).
Va notato che lo stesso Howard era stato molto più cauto nel suggerire l'uso della pratica della solitudine di quanto lo sarebbero stati i suoi ammiratori nei tribunali di contea. Egli credeva che la solitudine dovesse essere interrotta da lunghi periodi di lavori e esercizi in comune, poiché temeva che una solitudine prolungata potesse spezzare lo spirito dei detenuti, spingendoli verso
«l'insensibilità o la disperazione» (78). Nondimeno in almeno tre contee, Gloucestershire, Sussex e Berkshire, i prigionieri erano rinchiusi in celle singole per tutto il giorno eccetto che per due ore. A Reading essi prendevano aria da soli in recinti comunicanti con ciascuna cella. Quando Howard visitò la prigione, espresse con vigore la propria disapprovazione al proposito ai giudici del Berkshire e raccomandò loro di moderare questo regime con l'introduzione di esercizi comuni. Le sue rimostranze non parvero ricevere attenzione; egli era riuscito fin troppo bene a convincere i magistrati dei pericoli di «associazione» fra criminali ed essi ora invocavano i suoi principi per ignorare le sue espressioni d'allarme di fronte alla loro severità (79).
Se si considera l'atteggiamento intransigente dei magistrati durante gli anni Novanta, fu una fortuna per i prigionieri che risultasse impossibile adottare in pieno il sistema di isolamento. Uno dei motivi era il sovraffollamento. Di fronte al rapido aumento delle detenzioni durante gli anni di carestia 1798-1801, molte delle prigioni attrezzate con celle divennero talmente affollate che due, e a volte tre, prigionieri erano rinchiusi nella stessa cella. A Gloucester, Paul riuscì a far fronte al problema inviando, nel 1801, prigionieri eccedenti dal penitenziario alle case di correzione della contea. Nel 1817 però l'enorme incremento delle detenzioni dopo le guerre napoleoniche costrinse ad abbandonare la pratica di una rigorosa solitudine anche a Gloucester. Come nel 1798-1801, due o tre prigionieri erano sistemati in celle costruite per una sola persona e il lavoro in comune venne introdotto al posto del lavoro nelle celle (80). Paul scoprì che era impossibile impedire ai prigionieri di comunicare nei cortili o attraverso le mura anche quando la prigione non era sovraffollata.
Per quanto il regime d'isolamento fosse giustificato come umanitario e riformatore di fronte ai prigionieri, alcuni di loro rimasero ostinatamente scettici. E' sempre difficile convincere qualcuno che una pena viene imposta per il suo «migliore interesse». A Gloucester il ritmo quotidiano era spesso interrotto da disordini. I prigionieri rifiutavano di lavorare e chiedevano ad altri di deporre gli attrezzi. Un certo Benjamin Cattle venne mandato nelle celle sotterranee «per aver detto la notte scorsa alla chiusura che, anche se fosse stato dannato, non avrebbe mai fatto un altro giorno di lavoro in questa prigione» (81). Nel 1815 pare si verificasse una rivolta in piena regola, repressa da Paul, nonostante i suoi scrupoli per le punizioni corporali, con l'ordine di infliggere trentasei colpi di frusta ai colpevoli (82).
Gli sforzi di Paul erano frustrati non solo dalle resistenze dei detenuti, ma anche dall'inefficienza del personale di custodia. Egli aveva sperato di sostituire la «discrezione incontrollabile» dei vecchi carcerieri con un «moderato governo di regole» (83), ma questo nuovo tipo di gestione richiedeva anche un diverso personale. Come egli disse,

«Era uno dei nostri principali desideri sostituire la "razza" o tipo di uomini scelti normalmente come carcerieri di una prigione, il cui nome e la cui carica erano connesse a idee di crudeltà e tirannia e oppressione tanto che gran parte della nostra impresa consisteva nel convincere la gente che il nesso non era inevitabile» (84).

