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Sorvegliare e punire Capitolo terzo.
Il panoptismo.

Ecco, secondo un regolamento della fine del secolo Diciassettesimo, le precauzioni da prendere quando la peste si manifestava in una città (90).
Prima di tutto una rigorosa divisione spaziale in settori: chiusura, beninteso, della città e del «territorio agricolo» circostante, interdizione di uscirne sotto pena della vita, uccisione di tutti gli animali randagi; suddivisione della città in quartieri separati, dove viene istituito il potere di un intendente. Ogni strada è posta sotto l'autorità di un sindaco, che ne ha la sorveglianza; se la lasciasse, sarebbe punito con la morte. Il giorno designato, si ordina che ciascuno si chiuda nella propria casa: proibizione di uscirne sotto pena della vita. Il sindaco va di persona a chiudere, dall'esterno, la porta di ogni casa; porta con sé la chiave, che rimette all'intendente di quartiere; questi la conserva fino alla fine della quarantena. Ogni famiglia avrà fatto le sue provviste, ma per il vino e il pane saranno state preparate, tra la strada e l'interno delle case, delle piccole condutture in legno, che permetteranno di fornire a ciascuno la sua razione, senza che vi sia comunicazione tra fornitori e abitanti; per la carne, il pesce, le verdure, saranno utilizzate delle carrucole e delle ceste. Se sarà assolutamente necessario uscire di casa, lo si farà uno alla volta, ed evitando ogni incontro. Non circolano che gli intendenti, i sindaci, i soldati della guardia e, anche tra le cose infette, da un cadavere all'altro, i «corvi» che è indifferente abbandonare alla morte: sono «persone da poco che trasportano i malati, interrano i morti, puliscono e fanno molti servizi vili e abbietti». Spazio tagliato con esattezza, immobile, coagulato. Ciascuno è stivato al suo posto. E se si muove, ne va della vita, contagio o punizione.
L'ispezione funziona senza posa. Il controllo è ovunque all'erta: «Un considerevole corpo di milizia, comandato da buoni ufficiali e gente per bene», corpi di guardia alle porte, al palazzo comunale ed in ogni quartiere, per rendere l'obbedienza della popolazione più pronta e l'autorità dei magistrati più assoluta, «come anche per sorvegliare tutti i disordini, ruberie, saccheggi». Alle porte, posti di sorveglianza; a capo delle strade sentinelle. Ogni giorno, l'intendente visita il quartiere di cui è responsabile, si informa se i sindaci adempiono ai loro compiti, se gli abitanti hanno da lamentarsene; sorvegliano «le loro azioni». Ogni giorno, anche il sindaco passa per la strada di cui è responsabile; si ferma davanti ad ogni casa; fa mettere tutti gli abitanti alle finestre (quelli che abitassero nella corte si vedranno assegnare una finestra sulla strada dove nessun altro all'infuori di loro potrà mostrarsi); chiama ciascuno per nome; si informa dello stato di tutti, uno per uno - «nel caso che gli abitanti saranno obbligati a dire la verità, sotto pena della vita»; se qualcuno non si presenterà alla finestra, il sindaco ne chiederà le ragioni: «In questo modo scoprirà facilmente se si dia ricetto a morti o ad ammalati». Ciascuno chiuso nella sua gabbia, ciascuno alla sua finestra, rispondendo al proprio nome, mostrandosi quando glielo si chiede: è la grande rivista dei vivi e dei morti.
Questa sorveglianza si basa su un sistema di registrazione permanente: rapporti dei sindaci agli intendenti, degli intendenti agli scabini o al sindaco della città. All'inizio della «serrata», viene stabilito il ruolo di tutti gli abitanti presenti nella città, uno per uno; vi si riporta «il nome, l'età, il sesso, senza eccezione di condizione»: un esemplare per l'intendente del quartiere, un secondo nell'ufficio comunale, un altro per il sindaco della strada, perché possa fare l'appello giornaliero. Tutto ciò che viene osservato nel corso delle visite - morti, malattie, reclami, irregolarità - viene annotato, trasmesso agli intendenti e ai magistrati. Questi sovrintendono alle cure mediche; da loro viene designato un medico responsabile; nessun altro sanitario può curare, nessun farmacista preparare i medicamenti, nessun confessore visitare un malato, senza aver ricevuto da lui una autorizzazione scritta «per evitare che si dia ricetto e si curino, all'insaputa del magistrato dei malati contagiosi». Il rapporto di ciascun individuo con la propria malattia e con la propria morte, passa per le istanze del potere, la registrazione che esse ne fanno, le decisioni che esse prendono.
Cinque o sei giorni dopo l'inizio della quarantena, si procede alla disinfezione delle case, una per una. Si fanno uscire tutti gli abitanti; in ogni stanza si sollevano o si sospendono «i mobili e le merci»; si spargono delle essenze; si fanno bruciare dopo aver chiuso con cura le finestre, le porte e perfino i buchi delle serrature, che vengono riempiti di cera. Infine, si chiude la casa intera, mentre si consumano le essenze; come all'ingresso, si perquisiscono i profumatori «in presenza degli abitanti della casa, per vedere se essi non abbiano, uscendo, qualcosa che non avessero entrando». Quattro ore dopo, gli abitanti possono rientrare in casa.
Questo spazio chiuso, tagliato con esattezza, sorvegliato in ogni suo punto, in cui gli individui sono inseriti in un posto fisso, in cui i minimi movimenti sono controllati e tutti gli avvenimenti registrati, in cui un ininterrotto lavoro di scritturazione collega il centro alla periferia, in cui il potere si esercita senza interruzioni, secondo una figura gerarchica continua, in cui ogni individuo è costantemente reperito, esaminato e distribuito tra i vivi, gli ammalati, i morti - tutto ciò costituisce un modello compatto di dispositivo disciplinare. Alla peste risponde l'ordine: la sua funzione è di risolvere tutte le confusioni: quella della malattia, che si trasmette quando i corpi si mescolano; quella del male che si moltiplica quando la paura e la morte cancellano gli interdetti. Esso prescrive a ciascuno il suo posto, a ciascuno il suo corpo, a ciascuno la sua malattia e la sua morte, a ciascuno il suo bene per effetto di un potere onnipresente e onniscente che si suddivide, lui stesso, in modo regolare e ininterrotto fino alla determinazione finale dell'individuo, di ciò che lo caratterizza, di ciò che gli appartiene, di ciò che gli accade. Contro la peste che è miscuglio, la disciplina fa valere il suo potere che è di analisi. Ci fu intorno alla peste, tutta una finzione letteraria di festa: le leggi sospese, gli interdetti tolti, la frenesia del tempo che passa, i corpi che si allacciano irrispettosamente, gli individui che si smascherano, che abbandonano la loro identità statutaria e l'aspetto sotto cui li si riconosceva, lasciando apparire una tutt'altra verità. Ma ci fu anche un sogno politico della peste, che era esattamente l'inverso: non la festa collettiva, ma le divisioni rigorose; non le leggi trasgredite, ma la penetrazione, fin dentro ai più sottili dettagli della esistenza, del regolamento - e intermediario era una gerarchia completa garante del funzionamento capillare del potere; non le maschere messe e tolte, ma l'assegnazione a ciascuno del suo «vero» nome, del suo «vero» posto, del suo «vero» corpo, della sua «vera» malattia. La peste come forma, insieme reale e immaginaria, del disordine ha come correlativo medico e politico la disciplina. Dietro i dispositivi disciplinari si legge l'ossessione dei «contagi», della peste, delle rivolte, dei crimini, del vagabondaggio, delle diserzioni, delle persone che appaiono e scompaiono, vivono e muoiono nel disordine.
Se è vero che la lebbra ha suscitato i rituali di esclusione, che hanno fornito fino ad un certo punto il modello e quasi la forma generale della grande Carcerazione, la peste ha suscitato gli schemi disciplinari. Piuttosto che la divisione massiccia e binaria tra gli uni e gli altri, essa richiama separazioni multiple, distribuzioni individualizzanti, una organizzazione in profondità di sorveglianze e di controlli, una intensificazione ed una ramificazione del potere. Il lebbroso è preso in una pratica del rigetto, dell'esilio-clausura; lo si lascia perdervisi come in una massa che poco importa differenziare; gli appestati vengono afferrati in un meticoloso incasellamento tattico, in cui le differenziazioni individuali sono gli effetti costrittivi di un potere che si moltiplica, si articola, si suddivide. La grande reclusione da una parte; il buon addestramento dall'altra. La lebbra e la sua separazione; la peste e le sue ripartizioni. L'una è marchiata; l'altra, analizzata e ripartita. Esiliare il lebbroso e arrestare la peste non comportano lo stesso sogno politico. L'uno è quello di una comunità pura, l'altro quello di una società disciplinata. Due maniere di esercitare il potere sugli uomini, di controllare i loro rapporti, di sciogliere i loro pericolosi intrecci. La città appestata, tutta percorsa da gerarchie, sorveglianze, controlli, scritturazioni, la città immobilizzata nel funzionamento di un potere estensivo che preme in modo distinto su tutti i corpi individuali - è l'utopia della città perfettamente governata.
La peste (almeno quella che resta allo stato di previsione) è la prova nel corso della quale si può definire idealmente l'esercizio del potere disciplinare. Per far funzionare secondo la teoria pura i diritti e le leggi, i giuristi si ponevano immaginariamente allo stato di natura; per veder funzionare le discipline perfette, i governanti postulavano lo stato di peste. Nel profondo degli schemi disciplinari, l'immagine della peste vale come quella di tutte le confusioni e di tutti i disordini; così come l'immagine della lebbra, del contatto da recidere, è all'origine degli schemi di esclusione.