I rappresentanti del nuovo tipo di disciplina, comprese Paul, dovevano essere in grado di assumere un atteggiamento di rigido autocontrollo nell'adempimento dei loro compiti:

«L'umanità del carceriere dovrebbe essere il risultato di freddezza di carattere più che l'effetto di una sensibilità spontanea... Egli dovrebbe essere dotato di una pazienza tale che neanche l'ostinazione più pertinace potrebbe vincerlo, di un senso d'ordine metodico, più meccanico che calcolato, quali pochi uomini raggiungono se non con una lunga abitudine alla subordinazione e all'obbedienza. Tali uomini... potranno essere rinvenuti se cercati in professioni in cui le passioni sono abitualmente soggiogate dalla disciplina» (85).

L'intuizione per cui la disciplina è meglio esercitata da chi già ne porta il segno indusse Paul a costituire i suoi quadri fra sottoufficiali e ufficiali a mezza paga, poiché nell'esercito «le passioni sono d'abitudine soggiogate alla disciplina» (86).
Paul aveva uno scopo razionale, perfino umanitario, nell'insistere perché i custodi adottassero una maschera di glaciale distacco nel trattare con i detenuti: la loro stessa freddezza li avrebbe trattenuti dall'essere crudeli o corrotti. Nelle istruzioni da lui impartite al direttore del penitenziario, lo ammoniva di «guardarsi da ogni impulso di risentimento personale». Non dovrebbe mai essere necessario, affermava Paul, colpire un detenuto o rivolgersi a lui con «un tono violento o insolente». Il direttore dovrebbe «comandare con moderazione, applicare la propria autorità con fermezza e punire la resistenza senza favoritismi o parzialità» (87). Paul lo avvertì che avrebbe perso il rispetto dei detenuti qualora si fosse abbassato ad adottare un atteggiamento negligente, familiare o in qualche modo «personale»:

«L'autorità deve basarsi o sulla paura delle punizioni o sul rispetto per i superiori che la esercitano... Il problema sta nel modo con cui questa forza d'opinione deve essere imposta alla mente degli uomini. Forse con una conversazione familiare? Pochi uomini parlano abbastanza bene da imporre rispetto agli ascoltatori, mentre ciascuno può imporlo con il silenzio e la riservatezza» (88).

Nella concezione di Paul, l'incontro fra il guardiano e il detenuto doveva essere in sommo grado formale: il direttore sull'attenti, in uniforme, a simbolizzare sia la sua autorità sia la sua subordinazione allo stato, doveva dare comandi uniformi e chiari; il prigioniero, in uniforme a simboleggiare la sua sottomissione, in atteggiamento rispettoso, irrigidito nell'attesa di un ordine. Durante questo incontro il detenuto non doveva avere il diritto di fare rimostranze o avviare dispute:

«I prigionieri devono comprendere che una rassegnazione tranquilla alle regole e agli ordini... e una sottomissione modesta alle guardie... costituiranno il loro solo diritto a pretendere qualsiasi protezione dai magistrati» (89).

Quale manifestazione del potere statale, la disciplina del penitenziario contrastava grandemente con la pratica delle punizioni pubbliche. Mentre queste conferivano sia al pubblico sia al criminale un ruolo che lo stato non poteva controllare, l'applicazione di norme di disciplina non lasciava questa opportunità, in quanto avveniva in privato, dietro le mura del carcere e secondo quanto era stato stabilito dallo stato. Il detenuto poteva ancora sfidare tali norme, ma non poteva contare sull'appoggio della folla. La disciplina quindi costituiva un nuovo rituale da cui il pubblico era escluso. Contrariamente al condannato di una volta, il detenuto era costretto al silenzio e anche se urlava nessuno lo poteva udire.
E' ovvio che questa visione di un rituale di disciplina perfettamente impersonale non poteva essere attuato nella pratica. Paul era continuamente frustrato dall'impossibilità di rinvenire personale dotato delle necessarie qualifiche. Gli ufficiali a mezza paga continuavano a considerare l'impiego nelle carceri indegno della propria condizione di gentiluomini e durante gli anni di guerra i sottufficiali erano scarsi. Paul fu costretto a servirsi di persone che, secondo le sue parole, «non avevano concepito una chiara idea delle regole» o «che avevano dubbi su se stessi», cosa che rendeva i loro ordini «incerti» (90).
I primi resoconti di Paul sulla gestione del penitenziario erano una litania di fallimenti:

«Vi è ancora un'abitudine sconsiderata e sfrenata a conversare familiarmente con i prigionieri che preclude l'idea di solitudine e silenzio e sminuisce la stima e il rispetto per l'autorità il cui mantenimento renderebbe invece del tutto inutili sistemi di disciplina più duri...
I prigionieri in genere non si sono comportati con il dovuto rispetto per il regolamento...
La prigione è... assai lontana dal rispetto delle regole per quanto riguarda la pulizia...» (91).

Egli rimproverò il primo direttore del penitenziario per non essere riuscito a ottenere il rispetto dei prigionieri e l'obbedienza dei propri subordinati. Costui diede le dimissioni e Paul dovette licenziare diversi carcerieri delle case di correzione insieme a vari guardiani e sorveglianti.
Altri riformatori locali incontrarono difficoltà simili nel trovare uomini in grado di imporre la nuova disciplina. L'incarico richiedeva mentalità e qualità estranee alla maggior parte dei sottufficiali, piccoli commercianti e osti che si presentarono per ricoprirle. In pratica avveniva spesso che il personale delle vecchie prigioni fosse semplicemente trasferito nelle nuove istituzioni. I magistrati dello Staffordshire, ad esempio, furono costretti a nominare nuovamente il carceriere della prigione di Stafford, un ubriacone analfabeta e incompetente, perché dirigesse il nuovo penitenziario e passarono due anni prima che riuscissero a trovare un sostituto soddisfacente (92). Il personale delle vecchie prigioni, una volta trasferito nelle nuove, non riusciva ad adattarsi alla nuova disciplina o cercava attivamente di sabotarne l'applicazione. Il vecchio carceriere di Oxford, Solomon Wisdom, messo a dirigere la nuova prigione, trovava particolarmente gravose le regole igieniche. Quando il cancelliere del tribunale gli ordinò di far rimuovere un carico di letame dal centro del cortile del carcere, egli si rifiutò e incaricò un detenuto per debiti di disegnare una caricatura del funzionario. Wisdom appese alla porta principale della prigione il poco lusinghiero ritratto che mostrava il cancelliere in cima al mucchio di letame in atto di dire: «Sono il gallo di questo letamaio, maledizione!» (93). I magistrati dimostrarono di non essere divertiti e ordinarono il licenziamento di Solomon, informandolo che «la sua condotta in generale... era stata contraria ad ogni progetto di riforma di recente introdotto dai magistrati nel detto carcere».
La frustrazione dei riformatori nel trattare con il personale di custodia ricorda le difficoltà incontrate dai primi imprenditori che si trovarono ostacolati da una mancanza cronica di capiofficina e dirigenti per le loro fabbriche. La carriera rapidissima di Robert Owen, non ancora trentenne, nella direzione delle fabbriche di Drinkwater, fu resa possibile in larga misura dal fatto che pochi avevano le sue attitudini alla disciplina (94). Altri imprenditori, non potendo trovare subalterni come Owen, erano costretti a sorvegliare direttamente il personale. Josiah Wedgwood, ad esempio, passava fra le ceramiche distruggendo i prodotti imperfetti e sorvegliando ogni mossa dei suoi operai. Egli comprese che, per quanto chiare fossero le sue istruzioni, solo la sua presenza continua poteva mantenere la produzione ad alti livelli (95).
Al pari di Wedgwood, Paul scoprì che l'applicazione del regolamento si allentava ogni volta che egli distoglieva la propria attenzione. Solo a forza di costante sorveglianza, il personale di Gloucester era indotto a svolgere i suoi compiti. Paul scoprì inoltre che poteva contare solo su pochi fra i propri colleghi del tribunale per la sorveglianza e l'ispezione. I giudici, non meno dei carcerieri, trovavano che il nuovo sistema richiedeva un'assiduità gravosa. Paul non esitò a rimproverarli per la loro indifferenza:

«Non posso dire che gli altri giudici effettuino ispezioni secondo le mie aspettative. La giuria di un'assise e i giudici di due tribunali trimestrali si sono lasciati senza aver effettuato ispezioni, un'omissione che non può mancare di recare grave danno alle speranze nutrite dall'opinione pubblica» (96).

Da quando aveva inaugurato il penitenziario nel 1792 sino alla data del suo ritiro nel 1818, Paul resse personalmente il peso amministrativo del sistema carcerario della contea, controllando i conti dei carcerieri, visitando gli edifici, ispezionando fogne, pesando pane, rimproverando e ammonendo costantemente il personale di custodia. Quando fu troppo vecchio per continuare, nessuno fu disposto ad assumersi il compito di far funzionare a pieno regime questo meccanismo. Un forte sovraffollamento costrinse all'abbandono di un rigoroso isolamento subito dopo il ritiro di Paul. Nello stesso tempo la crescente meccanizzazione dell'industria laniera del Gloucestershire consentì agli imprenditori di fare a meno dei detenuti per la preparazione di lana grezza. Di conseguenza il regime dei lavori forzati cadde in disuso. Con gli anni Venti dell'Ottocento il sistema disciplinare ideato da Paul era in rovina (97). Le sue idee non andarono interamente perdute: nel rapporto steso nel 1838 con cui consigliavano la costruzione di Pentonville, gli ispettori carcerari Crawford e Russell citavano l'esperimento di Gloucester quale importante anticipazione delle loro proposte di isolamento (98); in effetti nel regime introdotto a Pentonville vi era ben poco che Paul non avesse previsto cinquant'anni prima.
La costruzione delle nuove prigioni ebbe poi un effetto duraturo sul tipo di sentenze emesse dai magistrati del Gloucestershire. L'aumento di quattro volte della capienza delle carceri rese loro possibile ricorrere molto più spesso alla detenzione. Un confronto fra le sentenze emesse a Gloucester nel 1805 con quelle emesse dai giudici del Middlesex nello stesso anno indica che i magistrati del Gloucestershire comminavano periodi di detenzione per delitti che i loro colleghi del Middlesex punivano con la deportazione. Ciò rispecchierebbe sia la loro fiducia nelle nuove prigioni sia la consapevolezza dell'aumentata capienza delle stesse.
Furono però soprattutto le pene inflitte per delitti non gravi a mutare con l'avvento dei nuovi istituti di pena. Paul voleva che essi costituissero uno sprone per una caccia più sistematica ai delinquenti minori. Era una «clemenza malriposta» sosteneva nel 1784 «considerare degni di attenzione solo i criminali maggiori». Se lo scopo della punizione era la redenzione, come effettivamente dovrebbe essere, allora diveniva necessario cominciare a correggere le «prime trasgressioni»: «Pochi uomini, impiccati per qualche delitto, non sarebbero potuti essere recuperati alla società con la correzione di un precedente crimine» (99).
Paul proponeva di sostituire alle sentenze occasionali e arbitrarie di fustigazione, inflitte a delinquenti minori, periodi brevi, ma duri, di detenzione e isolamento. Lo studio da lui effettuato sulle detenzioni nella contea fra il 1792 e il 1809 mostra come sui delinquenti minori ricadesse il peso di questo nuovo tipo di severità (100). Oltre il 70% di tutte le detenzioni era connesso alla categoria dei delitti non gravi, fra cui i più frequenti erano le «rotture di contratto in agricoltura», definizione vaga che comprendeva atti di disobbedienza dei salariati agricoli verso il datore di lavoro, come fughe, rotture o violazioni di contratto, sottrazioni di utensili, uso di linguaggio offensivo o rifiuto di eseguire ordini. Le nuove prigioni servivano poi per punire «delitti nella manifattura laniera», la principale attività della contea. Questi delitti comprendevano la sottrazione di strumenti e materie prime da parte dei lavoratori a domicilio. Invece di essere fustigati, multati o puniti privatamente, i lavoratori erano ora mandati in prigione.