Schemi differenti, dunque, ma non incompatibili; lentamente li vediamo avvicinarsi; ed è peculiare del secolo Diciannovesimo l'aver applicato allo spazio dell'esclusione, di cui il lebbroso era l'abitante simbolico (ed i mendicanti, i vagabondi, i pazzi, i violenti formavano la popolazione reale) la tecnica di potere propria dell'incasellamento disciplinare. Trattare i «lebbrosi» come «appestati», proiettare i tagli precisi della disciplina sullo spazio confuso dell'internamento, lavorarlo coi metodi di ripartizione analitica del potere, individualizzare gli esclusi, ma servirsi di procedimenti di individualizzazione per determinare le esclusioni - è quello che è stato fatto regolarmente dal potere disciplinare dall'inizio del secolo Diciannovesimo: l'asilo psichiatrico, il penitenziario, la casa di correzione, lo stabilimento di educazione sorvegliata, in parte gli ospedali - in generale tutte le istanze di controllo -, funzionano su un doppio schema: quello della divisione binaria (pazzo - non pazzo, pericoloso - inoffensivo, normale - anormale); e quello dell'assegnazione coercitiva, della ripartizione differenziale (chi è o deve essere; come caratterizzarlo, come riconoscerlo; come esercitare su di lui, in maniera individuale, una sorveglianza costante, eccetera). Da una parte si «appesta» un lebbroso; si impone agli esclusi la tattica delle discipline individualizzanti; e dall'altra l'universalità dei controlli disciplinari permette di individuare chi è «lebbroso» e di far giocare contro di lui i meccanismi dualistici dell'esclusione. La divisione costante tra normale e anormale, cui ogni individuo è sotto posto, riconduce fino a noi, e applicandoli a tutt'altri soggetti, il marchio binario e l'esilio del lebbroso; l'esistenza di tutto un insieme di tecniche e di istituzioni che si assumono il compito di misurare, controllare e correggere gli anormali, fa funzionare i dispositivi disciplinari che la paura della peste richiedeva. Tutti i meccanismi di potere che, ancora ai nostri giorni, si dispongono intorno all'anormale, per marchiarlo come per modificarlo, compongono quelle due forme da cui derivano di lontano.

Il "Panopticon" di Bentham è la figura architettonica di questa composizione. Il principio è noto: alla periferia una costruzione ad anello; al centro una torre tagliata da larghe finestre che si aprono verso la faccia interna dell'anello; la costruzione periferica è divisa in celle, che occupano ciascuna tutto lo spessore della costruzione; esse hanno due finestre, una verso l'interno, corrispondente alla finestra della torre; l'altra, verso l'esterno, permette alla luce di attraversare la cella da parte a parte. Basta allora mettere un sorvegliante nella torre centrale, ed in ogni cella rinchiudere un pazzo, un ammalato, un condannato, un operaio o uno scolaro. Per effetto del contro luce, si possono cogliere dalla torre, stagliantisi esattamente, le piccole silhouettes prigioniere nelle celle della periferia. Tante gabbie, altrettanti piccoli teatri, in cui ogni attore è solo, perfettamente individualizzato e costantemente visibile. Il dispositivo panoptico predispone unità spaziali che permettono di vedere senza interruzione e di riconoscere immediatamente. Insomma, il principio della segreta viene rovesciato; o piuttosto delle sue tre funzioni - rinchiudere, privare della luce, nascondere - non si mantiene che la prima e si sopprimono le altre due. La piena luce e lo sguardo di un sorvegliante captano più di quanto facesse l'ombra, che, alla fine, proteggeva. La visibilità è una trappola.
Il che permette prima di tutto - come effetto negativo - di evitare quelle masse, compatte, brulicanti, tumultuose, che si trovavano nei luoghi di detenzione, quelle che Goya dipingeva o Howard descriveva. Ciascuno, al suo posto, rinchiuso in una cella, è visto di faccia dal sorvegliante; ma i muri laterali gli impediscono di entrare in contatto coi compagni. E' visto, ma non vede; oggetto di una informazione, mai soggetto di una comunicazione. La disposizione della sua cella, di fronte alla torre centrale, gli impone una visibilità assiale, ma le divisioni dell'anello, quelle celle ben separate, implicano una invisibilità laterale, che è garanzia di ordine. Se i detenuti sono dei condannati, nessun pericolo di complotto, o tentativo di evasione collettiva, o progetti di nuovi crimini per l'avvenire, o perniciose influenze reciproche; se si tratta di ammalati, nessun pericolo di contagio; di pazzi, nessun rischio di violenze reciproche; di bambini, nessuna copiatura durante gli esami, nessun rumore, niente chiacchiere, niente dissipazione. Se si tratta di operai, niente risse, furti, coalizioni, nessuna di quelle distrazioni che ritardano il lavoro, rendendolo meno perfetto o provocando incidenti. La folla, massa compatta, luogo di molteplici scambi, individualità che si fondono, effetto collettivo, è abolita in favore di una collezione di individualità separate. Dal punto di vista del guardiano, essa viene sostituita da una molteplicità numerabile e controllabile; dal punto di vista dei detenuti, da una solitudine sequestrata e scrutata (91).
Di qui, l'effetto principale del "Panopticon": indurre nel detenuto uno stato cosciente di visibilità che assicura il funzionamento automatico del potere. Far sì che la sorveglianza sia permanente nei suoi effetti, anche se è discontinua nella sua azione; che la perfezione del potere tenda a rendere inutile la continuità del suo esercizio; che questo apparato architettonico sia una macchina per creare e sostenere un rapporto di potere indipendente da colui che lo esercita; in breve, che i detenuti siano presi in una situazione di potere di cui sono essi stessi portatori. Per questo, è nello stesso tempo troppo e troppo poco che il prigioniero sia incessantemente osservato da un sorvegliante: troppo poco, perché l'essenziale è che egli sappia di essere osservato; troppo, perché egli non ha bisogno di esserlo effettivamente. Perciò Bentham pose il principio che il potere doveva essere visibile e inverificabile. Visibile: di continuo il detenuto avrà davanti agli occhi l'alta sagoma della torre centrale da dove è spiato. Inverificabile: il detenuto non deve mai sapere se è guardato, nel momento attuale; ma deve essere sicuro ere può esserlo continuamente. Bentham, per rendere impossibile il decidere sulla presenza o l'assenza del sorvegliante, per far sì che i prigionieri, dalla loro cella, non possano scorgere neppure un'ombra o cogliere un controluce, previde non solo persiane alle finestre della sala centrale di sorveglianza, ma, all'interno, delle divisioni che la tagliavano ad angolo retto, e, per passare da un settore all'altro, non delle porte, ma delle "chicanes": poiché il minimo battimento, una luce intravista, uno spiraglio luminoso, avrebbero tradito la presenza del guardiano (92). Il "Panopticon" è una macchina per dissociare la coppia vedere-essere visti: nell'anello periferico si è totalmente visti, senza mai vedere; nella torre centrale, si vede tutto, senza mai essere visti (93).
Dispositivo importante, perché automatizza e deindividualizza il potere. Questo trova il suo principio meno in una persona che non in una certa distribuzione programmata dei corpi, delle superfici, delle luci, degli sguardi; in un apparato i cui meccanismi interni producono il rapporto nel quale gli individui vengono presi. Le cerimonie, i rituali, i marchi per mezzo dei quali il più-di-potere viene manifestato dal sovrano, sono inutili. Esiste un meccanismo che assicura la dissimmetria, lo squilibrio, la differenza. Poco importa, di conseguenza, chi esercita il potere. Un individuo qualunque, quasi scelto a caso, può far funzionare la macchina: in assenza del direttore, la sua famiglia, gli amici, i visitatori, perfino i domestici (94). Così come è indifferente il motivo che lo muove: la curiosità di un indiscreto, la malizia di un bambino, l'appetito di sapere di un filosofo che vuole percorrere questo museo della natura umana, o la cattiveria di coloro che provano piacere a spiare e punire. Tanto più numerosi sono questi osservatori anonimi e passeggeri, tanto più aumentano, per il detenuto, il rischio di essere sorpreso e la coscienza inquieta di essere osservato. Il "Panopticon" è una macchina meravigliosa che, partendo dai desideri più diversi, fabbrica effetti omogenei di potere.
Un assoggettamento reale nasce meccanicamente da una relazione fittizia. In modo che non è necessario far ricorso a mezzi di forza per costringere il condannato alla buona condotta, il pazzo alla calma, l'operaio al lavoro, lo scolaro alla applicazione, l'ammalato all'osservanza delle prescrizioni. Bentham si meravigliava che le istituzioni panoptiche potessero essere così lievi: non più inferriate, catene, pesanti serrature; basta che le separazioni siano nette e le aperture ben disposte. Alla potenza delle vecchie «case di sicurezza», con le loro architetture da fortezza, si può sostituire la geometria semplice ed economica di una «casa di certezza». L'efficacia del potere, la sua forza costrittiva, sono, in qualche modo, passate dall'altra parte - dalla parte della superficie di applicazione. Colui che è sottoposto ad un campo di visibilità, e che lo sa, prende a proprio conto le costrizioni del potere; le fa giocare spontaneamente su se-stesso; inscrive in se-stesso il rapporto di potere nel quale gioca simultaneamente i due ruoli, diviene il principio del proprio assoggettamento. In effetti, anche il potere esterno può alleggerirsi delle sue pesantezze fisiche, tendere all'incorporeo; e più si avvicina a questo limite, più i suoi effetti sono costanti, profondi, acquisiti una volta per tutti, incessantemente ricondotti: perpetua vittoria che evita ogni scontro fisico e che è sempre giocata in anticipo.
Bentham non dice se si è ispirato, per il suo progetto, al serraglio che Le Vaux aveva costruito a Versailles: primo serraglio in cui i differenti elementi non sono, com'era nella tradizione, disseminati in un parco (95): al centro un padiglione ottagonale che al primo piano comprendeva una sola stanza, il salone del re; i lati si aprivano, con larghe finestre, su sette gabbie (l'ottavo era riservato all'ingresso) dov'erano rinchiuse diverse specie di animali. All'epoca di Bentham, questo serraglio era scomparso. Ma nel programma del "Panopticon" si trova l'analoga preoccupazione dell'osservazione individualizzante, della caratterizzazione e della classificazione, dell'organizzazione analitica dello spazio. Il "Panopticon" è un serraglio del re; l'animale è sostituito dall'uomo, il raggruppamento specifico dalla distribuzione individuale, il re dall'apparato di un potere furtivo. Tenuto conto di queste differenze, anche il "Panopticon" fa opera di naturalista. Esso permette di stabilire delle differenze: negli ammalati, osservare i sintomi di ciascuno, senza che la vicinanza dei letti, la circolazione dei miasmi, gli effetti del contagio alterino i quadri clinici; nei bambini, notare le prestazioni (senza che vi sia imitazione o copiatura), reperire le attitudini e, in rapporto ad una evoluzione normale, distinguere ciò che è «pigrizia e testardaggine» da ciò che è «imbecillità incurabile»; negli operai, notare le attitudini di ciascuno, comparare i tempi che impiegano per un lavoro, e, se sono pagati a giornata, calcolare il salario in conseguenza (96).
Questo per il lato serraglio. Lato laboratorio, il "Panopticon" può essere utilizzato come macchina per fare esperienze, per modificare il comportamento, per addestrare o ricuperare degli individui. Per sperimentare dei medicamenti e verificarne gli effetti. Provare differenti punizioni sui prigionieri secondo i loro delitti e il loro carattere, e ricercare le più efficaci. Insegnare simultaneamente differenti tecniche agli operai, e stabilire la migliore. Tentare esperienze pedagogiche - e in particolare riprendere il famoso problema dell'educazione in reclusione, utilizzando trovatelli; si potrebbe vedere ciò che accade quando, nel sedicesimo o diciottesimo anno di età, si mettono in presenza ragazzi e ragazze; si potrebbe verificare se, come pensa Helvetius, chiunque può apprendere qualunque cosa; si potrebbe seguire «la genealogia di ogni idea osservabile»; si potrebbero allevare diversi bambini in diversi sistemi di pensiero, far credere ad alcuni che due più due non fanno quattro o che la luna è un formaggio, poi metterli tutti insieme quando avessero venti o venticinque anni; si avrebbero allora discussioni violente che varrebbero assai più delle conferenze e dei sermoni per i quali si spende tanto denaro; si avrebbe almeno la possibilità di fare qualche scoperta nel campo della metafisica. Il "Panopticon" è un luogo privilegiato, per rendere possibile la sperimentazione sugli uomini e per analizzare con tutta certezza le trasformazioni che si possono operare su di loro. Il "Panopticon" può anche costituire un apparecchio di controllo sui propri meccanismi. Nella torre centrale, il direttore può spiare tutti gli impiegati che sono ai suoi ordini: infermieri, medici, sorveglianti, istitutori, guardiani; potrà giudicarli continuamente, modificare la loro condotta, imporre loro i metodi che giudica migliori; e lui stesso a sua volta, potrà essere osservato facilmente. Un ispettore che sorgesse all'improvviso al centro del "Panopticon" potrebbe giudicare con un sol colpo d'occhio, e senza che si potesse nascondergli nulla, come funziona tutta l'organizzazione. E d'altronde, rinchiuso com'è al centro del dispositivo architettonico, non gioca lo stesso direttore, una partita chiusa? Il medico incompetente, che avrà lasciato diffondersi il contagio, il direttore d'ospedale o di laboratorio che sarà stato incapace, saranno le prime vittime dell'epidemia o della rivolta. «Il mio destino, - dice il Signore del "Panopticon", - è legato al loro [a quello dei detenuti] da tutti i legami che io sono stato capace di inventare» (97). Il "Panopticon" funziona come una sorta di laboratorio del potere. Grazie ai suoi meccanismi di osservazione, guadagna in efficacia e in capacità di penetrazione nel comportamento degli uomini; un accrescimento di sapere viene a istituirsi su tutte le avanzate del potere, e scopre oggetti da conoscere su tutte le superfici dove questo si esercita.

Città appestata, stabilimento panoptico; le differenze sono importanti. Esse segnano, a un secolo e mezzo di distanza, le trasformazioni del programma disciplinare. Nel primo caso, una situazione d'eccezione: contro un male straordinario, si erge il potere; esso si rende ovunque presente e visibile; inventa nuovi ingranaggi; ripartisce, immobilizza, incasella; costruisce per un certo tempo ciò che è contemporaneamente la controcittà e la società perfetta; impone un funzionamento ideale, ma che si riconduce in fin dei conti, come il male che combatte, al semplice dualismo vita-morte: ciò che si muove porta la morte, si uccide ciò che si muove. Il "Panopticon", al contrario, deve essere inteso come un modello generalizzabile di funzionamento; un modo per definire i rapporti del potere con la vita quotidiana degli uomini. Senza dubbio Bentham lo presenta come una istituzione separata, ben chiusa in se stessa. Spesso se ne è fatta un'utopia della perfetta detenzione. Di fronte alle prigioni fatiscenti, brulicanti e popolate di supplizi, che Piranesi incideva, il "Panopticon" appare una gabbia crudele e sapiente. Che esso, e ancora ai giorni nostri, abbia dato luogo a tante variazioni progettate o realizzate, mostra quale è stata, durante quasi due secoli, la sua intensità immaginativa. Ma il "Panopticon" non deve essere inteso solamente come un edificio onirico: è il diagramma di un meccanismo di potere ricondotto alla sua forma ideale; il suo funzionamento, astratto da ogni ostacolo, resistenza o attrito, può felicemente essere rappresentato come un puro sistema architettonico e ottico: è in effetti una figura di tecnologia politica che si può e si deve distaccare da ogni uso specifico.
Esso è polivalente nelle sue applicazioni; serve ad emendare i prigionieri, ma anche a curare gli ammalati, istruire gli scolari, custodire i pazzi, sorvegliare gli operai, far lavorare i mendicanti e gli oziosi. E' un tipo di inserimento dei corpi nello spazio, di distribuzione degli individui gli uni in rapporto agli altri, di organizzazione gerarchica, di disposizione dei centri e dei canali di potere, di definizione dei suoi strumenti e dei suoi modi di intervento, che si possono mettere in opera in ospedali, fabbriche, scuole, prigioni. Ogni volta che si avrà a che fare con una molteplicità di individui cui si dovrà imporre un compito o una condotta, lo schema panoptico potrà essere utilizzato. E' - con riserva di modificazioni successive - applicabile a «tutti gli stabilimenti in cui, nei limiti di uno spazio che non sia troppo esteso, è necessario mantenere sotto sorveglianza un certo numero di persone» (98).
In ognuna delle sue applicazioni, esso permette di perfezionare l'esercizio del potere. E in numerosi modi: perché può ridurre il numero di coloro che lo esercitano, moltiplicando nel contempo il numero di quelli sui quali si esercita. Perché permette di intervenire in ogni istante, mentre la pressione costante agisce ancor prima che le mancanze, gli errori, i delitti, siano commessi. Perché, in queste condizioni, la sua forza è di non intervenire mai, di esercitarsi spontaneamente e senza rumore, di costituire un meccanismo i cui effetti si concatenano gli uni agli altri. Perché senza altro strumento fisico che un'architettura e una geometria agisce direttamente sugli individui; esso «dà allo spirito un potere sullo spirito». Lo schema panoptico è un intensificatore per qualsiasi apparato di potere: assicura l'economia (in materiale, in personale, in tempo); ne assicura l'efficacia per il suo carattere preventivo, il funzionamento continuo, i meccanismi automatici. E' un modo per ottenere potere «in una quantità finora senza esempio», «un grande e nuovo strumento di governo...; la sua eccellenza consiste nella sua grande forza che è capace di conferire ad ogni istituzione alla quale venga applicato» (99).
Una sorta di «uovo di Colombo» nell'ordine della politica. In effetti, esso è in grado di integrarsi ad una funzione qualsiasi (di educazione, di terapia, di produzione, di castigo); di maggiorare questa funzione legandosi intimamente ad essa; di costituire un meccanismo misto nel quale le relazioni di potere (e di sapere) possono adattarsi, le une alle altre esattamente e fin nel dettaglio, ai processi che si devono controllare; di stabilire una proporzione diretta tra il «più di potere» e il «più di produzione». In breve, fa in modo che l'esercizio del potere non si aggiunga dall'esterno, come una costrizione rigida o come qualcosa di pesante, sulle funzioni che investe, ma che sia in esse sottilmente presente per accrescerne l'efficacia aumentando lui stesso le proprie prese. Il dispositivo panoptico non è semplicemente una cerniera, un ingranaggio tra un meccanismo di potere e una funzione; è un modo di far funzionare delle relazioni di potere entro una funzione, e una funzione per mezzo di queste relazioni di potere. Il panoptismo è capace di «riformare la morale, preservare la salute, rinvigorire l'industria, diffondere l'istruzione, alleggerire le cariche pubbliche, stabilizzare l'economia come sulla roccia, sciogliere, invece di tagliare, il nodo gordiano delle leggi sui poveri; tutto questo con una semplice idea architettonica» (100).
In più, l'organizzazione di questa macchina è tale che la sua chiusura non esclude una presenza permanente dall'esterno: abbiamo visto che chiunque può esercitare, nella torre centrale, le funzioni di sorveglianza, e, ciò facendo, scoprire il modo in cui la sorveglianza si esercita. In effetti, ogni istituzione panoptica, fosse anche accuratamente chiusa quanto un penitenziario, potrà senza difficoltà essere sottoposta ad ispezioni impreviste ed incessanti insieme: e non solo da parte di controllori designati, ma da parte del pubblico; qualsiasi membro della società avrà il diritto di venire a constatare coi suoi occhi come funzionano le scuole, gli ospedali, le fabbriche, le prigioni. Di conseguenza, nessun rischio che l'accrescimento di potere dovuto alla macchina panoptica possa degenerare in tirannia; il dispositivo disciplinare sarà controllato democraticamente, poiché sarà accessibile in ogni momento «al grande comitato del tribunale del mondo» (101). Il "Panopticon" perspicacemente predisposto in modo che un sorvegliante possa, d'un colpo d'occhio, osservare tanti diversi individui, permette anche a tutti di venire a sorvegliare il meno importante tra i sorveglianti. La macchina per vedere è una sorta di camera oscura da cui spiare gli individui; essa diviene un edificio trasparente dove l'esercizio del potere è controllabile dall'intera società.