I datori di lavoro dovettero apprezzare le nuove, severe pene contro l'appropriazione indebita, poiché gli anni Ottanta del Settecento furono, secondo quanto scrisse il maggiore storico dell'industria, un periodo di «crescente asprezza nei rapporti fra lavoratori e imprenditori tessili» (101). Dopo il 1750 molti padroni ridussero i prezzi e assunsero persone che non erano state adeguatamente preparate a lavorare ai telai posti nei capannoni industriali. I tessitori si rivolsero invano al parlamento e alla magistratura perché facessero rispettare la regolamentazione dei salari e le clausole dello Statuto degli Apprendisti. Nello stesso tempo i datori di lavoro formarono comitati per finanziare le cause per malversazioni e la ricerca di beni indebitamente sottratti. In un clima di rapporti che si venivano deteriorando, l'apertura di nuove carceri forniva ai datori di lavoro uno strumento ulteriore nella lotta contro l'indipendenza dei lavoratori a domicilio.
Paul osservò che dopo l'inaugurazione delle nuove prigioni, gli imprenditori tendevano a condurre i servitori disobbedienti davanti al tribunale invece che punirli personalmente in privato (102). Era un segno del passaggio del controllo sociale dall'imprenditore allo stato, quale intermediario «neutrale». Dapprima solo Paul parve accorgersi del mutamento, ma con gli anni Venti dell'Ottocento i magistrati di altre contee si resero conto di essere chiamati con sempre maggior frequenza a sostenere con le proprie sentenze i datori di lavoro locali.
A Gloucester le possibilità offerte dalle nuove prigioni consentirono ai magistrati di sostituire con la detenzione la fustigazione quale pena per il vagabondaggio, le forme minori di bracconaggio e certi furti minori come quelli di rape dai campi o la raccolta di legna nelle foreste. Paul riconosceva che questi furti, più numerosi dopo ogni aumento del prezzo del pane, erano provocati dalla «pressione di circostanze d'indigenza». Gli anni Novanta rappresentarono «il periodo peggiore nella storia dei lavoratori del Gloucestershire», essendo il prezzo del grano salito da 75 scellini ogni tre ettolitri nel 1795 a 119 scellini nel 1801. La magistratura non poteva che rallegrarsi di avere a disposizione un nuovo strumento di repressione durante questi anni difficili (103).
Le nuove carceri avevano inoltre un ruolo anche nell'applicazione della disciplina familiare. Dopo la loro inaugurazione le detenzioni per l'abbandono della famiglia e per la procreazione al di fuori del matrimonio aumentarono notevolmente, in gran parte perché i funzionari parrocchiali decisero che rappresentavano una punizione molto più severa della reclusione nelle locali case di correzione. Paul pensava che lo zelo di questi funzionari fosse eccessivo e citò al proposito ciò che una donna indignata gli aveva detto quando era stata condannata per aver avuto un figlio illegittimo; perché, chiese, «l'uomo che l'aveva sedotta non era imprigionato insieme a lei?»; Paul poté solo risponderle: «Perché non erano le donne a legiferare e gli uomini erano funzionari parrocchiali» (104).
Le donne con figli illegittimi, i salariati agricoli che rubavano rape, i tessitori che rubavano filato ai propri padroni, gli apprendisti fuggiaschi erano il principale obiettivo della nuova strategia di giustizia sommaria resa possibile dalle nuove prigioni del Gloucestershire. Qualunque fosse lo scopo che Paul si era prefisso con la sua riforma, le nuove carceri di fatto continuarono ad esercitare le funzioni previste dalla precedente legislatura, seppur con rinnovato vigore: penalizzare il passaggio dal lavoro al crimine e far rispettare l'autorità di proprietari, datori di lavoro e funzionari parrocchiali.