Lo schema panoptico, senza attenuarsi né perdere alcuna delle sue proprietà, è destinato a diffondersi nel corpo sociale; la sua vocazione è divenirvi funzione generalizzata. La città appestata forniva un modello disciplinare eccezionale: perfetto, ma assolutamente violento; alla malattia apportatrice di morte, il potere opponeva la sua perpetua minaccia di morte; la vita vi era ridotta all'espressione più semplice; era, contro il potere della morte, l'esercizio minuzioso del diritto di spada. Il "Panopticon" al contrario gioca un ruolo di amplificazione: se organizza il potere, se vuole renderlo più economico e più efficace, non è per il potere stesso, né per la salvezza immediata di una società minacciata: si tratta di rendere più forti le forze sociali - aumentare la produzione, sviluppare l'economia, diffondere l'istruzione, elevare il livello della moralità pubblica; far crescere e moltiplicare.
Come rinforzare il potere in modo che lungi dall'intralciare questo progresso, lungi dal pesare su di esso con le proprie esigenze e gravami, al contrario lo faciliti? Quale intensificatore di potere potrà essere nello stesso tempo un moltiplicatore di produzione? In qual modo il potere, aumentando le proprie forze potrà accrescere quelle della società, invece di confiscarle o imbrigliarle? La soluzione del "Panopticon" a questo problema è che la maggiorazione produttiva del potere può essere assicurata solo quando abbia, da una parte, la possibilità di esercitarsi in maniera continua sulle basi della società, fino al più piccolo germe, e dall'altra, funzioni al di fuori di quelle forme improvvise, violente, discontinue, che sono legate all'esercizio della sovranità. Il corpo del re, con la sua presenza materiale e mitica, con la forza che egli stesso dispiega o che trasmette ad alcuni, è all'estremo opposto di questa nuova fisica del potere, definita dal panoptismo; il campo di quest'ultimo è tutta quella regione che sta in basso, quella dei corpi irregolari, coi loro dettagli, i loro movimenti multipli, le loro forze eterogenee, le loro relazioni spaziali; si tratta di meccanismi che analizzano distribuzioni, scarti, serie, combinazioni, e che utilizzano degli strumenti per rendere visibile, registrare, differenziare, confrontare: fisica di un potere relazionale e multiplo, che trova la sua intensità massimale non nella persona del re, ma nei corpi che proprio queste relazioni permettono di individualizzare. A livello teorico, Bentham definisce un altro modo per analizzare il corpo sociale e le relazioni di potere che lo attraversano; in termini di pratica, egli definisce un processo di subordinazione dei corpi e delle forze che deve maggiorare l'utilità del potere facendo l'economia del Principe. Il panoptismo è il principio generale di una nuova «anatomia politica» di cui l'oggetto e il fine non sono il rapporto di sovranità, ma le relazioni di disciplina.
Nella famosa gabbia trasparente e circolare, con la sua alta torre, possente e sapiente, si tratta forse, per Bentham, di progettare un'istituzione disciplinare perfetta; ma si tratta anche di mostrare come si possano «disserrare» le discipline e farle funzionare in maniera diffusa, multipla, polivalente, nell'intero corpo sociale. Di queste discipline, che l'età classica aveva elaborato in luoghi determinati e relativamente chiusi - caserme, collegi, grandi opifici - e di cui non era stata immaginata la messa in opera globale che alla scala limitata e provvisoria di una città colpita dalla peste, Bentham sogna di fare una rete di dispositivi che sarebbero ovunque e sempre all'erta, percorrendo la società senza lacuna né interruzione. L'ordinamento panoptico fornisce la formula di questa generalizzazione: il programma a livello di un meccanismo elementare e facilmente trasferibile, il funzionamento di base di una società tutta attraversata e penetrata da meccanismi disciplinari.

Due immagini, dunque, della disciplina. Ad una estremità, la disciplina-blocco, l'istituzione chiusa, stabilita nei suoi confini, e tutta volta a funzioni negative: arrestare il male, interrompere le comunicazioni, sospendere il tempo. All'altra estremità, con il panoptismo, la disciplina-meccanismo: un dispositivo funzionale che deve migliorare l'esercizio del potere rendendolo più rapido, più leggero, più efficace, un disegno di coercizioni sottili per una società da venire. Il movimento che va da un progetto all'altro, da uno schema della disciplina d'eccezione a quello di una sorveglianza generalizzata, riposa su una trasformazione storica: l'estendersi progressivo dei dispositivi disciplinari nel corso dei secoli Diciassettesimo e Diciottesimo, la loro moltiplicazione attraverso tutto il corpo sociale, la formazione di ciò che potremmo chiamare all'ingrosso la società disciplinare.
Tutta una generalizzazione disciplinare, di cui la fisica benthamiana del potere rappresenta la constatazione, si è operata nel corso dell'età classica. La moltiplicazione delle istituzioni disciplinari lo testimonia, con una rete che comincia a coprire una superficie sempre più vasta e soprattutto ad occupare una posizione sempre meno marginale: quello che era un isolotto, luogo privilegiato, misura circostanziale, o modello singolo, diviene formula generale; i regolamenti caratteristici degli eserciti protestanti e pii di Guglielmo d'Orange o di Gustavo Adolfo, divengono i regolamenti per tutti gli eserciti d'Europa; i collegi modello dei Gesuiti, o le scuole di Batencour e di Demia, dopo quella di Sturm, disegnano le forme generali della disciplina scolastica; il riordinamento degli ospedali marittimi e militari serve di schema a tutta la riorganizzazione ospedaliera del secolo Diciottesimo.
Ma questa estensione delle istituzioni disciplinari non è senza dubbio che l'aspetto più visibile di diversi processi più profondi.
1. "L'inversione funzionale delle discipline". In origine, si chiedeva loro soprattutto di neutralizzare dei pericoli, di stabilizzare popolazioni inutili o agitate, di evitare gli inconvenienti di assembramenti troppo numerosi; ormai si chiede loro, poiché ne sono divenute capaci, di giocare un ruolo positivo, facendo aumentare la possibile utilità degli individui. La disciplina militare non è più semplicemente un mezzo per impedire il saccheggio, la diserzione o la disobbedienza delle truppe; essa diviene una tecnica di base per l'esistenza dell'esercito, non più come folla ammassata, ma come unità che ricava da questa stessa unità una maggiorazione di forze; la disciplina fa crescere l'abilità di ciascuno, coordina queste abilità, accelera i movimenti, moltiplica la potenza di fuoco, allarga il fronte d'attacco senza diminuirne il vigore, aumenta la capacità di resistenza, eccetera. La disciplina di fabbrica, pur rimanendo una via per far rispettare i regolamenti e le autorità, impedire i furti o la dissipazione, tende ad accrescere le attitudini, le velocità, i rendimenti, e dunque i profitti; essa continua a moralizzare le condotte ma, sempre più, finalizza i comportamenti, e fa entrare i corpi in un ingranaggio e le forze in una economia. Allorché, nel secolo Diciassettesimo, si svilupparono le scuole di provincia e le scuole cristiane elementari, le giustificazioni che se ne davano erano soprattutto negative: i poveri, non avendo i mezzi per allevare i figli, li lasciavano «nell'ignoranza dei loro obblighi: le preoccupazioni che hanno per vivere, ed essendo stati essi stessi male educati, non possono comunicare una buona educazione che non hanno mai avuto»; il che genera tre inconvenienti principali: l'ignoranza di Dio, l'infingardaggine (con tutto il suo corteggio di ubriachezza, corruzione, furtarelli, brigantaggio); e la formazione di quelle bande di straccioni, sempre pronti a provocare disordini pubblici, «buoni proprio ad esaurire i fondi dell'H™tel Dieu» (102). Ora, all'inizio della Rivoluzione, lo scopo che si prescriverà all'insegnamento primario sarà, tra l'altro, di «fortificare», di «sviluppare il corpo», di disporre il bambino «in avvenire, a qualche lavoro meccanico», di dargli «un giusto colpo d'occhio, la mano sicura, le abitudini pronte»(103). Le discipline funzionano sempre di più come tecniche per fabbricare individui utili. Di qui, il fatto che esse si liberano della posizione marginale ai confini della società, si staccano dalle forme dell'esclusione o della espiazione, della reclusione o del ricovero. Di qui il fatto che esse sciolgono lentamente la loro parentela con le regole e le clausure religiose. Di qui anche ch'esse tendono ad installarsi nei settori più importanti, più centrali, più produttivi della società e vanno ad innestarsi su alcune delle grandi funzioni essenziali: la produzione manifatturiera, la trasmissione delle conoscenze, la diffusione delle attitudini e delle abilità, l'apparato bellico. Di qui infine la doppia tendenza, che vediamo svilupparsi nel corso del secolo Diciottesimo, a moltiplicare il numero delle istituzioni disciplinari ed a disciplinare gli apparati esistenti.
2. "La proliferazione dei meccanismi disciplinari". Mentre da una parte gli stabilimenti di disciplina si moltiplicano, i loro meccanismi hanno una certa tendenza a «disistituzionalizzarsi», ad uscire dalle fortezze chiuse dove funzionavano, ed a circolare allo stato «libero»; le discipline massicce e compatte si scompongono in procedimenti flessibili di controllo, che si possono trasferire ed adattare. Talvolta, sono gli apparati chiusi ad aggiungere alla loro funzione interna e specifica un ruolo di sorveglianza esterna, sviluppando all'intorno tutta una fascia di controlli laterali. Così la scuola cristiana non deve più soltanto formare giovani docili, ma deve anche permettere di sorvegliare i genitori, di informarsi del loro sistema di vita, delle loro risorse, della loro pietà, dei loro costumi. La scuola tende a costituire minuscoli osservatori sociali per penetrare fino agli adulti ed esercitare su di loro un controllo regolare: la cattiva condotta di un alunno, o la sua assenza, è, secondo Lamia, pretesto legittimo per andare ad interrogare i vicini, soprattutto se si ha ragione di credere che la famiglia non dirà la verità; poi gli stessi genitori, per verificare se sappiano il catechismo e le preghiere, se siano risoluti a sradicare i vizi dei figli, quanti siano i letti e come vi si ripartisca durante la notte; la visita si concluderà eventualmente con un'elemosina, il dono di un'immagine, o l'attribuzione di letti supplementari (104). Nello stesso modo, l'ospedale viene sempre più concepito come punto d'appoggio per la sorveglianza medica della popolazione esterna; dopo l'incendio all'H™tel Dieu, nel 1772, vengono avanzate numerose richieste perché si sostituiscano i grandi stabilimenti, così pesanti e disordinati, con una serie di ospedali di dimensioni ridotte; essi avranno la funzione di accogliere gli ammalati di quartiere, ma anche di riunire informazioni, di vegliare sui fenomeni endemici o epidemici, aprire dispensari, dare consigli agli abitanti e tenere al corrente le autorità sullo stato sanitario della regione (105).
Vediamo inoltre le procedure disciplinari diffondersi, partendo non da istituzioni chiuse, ma da centri di controllo disseminati nella società. Gruppi religiosi e associazioni di beneficenza hanno giocato a lungo questo ruolo di «messa in disciplina» della popolazione. Dopo la Controriforma, fino alla filantropia della monarchia di Luglio, le iniziative di questo tipo si sono moltiplicate; esse avevano obiettivi religiosi (la conversione e la moralizzazione), economici (il soccorso e l'incitamento al lavoro), politici (si trattava di lottare contro lo scontento o l'agitazione). E' sufficiente citare a titolo di esempio i regolamenti per le compagnie di carità delle parrocchie parigine. Il territorio da coprire è diviso in quartieri e cantoni, che i membri della compagnia si ripartiscono. Questi devono visitarli regolarmente: «essi lavoreranno ad impedire i cattivi ritrovi, tabaccherie, accademie, bische, scandali pubblici, bestemmie, empietà, ed altri disordini che venissero a loro conoscenza»; dovranno anche fare visite individuali ai poveri. I punti di informazione sono precisati dai regolamenti: stabilità dell'alloggio, conoscenza delle preghiere, frequentazione dei sacramenti; conoscenza di un mestiere, moralità (e «se non sono caduti in povertà per colpa loro»); infine «bisogna informarsi abilmente in qual modo si comportano nell'intimità, se sono in pace tra loro e coi vicini, se si prendono cura di allevare i figli nel timore di Dio... se non fanno dormire nello stesso letto e con loro i figli grandi di sesso diverso, se non sono affetti da libertinaggio e da lusinghe nelle famiglie, specialmente verso le figlie maggiori. Se si dubita che siano sposati, bisogna chiedere un certificato del loro matrimonio» (106).
3. "La statizzazione dei meccanismi disciplinari". In Inghilterra, furono gruppi privati, d'ispirazione religiosa ad assicurare, per lungo tempo, le funzioni di disciplina sociale (107); in Francia, se una parte di questo ruolo rimase nelle mani delle società di patronato, un'altra - e senza dubbio la più importante - passò ben presto all'apparato di polizia.
L'organizzazione di una polizia centralizzata apparve a lungo, ed agli occhi degli stessi contemporanei, come l'espressione più diretta dell'assolutismo reale; il sovrano aveva voluto avere «un magistrato suo, al quale potesse affidare direttamente i suoi ordini, i suoi incarichi, le sue intenzioni, e che fosse incaricato dell'esecuzione degli ordini e delle "lettres de cachet"» (108). In effetti, pur rappresentando un certo numero di funzioni preesistenti - ricerca di criminali, sorveglianza urbana, controllo economico e politico -, le luogotenenze di polizia e la luogotenenza generale che le coronava a Parigi, le trasponevano in una macchina amministrativa, unitaria e rigorosa: «Tutti i raggi di forza e di informazione che partono dalla circonferenza, vengono a sboccare al luogotenente generale... E' lui che fa muovere tutte le ruote il cui insieme produce ordine e armonia. Gli effetti della sua amministrazione non possono essere meglio paragonati che al moto dei corpi celesti» (109).
Ma sebbene la polizia come istituzione sia stata organizzata sotto forma di un apparato dello Stato, sebbene sia stata collegata direttamente al centro della sovranità politica, il tipo di potere ch'essa esercita, i meccanismi ch'essa mette in gioco e gli elementi ai quali li applica, sono specifici. E', un apparato che deve essere coestensivo all'intero corpo sociale, e non solamente per i limiti estremi che raggiunge, ma per la minuzia dei dettagli che prende in carico. Il potere poliziesco deve vertere «su tutto»: tuttavia non è la totalità dello Stato né del regno come corpo visibile e invisibile del monarca; è la polvere degli avvenimenti, delle azioni, delle condotte, delle opinioni - «tutto ciò che accade» (110); l'oggetto della polizia, sono quelle «cose di ogni istante», quelle «cose da poco» di cui parlava Caterina di Russia nella sua Grande Istruzione (111). Siamo, con la polizia, nell'indefinito di un controllo che tenta idealmente di raggiungere il pulviscolo più elementare, il fenomeno più passeggero del corpo sociale: «E ministero dei magistrati e ufficiali di polizia è fra i più importanti; gli oggetti che esso abbraccia sono in qualche modo indefiniti, non si può percepirli che attraverso un esame sufficientemente dettagliato» (112): l'infinitamente piccolo del potere politico.
E per esercitarsi, questo potere deve darsi lo strumento di una sorveglianza permanente, esaustiva, onnipresente, capace di rendere tutto visibile, ma a condizione di rendere se stessa invisibile. Essa deve essere come uno sguardo senza volto che trasforma tutto il corpo sociale in un campo di percezione: migliaia di occhi appostati ovunque, attenzioni mobili e sempre all'erta, una lunga rete gerarchizzata, che, secondo Le Maire, comporta, per Parigi, quarantotto commissari, e venti ispettori, gli «osservatori» pagati regolarmente, gli informatori pagati a giornata, poi i denunciatori e infine le prostitute. E questa incessante osservazione deve essere cumulata in una serie di rapporti e di registri; nel corso di tutto il secolo Diciottesimo, un immenso testo poliziesco tende a ricoprire la società grazie ad una complessa organizzazione documentaria (113). E, a differenza dei metodi di scritturazione giudiziaria o amministrativa, quello che si registra sono condotte, attitudini, virtualità, sospetti - una permanente presa in carico del comportamento degli individui.
Ora, è necessario notare che questo controllo di polizia, sebbene per intero «nelle mani del re», non funziona in una sola direzione. In effetti è un sistema a doppia entrata: deve rispondere, mettendo in moto l'apparato giudiziario, alle volontà immediate del re; ma è anche suscettibile di rispondere a sollecitazioni dal basso; nella loro immensa maggioranza, le "lettres de cachet", che furono a lungo il simbolo dell'arbitrio reale e che squalificarono politicamente la pratica della detenzione, erano in effetti richieste dalle famiglie, dagli avvocati, dai notabili locali, dagli abitanti dei quartieri, dai curati di parrocchia; e avevano la funzione di far sanzionare con un internamento tutta una infra-penalità, quella del disordine, dell'agitazione, della disobbedienza, della cattiva condotta; ciò che Ledoux voleva cacciare dalla sua città architettonicamente perfetta, e che chiamava i «delitti da insorveglianza». Insomma, la polizia del secolo Diciottesimo, al suo ruolo di ausiliaria della giustizia nella ricerca dei criminali e di strumento per il controllo politico dei complotti, dei movimenti di opposizione o delle rivolte, aggiunge una funzione disciplinare. Funzione complessa perché unisce il potere assoluto del sovrano alle più piccole istanze di potere disseminate nella società; perché, tra le differenti istituzioni disciplinari chiuse (fabbriche, esercito, scuole), tende una rete intermedia, agente là dove quelle non possono intervenire, disciplinando gli spazi non disciplinari: essa li ricopre, li collega fra loro, li garantisce con la sua forza armata: disciplina interstiziale e metadisciplina. «Il sovrano, con una saggia polizia, abitua il popolo all'ordine e all'obbedienza» (114).
L'organizzazione dell'apparato di polizia, nel secolo Diciottesimo, sanziona una generalizzazione delle discipline che raggiunge le dimensioni dello Stato. Si capisce come, benché sia stata legata nella maniera più esplicita a tutto ciò che nel potere del sovrano eccedeva l'esercizio della giustizia codificata, la polizia abbia potuto, con un minimo di modificazioni, resistere alla riorganizzazione del potere giudiziario; e perché non abbia cessato di imporgli sempre più pesantemente, fino ai nostri giorni, le proprie prerogative; ne è senza dubbio il braccio secolare, ma, assai meglio dell'istituzione giudiziaria, essa fa corpo, per la sua estensione e i suoi meccanismi, con la società di tipo disciplinare. Sarebbe inesatto, tuttavia, credere che le funzioni disciplinari siano state confiscate e assorbite una volta per tutte da un apparato dello Stato.