6. Oltre al penitenziario di Gloucester, il simbolo più inquietante degli entusiasmi disciplinari dell'epoca era il progetto di carcere ideato da Jeremy Bentham e chiamato Panopticon o Inspection House. Dopo la pubblicazione del suo progetto nel 1791, Bentham avviò una campagna di propaganda fatta di lusinghe, adulazioni e vessazioni, durata vent'anni, per convincere i ministri del re ad approvare la sua costruzione e a porre lui stesso al suo centro, come disse Edmund Burke, quale ragno nel mezzo di una tela (105).
Bentham era stato attratto per la prima volta dalle istituzioni totali tramite la lettura delle prime stesure della legge di Howard per «case di lavori forzati». Il progetto del Panopticon si può considerare un tentativo da parte sua di rimettere in piedi l'idea di un penitenziario nazionale. Modello ne era la fabbrica che suo fratello Samuel aveva eretto in Russia per Caterina la Grande. Si trattava di un alveare circolare a più piani composto di celle aperte attorno a una torre centrale d'ispezione; di questa torre in cui i prigionieri non potevano guardare, ma dalla quale i carcerieri vedevano chiaramente dentro ciascuna cella, lo sguardo infaticabile e repressivo dell'autorità spaziava tutto attorno. Una simile sorveglianza incessante avrebbe represso efficacemente i contatti clandestini fra i prigionieri e avrebbe reso superflue catene e altre forme di controllo. I detenuti avrebbero dovuto lavorare fino a sedici ore al giorno nelle proprie celle e tutti i proventi andare all'appaltatore privato, lo stesso Bentham, che avrebbe diretto l'istituzione. Bentham prevedeva con soddisfazione i vantaggi, in termini di concorrenza, rispetto a imprenditori costretti a contare sulla mano d'opera libera:

«Quale ascendente può avere un altro imprenditore sui propri operai in confronto a quello che il mio imprenditore avrà sui suoi? Quale altro padrone può ridurre i propri operai, se sono oziosi, a un punto prossimo all'inedia senza che essi se ne vadano altrove? Quale altro padrone ha uomini che non possono mai ubriacarsi a meno che egli stesso lo decida? E chi, lungi dal poter aumentare il proprio salario grazie all'associazione con altri operai, è obbligato a prendere qualsiasi elemosina il padrone ritiene opportuno passargli secondo i propri interessi?» (106).