La «disciplina» non può identificarsi né con una istituzione, né con un apparato; essa è un tipo di potere, una modalità per esercitarlo, comportante tutta una serie di strumenti, di tecniche, di procedimenti, di livelli di applicazione, di bersagli; essa è una «fisica» o una «anatomia» del potere, una tecnologia. E può essere presa in carico sia da istituzioni «specializzate» (i penitenziari o le case di correzione del secolo Diciannovesimo), sia da istituzioni che se ne servono come strumento essenziale per un fine determinato (istituti di educazione, ospedali), sia da istanze preesistenti che vi trovano il mezzo per rinforzare o riorganizzare i loro meccanismi interni di potere (sarà necessario un giorno mostrare come le relazioni intrafamigliari, essenzialmente nella cellula genitori-figli, si siano «disciplinate», assorbendo dopo l'età classica schemi esterni, scolastici, militari, indi medici, psichiatrici, psicologici, che hanno fatto della famiglia il luogo di emergenza privilegiato per la questione disciplinare del normale e dell'anormale); sia da apparati che hanno fatto della disciplina il loro principio di funzionamento interno (disciplinarizzazione dell'apparato amministrativo, a partire dall'epoca napoleonica), sia infine da apparati statuali che hanno la funzione, non esclusiva ma principale, di far regnare la disciplina a scala dell'intera società (la polizia).
Possiamo dunque parlare, nell'insieme, di formazione di una società disciplinare in quel movimento che va dalle discipline chiuse, sorta di «quarantena» sociale, fino al meccanismo indefinitamente generalizzabile del «panoptismo». Non è che la modalità disciplinare del potere abbia sostituito tutte le altre; ma si è infiltrata fra le altre, talvolta squalificandole, pur servendo loro da intermediario, collegandole fra loro, prolungandole, e soprattutto permettendo di portare gli effetti del potere fino agli elementi più sottili e più lontani. Essa assicura una distribuzione infinitesimale del potere.
Pochi anni dopo Bentham, Julius redigeva il certificato di nascita di questa società (115). Egli, parlando del principio panoptico, diceva che vi era in esso ben più di una ingegnosità architettonica: era «un avvenimento nella storia dello spirito umano». In apparenza non è che la soluzione di un problema tecnico; ma attraverso di essa si disegna tutto un tipo di società. L'antichità era stata una civiltà di spettacolo. «Rendere accessibile ad una moltitudine di uomini l'ispezione di un piccolo numero di oggetti»: a questo problema rispondeva l'architettura dei templi, dei teatri, dei circhi. Con lo spettacolo, predominavano nella vita pubblica le feste. In questi rituali, dove colava il sangue, la società ritrovava vigore e formava per un istante come un grande corpo unico. L'età moderna pone il problema inverso: «Procurare ad un piccolo numero, o perfino ad uno solo, la vista istantanea di una grande moltitudine». In una società in cui gli elementi principali non sono più la comunità e la vita pubblica, ma gli individui privati da una parte e lo Stato dall'altra, i rapporti si possono regolare solo in una forma che sia esattamente l'inverso dello spettacolo: «E' ai tempi moderni, all'influenza sempre crescente dello Stato, al suo intervento di giorno in giorno più profondo in tutti i dettagli e in tutte le relazioni della vita sociale, che era riservato l'aumentarne e perfezionarne le garanzie, utilizzando e dirigendo verso questo grande fine la costruzione e la distribuzione di edifici destinati a sorvegliare nello stesso momento una grande moltitudine di uomini».
Julius leggeva come un processo storico compiuto ciò che Bentham aveva descritto come un programma tecnico. La nostra società non è quella dello spettacolo, ma della sorveglianza; sotto la superficie delle immagini, si investono i corpi in profondità; dietro la grande astrazione dello scambio, si persegue l'addestramento minuzioso e concreto delle forze utili; i circuiti della comunicazione sono i supporti di un cumulo e di una centralizzazione del potere; la bella totalità dell'individuo non è amputata, repressa, alterata dal nostro ordine sociale, ma l'individuo vi è accuratamente fabbricato, secondo tutta una tattica di forze e di corpi. Noi siamo assai meno greci di quanto non crediamo. Noi non siamo né sulle gradinate né sulla scena, ma in una macchina panoptica, investiti dai suoi effetti di potere che noi stessi ritrasmettiamo perché ne siamo un ingranaggio. L'importanza, nella mitologia storica, del personaggio napoleonico trova forse qui una delle sue origini: esso è al punto di congiunzione dell'esercizio monarchico e rituale della sovranità e dell'esercizio gerarchico e permanente della disciplina indefinita. Egli è colui che domina ogni cosa con un solo sguardo, ma al quale nessun dettaglio, per infimo che sia, sfugge mai: «Voi potete giudicare come nessuna parte dell'Impero sia priva di sorveglianza, come nessun crimine, nessun delitto, nessuna contravvenzione resti senza un procedimento penale e come l'occhio del genio che sa tutto illuminare abbracci l'insieme di questa vasta macchina, senza che nemmeno il minimo dettaglio possa sfuggirgli» (116). La società disciplinare, nel momento della sua piena manifestazione, prende ancora, con l'Imperatore, il vecchio aspetto del potere di spettacolo. Come monarca usurpatore dell'antico trono e nello stesso tempo organizzatore del nuovo Stato, egli ha riunito in una figura simbolica e definitiva tutto il lungo processo per cui i fasti della sovranità, le manifestazioni necessariamente spettacolari del potere, si sono estinti uno ad uno nell'esercizio quotidiano della sorveglianza, in un panoptismo in cui la vigilanza di sguardi incrociati renderà presto inutile l'aquila quanto il sole.

La formazione della società disciplinare rinvia ad un certo numero di vasti processi storici all'interno dei quali essa prende posto: economici, giuridico-politici, scientifici.
1. In senso globale, possiamo dire che le discipline sono tecniche per assicurare la regolamentazione delle molteplicità umane. E' vero che in questo non vi è nulla di eccezionale e neppure di caratteristico: ad ogni sistema di potere si pone lo stesso problema. Ma, peculiare delle discipline, è che esse tentano di definire nei riguardi delle molteplicità una tattica di potere che risponde a tre criteri: rendere l'esercizio del potere il meno costoso possibile (economicamente, con la spesa modesta che richiede; politicamente, per la sua discrezione, la sua esteriorizzazione limitata, la sua relativa invisibilità, la scarsa resistenza che suscita); fare sì che gli effetti di questo potere sociale siano portati al massimo d'intensità ed estesi quanto più lontano possibile, senza scacchi, né lacune; collegare infine questa crescita «economica» del potere al rendimento degli apparati all'interno dei quali esso si esercita (che siano apparati pedagogici, militari, industriali, medici); in breve far crescere insieme la docilità e l'utilità di tutti gli elementi del sistema. Questo triplice obiettivo delle discipline risponde ad una congiuntura storica ben nota. E' da una parte, la grande spinta demografica del secolo Diciottesimo: aumento della popolazione fluttuante (uno dei primi oggetti della disciplina, è il fissare; essa è un procedimento di antinomadismo); cambiamento di scala quantitativa dei gruppi che si tratta di controllare o di manipolare (dall'inizio del secolo Diciassettesimo alla vigilia della Rivoluzione francese la popolazione scolastica si è moltiplicata, come senza dubbio la popolazione ospedalizzata; l'esercito in tempo di pace contava, alla fine del secolo Diciottesimo, più di 200000 uomini). L'altro aspetto della congiuntura è la crescita dell'apparato produttivo, sempre più esteso e complesso, sempre più costoso anche, e di cui si tratta di aumentare la produttività. Lo sviluppo dei procedimenti disciplinari risponde senza dubbio a questi due processi o piuttosto alla necessità di calibrare la loro correlazione. Né le forme residue del potere feudale, né le strutture della monarchia amministrativa, né i meccanismi locali di controllo, né il concatenamento instabile che essi formavano fra loro, potevano assicurare questo ruolo: ne erano impediti dalla estensione lacunosa e irregolare della loro rete, dal loro funzionamento spesso conflittuale, ma soprattutto dal carattere «dispendioso» del potere che vi si esercitava. Dispendioso in molti sensi: perché, direttamente, costava troppo al Tesoro, perché il sistema della venalità degli uffici o quello degli appalti gravava in maniera indiretta ma molto pesante sulla popolazione, perché le resistenze che incontrava lo trascinavano in un ciclo di continuo rafforzamento, perché procedeva essenzialmente per prelevamenti (prelevamento di denaro o di prodotti da parte della fiscalità monarchica, signorile, ecclesiastica; prelevamento di uomini o di tempi con le "corvées" o gli arruolamenti, la reclusione dei vagabondi o il loro bando). Lo sviluppo delle discipline segna l'apparire di tecniche elementari del potere che derivano da tutt'altra economia: meccanismi di potere che in luogo di intervenire «in deduzione», si integrano dall'interno all'efficacia produttiva degli apparati, alla crescita di questa efficacia e all'utilizzazione di ciò che essa produce. Al vecchio principio «prelevamento-violenza» che reggeva l'economia del potere, le discipline sostituiscono il principio «dolcezza-produzione-profitto». Esse devono essere considerate come delle tecniche che permettono di adeguare fra loro, secondo questo principio, la molteplicità degli uomini e la moltiplicazione degli apparati di produzione (e con ciò bisogna intendere non solo «produzione» propriamente detta, ma la produzione di sapere e di attitudini nella scuola, la produzione di salute negli ospedali, la produzione di forza distruttrice dell'esercito).
In questo compito di adeguamento, la disciplina deve risolvere un certo numero di problemi, per i quali l'antica economia del potere non era sufficientemente armata. Essa può far decrescere la «disutilità» dei fenomeni di massa: ridurre ciò che, in una molteplicità, fa sì ch'essa sia molto meno maneggevole di una unità; ridurre ciò che si oppone all'utilizzazione di ciascuno dei suoi elementi e della loro somma; ridurre tutto ciò che in essa rischia di annullare i vantaggi del numero; perciò la disciplina fissa, stabilizza o regola i movimenti; risolve le confusioni, le agglomerazioni compatte su circolazioni incerte, le ripartizioni calcolate. Essa deve anche dominare tutte le forze che si formano partendo dalla costituzione stessa di una molteplicità organizzata; deve neutralizzare gli effetti di contropotere che ne nascono, opponendo resistenza al potere che vuole dominarla: agitazioni, rivolte, organizzazioni spontanee, coalizioni - tutto ciò che può dipendere da congiunzioni orizzontali. Di qui il fatto che le discipline utilizzano i procedimenti di separazione e di verticalità; che introducono, tra i differenti elementi di uno stesso piano separazioni tanto stagne quanto è possibile; che definiscono reti gerarchiche rigorose; in breve che oppongono alla forza intrinseca e contraria della molteplicità il procedimento della piramide continua e individualizzante. Esse devono ugualmente far crescere l'utilità singola di ogni elemento della molteplicità, ma con mezzi che siano i più rapidi e i meno costosi possibili, ossia utilizzando la molteplicità stessa come strumento di questa crescita: di qui, per estrarre dai corpi il massimo di tempi e di forze, quei metodi d'insieme che sono gli impieghi del tempo, l'addestramento collettivo, le esercitazioni, la sorveglianza globale e dettagliata insieme. Bisogna inoltre che le discipline facciano crescere l'effetto di utilità proprio delle molteplicità, e rendano ciascuna di esse più utile della semplice somma dei suoi elementi: è per accrescere gli effetti utilizzabili del multiplo che le discipline definiscono tattiche di ripartizione, di adattamento reciproco dei corpi, dei gesti e dei ritmi, di differenziazione delle capacità, di coordinazione reciproca in rapporto ad apparati o a compiti. Infine la disciplina deve far giocare i rapporti di potere non al disopra, ma nel tessuto stesso della molteplicità, nel modo più discreto possibile, il meglio articolato rispetto alle altre funzioni di queste molteplicità, ed anche il meno costoso: a tutto ciò rispondono strumenti di potere anonimi e coestensivi alla molteplicità che essi irreggimentano, come la sorveglianza gerarchica, la registrazione continua, il giudizio e la classificazione perenni. Insomma sostituire a un potere che si manifesta con lo splendore di coloro che lo esercitano, un potere che oggettivizza insidiosamente coloro sui quali si esercita; formare un sapere a proposito di questi, piuttosto che dispiegare i segni fastosi della sovranità. In una parola, le discipline sono l'insieme di minuscole invenzioni tecniche che hanno permesso di accrescere la grandezza utile delle molteplicità facendo decrescere gli inconvenienti del potere che, per renderle giustamente utili, deve reggerle. Una molteplicità, sia che si tratti di una fabbrica o una nazione, un esercito o una scuola, raggiunge la soglia della disciplina quando il rapporto tra l'uno e l'altra diviene favorevole.
Se il decollo economico dell'Occidente è cominciato coi processi che hanno permesso l'accumulazione del capitale, possiamo dire, forse, che i metodi per gestire l'accumulazione degli uomini hanno permesso un decollo politico in rapporto a forme di potere tradizionali, rituali, costose, violente, che, ben presto cadute in desuetudine, sono state sostituite da tutta una tecnologia sottile e calcolata dell'assoggettamento. In effetti i due processi, accumulazione degli uomini e accumulazione del capitale, non possono venir separati; non sarebbe stato possibile risolvere il problema della accumulazione degli uomini senza la crescita di un apparato di produzione capace nello stesso tempo di mantenerli e di utilizzarli; inversamente le tecniche che rendono utile la molteplicità cumulativa degli uomini accelerano il movimento di accumulazione del capitale. A un livello meno generale, le mutazioni tecnologiche dell'apparato di produzione, la divisione del lavoro e l'elaborazione di procedimenti disciplinari hanno mantenuto un insieme di rapporti molto stretti (117). Ciascuno di essi ha reso l'altro possibile, e necessario; ciascuno di essi ha servito di modello all'altro. La piramide disciplinare ha costituito la piccola cellula di potere all'interno della quale la separazione, la coordinazione e il controllo sono stati imposti e resi efficaci; e l'incasellamento analitico del tempo, dei gesti, delle forze, dei corpi, ha costituito uno schema operativo che è stato possibile trasferire facilmente dai gruppi da sottomettere ai meccanismi della produzione; la produzione massiva dei metodi militari sull'organizzazione industriale è stata un esempio di questo modellarsi della divisione del lavoro su schemi di potere. E viceversa, l'analisi tecnica del processo di produzione e la sua scomposizione «in automatismi» si sono proiettate sulla forza lavoro che aveva il compito di assicurarlo: la costituzione di queste macchine disciplinari dove vengono composte, e con ciò amplificate, le forze individuali che esse associano, è l'effetto di questa proiezione. Diciamo che la disciplina è il procedimento tecnico unitario per mezzo del quale la forza del corpo viene, con la minima spesa, ridotta come forza «politica», e massimalizzata come forza utile. La crescita di una economia capitalistica ha richiesto la modalità specifica del potere disciplinare, di cui le formule generali, i processi di assoggettamento delle forze e dei corpi, l'«anatomia politica» in una parola, possono venir messe in opera attraverso regimi politici, apparati o istituzioni molto diverse fra loro.
2. La modalità panoptica del potere - a livello elementare, tecnico, umilmente fisico, dove essa si colloca - non è sotto la dipendenza immediata né nel prolungamento diretto delle grandi strutture giuridico-politiche di una società; tuttavia, non ne è del tutto indipendente. Storicamente, il processo per cui la borghesia è divenuta nel corso del secolo Diciottesimo la classe politicamente dominante si è riparato dietro la messa a punto di un quadro giuridico esplicito, codificato, formalmente egalitario, e attraverso l'organizzazione di un regime parlamentare e rappresentativo. Ma lo sviluppo e la generalizzazione dei procedimenti disciplinari hanno costituito l'altro versante, oscuro, di quei processi. La forma giuridica generale che garantiva un sistema di diritti uguali in linea di principio, era sottesa da meccanismi minuziosi, quotidiani, fisici, da tutti quei sistemi di micropotere, essenzialmente inegalitari e dissimmetrici, costituiti dalle discipline. E se, in modo formale, il regime rappresentativo permette che direttamente o indirettamente, con o senza sostituzioni, la volontà di tutti formi l'istanza fondamentale della sovranità, le discipline forniscono, alla base, la garanzia della sottomissione delle forze e dei corpi. Le discipline reali e corporali hanno costituito il sottosuolo delle libertà formali e giuridiche. Il contratto poteva ben essere postulato, come fondamento ideale del diritto e del potere politico; il panoptismo costituiva il procedimento tecnico, universalmente diffuso, della coercizione. Esso non ha cessato di operare in profondità nelle strutture giuridiche della società, per far funzionare i meccanismi effettivi del potere contro il quadro formale che questo si era dato. I «Lumi» che hanno scoperto le libertà, hanno anche inventato le discipline.
In apparenza le discipline non costituiscono altro che un infra-diritto. Sembrano immergere fino al livello infinitesimale delle singole esistenze, le formule generali definite dal diritto; o ancora, appaiono come metodi di un apprendistato che permette agli individui di integrarsi alle esigenze generali. Esse perpetuerebbero lo stesso tipo di diritto cambiandolo di scala e rendendolo con ciò più minuzioso e senza dubbio più indulgente. Bisogna invece piuttosto vedere nelle discipline una sorta di controdiritto. Esse hanno il ruolo preciso di introdurre dissimmetrie insormontabili e di escludere le reciprocità. Prima di tutto perché la disciplina crea tra gli individui un legame «privato», che è un rapporto di costrizioni interamente differente dall'obbligazione contrattuale; l'accettazione di una disciplina può ben essere sottoscritta contrattualmente, ma la maniera con cui essa viene imposta, i meccanismi che fa giocare, la subordinazione non reversibile degli uni in rapporto agli altri, il «più di potere» che è sempre fisso dalla stessa parte, l'ineguaglianza delle posizioni dei diversi «partners» in rapporto al regolamento comune, oppongono il legame disciplinare al legame contrattuale e permettono di falsare sistematicamente quest'ultimo, a partire dal momento in cui esso ha come contenuto un meccanismo di disciplina. Sappiamo ad esempio, quanti procedimenti reali sconfessino la finzione giuridica del contratto di lavoro: la disciplina di fabbrica non è il meno importante. In più, mentre i sistemi giuridici qualificano i soggetti di diritto secondo norme universali, le discipline caratterizzano, classificano, specializzano, distribuiscono lungo una scala, ripartiscono attorno ad una norma, gerarchizzano gli individui gli uni in rapporto agli altri, e, al limite, squalificano e invalidano. Per quanto, regolare e istituzionale possa essere, la disciplina, nel suo meccanismo, è un «contro-diritto». E se il giuridismo universale della società moderna sembra fissare i limiti dell'esercizio dei poteri, il suo panoptismo diffuso ovunque vi fa funzionare, di contro al diritto, un meccanismo immenso e minuscolo insieme, che sostiene, rinforza, moltiplica la dissimmetria dei poteri e rende vani i limiti che le sono stati posti. Le discipline minutissime, il panoptismo di ogni giorno, possono facilmente sottendere al livello di emergenza dei grandi apparati e delle grandi lotte politiche. Esse sono state, nella genealogia della società moderna, con la dominazione di classe che l'attraversa, la contropartita politica delle norme giuridiche secondo le quali Veniva ridistribuito il potere. Di qui senza dubbio l'importanza attribuita da così lungo tempo ai piccoli procedimenti della disciplina, alle piccole astuzie ch'essa ha inventato o ancora ai saperi che le conferiscono un aspetto confessabile; di qui il timore di disfarsene se non si trova loro un sostituto; di qui l'affermazione che esse sono il fondamento stesso della società, e del suo equilibrio, mentre sono in realtà una serie di meccanismi per disequilibrare definitivamente e ovunque le relazioni di potere; di qui il fatto che ci si ostina a farle passare per la forma umile ma concreta di ogni morale, mentre sono un fascio di tecniche fisico-politiche.