Contemporaneamente Bentham insisteva perché non vi fossero interferenze da parte delle autorità in quanto sosteneva che una regolamentazione statale era inutile: era interesse dello stesso appaltatore mantenere la forza-lavoro in buone condizioni di salute perché fosse in grado di produrre, come pure era contro il proprio interesse eliminare il terrore della pena con eccessive concessioni. Il meccanismo del libero mercato doveva quindi essere messo in condizione di regolare senza intralci il grado di terrore e di umanità all'interno delle mura del Panopticon, che andava gestito come un'impresa capitalistica.
Una simile concezione dell'amministrazione carceraria, anche se rivestita del nuovo linguaggio dell'economia politica, non era certo nuova: essa ricalcava l'adattamento del sistema di contratto praticato in molti ospizi e case di correzione dalla fine del Diciassettesimo secolo. In base a questo sistema gli imprenditori, soprattutto quelli dell'industria tessile, trattavano con i magistrati per il diritto di sfruttare il lavoro delle persone rinchiuse nelle case di correzione. In genere la contea pagava il cibo per i detenuti. L'affare si rivelava di rado proficuo per gli appaltatori, sia perché essi non avevano le capacità di dirigere un'estesa divisione del lavoro sia perché la qualità stessa del lavoro dei detenuti era bassa. Gli appaltatori disonesti si rifacevano intascando parte dell'indennità concessa per il cibo dalla contea. I detenuti naturalmente subivano le conseguenze di questo furto. Nel 1782 l'opposizione al sistema di appalti riuscì a far approvare leggi che lo proibivano completamente (107), ma il principio per cui le istituzioni pubbliche non dovevano essere gestite come imprese capitalistiche non venne accolto definitivamente che dopo il rigetto del programma di Bentham.
Questi tentò di rispondere alle obiezioni al sistema di appalto prevedendo due forme di controllo alla discrezionalità degli appaltatori. Anzitutto egli ammetteva l'accesso illimitato del pubblico alla torre centrale di ispezione, in modo che esso potesse controllare in qualsiasi momento l'appaltatore e il suo personale. Il secondo tipo di controllo era di natura fiscale. Per garantire che non avrebbe fatto lavorare i detenuti fino allo stremo delle forze, Bentham propose di pagare allo stato una somma globale di cinque sterline per ogni decesso avvenuto in carcere al di là del tasso medio di mortalità annua a Londra. Riconoscere la necessità di questo tipo di controllo tuttavia significava ammettere che gli scrupoli morali dovevano essere rafforzati dall'interesse economico.
Contrariamente ad altri riformatori, Bentham non credeva che la discrezione del personale di custodia dovesse essere regolata e sottoposta a controllo. Egli riteneva che i carcerieri avrebbero osservato le regole solo se ciò fosse stato nel loro interesse (108). Era inoltre scettico sulla nomina di ispettori esterni che sorvegliassero la condotta del personale carcerario. Egli prevedeva che gli ispettori sarebbero stati scelti da quel personale di custodia che avrebbero poi dovuto controllare. I regolamenti e le ispezioni non erano sufficienti; era necessario in aggiunta che si ideasse un sistema di pene e di ricompense pecuniarie per fare in modo che l'interesse del personale coincidesse con i loro doveri professionali. Bentham era eccessivamente ottimista nei riguardi del Panopticon. Non solo le prigioni, ma anche le scuole, i manicomi, le fabbriche, le case di correzione e gli ospedali, egli insisteva, potevano essere gestiti in base al «principio d'ispezione». La struttura dell'edificio avrebbe garantito che, chiunque lo dirigesse, i detenuti sarebbero stati sottoposti a una sorveglianza costante, proprio come il sistema di gestione per appalto avrebbe garantito, grazie agli incentivi e alle penalizzazioni, che il controllo dei poveri non sarebbe avvenuto a spese dello stato. Bentham esclamava:

«Morale emendata, salute preservata, industriosità rinvigorita, istruzione diffusa, carichi pubblici alleggeriti, economia rinsaldata come se fosse posta su di una roccia, il nodo gordiano delle leggi sui poveri non tagliato ma sciolto, tutto grazie a un semplice progetto d'architettura!» (109).