E per ritornare al problema dei castighi legali, la prigione, con tutta la tecnologia correttiva che l'accompagna, deve essere collocata qui: nel punto in cui avviene la torsione del potere codificato di punire in potere disciplinare di sorvegliare; nel punto in cui i castighi universali delle leggi vengono ad applicarsi selettivamente a certi individui e sempre a quelli; nel punto in cui la riqualificazione del soggetto di diritto per mezzo della pena diviene addestramento utile del criminale; nel punto in cui il diritto si inverte e passa all'esterno di se stesso e in cui il contro-diritto diviene il contenuto effettivo e istituzionalizzato delle forme giuridiche. Ciò che generalizza allora il potere di punire, non è la coscienza universale della legge in ciascuno dei soggetti di diritto, è l'estensione regolare, è la trama infinitamente sostenuta dei processi panoptici.
3. Presi uno ad uno, la maggior parte di questi procedimenti ha dietro di sé una lunga storia. Ma il punto di novità, nel secolo Diciottesimo, è che combinandosi e generalizzandosi essi raggiungono il livello a partire dal quale formazione di sapere e maggiorazione di potere si rinforzano con regolarità secondo un processo circolare. Le discipline oltrepassano allora la soglia «tecnologica». Dapprima l'ospedale, poi la scuola, più tardi ancora la fabbrica, non sono stati semplicemente «messi in ordine» dalle discipline; sono divenuti, grazie ad esse, degli apparati tali che ogni meccanismo di oggettivazione può valere come strumento di assoggettamento, e ogni crescita di potere dà luogo a possibili conoscenze; è a partire da questo legame, proprio dei sistemi tecnologici, che nell'elemento disciplinare hanno potuto formarsi la medicina clinica, la psichiatria, la psicologia dell'età evolutiva, la psicopedagogia, la razionalizzazione del lavoro. Doppio processo, dunque: sblocco epistemologico, partendo da un affinamento delle relazioni di potere; moltiplicazione degli effetti del potere grazie alla formazione e al cumulo di nuove conoscenze.
L'estensione dei metodi disciplinari si inscrive in un vasto processo storico: lo sviluppo, quasi nella stessa epoca, di altre numerose tecnologie - agronomiche, industriali, economiche. Ma bisogna riconoscerlo: a confronto delle industrie minerarie, della nascente chimica, dei metodi della contabilità nazionale, a lato degli altiforni o della macchina a vapore, il panoptismo è stato poco celebrato. Non si riconosce in esso più di una bizzarra piccola utopia, il sogno di una cattiveria - un po' come se Bentham fosse stato il Fourier di una società poliziesca, in cui il Falansterio avrebbe avuto la forma del "Panopticon". E nondimeno c'era qui la formula astratta di una tecnologia ben reale, quella degli individui. Ch'essa abbia avuto poche lodi, è certo per molte ragioni: la più evidente è che i discorsi cui ha dato luogo, raramente hanno raggiunto, salvo nelle qualificazioni accademiche, lo "status" di scienze; ma la più reale, senza dubbio, è che il potere ch'essa mette in opera, e che permette di maggiorare, è un potere diretto e fisico che gli uomini esercitano gli uni sugli altri. Per un punto d'arrivo senza gloria, un'origine difficile da confessare. Sarebbe ingiusto confrontare i procedimenti disciplinari con invenzioni come la macchina a vapore o il microscopio di Amici. Essi valgono assai meno; e, tuttavia, in un certo modo, valgono assai di più. Se fosse necessario trovar loro un equivalente storico o per lo meno un punto di confronto, dovrebbe essere piuttosto dalla parte della tecnica «inquisitoriale».
Il secolo Diciottesimo ha inventato la tecnica della disciplina e dell'esame, un po' come il Medioevo ha inventato l'inchiesta giudiziaria. Ma per tutt'altre vie. La procedura d'inchiesta, vecchia tecnica fiscale e amministrativa, si era sviluppata soprattutto con la riorganizzazione della Chiesa e l'accrescersi degli Stati principeschi nei secoli Diciassettesimo e Diciottesimo. Fu allora che essa penetrò con l'ampiezza che ci è nota, nella giurisprudenza dei tribunali ecclesiastici, poi nelle corti laiche. L'inchiesta, come ricerca autoritaria di una verità constatata o attestata si opponeva così alle antiche procedure del giuramento, dell'ordalia, del duello giudiziario, del giudizio di Dio o ancora della transazione tra privati. L'inchiesta era il potere sovrano che si arrogava il diritto di stabilire il vero attraverso un certo numero di tecniche codificate. Ora, sebbene l'inchiesta abbia da quel momento fatto corpo con la giustizia occidentale (e fino ai nostri giorni), non bisogna dimenticare né la sua origine politica, né il suo legame con la nascita degli Stati e della sovranità monarchica, e nemmeno il suo ulteriore spostamento e il suo ruolo nella formazione del sapere. In effetti l'inchiesta fu l'elemento, rudimentale senza dubbio, ma fondamentale per la costituzione delle scienze empiriche; essa fu la matrice giuridico-politica di quel sapere sperimentale, che, come ben sappiamo, venne rapidamente sbloccato alla fine del Medioevo. E' forse vero che le matematiche, in Grecia, nacquero dalle tecniche della misura; le scienze della natura, in ogni caso, nacquero in parte, alla fine del Medioevo, dalle pratiche dell'inchiesta. La grande conoscenza empirica che ha coperto le cose del mondo e le ha trascritte disponendole nell'ordine di un discorso indefinito, che constata, descrive e stabilisce i «fatti» (e ciò nel momento in cui il mondo occidentale cominciava la conquista economica e politica di questo stesso mondo) trova senza dubbio il suo modello operativo nell'Inquisizione - questa immensa invenzione che la recente dolcezza ha posto nell'ombra della nostra memoria. Ora, ciò che questa inchiesta politico-giuridica, amministrativa e criminale, religiosa e laica fu per le scienze della natura, l'analisi disciplinare fu per le scienze dell'uomo. Queste scienze, davanti alle quali si incanta la nostra «umanità» da più di un secolo, hanno la loro matrice tecnica nella minuzia pignola e cattiva delle discipline e delle loro investigazioni. Queste sono forse rispetto alla psicologia, alla psichiatria, alla pedagogia, alla criminologia, ciò che il terribile potere di inchiesta fu per il calmo sapere sugli animali, le piante o la terra. Altro potere, altro sapere. Alle soglie dell'età classica, Bacone, l'uomo della legge e dello Stato, tentò di costruire per le scienze empiriche la metodologia dell'inchiesta. Quale Grande Sorvegliante farà quella dell'esame, per le scienze umane? A meno che, precisamente, ciò non sia possibile. Perché, se è vero che l'inchiesta, divenendo una tecnica per le scienze empiriche, si distaccò dalla procedura inquisitoriale dove storicamente si radicava, l'esame, al contrario, è rimasto vicinissimo al potere disciplinare che l'ha creato; ed è ancora e sempre elemento intrinseco delle discipline. Certamente, esso sembra aver subito un'epurazione speculativa, integrandosi a scienze come la psichiatria, la psicologia. E in effetti, sotto forma di test, conversazioni, interrogatori, consultazioni, lo vediamo rettificare in apparenza i meccanismi della disciplina: la psicologia scolare è incaricata di correggere i rigori della scuola, come il trattamento medico o psichiatrico è incaricato di rettificare gli effetti della disciplina di lavoro. Ma non bisogna lasciarsi ingannare; queste tecniche non fanno che rinviare gli individui da una istanza disciplinare ad un'altra, e riproducono, sotto forma concentrata o formalizzata, lo schema di potere proprio di ogni disciplina (118). La grande inchiesta che aveva dato luogo alle scienze della natura, si era distaccata dal suo modello politico-giuridico; l'esame, al contrario, è sempre preso nella tecnologia disciplinare.
La procedura dell'inchiesta nel Medioevo si era imposta alla vecchia giustizia accusatoria, ma attraverso un processo venuto dall'alto; la tecnica disciplinare ha invece invaso, insidiosamente e come dal basso, una giustizia penale che è ancora, in linea di principio, inquisitoria. Tutti i grandi movimenti di deriva che caratterizzano la penalità moderna - la problematizzazione del criminale dietro il suo crimine, la preoccupazione di una punizione che sia una correzione, una terapeutica, una normalizzazione, la divisione dell'atto del giudicare tra differenti istanze che hanno il compito di misurare, valutare, diagnosticare, guarire, trasformare gli individui - tutto ciò tradisce la penetrazione dell'esame disciplinare entro l'inquisizione giudiziaria.
Ciò che ormai si impone alla giustizia penale come punto di applicazione, come oggetto «utile», non sarà più il corpo del colpevole eretto contro il corpo del re; non sarà più neppure il soggetto di diritto di un contratto ideale; bensì l'individuo disciplinare. Il punto estremo della giustizia penale sotto l'"Ancien Régime" era tagliare in infiniti pezzi il corpo del regicida: manifestazione del più forte tra i poteri sul corpo del più grande tra i criminali, la cui distruzione totale fa prorompere il crimine nella sua verità. Il punto ideale della penalità di oggi sarebbe la disciplina illimitata: un interrogatorio che non avesse termine, un'inchiesta che si prolungasse senza fine in una osservazione minuziosa e sempre più analitica, un giudizio che fosse nello stesso tempo la costituzione di un dossier mai chiuso, la dolcezza calcolata di una pena che fosse intrecciata alla accanita curiosità di un esame, una procedura che fosse insieme la misura permanente di uno scarto in rapporto ad una norma inaccessibile e il moto asintotico che costringe a raggiungerla all'infinito. Il supplizio compie logicamente una procedura comandata dall'Inquisizione. Mettere in «osservazione», prolunga naturalmente una giustizia invasa dai metodi disciplinari e dalle procedure d'esame. Che la prigione cellulare, con le sue cronologie scandite, il suo lavoro obbligatorio, le sue istanze di sorveglianza e di annotazione, con i suoi maestri di normalità, che sostituiscono e moltiplicano le funzioni del giudice sia divenuta lo strumento moderno della penalità, come può meravigliare? E, se la prigione assomiglia agli ospedali, alle fabbriche, alle scuole, alle caserme come può meravigliare che tutte queste assomiglino alla prigioni?

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