Il governo però continuò a non lasciarsi impressionare dalla sua idea e, dopo vent'anni di complessi negoziati, Bentham abbandonò disgustato il progetto.
Il rifiuto definitivo venne nel 1810. Il comitato della Camera dei Comuni, riunitosi per considerare le sue proposte, si lasciò influenzare dalle obiezioni di G. O. Paul il quale sosteneva che Bentham aveva posto troppa enfasi sullo sfruttamento del lavoro forzato. I penitenziari non erano industrie, insisteva Paul, ma luoghi di redenzione religiosa. «L'utilizzazione dei prigionieri... è indispensabile ma secondaria rispetto al grande fine della riforma tramite la reclusione» (110). Secondo la sua concezione, il lavoro era una punizione per il peccato più che una merce da sfruttare per estrarne un profitto. Era più importante, egli sosteneva, insegnare ai detenuti il valore morale del lavoro piuttosto che ricavare denaro dalle loro fatiche. Paul avvertì che «la rieducazione dei criminali» sarebbe divenuta una «preoccupazione secondaria» in ogni prigione «in cui tutti i poteri e l'influenza... sono nelle mani di persone che appaltano il lavoro manuale dei prigionieri». Paul sosteneva che Bentham aveva trascurato l'istruzione religiosa dei detenuti ed era inoltre pronto a sacrificare il regime d'isolamento qualora ciò fosse reso necessario dalle esigenze di un'estesa divisione del lavoro. Inoltre il sistema di gestione per appalto generava occasioni di corruzione e di discrezionalità eccessiva che avrebbero nuovamente introdotto i peggiori abusi del vecchio sistema. Il comitato della Camera dei Comuni accolse le argomentazioni di Paul, con grande ira e dispiacere di Bentham.
Il rigetto del Panopticon costituì un momento fondamentale nella storia delle prigioni. Respingendo l'idea di gestire le carceri come se fossero fabbriche, le classi dirigenti avevano rifiutato anche l'idea di modellare il rapporto d'autorità fra stato e prigioniero sulla base di quello esistente fra imprenditore e operaio. Ciò significava anche respingere l'uso di incentivi di mercato e di penalizzazioni per regolare i rapporti fra personale di custodia e detenuti.
In luogo della concezione di Bentham di un'autorità regolata da incentivi economici, i riformatori come Paul riuscirono a imporre un formalismo burocratico che considerava ispezioni e regolamento quali strumenti con cui proteggere i detenuti contro le crudeltà e garantire il rigore delle punizioni. Per gli oppositori del sistema d'appalto, la pena era una funzione sociale troppo delicata per essere abbandonata a imprenditori privati. Se si voleva che il potere statale conservasse la propria legittimità era essenziale che restasse incontaminato dalla macchia del commercio.
Anche se i principi del Panopticon furono respinti, il progetto esercitò una profonda influenza per quanto riguarda la struttura circolare adottata nel penitenziario di Millbank, i progetti di Bevan per un penitenziario giovanile nel 1817, la nuova prigione a Bury nel 1805 e altre carceri costruite dopo le guerre napoleoniche. Il maggior contributo di Bentham fu di aver ideato la struttura architettonica che meglio realizzava il desiderio dei riformatori di sottomettere i detenuti alla disciplina della sorveglianza.
Anche se le personali idiosincrasie di Bentham spingono a interpretare il Panopticon come il prodotto delle sue ossessioni, è innegabile che esso rappresentava di fatto una caricatura simbolica dei tratti che caratterizzavano il pensiero dell'epoca in materia disciplinare. Bentham nutriva certamente dubbi sul valore riformatore dell'isolamento e il suo sistema di gestione per appalto si scontrava con i principi di Paul sulla sorveglianza istituzionale. Inoltre egli non apprezzava la concezione dei riformatori secondo i quali la detenzione avrebbe rappresentato una punizione di tipo religioso. Nondimeno le affinità fra i penitenziari e il Panopticon sono più importanti delle differenze fra di essi.
Entrambi sostituivano pene intenzionali alle pene provocate dalla trascuratezza, l'autorità delle regole a quella della consuetudine, il regime di lavoro forzato al disordine dell'oziosità. In entrambi il criminale era separato dal mondo esterno da una nuova concezione che prevedeva uniformi, mura e sbarre. L'idea di entrambi era rappresentata dallo sguardo onnisciente sotto cui l'occhio dello stato, imparziale, umano e vigile, teneva il «deviante».

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